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Autore: bluesandsmiles    08/04/2017    0 recensioni
Kaelin e Naya sono amiche da anni e non potrebbero essere più diverse; sono accomunate solo dall'amore per ogni forma d'arte e per l'ambizione a realizzare i propri sogni. Kaelin parte per New York per diventare una scrittrice, Naya rimane vicina a casa ma studia per entrare nell'ambasciata. Per quanto distanti, rimangono però sempre vicine.
Ma la direzione di quei sogni, per quanto mai lineare e semplice, inizia a svincolare dal controllo di entrambe quando altro si mette di mezzo: la famiglia, la difficoltà della salita alle stelle, la salute.
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Un brivido la scosse dai suoi pensieri mentre fumava l'ennesima sigaretta. Era la prima volta che avvertiva il freddo sulla pelle dopo tanto tempo. La cosa la stranì e sembrò deragliare per un attimo il filo dei suoi pensieri, che in realtà era fin troppo ingarbugliato. Brutto segno.

Sapeva che avrebbe dovuto smettere di accendere una sigaretta dopo l'altra,sapeva che si sarebbe dovuta decidere ad entrare in aeroporto o avrebbe trovato una calca indesiderabile al gate. Era stanca, non vedeva l'ora di potersi sedere e dormire. Sperò di riuscire a riposarsi durante il volo, anche se il jet leg l'avrebbe distrutta come al solito. Il solo pensiero di potersi infilare di nuovo nel suo letto avrebbe dovuto bastare a farla incamminare. Aveva fatto i salti mortali per partire e adesso non era più sicura.

Mentre con la punta della scarpa spegneva la sigaretta ormai arrivata al filtro - e quelle scarpe doveva decidersi a buttarle, erano distrutte - , sentiva le gambe di piombo, più pesanti ad ogni passo.

Odiava il JFK Airport. Odiava la confusione generale, le file interminabili,il brusio continuo di lingue a lei sconosciute. La faceva sentire piccola ed impotente e odiava quella sensazione.

Eppure nessuna di quelle cose aveva mai intaccato il suo stato d'animo.Perché fino ad allora era sempre troppo esaltata all'idea di potersi concedere una piccola fuga da New York. Per tornare.

Cos'era cambiato, allora?

E mentre si buttava a sedere all'entrata del gate, spostando la valigia da una parte e gettando la borsa a terra, per una volta cercò di incoraggiarsi – di solito non ne aveva bisogno.

Andrà tutto bene.

 

 

 

Non sapeva se stava ancora dormendo o se era effettivamente sveglia.Anche solo il pensiero di aprire gli occhi la fece sentire ancora più stanca. Udiva rumori e voci indistinte e le sue palpebre sembravano uno schermo che proiettava chiazze e colori mischiati e sfocati. Dopo qualche istante – o forse erano passate ore? - l'unico suono che udiva in modo più chiaro era un bip costante e fastidioso. Le voci erano sempre più lontane; chiunque fosse stato nella stanza se n'era andato.

Non appena tentò di prendere un respiro più profondo, la fitta che percepì al petto le fece spalancare gli occhi e rantolare. Fu obbligata a ridurre gli occhi a due fessure per via della lampada al neon sul soffitto e tutto quel cazzo di bianco.

Okay,aveva imprecato mentalmente. Più o meno. Era sveglia probabilmente.Fosse stata in un film, avrebbe trovato qualcuno addormentato al suo capezzale, oppure un'infermiera sarebbe entrata con un tempismo surreale. No, non era così. Sentiva sempre delle voci dai corridoi e dalle stanze vicine, ma nient'altro.

Si prese qualche istante per mettere a fuoco i pensieri. Quanto aveva dormito? Che ore erano? Intanto afferrò con mano incerta il piccolo telecomando sul suo letto – troppo bianco– che avrebbe avvertito l'ospedale che ,la sua buona stella non voleva ancora abbandonarla.

In quel momento, si rese conto che le voci dal corridoio erano aumentate.

" ... tutto regolare. Stava ancora dormen..."

Non conosceva quella voce, ma era vicina alla porta della sua stanza. Non sapeva neanche se stesse parlando di lei.

Mane ebbe la conferma quando un volto familiare fece capolino.

"Ehi, ma sei sveglia!" Sua sorella Thalia la guardò con un sorriso sornione, prima di voltarsi verso l'esterno della stanza. "È sveglia!" e di nuovo verso di lei. "E che cazzo Nayù, okay che sei asociale, ma potevi avvertire eh."

Naya sollevò appena la mano che reggeva il telecomando. Le scappò un sorriso, nascosto dalla mascherina per l'ossigeno. Se avesse avuto la forza, probabilmente gliel'avrebbe tirato dietro.

Aveva davvero una buona stella, in fondo.

 

 

Erano le sette ore di volo più lunghe fino ad allora. Aveva tentato di dormire ma, malgrado fosse stanca morta, il suo cervello si era rifiutato di staccarsi, anche se solo per poco. Avendo prenotato un volo notturno, si era innervosita ancora di più vedendo la maggior parte degli altri viaggiatori addormentarsi, uno dopo l'altro. Oltre a lei, qualche manciata di persone era rimasta sveglia. Tra di loro, quello che le sembrò un uomo d'affari, seduto un paio di file davanti alla sua, con il laptop acceso. Sentiva il ticchettio di tasti pigiati, nonostante il ronzio costante dei motori dell'aereo. Si maledì per un istante; non aveva pensato di lasciare il suo computer nella borsa. Avrebbe potuto approfittare dell'insonnia per scrivere.

Scrivere di sicuro l'avrebbe confortata in qualche modo.

Si maledì anche di aver scelto il sedile di fianco all'oblò. Di solito amava osservare come le città diventassero puntini, perdersi con lo sguardo sulle nuvole, delineare con gli occhi la lieve curva dell'orizzonte. Guardarsi intorno era la sua linfa vitale, tutto ciò che spesso la spingeva a prendere qualsiasi cosa, anche un pezzo di carta rovinato, e buttare giù i suoi pensieri.

Ma non in quel momento. In quel momento voleva solo zittire qualsiasi voce del suo cervello e del suo subconscio. Odiava essere senza ispirazione. Voleva scrivere per dare una forma ai suoi pensieri, ma sapeva che non ci sarebbe riuscita. Quanto le serviva una sigaretta in quel momento.

Sbuffò e appoggiò la testa contro il sedile. Poi però le sfuggì un sorriso.

Se la sua vita avesse avuto un narratore, probabilmente avrebbe detto qualcosa del tipo...

Kaelin Reed-Cooper aveva sempre avuto un carattere complicato. E la mancanza di riposo non stava aiutando.

No, quello non l'avrebbe detto il suo personalissimo sceneggiatore di vita, quelle sarebbero state le parole di suo padre. Non aveva mai sentito così tanto il bisogno di sentirsi scompigliare i capelli da lui. Quelle sette ore – anzi, ormai ne mancavano quattro – sembrarono accorciarsi improvvisamente.

In quel momento non fu più la sua voce, ma quella di suo padre, a dirle mentalmente che sarebbe andato tutto bene. Che stava tornando a Southend-on-sea solo per una settimana di relax, lontana dal caos di New York, di nuovo nella sua casa piena di libri. Stava solo tornando al suo Mar del Nord, per una passeggiata che le avrebbe lasciato addosso il freddo a cui era abituata e che non l'aveva mai scalfita.

Stava solo tornando alle strade che l'avevano vista crescere, alle persone che senza volerlo erano state la sua prima, impercettibile spinta verso i suoi sogni.

E un ricordo la investì. O meglio, era sempre stato lì, ad impedirle di dormire.

 

 

Era in America da più di un anno, ma non riusciva ancora a conciliarsi con il fuso orario. Quelle cinque ore di differenza tra New York e Greenwich si facevano ancora sentire quando si ritrovava piena di energie durante la notte o improvvisamente stanca nel primo pomeriggio. Da quando era in America, la sua dipendenza dal caffè e dal tè era peggiorata all'inverosimile. Almeno viveva in un posto dove non poteva girarsi senza vedere un cafè di qualsiasi tipo.

Il messaggio era arrivato proprio una di quelle notti insonni, poco più di venti quattro ore prima; nonostante avesse seguito i corsi all'università la mattina e avesse lavorato il pomeriggio, non riusciva a chiudere occhio. Aveva pigramente acceso il computer, nella speranza di riuscire a buttare giù due righe e prendere sonno nel frattempo.Alla fine, però, era uscita dalla finestra e si era messa a fumare sulle scalette antincendio. Era notte fonda. Guardò il cellulare,prima di abbandonarlo sul davanzale. Era passata da poco l'una. New York non dormiva mai, eppure quella sera era più quieta del solito.Era contenta di non abitare esattamente in centro. Forse non si sarebbe mai abituata a quella città caotica, ma durante la notte le sembrava meno ingestibile.

In quel momento aveva anche ringraziato il cielo di essere riuscita a guadagnarsi la borsa di studio che le permetteva di alloggiare in un appartamento per studenti. Certo, era strapieno di allarmi antincedio esattamente come i dormitori, ma non rischiava di incappare nella sicurezza del campus che l'avrebbe additata come criminale solo per una sigaretta.

Lo schermo del suo cellulare aveva preso a lampeggiare. Strabuzzò gli occhi, prima di slanciarsi in avanti per afferrarlo.

Quando lesse quella serie di messaggi, sperò vivamente di essersi addormentata al tavolino mentre scriveva. Non riuscì a reagire e rimase a fissare lo schermo. Il suo primo istinto fu di comporre il numero e chiamare, anche se non sapeva per quale motivo.

Ma era bastata quella misera manciata di secondi senza reazione per far sì che il numero fosse non raggiungibile. Imprecò a bassa voce, stringendo il telefono nella mano destra e passandosi l'altra nei capelli già disordinati, quasi a tirarli.

Non era la prima volta che succedeva, ma non si sarebbe mai abituata a quella sensazione di sconforto e di inutilità che le creava una voragine nel petto.

Naya stava di nuovo male. Era stata ricoverata un paio d'ore prima e avevano deciso di operarla d'urgenza. I messaggi di Vincent erano stati frammentari, ma le aveva scritto di non preoccuparsi, che l'avrebbe tenuta aggiornata.

Quelle ultime parole non le aveva praticamente lette. Era bastato un secondo per farle comporre un altro numero.

Si era resa conto di essersi infilata nuovamente in camera sua quando sentì l'allarme antincendio scattare per via della sigaretta ancora accesa tra le sue dita e la voce assonnata di suo padre che la chiamava dall'altra parte della linea.

"Kae, cosa sta succedendo?"

"Cazzo. Torno a casa. Scusa, cazzo, è l'alba lì. Sono un'idiota. Ti spiego tutto più tardi."

 

 

   
 
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