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Autore: TwistedDreamer    08/04/2017    0 recensioni
«Cioè, fammi riassumere un attimo la situazione. Il famoso "punto" della questione è che Brian voleva solo scopare e tu ti sei innamorato?»
«Dom, perché nei tuoi riassunti io sembro sempre la ragazzina sedotta e abbandonata?»
«Perché lo sei, Matt!!! Sei una fottuta ragazzina! Come ti salta in mente di innamorarti di Brian Molko? Dopo che lui ti ha chiaramente intimato di non farlo, per di più!»
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Muse, Placebo | Coppie: Brian.M/Matthew.B
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2

Il palazzo rosso svetta alto tra i tetti londinesi. Brian si sofferma a guardare in alto più del dovuto. Al quinto piano le finestre sono aperte.
Sospira.
Infila la chiave nel portone ed entra nell'atrio, salutando distrattamente il portiere.
Chiama l'ascensore e prega di riuscire a percorrere indenne la piccola distanza che lo separa dal suo appartamento. Dalla salvezza.
Si dà mentalmente dell'idiota, perché neanche da adolescente, quando cercava di rientrare più tardi del dovuto senza farsi scoprire, si sentiva così ansioso.
L'ascensore sale, lento, mentre il suo respiro accelera impercettibilmente.
Primo piano.
Quella è ancora una zona neutra, terreno pacifico.
Secondo piano.
Il secondo piano è in attesa di essere affittato, quindi non può ancora costituire un problema. Brian fa un respiro profondo.
Terzo piano.
Si chiede distrattamente se Brix sia in casa, se sia a Londra. Hanno questa bizzarra tradizione della "cena di addio" prima di ogni tour dei Placebo, come se Brian stesse partendo per la guerra o qualcosa di simile.
Quarto piano.
Il battito accelera, l'aria non sembra abbastanza.
Vorrebbe poter scendere sotto la cabina e spingere l'ascensore per farlo accelerare.
Quinto piano.
Sali, sali, sali, sali. Non ti fermare, non ti fermare, non ti fermare.
Quanto cazzo sei lento.
Sali.
Più veloce, cazzo.
Sesto piano.
Il respiro comincia a regolarizzarsi, il cuore rallenta, l’espressione del volto si rilassa.
Settimo piano. Le porte si separano, rivelando un pianerottolo vuoto e in penombra.
Tenendo stretta in mano la chiave, Brian esce dalla cabina, trascinandosi dietro il trolley e, dopo aver disinserito l'allarme, sgattaiola in casa il più in fretta possibile.
Salvo.
Trasporta la valigia direttamente nella lavanderia e comincia a svuotarla e a buttare alla rinfusa vari capi di abbigliamento in lavatrice. Lancia un'occhiata critica ai vestiti che ha addosso e poi, scuotendo la testa, se li toglie e ficca in lavatrice anche quelli, prima di farla partire. Soddisfatto, si dirige in camera da letto, nudo e scalzo, con indosso solo un paio di boxer bianchi, e pesca una tuta dall'armadio, gettandola sul letto prima di indossarla, quando sente un rumore.
Dei piccoli tonfi.
Rizza le orecchie. I tonfi si ripetono.
Qualcuno sta bussando alla porta.
Il cuore accelera.
È lui.
Rimane paralizzato accanto al letto, indeciso. Altri tre colpetti.
Potrebbe essere Brix.
Si riscuote un attimo. È assurdo avere così tanta paura di una persona.
Di un ex.
Di un'ex s c o p a t a.
In ogni caso, Brian è dentro e Matt, ammesso che sia davvero lui, è fuori. E senza il suo benestare, non entrerà.
Ancora nudo, scalzo, si dirige verso l'ingresso, stando attento a non fare il più piccolo rumore.
Sente il parquet scricchiolare leggermente sotto i piedi, ma sa che da fuori sarebbe impossibile sentirlo. Si avvicina cautamente alla porta e si alza sulle punte per sbirciare dallo spioncino.
Il suo cuore manca un colpo e poi prende a battere così velocemente da stordirlo. È Matt, ovviamente. Ma il cuore ha accelerato solo per la sorpresa, non c’è altro motivo valido. Non prova niente per Matthew, se non la bruciante voglia di evitare un’ultima conversazione e, conseguentemente, di evitare lui.
Scende lentamente dalle punte e resta immobile a fissare la porta, sperando che Matt desista quanto prima. Non osa neanche respirare per paura di essere scoperto.
Altri tre colpi.
Nella penombra dell'ingresso, Brian cerca di imprimersi nella mente la trama delle venature del legno della porta, attento a non produrre il più piccolo rumore. Sente un fischio alle orecchie, i rumori esterni gli arrivano ovattati.
Non ce la fa più a trattenere il fiato, quindi cerca di respirare il più lentamente possibile per non farsi sentire, ma anche così l’ossigeno che arriva al cervello è troppo poco, gli manca l'aria.
«Lo so che ci sei.» sente mormorare da dietro la porta.
Trasalisce una volta di troppo.
«Brian?»
Brian esala tutta l'aria che aveva trattenuto.
«Brian, per favore. Possiamo parlare come persone civili?»
La battuta pungente è lì, su un piatto d'argento. Rispondergli che lui non è una persona civile e, quindi, non è in grado di intrattenere una conversazione sarebbe fin troppo facile. Ma una risposta del genere non avrebbe senso, se non quello di provocarlo una volta di troppo, e li porterebbe a una sequela infinita di botte e risposte che porterebbero a loro volta Brian ad aprire quella dannata porta. E lui non ne ha la minima intenzione.
«Lo so che sei là dietro.»
Ha un "Vai via, Matthew" sulla punta della lingua, che minaccia di uscire, ma i denti si serrano sul labbro inferiore, per impedirgli di articolare anche un piccolo suono.
«Sai che non potrai sfuggirmi per sempre, vero?»
***
 
«Entrate! Ciao cucciolo.» dice Brian, spalancando la porta per fare entrare Helena e Cody. Il bambino lo saluta distrattamente ed entra spedito in casa, trascinando in camera sua un piccolo trolley verde. La madre lo segue poco dietro con una valigia più grande e si avvicina a Brian per posargli un bacio sulla guancia.
«Ti va un tè freddo?» le chiede. Lei accetta con un sorriso e si dirige in cucina, dove si accomoda su uno degli sgabelli d'acciaio posti intorno alla penisola.
Brian si sta affaccendando a prendere i bicchieri, aprire il frigorifero, versare il tè, tutto in rigoroso silenzio, mentre sente gli occhi della sua ex perforargli la schiena da un punto imprecisato dietro di lui. Prima di servire le bibite, lancia uno sguardo allo schermo del cellulare: una chiamata persa e un messaggio. Cerca con tutte le sue forze di trattenersi dal leggerlo, ma poi cede.
“Lo so che c’eri, ieri sera. Potresti degnarti di rispondermi, per favore?”
Helena si schiarisce la voce.
«Allora, hai intenzione di dirmi perché la settimana scorsa sei sparito nel nulla?»
Brian finge di pensarci un po' su, mentre cancella il messaggio e posa il cellulare, poi si gira verso di lei con in mano i due bicchieri colmi di tè e, tirando fuori un gran sorriso, le risponde: «No!»
La donna prende la sua bibita e la sorseggia, pensierosa, mentre lui si accomoda di fronte a lei.
«Devo tirare a indovinare?»
Il sorriso di Brian si fa più largo e più tirato: «Preferirei di no.»
«Non ce n'è bisogno» sentenzia lei «Tanto lo so già. Hai mandato tutto a puttane, come al solito, e poi sei scappato…» posa il bicchiere e lo inchioda con lo sguardo, prima di concludere rassegnata «… come al solito.»
«Primo, non c'era niente da mandare a puttane; secondo, ti ricordi cosa significa "no", vero?»
«E tu ricordi che dei tuoi "no" non mi è mai importato niente?» chiede di rimando, con un sorriso sarcastico.
Brian ride brevemente e si appoggia allo schienale basso dello sgabello.
Sospira.
«Ho semplicemente evitato che la situazione si complicasse e poi sono andato a Parigi per evitare di incontrarlo.»
«E per non rischiare di cambiare idea…» aggiunge lei, con perspicacia.
È impossibile parlare con Helena.
«Va bene, hai finito di analizzare la mia situazione sentimentale e psicologica? Possiamo parlare di cose serie?»
Cody entra in cucina proprio in quel momento e si arrampica su uno sgabello libero, aiutato dal padre.
«Quando partiamo?» chiede, tutto allegro.
«Domani mattina.»
Gli occhi del bambino si illuminano. Ha sempre amato andare in tour con lui; dormire in un autobus che sembra una reggia è, per lui, la migliore delle avventure, e poi entrare a far parte così a fondo della vita del padre lo inorgoglisce moltissimo.
«Allora,» Helena riprende il discorso «partite domani, io vi raggiungo a Barcellona e resto con voi fino a Parigi.»
Brian riporta lo sguardo su di lei e annuisce.
«Sai che puoi rimanere anche di più, se vuoi.»
«Dieci giorni sono più che sufficienti.» gli risponde «E poi io non ho più l'età!» prosegue ridacchiando.
«Papi…» si intromette il bambino tirandogli un lembo della maglietta «Più tardi possiamo andare a salutare Matt?»
Brian sussulta impercettibilmente.
 
***
 
10 febbraio.
Matthew Bellamy aveva sempre pensato che mettere i cassonetti della spazzatura in piena vista sulle strade principali fosse una cosa di estremo cattivo gusto, nonché sicuramente frutto di qualche complotto governativo, magari volto a far ammalare l'enorme quantità di persone che sicuramente sarebbe passata là davanti, in modo da far vendere di più alle case farmaceutiche. Ad ogni modo, i cassonetti non gli erano mai piaciuti, tantomeno quelli davanti casa sua. Perciò, quando sentì un rumore sospetto provenire da uno di quelli vicino al suo cancello, mentre si apprestava a rientrare, lanciò verso il suddetto cassonetto un'occhiata sospettosa ma, suo malgrado, incuriosita. Il rumore in questione era composto di una serie di piccoli tonfi e Matt era quasi tentato di ignorarli finché ai tonfi non si aggiunse un debole guaito.
Restò un attimo fermo, incerto sul da farsi, dopodiché sospirò e si decise a lanciare un'occhiata all'interno del cassonetto, già pronto ad andare in farmacia a fare una scorta di antibiotici ad ampio spettro.
In mezzo a sacchi e buste varie c'era una scatola di cartone con dentro un minuscolo cucciolo di cane che lo osservava incuriosito. Era completamente bianco, fatta eccezione per una macchia marrone tutta intorno all’occhio sinistro e un’altra sulla punta della coda. Cane e cantante rimasero a fissarsi in silenzio per qualche istante, finché Matt mormorò, rassegnato: «E va bene.»
Cominciò ad arrabattarsi per riuscire a raggiungere lo scatolone cercando di entrare in contatto il meno possibile con la spazzatura tutta intorno. Si issò sulle punte, tenendo aperto il cassonetto con un piede sul pedale, si sporse al suo interno allungando le braccia, ma niente: il cane era troppo lontano per essere raggiunto senza toccare il bordo di quel ricettacolo di malattie. Ad un certo punto sentì una vocetta dietro di lui.
«Papà, perché quello lì cerca di entrare nella spazzatura?»
Si girò appena in tempo per vedere Brian Molko, in compagnia di un bambino con una cresta di riccioli neri a incorniciargli il viso, che lo guardava con aria esasperata, sospirando.
«Non lo so, Cody. Quello è un tipo strano.»
Matt scoppiò a ridere.
«Non perdi mai l'occasione di insultarmi, tu, eh? C'è un cucciolo di cane abbandonato qui dentro e vorrei provare a salvarlo, prima che muoia di fame o di freddo. Perché non mi date una mano?»
«Non ci penso nemmeno. Co… Cody, dove vai?»
Il bambino non sembrava pensarla come lui, perché aveva abbandonato la mano del padre e si era avvicinato a Matt in tutta fretta.
«Papà, dai, aiutiamolo! Dobbiamo salvare il cane!»
Brian alzò gli occhi al cielo, visibilmente maledicendo dentro di sé tutti i cani, tutti i cassonetti e soprattutto tutti i Matt Bellamy del mondo, dopodiché si avvicinò cautamente, arricciando il naso per la puzza.
«Santo cielo, Bellamy, come fai a stare con la testa ficcata in quel coso?»
«I veri eroi sanno sopportare le sofferenze.» rispose quello, con fare stoico, mentre finalmente tirava fuori la testa dal cassonetto. Occhieggiò l'uomo di fronte a lui e poi riprese: «Dato che mi pare palese che tu non abbia voglia di entrare là dentro…»
«Ma va…» lo interruppe Brian.
«… e che io non riesco ad arrivare al cane da solo, propongo che Cody tenga aperto il cassonetto col piede sul pedale, mentre tu mi sollevi un po' per permettermi di avvicinarmi di più.»
Il bambino sembrava entusiasta di aver appena ricevuto un incarico ufficiale nella missione "Salviamo il Cucciolo", ma Brian non sembrava dello stesso avviso.
«Dovrei prenderti in braccio, Bellamy?» chiese con una punta di disgusto e scandendo bene le parole, come se stesse parlando a un idiota. «Non ce la farò mai, sei troppo pesante.» sentenziò.
«Capisco che la virilità non è la tua caratteristica principale, Molko, ma se vuoi essere un eroe anche tu dovrai sforzarti un po'.» rispose Matt, ammiccando perfidamente. L'aveva messo in trappola: sapeva che a quel punto Brian non avrebbe potuto dimostrarsi meno che un eroe agli occhi del figlio, per cui avrebbe dovuto aiutarlo per forza.
Brian, infatti, si avvicinò a lui sospirando e gli sibilò fra i denti: «Non ti facevo così calcolatore, Bellamy.»
Quello scoppiò a ridere di gusto, girandosi verso il cassonetto e dandogli le spalle.
«Ok, allora al mio tre Cody spingi il pedale e tu, Brian, sollevami, ok?»
«Ok!» fece il bambino, entusiasta.
«Ok.» gli fece eco il padre, rassegnato.
Matt cominciò a contare.
«Uno…»
Le mani di Brian si poggiarono sulla sua vita e lui ebbe un brivido che non aveva niente a che fare con la temperatura esterna.
«Due…»
Brian si fece più vicino, Matt poteva sentire il suo respiro sul collo e percepì un brivido di allerta risalirgli lungo la schiena.
Cody, nel frattempo, aveva messo un piede sul pedale, pronto ad eseguire il suo compito nella "missione".
«Tre!»
Cinque minuti più tardi lo scatolone e il suo vivace contenuto erano stati tratti in salvo e giacevano al centro del marciapiede, Cody era accoccolato là davanti e osservava il cucciolo senza toccarlo, perché il padre gliel'aveva categoricamente vietato, Matt aveva un bernoccolo in più e Brian prevedeva di dover restare a letto col mal di schiena per una settimana.
«Ecco, Bellamy, dopo avermi procurato un'ernia del disco, cosa intendi farne, di questo sacco di pulci?»
«E io che ti credevo un animo sensibile… per prima cosa lo porto da un veterinario per farlo pulire, spulciare e vaccinare e poi me lo porto a casa!»

 
*
 
«Cioè, Brian Molko ti aiuta a salvare il tuo cane e tu quando me lo racconti lo classifichi solo come "un vicino di casa"? Ma che avevi in testa?»
«Non so perché non te l'ho detto in quel momento. Mi imbarazzava.»
«Le cose che vediamo come normali non ci imbarazzano, Matt. Ci sentiamo imbarazzati solo quando c'è qualcosa sotto. Ti piaceva, ammettilo!»
«Non mi piaceva! Al massimo mi intrigava… mi interessava…»
«E quindi hai trovato una scusa per farti prendere in braccio.»
«Ok, hai ragione. Forse mi piaceva già allora. O forse non te l'ho detto perché mi imbarazzava rendere pubblico il disgusto con cui mi trattava. O magari sapevo già che reazione avresti avuto.»
«Matt, con chi credi di stare parlando? Ti piaceva, non lo negare.»
«Dom, ti ho già detto che la cosa non è rilevante, al momento.»
«Va bene, va bene. Sto zitto. Vai avanti.»

***

«Cody, credo che Matt sia partito.»
«Oh.» commenta il bambino, deluso. «E dov'è andato?»
Brian fa appello a tutta la pazienza che ha, continuando a ripetersi che Cody non sa, né ha colpa di quello che è successo tra lui e Matt.
«Anche Matt è un musicista, è partito per il tour.»
Il figlio assume un'espressione rassegnata, finché non realizza una cosa. Sgranando gli occhi, preoccupato, gli chiede: «E Angus?»

***
 
14 febbraio.
L'ascensore arrivò al quinto piano e le porte si aprirono, rivelandogli un Brian Molko spazientito e al telefono con Cody piagnucolante appeso al braccio.
«Daaaaaaaiiiii papàààà ti preeeeegooooooo!!!!» stava dicendo il bambino.
Matt entrò nell'abitacolo e premette lo zero, salutando il collega con un cenno del capo.
«Cody, ho detto di no. Smetti di fare i capricci. È solo per una sera.»
«Ma papà io non voglioooooo!!! Voglio venire con teeee!!!!»
La lamentela non accennava a finire. Matt conosceva quel tono, era quello che adottava Bing quando aveva dentro un misto di fame, sonno e voglia di fare i capricci.
«Dai, Hannah ti è sempre piaciuta! Vi divertite sempre insieme!» disse convincente «Certo, per prima cosa dovrebbe rispondermi, però…» aggiunse poi borbottando.
Matt si intromise: «C'è qualche problema?»
Evidentemente Brian era troppo impegnato e assorto per ricordarsi di dover essere scostante con lui, perché rispose in tono neutro: «La baby sitter non risponde e io devo uscire fra un'ora.»
«Daiiii papiii!! Resta a casaaaaa!!»
«Non posso, Cody.» fece Brian spazientito, ricomponendo il numero per chiamare un'altra volta.
Nel frattempo l'ascensore era arrivato al piano terra.
«Ehi, Cody,» disse abbassandosi all'altezza del bambino «che ne dici se invece di far venire Hannah venissi a casa mia stasera? Ordiniamo una pizza e giochiamo alla Wii. E poi c'è Angus!» concluse la proposta con un occhiolino.
Il piccolo lo guardò con un misto di curiosità, desiderio e diffidenza, mentre il padre sembrò ricordarsi di chi aveva di fronte e assunse un'espressione di terrore.
«Bellamy, ma che vai dicendo? E chi è Angus?»
Il Bellamy in questione si rialzò in piedi e lo guardò negli occhi.
«Angus è il mio cane. E poi perché, scusa? Non trovi la baby sitter, tu devi uscire, io mi preparavo a una tranquilla serata casalinga. E poi so che Cody muore dalla voglia di giocare con Angus dal giorno in cui l'abbiamo salvato. Inoltre, sai che non sono un maniaco» Brian alzò un sopracciglio come a indicare che non ne era poi tanto sicuro «e mi sembri abbastanza disperato.» continuò Matt imperterrito, col tono di chi sta esprimendo un'ovvietà.
Brian, effettivamente disperato, lanciò un'occhiata al figlio che in realtà sembrava aver accantonato la lagna e osservava il padre, dubbioso.
«Vuoi andare, Cody? Hannah non risponde…»
Il bambino lanciò un'occhiata a Matt e disse: «Solo se posso avere anche le patatine.»
Il cantante dei Muse scoppiò in una fragorosa risata.
«Ma guarda tu che piccolo dittatore. Se papà è d'accordo, per me va bene.»
Brian sospirò.
«E patatine siano.»

 
*

Matt aveva fatto le sue commissioni alla velocità della luce per poter rientrare in casa in tempo.
Quando, un'ora prima, aveva intravisto un'opportunità di far calare il muro di gelo tra lui e Brian e di farsi perdonare per la faccenda della chitarra di qualche giorno prima, l'aveva colta al volo. Una piccola parte calcolatrice della sua mente aveva pensato che lavorarsi il bambino sarebbe stato un ottimo modo di ammorbidire il padre, ma effettivamente nel momento in cui si era offerto di tenere Cody per la serata, lo aveva fatto davvero contento di avere una piccola peste con cui fare casino per una sera.
A volte, la solitudine dell'ultimo periodo era difficile da sopportare; forse era per quello che aveva deciso di tenere Angus e di non portarlo al canile. Non che fosse sempre solo, perché di impegni e gente da incontrare, ne aveva anche fin troppi, ma una volta tornato a casa, quella che gli pesava era più una solitudine emotiva. La verità era che gli mancava Bing, la quotidianità di essere un padre a tempo pieno, i piccoli impegni familiari. Sospirò, sperando che la scelta di trasferirsi di nuovo in Inghilterra non si rivelasse troppo negativa per suo figlio.
Stava giusto appendendo il cappotto e rimuginando tra quei pensieri quando Brian e Cody bussarono alla porta.
«Arrivo!» gridò dal corridoio, precipitandosi ad aprire, cercando di non inciampare nel cucciolo scodinzolante che lo seguiva dappertutto.
Brian Molko gli stava davanti in tutta la sua eleganza, avvolto in un cappotto nero probabilmente tagliato su misura che contrastava con la sua pelle diafana, le ciglia nerissime e allungate dal mascara, la linea degli occhi sottolineata dalla matita scura e i capelli con una piega perfetta. Matt rimase un attimo di troppo a fissarlo, stordito.
«Non mi dire che ti eri già dimenticato.»
Matt si riscosse.
«No, no, figurati. Sono rientrato in fretta appositamente! Prego, accomodatevi!» disse, facendosi da parte.
«Ok.» fece Brian entrando e tenendo per mano il figlio. «Allora, è allergico ai peperoni, quindi non li mettere sulla pizza. Ho acconsentito alle patatine, ma dividetevi una porzione, perché altrimenti mangia solo quelle e poi sta male. Qui c'è il mio numero» fece allungandogli un bigliettino «per qualsiasi emergenza, che spero non abbiate. È abituato ad andare a letto alle 22.00, quindi potrebbe crollare prima del mio rientro. In questa borsa c'è il suo pigiama, se glielo metti dopo cena, per favore, mi eviti di doverlo svegliare quando arrivo a riprenderlo.»
Matt ascoltò tutto e annuì.
«Perfetto. Allergia ai peperoni, metà porzione di patatine, pigiama dopo cena. Ricevuto capo.» ripeté sorridendo e facendo un occhiolino a Cody.
«Ok. Dovrei tornare massimo entro le due, è un problema?»
«No, tranquillo. Vieni quando vuoi.»
Brian si abbassò a dare un bacio al piccolo.
«Ci vediamo più tardi, cucciolo. Mi raccomando, fai il bravo.» quello annuì e il padre gli scompigliò i capelli, mentre si rialzava. Matt sentì una fitta di nostalgia.
Brian si avviò verso la porta, poi si girò un attimo, indeciso, e aggiunse quasi impacciato: «Matt… grazie.»
«Figurati! Divertiti!» gli rispose.
Richiusasi la porta, Matt girò lo sguardo verso Cody e si accorse che il bambino lo fissava con gli occhi sgranati, come aspettandosi qualcosa.
Per un attimo ebbe un brivido gelido lungo la schiena, dannati sguardi dei Molko, sanno sempre metterti a disagio, ma poi tirò fuori il suo sorriso più smagliante e chiese: «Allora, Cody… cosa ci facciamo mettere sulla mega pizza?»

 
***

Brian sospira e si passa una mano tra i capelli.
«Cody, che vuoi che ne sappia io di dove ha messo il suo cane? L'avrà lasciato a sua madre o, pazzo com'è, se lo sarà portato in tour!»
Gli occhi del bambino si illuminano.
«Possiamo portare anche noi un cane in tour? Ti prego, ti prego, ti prego!» esclama, tirando fuori uno sguardo implorante.
Il padre sospira, esasperato.
«Cody, ti risulta che io sia pazzo? C'è già abbastanza da fare in tour, senza aggiungere un cane a cui badare.»
«Ma lo terrei io!»
«No, Cody. Quando dico di no è no.»
«Uffa…» brontola il piccolo.»
Helena si intromette: «Cody, ne abbiamo già parlato. Quando sarai più grande e potrai davvero gestirlo, se lo vorrai ancora, prenderemo un cane. Nel frattempo, magari potresti incontrare Matt e Angus in giro per l'Europa, quest'estate!»
Brian la fulmina con lo sguardo, mentre il broncio sparisce dal viso di Cody, sostituito da un'espressione speranzosa.
 
***
 
«Hai fatto il baby sitter la sera di San Valentino?»
«Sì. Ti dirò che mi sono anche divertito.»
«Non è questo il punto.» fa Dom, stizzito. «Mi avevi detto di avere un appuntamento, quella sera.»
«E infatti ce l'avevo. Con un bambino di nove anni.» risponde Matt serafico. Dom immagina un'aureola spuntare sulla testa dell'amico e cancella subito la visione, scrollando la testa.
«Bells, sei un coglione.»
«Dom, continui a farmi perdere il filo del racconto. Comunque, nel caso ti interessasse, Cody è un bambino simpaticissimo e quella sera ha mangiato tutto con gusto. Ha giocato fino allo sfinimento con Angus e poi si sono addormentati vicini sul mio divano.»
«Va bene, ma tutto questo che c'entra col racconto principale?»
Matt decide di averne abbastanza.
«Se evitassi di interrompermi ogni due secondi, lo capiresti, Dom!»
Dom finge di tirare una cerniera immaginaria a chiudergli le labbra, poi si appoggia allo schienale del divano, incrocia le braccia e lo fissa in attesa.

 
***

Mentre Cody ed Angus dormivano insieme, accoccolati sul divano, Matt si mise a ripulire la cucina dalle macerie della cena: patatine sparse ovunque, cartoni della pizza, bicchieri e posate e, naturalmente, i croccantini di Angus tutti sparsi per terra. Cody si era messo in testa di voler creare un percorso di croccantini per far fare al cane lo slalom tra le gambe del tavolo, ma quello si era arreso al quarto boccone e se n'era andato a sgranocchiare il suo osso. Ovviamente, Cody non aveva tollerato di essere snobbato così dal cucciolo, per cui aveva abbandonato il suo progetto ed aveva rubato l'osso ad Angus, cominciando a correre in giro per casa, inseguito dal cane. Matt sospirò di nostalgia ripensando al prototipo di robot che aveva comprato anni prima in Giappone e che era stato l'unica vera vittima della serata.
Quando la cucina ebbe un aspetto più decente, si decise a dare un'occhiata più attenta al cadavere di Charlie, il piccolo robot. Seduto al tavolo della cucina fissava alternativamente il cacciavite e Charlie, cercando di capire come farli interagire senza combinare ulteriori danni, ma anche al suo occhio inesperto pareva chiaro che ormai le sue condizioni erano troppo gravi per poterlo riportare in vita con un intervento. Proprio quando si preparava a dire definitivamente addio ad uno dei suoi souvenir preferiti, sentì bussare piano alla porta.
Si alzò in silenzio e andò ad osservare dallo spioncino: era Brian. Guardò un attimo l'orologio a muro prima di aprire la porta e vide che era passata da poco mezzanotte.
«Brian, ciao! Non ti aspettavo così presto. Entra pure.» bisbigliò.
«Sì, ho fatto prima del previsto.» rispose a voce bassa «Com'è andata la serata?»
Matt pensò che quel tono di voce avrebbe dovuto essere dichiarato illegale, ma cercò di riscuotersi, reprimendo il brivido che gli aveva scatenato e gli indicò in silenzio la cucina.
«È andata bene. Cody ed Angus sono crollati insieme circa un'oretta fa.» rispose ridacchiando e indicandogli, attraverso una fessura della porta, cane e bambino sul divano, nella penombra del soggiorno.
Brian accennò a un sorriso intenerito e poi si trasse indietro. Gli cadde lo sguardo sul cadavere di Charlie, che giaceva ancora sul tavolo.
«E quello?»
Matt sospirò e rispose con aria tragica: «Beh, diciamo che se chiedessi a lui com'è andata la serata, non ti darebbe la mia stessa risposta.»

 
*
 
«Matt, ti spiacerebbe andare al dunque? Tutti i dettagli sulla morte di Charlie sono poco rilevanti!»
«Scusa, hai ragione… mi ero fatto prendere dalla narrazione…»
«Ok, insomma, è venuto a prendere il figlio, e poi?»
«Gli ho offerto qualcosa da bere prima di andare via.»
«Mh.»
«Non mi guardare così. Ok, volevo passare un po' di tempo con lui, che c'è di male?»
«Matt, stavi praticamente tentando di sedurlo!»
«Dom, se mi facessi continuare col racconto non salteresti a queste conclusioni affrettate e totalmente erronee.»
Dominic lo guarda con aria scettica e Matt riprende: «Ok, ok. Forse non totalmente erronee, ma non è che volessi proprio sedurlo. Posso continuare a raccontare o devi fare altri commenti insinuanti?»

 
*

Seduto al tavolo della cucina di Matt, Brian Molko osservava con aria critica i resti di un mini robot, mentre il padrone di casa gli dava le spalle, affaccendato.
«Quindi l'avevi comprato in Giappone?»
«Sì, la prima volta che ci sono andato in tour. Era più il valore affettivo di quello commerciale, senza dubbio, ma pazienza.» rispose, mentre si girava per mostrargli una bottiglia di vino e guardarlo con aria interrogativa. Brian scosse la testa.
«Niente alcolici per me, grazie»
Matt annuì e sostituì la bottiglia con due lattine di Coca Cola.
«Mi dispiace per il robot.»
«Non preoccuparti, sono cose che capitano.» Matt si sedette di fronte a lui e cominciò a sorseggiare la sua bevanda.
Brian lo guardò, in preda a un improvviso attacco di ironia.
«Insomma, il grande Matt Bellamy, frontman dei Muse, rockstar internazionale, non ha niente di meglio la sera di San Valentino che fare il baby sitter a un bambino?»
Il "grande" Matt Bellamy si appoggiò allo schienale e accavallò le gambe, fissandolo.
«Beh, e allora che dovrei dire del grande Brian Molko, frontman dei Placebo, rockstar internazionale, che esce e torna a casa poco dopo mezzanotte?»
Brian scoppiò a ridere e diede un sorso alla Coca Cola.
«Touché. Il mio appuntamento è stato effettivamente un disastro. Ho colto la prima occasione per tornare a casa. In questi casi, avere un figlio è un'ottima rete di salvataggio.» concluse ammiccando.
Matt rise con lui.
«Terrò la scusa a mente. Ma era la prima volta che ci uscivi?»
«Sì. Errore mio: quando l'ho invitata non ho pensato che oggi fosse proprio San Valentino. Lei, a quanto pare, si era fatta qualche strana idea.»
Matt si accigliò: «Del tipo?»
Brian distolse lo sguardo.
«Del tipo che appuntamento significasse intenzioni "serie" da parte mia.»
«Ma se non avevi intenzioni serie, perché l'hai invitata a cena?»
«Matt… ma tu ti trasformi da baby sitter a psicologo nel giro di un minuto?»
Scoppiarono a ridere insieme. Effettivamente, Matt pensò di essersi spinto un po' oltre: in fondo non erano poi così in confidenza.
Non ancora.
«Potrei stupirti con tutte le mie qualità, Molko.» rispose ammiccando.
Brian sgranò gli occhi e diede un sorso alla sua Coca Cola.
«Se non ti conoscessi, direi che ci stai provando.»
«Infatti non mi conosci.» fu la risposta. L'aveva detto semplicemente, buttato lì con sincerità, ma con un piccolo sottointeso che Brian poteva scegliere di accogliere o ignorare. Scelse una via di mezzo.
«Vero.» disse sorridendo lievemente.

 
*
 
Dom scoppia a ridere fragorosamente.
«E tu continui a sostenere che non stessi tentando di sedurlo?»
Matt lo guarda stizzito.                           
«Mah, più che altro il mio intento era tastare la sua reazione.»
«E come ha reagito?»
«Ovviamente, meglio di quanto mi aspettassi, altrimenti non saremmo qui oggi.»
«Giusto, perché se avesse reagito male non saresti ancora qui per raccontarlo… quello, quando si incazza, può essere davvero spaventoso.»
Matt si sfila un cuscino da dietro il sedere e lo lancia sulla testa del suo migliore amico.
«Dom, se hai finito di dire cretinate…»
«E dai, l'hai detto anche tu che fa paura!»
«Non l'ho mai detto.»
«Come no? L'hai detto a lui la prima volta che vi siete incontrati in ascensore.»
«Ah, ma allora stai prestando attenzione alla storia?»
«…»
«Quindi vuoi che continui?»
«…»
«Ok…»

 
*

Sedettero per un po' in silenzio a sorseggiare le rispettive bevande. La conversazione si era arenata troppo in fretta e Brian sembrava una di quelle persone che non si trovavano a loro agio in silenzio, perché continuava a muoversi nervosamente sulla sedia, volgendo lo sguardo qua e là per la cucina: le tende, il tavolo, le sedie, il piano cottura, tutto tranne che lui. Sembrava assurdo come una persona che si dimostrava sempre pronta a divorare il mondo potesse essere messa in imbarazzo da un po' di silenzio. Questo avvalorava ancora di più le sue teorie sulla personalità dell'altro.
A un certo punto, Brian sembrò non farcela più.
«Matt?» finalmente lo guardò.
«Mmh?»
«Che hai da fissare?»
«Sei interessante.»
«E tu sei inquietante. Smettila. Hai l'aria di uno che sta per sbattermi sul tavolo e vivisezionarmi per studiarmi.»
Un lampo d'ilarità attraversò gli occhi blu del cantante dei Muse.
«Beh, potrebbe non essere niente male come idea, in effetti.» rispose ridacchiando.
«Oddio, ma davvero ho lasciato mio figlio con te per una serata intera? Dovevo essere davvero disperato…»
La risata di Matt divenne più acuta e si rilassò contro lo schienale.
«Ok…» riprese Brian con fare circospetto, alzandosi in piedi «si è fatto tardi. Grazie per aver fatto compagnia a Cody e…»
«No, dai!» lo interruppe «Scusa. Dom dice sempre che solo la gente strana può trovarsi a suo agio in mia compagnia… certo, questo non credo che volga molto a suo vantaggio.» si perse un attimo nelle sue considerazioni. «Comunque, resta ancora un po', prometto di non sbatterti sul tavolo. Almeno non per vivisezionarti.» concluse con un sorriso a trentadue denti.
Brian gli lanciò un'occhiata scettica.
«E questo perché dovrebbe farmi sentire meglio?»
Matt scoppiò a ridere.
«Va bene, va bene, la smetto.» disse, alzando le braccia. «Guarda, chiudo gli occhi. Magari ti rilassi.»
E lo fece davvero. Chiuse gli occhi, la testa leggermente protesa in avanti verso Brian, attendendo la sua prossima mossa.
Il cantante dei Placebo scosse la testa e tornò a sedersi con aria perplessa.
«Tu sei davvero tutto strano.»
Matt tornò ad aprire gli occhi.
«Sai di non essere il primo a dirmelo, vero?»
«Posso immaginarlo, sì.»
Matt sorrise e poi sospirò.
«Probabilmente è questo il motivo per cui il grande Matt Bellamy si è ritrovato a fare il baby sitter a San Valentino.»
«Terrorizzi le donne?»
«Ehi, non sono mica Jack lo Squartatore!»
«No, solo Matt il Vivisezionatore.»
«Ah-ah» mimò quello.
Brian lo guardò con un'espressione ilare e Matt si trovò a pensare che quel sorriso era proprio bello. Gli sembrò assurdo non averlo mai notato, finché non si rese conto che Brian, probabilmente, non gli aveva mai veramente sorriso fino a quel momento.
«Matt…»
«Mmh?»
«Lo stai facendo di nuovo.»
«Scusa.»

 
*

«Quindi se n'è andato o no?»
«No, è rimasto lì con me a chiacchierare un'altra ora.»
«E di che avete parlato?»
«Mah, niente. Cazzate, fondamentalmente. Man mano che andavamo avanti, ci rilassavamo sempre di più e entravamo più in sintonia.»
«Questo vuol dire che a un certo punto hai smesso di fissarlo come un maniaco?»
«Mmh… non proprio. Diciamo che sono diventato più bravo a non farglielo notare.» Matt ridacchiò.
«Insomma, poi a un certo punto ci hai provato?»
«Cosa? Dom, ma sei scemo?»
«Beh, insomma… voi due… San Valentino… i drink… le tue battutine fuori luogo… non vorrai farmi credere che non volessi provarci!»
«I drink analcolici… Dom, tu non capisci proprio niente.»
«Ti capisco molto più di quanto vorrei, credimi.»
«Per tua informazione, non ci ho provato. A un orario imprecisato fra l'una e le due, Brian mi ha detto che si era fatto davvero troppo tardi, mi ha ringraziato, ha preso in braccio Cody ed è tornato a casa sua.»
«Così? Neanche un bacio?»
«Ma la vuoi finire e lasciarmi raccontare?»
«Scusa.»
«Non so che farmene delle tue scuse. Non riesci a tenere la bocca chiusa neanche ai funerali.»







Piccola nota finale: ovviamente Charlie è un omaggio a Charles, il robot del tour di The 2nd Law (che era in giro mentre scrivevo questa parte della storia, nel neolitico quindi... XD). Altra nota (per il capitolo successivo), sempre dovuta al fatto che ho scritto nel neolitico più o meno la prima metà della storia, è il fatto che Steve Forrest faccia ancora parte dei Placebo (all'epoca non c'era alcun segno della sua futura dipartita!). Alla prossima!
  
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