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Autore: gigliofucsia    08/04/2017    0 recensioni
Ametista è una strega sotto copertura con un'allergia grave a tutto ciò che è sacro. Dopo il rogo della madre viene mandata in un orfanotrofio religioso. Se scoprissero i suoi poteri magici rischierebbe di morire come la madre, quanto tempo riuscirà a resistere?
Genere: Fantasy, Introspettivo, Satirico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 11

23 novembre1869


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 

Mi sentivo a pezzi. Il freddo mi entrava fin nelle ossa, nonostante avessi dormito nell'angolo più riparato. Mi alzai arrancando. Mi stirai. La finestra lasciava passare poca luce. I miei occhi erano pesanti.

All'improvviso dei colpi risuonarono nella stanza. Qualcuno stava bussando. Strinsi i pugni. Era ancora lui. Sentì la serratura scattare. Solo Quarzo bussava prima di aprire. La porta si lamentò aprendosi. Una luce mi investì e ancora una volta fui costretta a coprirmi gli occhi.

La figura si avvicinò a me tenendo in mano un piatto, «eccomi» disse con il sorriso sulle labbra. Mi posò il patto ai miei piedi, ma l'ultima cosa che volevo era mangiare quella brodaglia in sua compagnia.

Mi allontanai di un passo e mi sedetti al muro cercando di trattenere la magia. «come tutti i giorni» dissi a denti stretti. Quando il buon umore si abbassava fino a quel livello rischiavo di perdere il controllo.

Quando Don Quarzo si sedette davanti a me, una cassa si distrusse senza motivo, appunto. Lui con sguardo fermo disse «non mi pare che tu stia migliorando».

«Neanche lei...»risposi «mi pare». Solo a guardare quella faccia da vecchio mi veniva voglia di mandarlo via e lo avrei fatto se non fosse per il mio obbiettivo. Perdere la calma non serviva, dovevo cercare di farmi ascoltare.

Don Quarzo chiuse gli occhi e alzando le mani al soffitto disse, «adesso chiudi gli occhi e fatti inondare dall'amore divino». Io mi presi la testa fra le mani. Le mie speranze stavano svanendo piano. Risi per non piangere. «Farmi inondare dall'amore divino?... ma si può sapere dove vivi? Io non ho mai percepito l'amore divino nemmeno per sbaglio. Tu stai vaneggiando secondo me».

«Non dovresti dare del tu ad un adulto Ametista» rispose abbassando le braccia ma tenendo gli occhi chiusi «Non è rispettoso». Mi tolsi le mani dalla faccia e replicai, «forse se anche io comincio a mancarvi di rispetto vi degnerete di ascoltarmi... e capirmi».

«Ma io ti capisco figliola» il prete aprì gli occhi «Il diavolo ti sta mandando lontano dalla retta via e quindi sei triste, arrabbiata ma non devi preoccuparti. Accogli Reve nel tuo cuore e sarai salvata».

Non potevo fare a meno di ridere, era troppo ridicolo. «No! Io non so più cosa dire davvero. Mi sembra di essere in un romanzo fantastico, non può accadere sul serio una cosa del genere».

«Forza» mormorò Quarzo afferrandomi le mani e richiudendo gli occhi «preghiamo insieme Reve e la sua immensa bontà e misericordia di perdonarti». Io tolsi le mani da quelle del prete e ribadii «Non mi serve a nulla pregare Dio, Io sto pregando voi di ascoltarmi. Fate questo piccolo sforzo per favore». Quarzo scosse la testa «il tuo malessere mi fa provare compassione»

Io risposi «E menomale, almeno un valore morale l'abbiamo conquistato, adesso dobbiamo coltivare anche l'ascolto... forse se ci impegniamo un pochino riusciamo a salvare quel poco senno che vi ritrovate».

Ma io sapevo già che lui aveva la testa nel regno di Reve, infatti senza ascoltarmi disse « la ragione è una malattia, abbi il coraggio di avere fede sorella, una fede sincera e pura come l'acqua santa».

«La sua è un'impresa disperata, non saranno i vostri vaneggiamenti a farmi cambiare idea, non ho mai avuto fede se non in me stessa» risposi, indecisa se continuare a prenderlo in giro o cominciare a parlare sul serio.

«Abbi pazienza, la pazienza è la virtù dei forti, se hai pazienza e lavorerai sodo potrai arrivare al paradiso anche se sei perduto nel pozzo oscuro dell'inferno». Ormai non avevo più speranze di farlo rinvenire. I suoi occhi erano chiusi. Le braccia erano alzate. Io lo guardai esausta e scossi la testa.

«Non ho bisogno di essere salvata! Come ve lo devo dire?» ma le mie parole erano sprecate. Don Quarzo rimase in adorazione per un'ora poi si alzo e andandosene disse «Sta sera ti libereremo da questa cantina e dal male. Preparati! E abbi fede».

Quando uscì smisi di ridere. Con l'incantesimo avevo fatto enormi progressi ma non ero ancora arrivata al punto giusto.

Mi esercitai. Dopo due settimane di esercizi ero riuscita ad alzare il numero da tre incantesimi a quattro. La sagoma per incantamenti mi diceva che mancava poco. Prima mangiavo, poi mi allenavo e infine dormivo. Anche tutto il giorno mi ci voleva per recuperare le energie. Mi svegliavo solo quando venivano a portarmi da mangiare.


 

La cantina era buia. La mia fronte sudava. Il mio respiro pesava. Inspirai. Raddrizzai la schiena. Mollai le ginocchia e unì le mani. Dai due palmi uscì un fumo che si propagò intorno ad esse. Tenendo gli occhi chiusi mi concentrai sulle quantità. Era l'ultimo. Ad un tratto incrociai le sopracciglia e tutto il fumo si compresse fra i palmi delle mie mani.

Guardai la fronte della sagoma da incantamenti. Aprì le mani. Un ago si era formato nella mia mano. Lo presi con le dita. Speravo funzionasse. Lo lanciai. L'ago toccò la fronte della sagoma e si infranse. Aspettai. La sagoma alzò il pollice e si disintegrò.

Mai mi ero sentita leggera come in quel momento. Se non fossi spossata avrei saltato dalla gioia. Mi appoggiai al muro e mi riposai.


 

All'improvviso, Un tonfo mi risvegliò. Un rumore che non volevo sentire quella sera. Aprì gli occhi. Vidi la sagoma di Suor Giada alla luce della candela. Il momento era arrivato. Piuttosto avrei preferito rimanere lì fino alla fine dei miei giorni ma non volevo affrontare il rito dell'olio di ricino.

Mi alzai e uscì dalla cantina con la cassa toracica che ormai non reggeva più i battiti. Mi sentivo vicina al baratro. Dopo quest'ultimo rito mi avrebbero dato fuoco. Mi faceva tremare.

Giada non parlava. Mi condusse lungo le scale. Più salivo e più il freddo della cantina mi scivolava di dosso. Attraversai i corridoi deserti. Uscì nella notte. Nel cortile il vento notturno sembrava consolarmi. Il cielo oscuro era tempestato di piccole luci, come un gioiello. Camminai tra le mura grigie del monastero e dopo un basso tunnel, La làcolonia si erse davanti a me. In tutta la sua angoscia e grandezza.

Mi fermai. Feci un passo indietro ma Giada mi spinse avanti con sguardo truce. Guardai quelle alte e aride mura «devo proprio?» mormorai. Lei mi spinse in avanti. Io deglutì e avanzai.

Le porte si spalancarono. Il silenzio della cerimonia dava i brividi. Gli sguardi erano tutti puntati su di me. Le candele riempivano la làcolonia di una luce tremolante. Mentre attraversavo la navata tenevo lo sguardo basso sul pavimento. Intanto la mia ansia saliva sempre di più.

Salii gli scalini. Rivolta verso la platea con lo sguardo basso. Vidi un ragazzo con la tunica candida passare una bottiglietta e un cucchiaio a Quarzo. Lui li afferro e chinò la testa. Il ragazzo giunse le mani sulla tunica e fece un passo indietro con la testa bassa.

Mi sentì tremare in tutto il corpo. Quarzo si stava avvicinando. La bottiglietta era già aperta. Quarzo chinò il beccuccio e un liquido giallo riempì il cucchiaio. L'olio di ricino si stava avvicinando. Feci un passo indietro e chiusi la bocca. Il prete mi tappò il naso.

Io resistetti. Quella purga mi avrebbe fatto star male nel giro di poco tempo. Indecisa tra il subire il scappare. Il cucchiaio era partito. Afferrai il braccio del prete. Liberai il mio naso. Il suo braccio si ricoprì di una polvere nera. Quarzo non si scompose. Guardò il suo arto con gli occhi spalancati. Quando lo mollai, sentì il braccio come se fosse mio e lo mossi verso di lui non mollando il cucchiaio. Lu cercò di fermarlo. Giada si mosse.

Io non la vidi solo buttare l'acquasanta sul braccio sciogliendo la polvere nera che cadde sul pavimento. Il cucchiaio cadde.

Io mi feci ancora più indietro. Giada si volse gridando «Prendetela». Corsi lungo la navata. Pirito mi venne in contro, mi afferrò la mano trascinandomi verso il portone mentre tutti gli orfani, le suore e i monaci si scagliavano contro di me.

Mani mi afferravano e tiravano. Pirito, tenendo il braccio teso davanti a se, faceva da apripista. Fui costretta a mollare la giacca a colui che l'aveva ghermita senza pietà. Una volta all'aria aperta. Pirito mi condusse in un vicolo lì vicino. Ansimando ci appoggiammo al muro.

«Grazie» mormorai, cercando di riprendere fiato. Lui rispose « Ci ho provato a farli ragionare, ma hanno troppa paura per accettare la verità». Io mi concentrai solo sul mio cuore «hanno paura delle favole, di andare all'inferno. Guarda un po', preferiscono commettere un ingiustizia e dare ascolto al loro amico immaginario invece di guardare in faccia alla realtà».

Sentivo le voci intorno a me. «Cosa facciamo? Hai messo a punto l'incantesimo?» chiese Pirito quasi senza fiato. «Sì, dobbiamo arrivare all'ufficio del direttore, sono abbastanza sicura che non mi cercheranno lì, se arriverà il direttore glielo sparerò addosso». Lui annuì. Io mi mossi. Con passo circospetto uscì dal vicolo. Il giardino era pieno di ragazzini. Dissi a Pirito di andare dall'altra parte. Sbucai in un altro cortile e lo attraversai senza pensare.

All'improvviso sentì una voce mormorare «ci sono delle ombre laggiù». Mi abbassai dietro ad un muretto. Appoggiai le mani a terra gattonai fino ad una porta indistinta nell'oscurità.


 

Tutto sembrava filare liscio. All'improvviso un colpo di mal di testa. La afferrai chiudendo gli occhi. Vidi Perla parlare a Giada: «...volevo solo dirvi che lei si indebolisce davanti ali oggetti sacri...» disse. Fu doloroso. «Tutto a posto?» Chiese Pirito. Ora non potevo occuparmene adesso. «no, hanno scoperto il mio segreto dobbiamo muoverci». Mi alzai in piedi. Andai alla porta. Afferrai la maniglia e la scossi senza che questa si aprisse. «È chiusa», non feci in tempo a dirlo che una voce gridò «eccoli là! Seguiamoli». Mi voltai correndo. Pirito mi seguì. Svoltammo l'angolo e un orda di ragazzini ci sbarrò la strada. Ero circondata. Cosa fare? Tenni Pirito dietro di me.

Gemma e il biondo apparirono davanti e mi serrarono al muro. Pirito cercò di scappare ma Gemma lo prese immobilizzandogli le spalle. Giada e Quarzo arrivarono. Il prete agitò un pennello su di me. L'acqua santa che mi gettò mi fece perdere quelle poche forze che avevo facendomi crollare e girare la testa.

Vidi Suor Acquamarina consegnare delle corde a Giada con aspetto servile. Ci legarono e dopo dieci minuti ci chiusero in cantina. Poi non capì più niente. Ricordo solo i miei occhi che si serrarono.



 

  
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