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Autore: Emmastory    08/04/2017    1 recensioni
Anche se il tempo continua a scorrere, le cose nell'un tempo bella e umile Aveiron sembrano non cambiare. La minaccia dei Ladri è ancora presente, e una tragedia ha ora scosso l'animo dei nostri amici. Come in molti hanno ormai capito, quest'assurda lotta non risparmia nessuno, e a seguito di un nobile sacrificio, la piccola ma coraggiosa Terra sembra caduta in battaglia, e avendo combattuto una miriade di metaforiche e reali battaglie, i nostri eroi sono ora decisi. Sanno bene che quest'assurda e sanguinosa guerra non ha ancora avuto fine, ma insieme, sono convinti che un giorno riusciranno a mettere la parola fine a questo scempio, fatto di sangue, dolore, fame, miseria e violenza. Così, fra lucenti scudi, affilate spade e indissolubili legami, una nuova avventura per la giovane Rain e il suo gruppo ha inizio. Nessuno oltre al tempo stesso sa cosa accadrà, ma come si suol dire, la speranza è sempre l'ultima a morire.
(Seguito di: Le cronache di Aveiron: Miriadi di battaglie)
Genere: Avventura, Azione, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Le cronache di Aveiron'
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Capitolo XXXV

Speranze ancora vive

Passavano i giorni, e di Isaac nessuna notizia. “È stabile, ma possiamo solo pregare.” Non facevano che ripeterci i dottori, in tono mesto e quasi rassegnato. Com’era ovvio, questo non faceva che scatenare il pianto di Samira, facendola sentire costantemente in colpa per quello che era successo. Soltanto la notte prima ero riuscita a farla ragionare, ma ora ecco che ricominciava. Era mamma da poco, e la capivo, poiché stando ai miei ancora nitidi ricordi, avevo passato anch’io dei momenti orribili mentre ero incinta sia di Rose che di Terra. Due doni bellissimi, per i quali credo che non smetterò mai di ringraziare il cielo. Mentre il tempo scorre, Soren e Samira fanno lo stesso, e seguendo il consiglio dei medici, non fanno che pregare. Dal canto nostro, Stefan ed io proviamo ad offrir loro tutto il sostegno di cui possano aver bisogno, e loro ne sono felici, ma per pura sfortuna, le cose on cambiano. Il loro piccolo è sempre lì, in una piccola incubatrice che per ora gli fa da caldo nido, e in quella che il dottor Patrick definisce terapia intensiva. “Secondo me ce la farà.” Ha detto Terra stamattina, guardando Samira negli occhi e sorridendole apertamente. “Lo spero davvero, piccina.” Le ha risposto, carezzandole dolcemente la testolina castana. Rimanendo immobile, la bambina non ha poi più reagito, e poco dopo, qualcuno ha bussato alla porta per lei. Andando subito ad aprirla, ho scoperto che era Lady Bianca, passata da noi per prenderla e accompagnarla  a scuola. Per quanto ne sapevo, lei era l’unica insegnante, e benché tentasse di nasconderlo al meglio tramite falsi sorrisi e sguardi ordinari, ero ormai diventata troppo brava nel riconoscere tutti i tipi di bugie, perciò sapevo che qualcosa la turbava. Fingendo indifferenza, non dissi nulla, e fidandomi, le lasciai fare il suo lavoro. Poco prima che entrambe potessero andarsene, però, un suono ruppe il silenzio creatosi nel salotto di casa. Era Chance, che uggiolando tristemente, pregava la sua amata padroncina di restare con lui. “Tornerò presto, te lo prometto.” Gli disse lei, avvicinandosi e abbassandosi per fargli una carezza. Quasi tentando di convincerla, il cagnolino le leccò le mani, e lasciandosi sfuggire una risata, Terra seguì Lady Bianca nel viaggio fino a scuola. Quella era una delle tante scene che ero ormai abituata a vedere, e nonostante lo scorrere del tempo, Chance non si era ancora abituato a tutto ciò. Quando la sua padroncina non c’era, lo incoraggiavo a distrarsi con il resto dei suoi giocattoli, ma nulla sembrava funzionare. Lui voleva mia figlia. Come ben sapevo, il loro era un legame davvero forte, una metaforica catena li legava, ed ero certa che niente e nessuno sarebbe mai riuscito a spezzarla. Ad ogni modo, il tempo continuò a scorrere, e salutando la mia piccola, notai qualcosa. Per qualche strana ragione, camminava lentamente, e la gamba destra sembrava dolerle. Non avevo idea di come fosse potuto accadere, e pur pensandoci, non riuscivo a capirlo. Sfruttando i fuggevoli momenti di calma che la vita era solita offrirmi, ne approfittai per riscoprire i piaceri della lettura, e afferrando un buon libro da uno degli scaffali nel salotto, iniziai il mio viaggio alla scoperta di un mondo fatto di parole. Incuriosita dalla storia, ne lessi tre interi capitoli, e non appena decisi di lasciar andare quel libro, Chance si avvicinò a me, piantandomi le zampe addosso. Infastidita, provai ad alzarmi, ma lui non demorse, arrivando perfino a seguirmi con insistenza per tutta la casa, finchè, stremata dalla sua cocciutaggine, non gli diedi retta. “Si può sapere cosa vuoi?” chiesi, esasperata. “Forse vuole dirti qualcosa.” Azzardò Stefan, che intanto mi aveva raggiunta. D’accordo, ma cosa?” replicai, sentendo ogni grammo di pazienza svanire dal mio corpo. A quella domanda, Stefan non rispose, limitandosi, confuso, a stringersi nelle spalle. Per tutta risposta, il cane sparì dalla nostra vista, per poi tornare indietro soltanto un attimo dopo, tirando con gran fatica il mio zaino. “Ma che cosa…” biascicai, incerta e dubbiosa. Per pura fortuna, quella mia domanda trovò quasi subito una degna risposta, che si palesò proprio davanti ai miei occhi. Ringhiando sommessamente, Chance prese una delle cinghie del mio zaino fra i denti, e scuotendolo, ne rovesciò in terra l’intero contenuto. La mappa di Ascantha, la bussola regalatami da Basil, il mio diario e alcuni disegni di nostra figlia Terra, ma anche la mia daga e l’arma misteriosa. Ancora confusa, guardai il cane per un attimo, e sollevando quella strana daga con la bocca, provò a mostrarmela. In quel momento, tutto divenne più chiaro, e mille ricordi si fecero strada nella mia mente, travolgendola come un impetuoso fiume in piena. Rimembrai quindi di aver trovato quell’ormai famosa arma nel bosco solo grazie al suo aiuto, e dando una nuova occhiata, alla strana incisione che la lama vantava, collegai in fretta i pezzi di quel metaforico puzzle. Ladri. Questa l’unica parola che mi venne in mente, e che ebbe l’incredibile potere di sconvolgermi e farmi nuovamente cadere nel baratro della paura. Con il cuore in gola, tentai di mantenere la calma, e ringraziando Chance, rimediai al suo disastro. Anche se a modo suo, quel piccolo cane aveva tentato di riportarmi alla realtà, e ora che l’avevo capito, non potevo che dargli ragione. In fondo ne aveva, e da vendere. Certo, sfruttare la tranquillità offertami dalla vita era positivo, ma che senso aveva starmene lì ferma a leggere quando Loro potevano essere lì fuori a piede libero? Nessuno, ecco quale. Così, allo scoccare dell’una di pomeriggio, mi precipitai fuori casa per raggiungere mia figlia, con il piccolo ma coraggioso Chance al seguito. Come sempre non aveva il suo guinzaglio, ma dato il rigido addestramento che aveva ricevuto da Stefan e Terra, ero convinta che non ne avesse più bisogno. Non lo portava più da ormai lungo tempo, ma non contava. L’unica cosa importante, dati i ricordi che erano tornati ad assalirmi, era arrivare a Terra. Raggiunsi la scuola in poco tempo, e una volta arrivata, fui felice di scoprire che stava bene. Il suo amico Trace era con lei, ed insieme, camminavano l’uno al fianco dell’altra. “È arrivata la mia mamma.” Disse lei, notandomi e regalandomi un sorriso. “Devi proprio andare?” le chiese lui, evidentemente triste all’idea di vederla allontanarsi. Non sapendo cosa rispondere, la bambina ci pensò un attimo, e sentendosi colpire da una sorta di lampo di genio, diede voce a una sua idea. “Non per forza, adesso vieni.” Gli rispose, prendendogli una mano e incoraggiandolo a seguirla. Felice ed eccitato, il suo amico non se lo fece ripetere, e correndo, la seguì finchè entrambi non arrivarono da me. “Mamma, Trace ed io possiamo giocare insieme oggi?” fu la sua domanda, innocente e colma della solita tenerezza che ero solita scorgere nelle sue parole. “Certo!” risposi, sorridendo ad entrambi, e prendendo per mano la mia bambina nel cammino fino a casa. Fra un passo e l’altro, Trace e Terra parlarono e risero insieme, scoprendo molte cose l’uno dell’altra. Io non feci che parlare con la madre del bambino, trovando in lei una nuova amica. Guardando i nostri figli ridere e parlare, ridevamo a nostra volta. Parlandole, scoprii che si chiamava Tanya, e che non aveva altri figli oltre al piccolo Trace. Una volta arrivati a casa, la salutai, e dopo aver chiesto alla mamma il permesso di restare con noi per il pomeriggio, il bambino l’ottenne senza problemi. Di lì a poco, arrivò l’ora di pranzo, e dopo i compiti, quei due piccoli terremoti decisero di voler davvero giocare insieme. “Torniamo nel bosco?” mi chiese Terra, attendendo in silenzio una mia risposta. Ancora seduta in sala da pranzo, guardai suo padre andando alla ricerca di una sua opinione, e limitandosi ad annuire, si trovò d’accordo. Detto fatto. Fu questione di pochi minuti, e tutti insieme, ci ritrovammo di nuovo in giro per i sentieri di Ascantha, diretti verso il bosco che mi aveva regalato sorrisi, risate e bellissimi ricordi. Una volta arrivata, stesi fra l’erba una morbida coperta, sedendomi con Stefan all’ombra di un grande e forte albero. Letteralmente incapaci di star fermi, i bambini presero a rincorrersi e giocare insieme, fingendo anche di essere impavidi guerrieri. Guardandoli, non potei evitare di sorridere, e facendolo, posai gli occhi su Stefan. “Sono davvero amici, non trovi?” gli chiesi, scivolando poi nel silenzio in attesa di un suo parere a riguardo. “Forse anche qualcos’altro, sai?” fu la sua risposta, che per qualche strana ragione mi fece ridere come mai avevo fatto prima. “Smettila, sono solo bambini!” risposi, ridacchiando e assestandogli un inoffensivo pugno sul braccio. “E allora? Eravamo poco più che ragazzi quando…” continuò, non riuscendo tuttavia a terminare quella frase a causa di una mia seconda e identica reazione. “Stefan!” lo ripresi, ridendo come una matta soltanto per colpa sua. “Va bene, va bene, scusa.” Fu la sua unica risposta, data con un sorriso luminoso e mal celato. Aprendo poi lo zaino, ne tirai fuori le provviste che avevo portato, e chiamandoli, invitai i bambini a far merenda. Tornarono da noi stanchi e affamati, trovandosi però liberi di scegliere fra dei salati ma deliziosi cracker e della dolce e buonissima cioccolata. Golosi e incorreggibili, optarono entrambi per la seconda scelta, e spezzandone un’intera tavoletta con le mani, Terra ne offrì un pezzo all’amico. Sorridendo leggermente, il bambino accettò volentieri, e dopo il veloce spuntino, entrambi tornarono a giocare. Stavolta fu Trace a scegliere, optando per la classica corsa fra l’erba. Ridendo, Terra faticava a stargli dietro, ma stoica, resisteva. Infantile almeno tanto quanto loro, Chance li seguiva divertito e attento, con gli occhi sempre puntati sulla padroncina. Quando questa cadde inciampando in una roccia, lui fu il primo ad avvicinarsi, e abbaiando, attirò la nostra attenzione. Precipitandoci entrambi da lei, scoprimmo che non riusciva ad alzarsi, e che una ferita alla gamba sanguinava. Non copiosamente chiaro, ma sanguinava. “Terra!” gridò Trace, accortosi dello stato in cui versava la piccola amica. “Mi dispiace, perdonami, non giocheremo più ad acchiapparci.” Continuò poi, tentando di giustificarsi e incolpandosi per quanto le fosse appena accaduto. “No, tranquillo, non c’è bisogno che smettiamo. Sto bene, vedi?” gli rispose, provando ad alzarsi e riuscendoci con gran fatica. Non appena la vide in piedi, Chance corse a leccarle la ferita, e malgrado questa bruciasse, Terra non disse una parola. Con il calar della sera, tornammo a casa, e camminando, mi concentrai sui bei momenti che avevano caratterizzato quella giornata. Fra le tante cose, mi ritornò in mente l’immagine dei bambini che si fingevano guerrieri ed eroi, stuzzicandosi con due rametti d’albero trovati in giro fra l’erba. Una volta a casa, Trace si ricongiunse alla madre, e aggiornando il mio diario, decisi di fidarmi e provare ancora a credere nel domani, considerandolo pieno di speranze ancora vive.
   
 
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