Ridotto
in cenere
Fiamme.
Fumo.
Cenere.
Un
ragazzo guarda impotente la sua casa ardere. Corre attraverso il
cortile, e
mentre la nube nera gli oscura la vista, non riesce a fare a meno di
pensare
che solo ieri rideva e scherzava con le sue sorelle. Ma le fiamme sempre più alte
gli impediscono di continuare
oltre.
I vicini, che sono usciti dalle loro abitazioni e sono accorsi nel
bosco perché
attirati dal fumo, adesso guardano quel povero ragazzo che è
inginocchiato a
terra e che urla con la testa rivolta verso l’alto
“Dio, perché?”.
Le sue unghie sono
conficcate nel
terreno caldo, i suoi vestiti sono sporchi e il suo sguardo perso.
Vorrebbe urlare ma le corde vocali gli fanno male.
Vorrebbe distogliere lo sguardo ma non ci riesce.
Vorrebbe svegliarsi ma non può.
Sente
le mani di qualcuno addosso e una voce calda che gli sta sussurrando
qualcosa.
Ma il ragazzo è incapace di capire le sue parole. Nelle sue
orecchie rimbombano
le urla della sua famiglia in cerca una via di fuga.
«Derek». Ed è un attimo. Si alza da
terra e prima che qualcuno possa fermarlo
riprende la sua corsa, incurante dei vestiti che cominciano ad ardergli
addosso
e degli occhi che bruciano a causa del fumo.
È circondato dalle fiamme ma è riuscito ad
arrivare alla porta d’ingresso.
Dietro di lui i pompieri cercano di domare l’incendio e
recuperarlo. Sperano di
salvare almeno lui.
Ma a Derek non importa di essere salvato se non riuscirà a
salvare la sua
famiglia.
Non gli importa di vivere se non sentirà più la
risata di Cora, se non vedrà
più gli occhi dolci di sua madre, se non potrà
più rifugiarsi nell’abbraccio di
Laura.
Un ululato di dolore copre tutti gli altri rumori. E le voci si
arrestano.
Dagli occhi blu elettrico scendono lacrime nere che si infrangono sul
colletto
della sua canottiera bianca.
Segue un altro ululato, più dolce e soave, e Derek vorrebbe
strapparsi il cuore
dal petto e morire. Tanto è il dolore che sta provando.
Non è un sogno.
Non è un incubo.
È la realtà.
«Ragazzo?
Cosa credevi di fare?». Derek si gira e ringhia. Mostra gli
artigli e le zanne.
Il pompiere indietreggia spaventato, chiedendosi se sia vero
ciò che ha visto.
«Derek». L’uomo che prima aveva cercato
di dargli coraggio si inginocchia
dietro di lui e lo stringe per pochi secondi.
«La casa potrebbe crollare da un momento all’altro.
Andiamocene, non è sicuro
stare qui».
Derek tira su con il naso e si rifiuta di dargli ascolto.
«Non me ne vado. È la mia famiglia».
«Andrà bene, ragazzo. Te lo prometto».
Lo prende per mano e insieme raggiungono
il camion dei pomieri e l’ambulanza. Mentre camminano vede la
stella dello
sceriffo attaccata al petto.
Derek ha una coperta addosso quando sente l’esplosione.
«No!», urla ma resta immobile.
Smarrito gira la testa verso l’uomo accanto a lui che lo
guarda dispiaciuto.
«Avevi promesso». Il comandante dei vigili
dell’fuoco con un cenno del capo
chiede allo Sceriffo di raggiungerlo. L’uomo accarezza la
testa del ragazzo
un’ultima volta.
L’eco dell’esplosione nella sua testa, le parole
dei due uomini nelle sue
orecchie.
«È impossibile che qualcuno si sia salvato.
L’incendio è stato troppo
aggressivo e non ho potuto rischiare mandando i miei uomini
là dentro, sarebbe
stato un suicidio». Sospira e abbassa la testa.
«Quel povero ragazzo… assistere alla morte della
sua famiglia…».
Confusione.
Consapevolezza.
Colpevolezza.
Si alza e comincia a correre verso il bosco. La coperta gli scivola
dalle
spalle e mostra la sua pelle bruciata che comincia già a
guarire.
Intorno
lui la distruzione.
Dentro di lui la devastazione.
Il
dolore è troppo grande da sopportare e perciò si
arrende, lascia che sia
l’animale a guidarlo. Lascia che sia l’istinto a
prevalere.
Ringhia
e ulula.
Ulula e ringhia.
§§§
Il
cuore batte forte e la testa pulsa.
Le pelle brucia e gli artigli scattano.
Sudato e con gli occhi che brillano un uomo urla nel cuore della notte.
Alla sinistra un ragazzo si sveglia e stringe gli occhi per impedirsi
di piangere.
Lentamente allunga una mano verso quelle dell’uomo che
coprono il volto
deformato dal dolore.
«Va bene». Stringe le dita dell’altro e
dopo qualche secondo di insistenza
riesce a fargli allentare la presa. Il sangue sulla fronte
dell’uomo scivola lungo
il suo viso e si mischia alle lacrime salate. Le ferite cominciano a
rimarginarsi e gli artigli si ritirano.
«È un incubo, Derek». Stiles scivola
nuovamente sul materasso, trascinando con
sé anche Derek che si accoccola al suo petto.
Indifeso e spaventato.
«Era solo un incubo. Adesso sei qui. Con me».
«Non mi lasciare».
«Te lo giuro».
E
Derek chiude gli occhi e sorride. Ripensa all’ultimo ululato
di sua madre prima
di morire e gli risponde.
«Sto bene. Adesso sono felice».
Incubo.
Realtà.
Amore.
.
.
.
.
.
Note:
E anche questa come la mia ultima storia (Svegliati:
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3637257&i=1
) è “copiata” da una mia
storia originale. Più che la trama, questa
volta ho copiato lo stile.
Grazie mille a chiunque abbia letto!