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Autore: I_love_villains    09/04/2017    2 recensioni
Un nuovo survival game sta per iniziare.
Chi diventerà Dio stavolta?
[Storia ad OC. Iscrizioni chiuse]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Altri, Deus Ex Machina, Murumuru
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Caleb si era appena cambiato per tornare a casa quando Lucy, sua sorella, entrò nel ristorante. Sembrava sconvolta.
“Lucy, ehi, che succede?” fece preoccupato l’uomo, andandole incontro.
“Caleb! Koichi è andato a scuola, come tutte le mattine, ma al TG dicono che sta succedendo qualcosa …”
Lucy non riuscì a proseguire oltre. Scoppiò il lacrime. Il fratello la strinse a sé e le accarezzò dolcemente i capelli. Decise di portarla in un luogo più appartato, dato che alcune persone li stavano osservando. Caleb la fece sedere nel piccolo spogliatoio, si sedette a sua volta accanto a lei e le prese la mano, incitandola a spiegarsi.
“A- al notiziaro … nessuno è entrato, m- ma hanno ripreso la scuola dall’esterno e … c’era confusione. Si sentivano i b- bambini correre, gridare, insomma non era normale! Ho paura, Caleb!”
L’uomo le strinse la mano per farle forza.
“Tranquilla, sono sicuro che Koichi sta bene. Vado subito a controllare di persona.”
“N- non fanno entrare nessuno.”
“Un modo troverò, stanne certa.”
Lucy gli diede un bacio a stampo e sorrise fra le lacrime. Caleb ricambiò il sorriso. Prese un fazzoletto e le asciugò teneramente le lacrime.
“Vai a casa, io e Koichi saremo presto di ritorno.”
Lei annuì, grata. Caleb l’accompagnò fuori dal ristorante. Evitarono per un pelo Masashi, il cuoco che importunava continuamente Lucy. Il tizio aveva alzato la mano in segno di saluto, ma Caleb aveva accelerato il passo, prendendo a braccetto sua sorella, e aveva svoltato in un vicolo. Fecero un tratto di strada insieme, poi si separarono con un abbraccio affettuoso. Una volta fuori dal suo campo visivo, Caleb si mise a correre. Si era mostrato sereno per tranquillizzare Lucy, ma dentro di sé provava un’ansia incredibile. In fondo Koichi era anche suo figlio ...

Quattro ore prima le lezioni si svolgevano normalmente.
Ume si era preparata da cinque giorni. Aveva scoperto che riusciva a controllare i bambini solo se il loro nome figurava sul suo registro, quindi era costretta a ricopiarli. Essendo la preside, aveva libero accesso a tutti i registri e il compito si era rivelato facile. Naturalmente, per fare in fretta, ricopiava solo alcuni nomi, anche perché consultando il suo Mirai Nikki si era resa conto che qualcuno avrebbe cercato di contrastarla.
Forse l’intruso sarà un altro possessore” ponderò soddisfatta la donna.
Qualcuno bussò alla sua porta ed entrò. Era una bimba alquanto minuta, mora, una dei tanti studenti a cui aveva ordinato di cercare nelle classi al posto suo.
“Sì, cara?”
“Maestra Ume, li ho trovati” disse semplicemente la piccola.
Ume si alzò, fece il giro della scrivania e si inginocchiò davanti a lei, ghermendola per le spalle.
“Chi? Dove?” domandò emozionata.
“I gemelli Mitsuko, in seconda C.”
“Ne sei sicura?”
“Sì. Prima mi mostravano il loro quaderno degli scherzi, oggi invece quando l’ho preso era tutto disegnato e Seiko me l’ha sottratto dalle mani e Ayato mi ha rimproverata e allora …”
“Va bene così. Grazie, cara, torna in classe.”
La maestra si rialzò in piedi, prese il registro, arrivò alla pagina giusta e trovò conferma ai suoi dubbi: i due piccoli proprietari erano immuni al suo controllo. Lei infatti aveva ricopiato per primi i nomi di gemelli o comunque di fratelli che frequentavano la sua scuola. Non ottenendo alcun risultato aveva creduto che si trattasse di due amici, ma ora capiva come stavano le cose. Sorrise vittoriosa. Era stato facile, in fondo. E forse in quello stesso giorno si sarebbe sbarazzata di un altro proprietario. Premette un pulsante e parlò al microfono del suo ufficio.
“Per cortesia, Seiko ed Ayato Mitsuko vengano nel mio ufficio con le loro cartelle, grazie.”
I gemelli si guardarono fra loro sorpresi, mentre i loro compagni ridacchiavano. Pensavano che i due discoli fossero stati beccati dopo un qualche scherzo. L’insegnante li esortò ad obbedire. Allora loro si alzarono e si incamminarono verso l’ufficio della preside. Ayato, certo che la donna non poteva punirli per qualcosa, consultò il suo Mirai Nikki e sbiancò. Anche la sorella allibì nel vedere la flag di dead end. Era disegnata in cubitali lettere rosse. I bambini si fermarono a metà corridoio, terrorizzati. La preside Ume era una proprietaria!
“Che facciamo?” gemette Seiko, sul punto di scoppiare in lacrime.
“Scappiamo” rispose il fratello.
La prese per mano dopo aver accuratamente riposto il quadernetto. Insieme corsero verso l’uscita, ma naturalmente il bidello non li fece uscire e scoppiò a ridere quando affermarono che la preside intendeva ucciderli.
Intanto Ume, non vedendoli arrivare, comprese che i due sospettavano qualcosa. Mancavano ancora due ore e mezza all’arrivo, o almeno all’avvistamento, dell’intruso. Doveva trovarli prima. La sua voce risuonò di nuovo nelle aule della scuola.
“Bambini, miei cari studenti ... Oggi niente lezioni: si gioca! Siete tutti guardie! Ayato e Seiko Mitsuko sono invece i ladri. Trovateli e prendete la refurtiva: un quaderno pieno di disegni! Portate loro o il quaderno da me ad ogni costo!”
Gli insegnanti non credettero alle loro orecchie e anche alcuni bambini erano perplessi dall’annuncio; altri invece si alzarono e cominciarono la caccia.
I gemelli, impauriti, approfittarono dello sconcerto del bidello per dileguarsi. Non potendolo fare dalla porta principale, dovevano raggiungere un’uscita di sicurezza. Purtroppo frotte di bambini si erano riversate nel corridoio. Seiko spinse Ayato in bagno e chiuse la porta, pregando che nessuno li avesse visti.
“Ma è il bagno delle femmine!” protestò lui.
“Sssh! Sei impazzito?!” lo rimproverò lei in un sussurro.
“Scusa … hai ragione …”
“Credi che qui siamo al sicuro?”
“No. Credi che possiamo raggiungere le finestre?”
“No, sono troppo alte e strette.”
Stettero in silenzio, provando ad ignorare gli schiamazzi che alimentavano il loro panico. Il loro obiettivo era fuggire dalla scuola, un desiderio che ogni bambino aveva avuto. Stavolta però dovevano farlo davvero. Si guardarono intorno: carta igienica, sapone, qualche elastico … Non c’era molto in un bagno delle elementari. Tuttavia erano due bambini molto creativi e la loro fantasia, adoperata finora per ideare marachelle, poteva tirarli fuori dai guai.

Intanto gli insegnanti avevano tentato di rimediare come potevano al caos che si era scatenato nella scuola. Non riuscendovi, si erano diretti all’ufficio della preside, desiderosi di capire cosa stesse succedendo. Ma Ume, che si aspettava una reazione del genere, aveva ordinato ad alcuni bambini di tenerli lontani. Quelli non soggetti al suo controllo guardavano meravigliati i compagni. I più piccoli piangevano. I più grandi, invece, intuendo che stava accadendo qualcosa di sbagliato, uscivano spaventati, in quanto il bidello aveva abbandonato la sua postazione per chiamare la polizia. Forse i gemelli di prima non stavano mentendo …

Seiko ed Ayato erano usciti dal bagno avvolti in carta igienica. Speravano vivamente che gli altri, dato il loro stato confusionale, non li notassero. In effetti i piccoli non li stavano cercando con metodo: ognuno correva per i corridoi e le aule, ognuno desideroso di essere il favorito della preside.
“Ragazzi, di qua!”
I gemelli trasalirono. Si voltarono, pronti a scappare, ma si accorsero subito che il ragazzino che li aveva chiamati era in sé. Un po’ scosso, ma sicuramente non intendeva far loro del male.
“Kouichi?” domandò titubante Ayato.
“Koichi” lo corresse l’altro.
“Perché dovremmo fidarci?” fece Seiko, sulla difensiva.
“Ehi, non mi sto comportando come uno di questi zombie!” si offese Koichi.
“Traquilla, è un mio compagno di calcetto. Senti, ora noi avremmo fretta …”
“Lo so. Da quella finestra ho visto un’auto della polizia. Se la apriamo …”
In quel momento una bambina inciampò su Seiko, facendola cadere. Le bende le caddero di dosso ed in molti la notarono. Reagendo d’istinto, Ayato tirò in piedi la sorella e corse con lei mentre i bambini ipnotizzati cominciavano ad inseguirli. Koichi, spaventato per la piega che stavano prendendo le cose, corse con i gemelli.
I tre ragazzini scappavano in preda al panico, senza una meta precisa. Svoltarono un corridoio e si fermarono bruscamente: un vicolo cieco. I bambini afferrarono i gemelli, strattonandoli senza pietà.
“Lasciateli! Per favore! Non vedete che gli fate male?!”
Ma i piccoli ignoravano Koichi, o lo spintonavano malamente se lui tentava di far mollare loro la presa. Seiko, nonostante tutto, riuscì a non mollare la mano di Ayato, procurandosi graffi sulle braccia. Si sentiva come se fosse caduta in mare e ora le onde la sballottolassero da una parte all’altra. Ayato stringeva sotto la maglia il quadernetto, chiedendosi quanto sarebbe riuscito a resistere prima che i suoi ex- amici lo trascinassero da Ume.
Improvvisamente qualcuno con mani più grandi di quelle di un bambino e molto più forte li ghermì, sollevandoli di peso. I gemelli si voltarono stupefatti verso un uomo con i capelli castani ed occhi verde prato.
“Papà!” esclamò sollevato Koichi. Il ragazzino, nonostante lo chiamasse così, non sapeva che Caleb fosse il suo vero padre. Lo zio però era l’unica figura paterna che aveva e gli voleva un mondo di bene.
“Koichi” sorrise l’uomo. “E voi dovete essere Ninth.”
Seiko si irrigidì, mentre Ayato iniziò a dibattersi.
“Calmi, calmi. Non voglio farvi del male. Anzi.”
Caleb se li sistemò meglio in braccio e si fece strada fra i bambini. I gemelli si scambiarono un’occhiata: non avevano altra scelta che fidarsi. Koichi si strinse allo zio, contento. I bambini protendevano le braccia verso i gemelli, premendo contro Caleb, ma non lo ostacolavano e a lui bastava fare forza sulle gambe per scostarli.
“Forza. Adesso usciamo da qui.”
Aveva appena cominciato a scendere le scale, quando Ayato urlò: “Attento!”
Caleb non si voltò in tempo per capire a cosa dovesse stare attento. Scorse solo un riflesso arancione prima di essere spinto giù dalle scale. Istintivamente, l’uomo lasciò andare i bambini per portare le mani avanti ed evitare la caduta. Riuscì a non battere la testa, ma rotolò per metà rampa procurandosi qualche contusione. Quanto ai gemelli, Seiko cadde sulle scale, mentre Ayato cadde dalle scale. La bambina si riprese dallo spavento, seduta carponi su un gradino, e guardò più giù, verso il fratello. Koichi fissava impaurito la preside.
Ume, una volta imprigionati gli insegnanti, era stata finalmente libera di partecipare attivamente alla caccia. Con un rapido controllo al suo Mirai Nikki, aveva saputo dov’erano i gemelli ed in compagnia di chi e si era di conseguenza precipitata da loro. Ora osservava con freddezza l’uomo che si stava rialzando a fatica.
“Koichi, allontanati!”
Riscosso, il ragazzino corse dalla zio e si nascose dietro di lui.
“Così sei tu, uno de proprietari. Sei venuto ad uccidermi?” domandò Ume.
“No, razza di psicopatica! Ma ti rendi conto di cosa stai facendo?!” tuonò Caleb, furioso.
“Sto vincendo. Bambini, pren- ...”
Caleb agì prima che la donna completasse la frase: corse verso di lei e le tappò la bocca. Ume lottò con forza, senza successo. Anche il suo tentativo di mordergli la mano risultò vano. Un grido di cordoglio li interruppe.
“Noooo! Ti prego, Ayato, svegliati! Fratellinoooo!”
Seiko si era rialzata e aveva raggiunto il gemello, scoprendo che durante la caduta si era rotto il collo. La bambina aveva capito che era morto, ma non riusciva ad accettare l’idea. Caleb guardò la piccola che piangeva disperata, poi Koichi che iniziava a comprendere ed i bambini che invece se ne stavano imbambolati, in attesa di ricevere l’ordine di Ume. Provò un odio cocente verso quella donna. Le mani si strinsero intorno alla sua gola. Per colpa sua quel povero bambino era morto e la sorella gemella aveva visto tutto. Non gliel’avrebbe fatta passare liscia.
“P- papà?”
Caleb indugiò. Non poteva ucciderla davanti a Koichi. Allentò la presa, senza mollarla del tutto.
Nel frattempo, visto che da qualche minuto tutto era calmo, la polizia fece irruzione. Gli agenti guardarono sorpresi i bambini immobili. Uno di loro liberò gli insegnanti, che cominciarono a parlare tutti insieme. Un poliziotto trovò le quattro persone ancora in sè rimaste nell’edificio: Ume, con nastro adesivo sulla bocca e intorno ai polsi, seduta per terra sotto la sorveglianza di Caleb, che aveva preso in braccio Seiko. La bambina singhiozzava senza ritegno sulla sua spalla, ignorando le sue carezze e parole dolci. Anche Koichi piangeva, più sommessamente, e come il padre non distoglieva gli occhi da Ume.

Caleb e Koichi si ricongiunsero a Lucy nella stazione di polizia. Loro, come anche gli insegnanti, erano stati chiamati a testimoniare quello che per loro era un evento inspiegabile. Non riuscivano a credere infatti che era bastato un semplice ordine della preside a scatenare tutto. Lo stato di trance dei bambini li aveva preoccupati, ma dopo qualche ora tutti si erano ripresi. Non ricordavano nulla.
Gli unici disperati erano i Mitsuko. Stringevano forte la figlia rimasta, piangendo addolorati per il gemello che non ce l’aveva fatta. Il padre riuscì a controllarsi abbastanza per stringere la mano a Caleb e ringraziarlo per aver protetto almeno Seiko da quella matta. Caleb sorrise imbarazzato. Sapeva che la piccola non era ancora fuori pericolo. Sussurò qualcosa a Koichi, che le si avvicinò prima che si allontanasse con i genitori. Seiko, sebbene fosse sfinita e non desiderasse altro che svegliarsi da quell’incubo, lasciò la mano della madre per ascoltarlo.
“Seiko … mi dispiace davvero. A me e a mio padre. Hai … hai recuperato il tuo quaderno?”
La bambina annuì.
“Tuo padre me lo ha messo nello zaino” mormorò.
“Bene … non ho capito bene che succede, ma mio padre dice che non ti abbandonerà, capito? Sa che non può spiegare ai tuoi genitori cosa succede, però …”
“Quella strega deve morire! Adesso devo per forza diventare un dio!” Seiko si voltò verso Caleb, lontano un paio di metri, ignorando i genitori e i tre agenti che la guardavano preoccupati. “Signor Leclerc, mi aiuti! La prego!”
Ricominciò a piangere. Il padre la prese in braccio e dopo un ultimo congedo tornarono a casa.

Ume non restò in cella a lungo. Volevano tenerla dentro per quella notte, dato che tutti insistevano che lei fosse la colpevole, quantomeno di aver spito un bambino di sette anni giù dalle scale, ma la donna uscì quella sera stessa. Aveva infatti usato la chiamata concessa dalla legge per chiamare il suo coinquilino, nonché professore e suo miglior amico. Gli aveva chiesto di pagare la cauzione in modo che trascorresse i giorni prima del processo a casa sua e non in gattabuia.
Quando uscì, un poliziotto disse che la aspettavano nel parcheggio. Ume si avviò, pensierosa. Avrebbe raccontato a Basho tutto quanto. Lei era l’unico a conoscerla davvero bene e … mentre cercava con gli occhi la macchina dell’amico, persa nelle sue riflessioni, una corda si avvolse per un paio di giri attorno al suo collo e si strinse. Ume boccheggiò sorpresa. Si portò le mani alla gola, cercando di allentare la presa, ma chi la stava strangolando indietreggiò e tirò verso il basso. Lei cadde. Vide che si trattava di una donna. L’assassina assecondò i suoi movimenti finché essi non cessarono del tutto.

Key si aggiustò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Si appoggiò ad un’auto, con il fiatone ed il cuore che batteva all’impazzata. Del resto non aveva mai ucciso qualcuno prima d’allora.
Lei seguiva sempre il telegiornale e aveva capito che i disordini alla scuola erano da associare ad un proprietario. Non poteva essere una coincidenza che un fatto così strano si verificasse pochi giorni dopo il colloquio con Deus. Si era quindi recata alla stazione di polizia, fingendosi una parente preoccupata. Usando i suoi occhi teneri ed ingenui era riuscita a farsi rivelare da un agente che la signorina Muayaka sarebbe stata rilasciata a breve sotto cauzione. Key aveva ringraziato ed era uscita. Non sapeva quanto tempestivamente avrebbe agito chi doveva pagarle la cauzione. Le toccava agire in fretta. Stando ben attenta dal non farsi riconoscere dal poliziotto di prima, aveva consegnato un assegno e, lasciato detto che aspettava Ume nel parcheggio, lì si era appostata.
Key si incamminò verso casa, più calma. Era andato tutto bene. Aveva ucciso un proprietario e non provava alcun rimorso. Era una donna orribile, in fondo.



***Angolo Autrice***
Ho saltato una domenica, già. Se ricapita quasi sicuramente pubblico quella successiva.
Ma il capitolo è lungo e denso di avvenimenti!
Mi dispiace tanto per il piccolo Ayato, mentre per Ume no. Chissà perché.
Nel prossimo capitolo vedremo l'incontro e/o scontro di altri quattro proprietari!
A presto!
   
 
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