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Il coraggio di non aver paura
Dariush era nervoso.
Camminava avanti e indietro attorno alle ceneri del focolare, le mani
intrecciate dietro la schiena e lo sguardo di una tigre in gabbia. Era
da quando Nemeria, Altea e Hirad erano tornati e gli avevano riferito
del loro spiacevole incontro che aveva quell'espressione a
metà tra l'arrabbiato e l'inquieto, così come gli
altri membri della famiglia. L'unica che sembrava non sentire la
tensione era Noriko, che osservava impassibile appoggiata al muro. Come
Dariush e i gemelli, aveva varie escoriazioni sulla pelle delle
braccia, lasciate esposte dalla tunica lisa in più punti, e
un livido sotto l'occhio sinistro le induriva i lineamenti del viso,
conferendole un'aria truce.
- Siete sicuri che non hanno intenzione di venire nel nostro quartiere?
A parte minacciarvi di farvela pagare, non hanno detto altro? -
domandò loro per l'ennesima volta Dariush.
Altea fece un cenno di diniego con la testa. Era ancora visibilmente
scossa, Nemeria se ne rese conto perché anche lei faticava a
controllare il tremore che le scuoteva le spalle. Hirad cercava di non
darlo a vedere, ma le pupille dilatate e i pugni serrati lo tradivano.
Lo Sha'ir trasse un respiro di sollievo e si passò una mano
tra i capelli scarmigliati, mettendo in mostra un taglio sopra la
tempia. Il sangue era raggrumato, segno che erano passate un paio d'ore
da quando se l'era procurata.
- Non va affatto bene. Possiamo respingere le altre bande, ma se i Cani
decidessero di attaccarci non potremmo fare altro che rifugiarci qui
sotto. Dobbiamo cominciare a mettere da parte le scorte e prepararci al
peggio. - dichiarò, per poi avvicinarsi ad Altea, - L'unica
cosa che mi domando è perché tu sia tornata qui a
mani vuote, nonostante ti avessi esplicitamente ordinato di fare la
spesa. Hai detto che quei figli di puttana non vi hanno inseguiti,
sareste potuti andare a prendere qualcosa in qualche taverna lungo la
strada del ritorno. -
- N-non ci ho pensato, Dariush. Hirad e Nemeria non sono molto bravi e
avevamo paura che i Falchi ci pedinassero. - balbettò la
ragazza, facendosi piccola piccola.
- Quante volte ti ho ripetuto che non sei tu la guida della famiglia? -
- Lo so, ma... -
- Quante volte? Rispondi. -
Altea si morse un labbro e abbassò lo sguardo. Tutti
tacevano, respirando il più piano possibile per paura che
Dariush si accorgesse di loro.
- Molte. - mormorò infine, mortificata.
- Bene, quindi perché ti ostini a disobbedire? Prima porti
una bambinetta inutile e ora decidi quando tornare alla tana? -
l'aggredì, le prese il mento tra le dita e strinse le guance
così forte da graffiarle la pelle, - Sto cominciando a
perdere la pazienza con te. Ti ho salvata dalla strada, ma
più il tempo passa più comincio a pensare che sia
stata una perdita di tempo. Forse avrei dovuto lasciarti morire, almeno
così mi sarei risparmiato tante delusioni. -
sibilò cattivo.
Nemeria contrasse la mascella e digrignò i denti, tanto da
farli scricchiolare. Le mani si serrarono a pugno, mentre la pietra
luna si surriscaldava, stemperando appena la rabbia che sentiva
crescerle dentro. Sapeva che non poteva intervenire, ne andava della
sua vita, eppure non riusciva a controllarsi né a placare
l'odio che provava nei confronti di quel verme. Si guardò
intorno, in cerca di supporto, ma nessuno sembrava intenzionato a
intervenire. Persino Hami aveva girato la testa da un'altra parte,
incapace come tutti di assistere all'ennesima umiliazione di Altea.
- Dariush, Altea non aveva scelta. - si intromise all'improvviso Hirad,
la voce che tremava quasi quanto lui, - I Falchi sono imprevedibili, il
rischio che decidessero di penetrare nel quartiere non era da escludere
e purtroppo sappiamo quanto siamo deboli rispetto a loro. Non mi sembra
giusto che tu la punisca per aver anteposto la sicurezza dei membri
della famiglia alle nostre scorte alimentari. -
Dariush mollò la presa e si girò di scatto verso
Hirad, nello stesso istante in cui lo fece anche Nemeria. Anche Noriko,
che fino a quel momento aveva fissato la scena senza scomporsi, parve
sorpresa.
- Quello che ho detto ad Altea vale anche per te, Ratto. -
“Hirad, stai zitto, maledizione!”
Nemeria lo trafisse con un'occhiata ammonitrice, ma il ragazzo la
ignorò. Deglutì un paio di volte e raccolse il
coraggio per continuare.
- Sto cercando di farti riflettere: stai punendo Altea per essersi
comportata secondo i tuoi insegnamenti e non mi sembra corretto. Dici
sempre che sono quello intelligente, quindi se vedo che qualcosa non
va... -
- Cosa stai insinuando? Pensi che le mie azioni siano stupide, forse?
Sto sbagliando? - ringhiò Dariush, abbassandosi in modo da
poterlo guardare dritto negli occhi, le labbra increspate in un ghigno
che lasciava scoperti i canini leggermente appuntiti.
- A-anche i capi migliori sbagliano, a volte. - ridacchiò
nervoso Hirad.
- Ritieni di essere nella posizione di potermi ammonire, per caso? -
- No, certo che no... volevo solo farti notare una cosa, ecco. - si
difese, alzando le mani.
La smorfia irritata di Dariush si tramutò in un sorriso che
non prometteva niente di buono, Nemeria se lo sentì nelle
viscere.
- Hai ragione, Hirad, ho sbagliato. In effetti, punire Altea sarebbe un
errore. - gli batté una pacca sulla sulla spalla e gli fece
cenno in direzione della sua tenda, - L'altro giorno sei andato in
esplorazione, no? Portami i disegni delle nuove gallerie, desidero che
mi illustri quali sono e dove portano. -
Hirad sbiancò, così come Nemeria.
- Non li ho ancora finiti... in realtà non li ho nemmeno
iniziati. Sono dei bozzetti sulla pergamena, non credo ci capiresti
qualcosa. - balbettò in preda al panico.
- Oh, ma davvero? Eppure di solito sei così rapido.
Comunque, ci terrei davvero a vederli. Portameli. -
- Sei ferito, forse è meglio che prima ti faccia medicare da
Kimiya per evitare l'infezione, non sarebbe un bene se ti ammalassi in
un momento del genere. - intervenne Altea, ma bastò
un'occhiata dello Sha'ir per ridurla al silenzio.
- Allora, Hirad? Sei forse troppo stanco per via della tua fuga
precipitosa? Non ti preoccupare, rimani pure seduto, Malakeh le
andrà a prendere. - aggiunse e il suo sorriso si
allargò.
Nemeria riconobbe in quell'espressione la stessa crudeltà
che aveva ravvisato sui volti dei due ragazzi appartenenti ai Falchi
Neri. La paura le imbrigliò lo stomaco e le parole in una
morsa spietata.
Malakeh si infilò nella tenda di Hirad e uscì con
un plico di pergamene impilate l'una sull'altra che svolazzavano a
terra ad ogni passo. Alcune riportavano disegni schematici di gallerie,
con qualche iscrizione vergata con una calligrafia illeggibile, e le
altre per la maggior parte ritraevano scorci di Kalaspirit, fiori,
ritratti dei membri della famiglia, vedute paesaggistiche di luoghi
fantastici situati chissà dove. Tra quelle che caddero,
Nemeria notò le riproduzioni dei viticci con grappoli d'uva
e racemi d'acanto presenti sulla tomba dell'uomo famoso che avevano
trovato insieme.
- Vedo che ti stai dedicando all'arte, Ratto. Sei bravo. Pensavo che
oltre a straparlare non avessi alcun talento. -
Dariush prese un paio di pergamene e le osservò con cipiglio
critico.
- Sai, Altea e Hami fanno fatica a rubare la carta di questa
qualità, è roba difficile da reperire. E tu come
la usi? Imbrattandola con scarabocchi che non hanno nessuna
utilità per la nostra famiglia? -
Hirad si fissò la punta dei piedi in silenzio. Con il collo
incassato nelle spalle e le dita piantate nelle braccia, sembrava
ancora più indifeso e spaurito di quanto già non
fosse.
- Ho chiuso gli occhi per troppo tempo davanti alla tua disobbedienza,
è ora che impari a stare al tuo posto. C'è troppa
anarchia in questo gruppo, vi farà bene un bel ripasso. -
A tutti mancò il respiro quando Dariush allineò i
fogli e li strappò, dapprima in due, poi in quattro e infine
in sei pezzi, per poi lasciarli cadere a terra e pestarli come degli
insetti fastidiosi. Con un cenno del capo, ordinò ai gemelli
di fare lo stesso. I due esitarono e per una frazione di secondo
Nemeria sperò che si sarebbero ribellati.
La prima ad afferrare la pergamena seguente fu Malakeh. Ritraeva un
cavallo che sonnecchiava vicino all'abbeveratoio di una taverna, con il
cielo screziato di rosso e le nuvole sfilacciate di un viola che
sfumava nel lillà verso i bordi pastello. La ragazza trasse
un profondo respiro. Quando la fece a pezzi, non ebbe il coraggio di
guardare Hirad, che la guardava con gli occhi lucidi, senza riuscire a
dire o a fare nulla. Era pietrificato, come se non riuscisse a
realizzare cosa stesse realmente accadendo. Soltanto quando Mehrdad
distrusse il profilo delicato di una giovane Sha'ir, cadde in ginocchio
e abbracciò i pezzi di pergamena singhiozzando, mentre altri
si aggiungevano al mucchio.
Quando non rimase più altro, Dariush gli artigliò
la spalla, costringendolo ad alzare la testa.
- Ricordati chi sei, lemna, e soprattutto qual è il tuo
posto qui dentro: i ratti sono fatti per rimanere sottoterra e
nascondersi nelle fogne, pregando di non venire schiacciati. Adesso
andrò a farmi medicare, e quando uscirò dalla
tenda di Kimiya voglio che sia tutto pulito, chiaro? -
Hirad mormorò un flebile “sì”
e, quando l'altro si alzò, lui stava già
raccogliendo i pezzi di carta.
Noriko si allontanò assieme ai compagni, compresi i gemelli,
che quasi corsero a rifugiarsi dentro la loro tenda in preda ai sensi
di colpa. Rimasero soltanto Nemeria e Altea. Per un po' nessuna delle
due si mosse, poi Altea si avvicinò e, con le mani ancora
tremanti, si accovacciò accanto a lui, raccogliendo uno dei
tanti pezzi che costituivano il tappetto eterogeneo di linee,
chiaro-scuri e prospettive ormai distrutte.
Hirad si bloccò un istante e Nemeria colse l'occasione per
raggiungerlo. La pietra di luna si era raffreddata, così
come la sua rabbia, e adesso l'unico desiderio che aveva era quello di
abbracciarlo, stringerlo forte come Etheram faceva con lei quando si
svegliava da un brutto sogno o perché fuori si era scatenato
un temporale. L'istinto, però, le suggerì di
limitarsi ad aiutarlo, poiché una tale manifestazione di
affetto non avrebbe fatto altro che peggiorare il suo umore: quando
Dariush aveva strappato il primo disegno, era stato come se lo avesse
pugnalato, e poi aveva continuato finché la sua anima
esangue non gli era scivolata di mano assieme all'ultima pergamena.
- Sei davvero bravo a disegnare. - mormorò Altea,
porgendogli un angolo di cielo stellato, - Io non sono intelligente o
esperta di arte, però, ecco, le tue opere sono meravigliose.
Dariush è stato crudele. -
- Nah, non sono granché. Mi diletto a ritrarre
ciò che vedo, ma non sono un vero artista. Mia madre aveva
molto più talento, riusciva a catturare la realtà
e a eternarla con pochi, semplici tratti. Io, invece, pasticcio sui
fogli a tempo perso. Dariush ha ragione, è uno spreco di
carta. -
- No, non è vero. Non so che persona fosse tua madre, ma per
quello che ho visto tu sei anche migliore, anzi, più
migliore del pittore che sta sulla Via degli Usignoli nel Quartiere
d'Ambra. Un giorno, ne sono certa, diventerai l'artista più
famoso della città! E quando ripenserai a quello che
è successo oggi, ti farai una risata e dirai “Ah!
Quel bastardo di Dariush è rimasto in strada a rubacchiare
gli avanzi, mentre io ora nuoto nell'oro, ho ventiquattro mogli e
faccio colazione con bekljva e kedayif ogni mattina”. -
- Più migliore... la mia istitutrice si starà
rivoltando nella tomba. - commentò inorridito.
- Te l'ho detto, non sono come te! E comunque il punto non era quello.
È che un giorno tu te ne andrai di qui, con Nemeria e
Noriko. Diventerete dei grandi, scriverete la storia e quando tutti e
tre vivrete nel vostro palazzo personale vi sarete già
scordati di questi giorni tristi. Non avrete nemmeno tempo di pensarci
con tutte le cose da potenti che avrete da fare. -
- Io non voglio ventiquattro mariti. La ricchezza sì, ma non
voglio avere a che fare con più di un uomo alla volta. - si
intromise Nemeria, facendosi più vicina.
Altea ruotò gli occhi esasperata: - Forse ho un po'
esagerato col numero, ma non era quello il nocciolo della questione! -
- Io ho capito. Solo che adesso non riesco a pensarci, anzi, non sono
in grado di pensare a nulla. - disse Hirad e strinse al petto un
frammento di disegno, per poi infilarlo nelle tasche dei pantaloni.
A nulla valsero i successivi tentativi delle due ragazze di consolarlo,
le loro parole si infrangevano contro un muro di silenzio e sofferenza.
Nemeria dovette reprimere l'istinto di alzarsi e andare a prendere a
pugni Dariush, quando lo vide uscire dalla sua tenda con le braccia
bendate. Questi dovette accorgersi d'essere osservato perché
si girò nella sua direzione. Per un istante che
durò un'eternità i due si fronteggiarono con lo
sguardo, gli occhi rossi, fiammeggianti di rabbia di Nemeria
intrecciati a quelli strafottenti e pieni di disprezzo dello Sha'ir. Il
fuoco delle torce si ingrossò, alzandosi fino quasi a
lambire le ombre sul soffitto. Le vene sulle sugli avambracci e sul
collo del ragazzo si tesero nervose, mentre le sue dita si riempirono
di squame, mettendo in mostra un'altra pelle più dura,
più resistente, quasi impenetrabile. Non seppero cosa li
fermò dal regolare i conti subito. Semplicemente, l'attimo
prima stavano per azzannarsi alla gola e quello dopo tornarono a far
finta di niente, ignorandosi reciprocamente.
Nessuno aveva osato intromettersi, così come nessuno aveva
accennato a prendere le difese di Hirad, troppo occupati a fingere di
badare agli affari propri. Nemeria era incredula.
“Che razza di famiglia è?”
La tensione aleggiò per ore nella tana, opprimente come una
cappa tossica.
L'ora di cena arrivò in fretta, ma senza l'allegria che
normalmente la caratterizzava. Afareen e Chalipa servirono riso con
pomodori, peperoni verdi e qualche pezzetto di carne di topo. Nemeria
lo mangiò a forza, costringendosi a inghiottire un boccone
alla volta masticandolo a lungo, fino a quando la sensazione di nausea
non si attenuava un po'. Di tanto in tanto gettava un'occhiata ad
Hirad, che, come lei, sembrava combattere contro la sua porzione. Aveva
gli occhi ancora rossi e per tutta la cena non li distolse mai dalle
fiamme che crepitavano nel focolare, incurante dell'atmosfera densa
come melassa.
Di fianco a lui si era seduta Altea, che cercò di ravvivare
la serata raccontando aneddoti divertenti, senza però
riuscire a coinvolgere nessuno. Nemeria, così come i
presenti, l'ascoltava distrattamente, annuendo e stirando le labbra in
un sorriso nei momenti più opportuni. La rabbia per quello
che era accaduto era ancora tanta e vedere Hirad in quello stato non
faceva altro che accentuarla, facendole ribollire il sangue, mentre la
pietra di luna manteneva un calore costante che controbilanciava quello
che sentiva pervaderle la mente e il corpo. Non poteva fare nulla che
potesse davvero aiutarlo; sfidare Dariush era una scelta azzardata,
avrebbe messo in pericolo non solo lei, ma l'intera famiglia, e questo
Nemeria non poteva permetterlo. Buttò giù un
altro boccone e addentò un pezzo di pane bianco
così duro da sembrare di pietra.
Lo Sha'ir non si era presentato per cena, ma aveva ordinato a Kimiya di
portargliela nella tenda. Nemeria sospettava che stesse cercando di
riprendere il controllo dell'elementale della terra e, seppure contro
voglia, anche lei sperava che ci riuscisse.
Un brivido freddo le corse lungo la schiena al ricordo dei due Falchi
Neri. Hediye, quando lei ed Etheram erano ancora piccole e le avevano
chiesto di raccontare una storia di paura, aveva narrato di quando
viveva ancora tra gli uomini. Proveniva da una città piccola
e poco distante dalla capitale, dove il sultano aveva fatto costruire
una delle tante arene in onore di suo padre. La sua famiglia ogni fine
settimana la trascinava sugli spalti a vedere gli spettacoli,
gladiatori che combattevano gli uni contro gli altri, oppure contro
prigionieri provenienti da terre al di là del mare e Jin. A
Nemeria erano rimaste impresse le parole di sua madre, quando le aveva
descritto l'avversario di quel Dominatore: crudele, inumano, deforme,
ma soprattutto troppo forte per qualsiasi mortale. Era risaputo nella
sua tribù che qualsiasi mortale che abusava della magia
inevitabilmente diventasse un Jin, era la maledizione che la Madre
stessa aveva scagliato sulla stirpe degli uomini quando Heydar aveva
ucciso Soraya. A detta di tutte le Anziane, la maggior parte dei Jin
erano esseri deformi, orribili, però ce ne erano alcuni, i
più pericolosi, che mantenevano un aspetto normale e si
mescolavano ai mortali, imbrogliando anche gli occhi più
esperti.
Dariush doveva essere ancora normale, ma Nemeria era sicura si trovasse
sulla sottile linea di confine tra Sha'ir e Jin. Sarebbe bastato un
niente per vederlo trasformarsi in un mostro. Per quanto lo odiasse,
pregò la Madre che gli desse la forza di riacquistare il
controllo, che avesse pietà di tutti loro.
Quasi le venne da vomitare quando mangiò l'ultimo pezzo di
pane. Dovette affondare i denti nelle labbra per reprimere il conato e
rimanere lucida, senza cedere di un passo alla paura che sopravanzava.
- Scoiattolo? Non hai più fame? -
La voce preoccupata di Altea la richiamò alla
realtà. Nemeria si rese conto di avere in mano il piatto
ancora pieno per metà e che loro due erano le uniche rimaste
attorno al fuoco. Chalipa e Afareen erano vicino al muro vicino alle
loro tende, intente a sciacquare le stoviglie in un catino senza
rivolgersi la parola.
- No, sono piena. Ne vuoi un po' tu? - le chiese, per poi accorgesi un
secondo dopo che anche la porzione di Altea era quasi completamente
intatta.
- Mi sa che siamo in due ad avere la pancia piena stasera. -
scherzò.
- Già. - mormorò la più piccola in
tono mesto.
- Nemeria... pensi che Hirad si riprenderà mai? -
domandò la Sha'ir tornando seria.
- Non lo so. Possiamo solo sperarlo. -
Le fiamme guizzarono sul viso di Altea, evidenziando tutti i segni
delle sevizie subite da Dariush, e le donò un'aria ancora
più triste e malinconica.
- Sai, non mi aspettavo che avrebbe reagito. Hirad è la
persona più tranquilla che conosca, non avrei mai creduto
che avrebbe avuto il coraggio di contraddire Dariush. Non puoi
immaginare quanto mi senta in colpa per quello che è
successo... è solo colpa mia... se fossi uscita di nuovo a
fare la spesa, adesso le cose sarebbero come prima. Ero io quella che
meritava la punizione, non lui. -
Nemeria la avvolse in un abbraccio e le permise di affondare il viso
nella sua spalla. La strinse come quel pomeriggio, la cullò
dolcemente permettendo al calore del suo corpo di passare in lei
tramite carezze incerte e un po' goffe, finché non smise di
piangere. Nonostante la sensazione di impotenza, quando Altea si
calmò il cuore di Nemeria si alleggerì, come se
vederla asciugarsi le lacrime e andare via a testa alta verso la sua
tenda e non quella di Dariush l'avesse sollevata da un grande peso.
“Forse non sono così inutile, forse posso salvare
qualcuno. Sì, proverò a cambiare le
cose.”
Con quel pensiero, si recò alla sua tenda. Vide una luce
multicolore provenire dall'interno e, quando entrò, si
accorse che Noriko era ancora sveglia. Lo stupore divenne ancora
più evidente non appena notò che ad emanare luce
era la fanoos che penzolava sopra le loro teste. La fiammella
all'interno spandeva la sua luce su tutto il mosaico, ricalcando ed
enfatizzando l'intreccio di fiori che, come una trama molto stretta,
avvolgeva tutta la superficie della lanterna.
- Non ne avevi mai vista una accesa? -
Noriko allungò la testa all'indietro, inarcandosi
leggermente sulla stuoia in modo da poterla guardare meglio. I capelli
rossi erano sparsi tutti attorno alla sua testa e nella luce tenue e
aranciata sembravano i raggi del sole morente. Il livido sotto l'occhio
destro era nascosto dalle ciocche ribelli.
Nemeria gattonò fino alla lanterna senza staccarle gli occhi
di dosso, incantata dalla danza della fiamma. Attraverso i tasselli del
mosaico, intravide una figura femminile e quasi le mancò il
fiato quando riconobbe l'elementale che le aveva fatto visita tempo
prima. Le sue mani si intrecciavano sinuose seguendo il corpo in
movenze eleganti, ampie e dolci, ipnotiche.
- No, non le avevo mai viste. - rispose incerta, sfiorando con
deferenza il fanoos.
- Ti piacciono? -
- Trovo la loro luce suggestiva. -
- Allora non hai mai visto lo spettacolo che offrono per le strade
durante il Randama. Vengono appese ovunque, illuminano le strade come
se fosse giorno. Nel Quartiere del Sole però sono sempre
accese, se vuoi posso portarti a vederle. -
Nemeria annuì distrattamente, prima di rendersi conto di
cosa avesse fatto. Distolse la sua attenzione dalla lanterna e la
posò su Noriko. Il suo viso non lasciava trasparire alcuna
emozione, così come la postura disinvolta del suo corpo. Per
lei, quello che era successo poco prima non contava nulla.
- Non voglio avere niente a che fare con te. - proferì dura
Nemeria.
- Difficile, visto che stiamo nella stessa tenda. -
- Allora farò finta che tu non ci sia. -
- Cosa avrei fatto per meritarmi la tua antipatia? -
- Lo sai. -
- Se lo sapessi, non te lo starei chiedendo. -
Nemeria incrociò le braccia sul petto e le scoccò
un'occhiata che esprimeva tutto il suo dissenso, ma Noriko non fece una
grinza, rimanendo in attesa di una spiegazione. Sentiva addosso il suo
sguardo, assieme a quello dell'elementale nella lanterna, che ballava
sullo stoppino della candela.
- Altea mi ha detto che nell'Ukiyo-e insegnano a combattere anche alle
donne. Si vede che sei forte, il fatto stesso che fai le ronde
significa che ti sai difendere. Quindi non capisco perché
non sei intervenuta quando Dariush ha strappato i disegni di Hirad. Tu
potevi fare qualcosa e invece sei rimasta a guardare. Non voglio avere
nessun tipo di rapporto con le persone che lasciano che i deboli
vengano schiacciati senza muovere un dito. -
Noriko sospirò e sedette. Si era cambiata la tunica e ne
aveva indossata una a maniche corte color verde palude. Le varie
contusioni e abrasioni erano in bella vista e Nemeria si rese conto
dall'alone rosso che le circondava che non erano state né
disinfettate né medicate.
- Hirad conosceva i rischi, eppure è intervenuto.
È stata una sua scelta. Se fosse rimasto in silenzio e
avesse lasciato che Dariush si sfogasse su Altea come suo solito,
avrebbe ancora i suoi disegni. Non è un bambino, ha quasi
quattordici anni, deve crescere e capire che il mondo non è
come nei suoi amati libri, che ogni azione comporta delle conseguenze. -
Nemeria la fissò sconvolta. Non poteva davvero pensare
quello che aveva appena detto, non ci voleva credere, ma la limpidezza
della sua voce non lasciava adito a dubbi.
- Inoltre, non sono in grado di sconfiggere Dariush. Lui è
un Dominatore, io sono solo una ragazza che ha imparato a combattere.
Anche volendomi opporre, l'avrebbe vinta lui. - ammise con calma, -
Nemmeno tu potresti fare granché. La terra soffoca e uccide
il fuoco a lungo andare e le tue capacità, da quello che ho
visto, sono minimali, nonché incontrollabili. -
- Questo non è vero! -
- La tua non consapevolezza dei tuoi limiti sarà solo una
grande fonte di guai. Ascolta il mio consiglio, lascia perdere e
permetti al tempo di compiere il suo corso. Prima o poi anche gli altri
non sopporteranno più l'atteggiamento tirannico di Dariush,
e allora potremo pensare di intervenire. Ma per adesso l'unica mossa
intelligente è non attirare l'attenzione. -
- Oh, sì, com'era? “Siediti sulla sponda del fiume
e aspetta, prima o poi vedrai passare il cadavere del tuo
nemico”. Beh, sai che ti dico? - si alzò in piedi
di scatto e l'elementale nel fanoos riprese a danzare in modo ritmico,
quasi forsennato, - Io non sono come te, non riesco a rimanere
impassibile mentre quel... quel bruto si comporta come se fosse il
nostro re. Già una volta non sono riuscita a salvare
nessuno, non posso permettere che accada di nuovo. -
Una lacrima si impigliò nelle ciglia e poi le
scivolò lungo la guancia. Improvvisamente, i demoni le
saltarono addosso e le azzannarono il cuore, affondando i loro artigli
nella sua anima indifesa. Etheram, Hediye, Rakhsaan, tutti i membri
della tribù la scrutavano dalle ombre con le loro orbite
vuote, la giudicarono, la incolparono e Nemeria, per quanto stringesse
forte le palpebre, non riuscì a scacciarli.
Non sono reali. Sono solo frutto del tuo senso di colpa, Nemeria, sei
tu che le hai create, sei tu che le stai nutrendo.
La voce di sua sorella le sussurrava nella mente quelle parole, nel
tentativo di convincerla e aiutarla a recuperare il controllo, ma le
ombre si fecero più vicine, tanto da percepire il loro
respiro gelido sulla pelle sudata. Nemeria si fece forza e
serrò le dita attorno alla pietra luna per sentire la
presenza della sua famiglia. In lontananza, come in un sogno,
udì qualcuno chiamarla e poi avvertì una mano
posarsi sulla sua spalla. Quando si girò, si
trovò innanzi alla Sacerdotessa e al suo volto livido
sfregiato dal fuoco.
- No! - gridò terrorizzata, divincolandosi dal suo tocco.
Corse fuori dalla tenda, dalla tana e giù lungo il primo
corridoio che le capitò a tiro. Corse finché non
riuscì più a respirare e la fatica non vinse. Si
abbandonò contro il muro senza fiato. Gli spettri stavano
già per ghermirla, quando l'elementale del fuoco si
materializzò davanti a lei. Le fiamme dipingevano degli
abiti da danzatrice, così come l'aveva vista nel fanoos di
Noriko, ma sul suo viso non c'era più traccia di gentilezza.
Avanzò contro le ombre senza timore, al ritmo di una musica
silenziosa, facendo vibrare e sussultare velocemente fianchi e bacino,
i lembi della fascia annodata in vita che tagliavano l'aria in sferzate
violente. La sua voce rimbalzò sulle pareti, alta e
imperativa.
Andate via.
Tra le sue mani apparve un cembalo. Quando lo colpì, il
suono si propagò ovunque e gli spettri tremarono,
indietreggiando.
Via, ora!
A quell'ultimo ordine, sprofondarono nell'oscurità in un
silenzio tombale.
Nemeria rimase a guardare la scena a bocca aperta. Poco dopo si
riscosse e si alzò in piedi barcollando. Le girava la testa,
tanto che si dovette aggrappare alla parete per non crollare. Strinse i
denti e non distolse lo sguardo dalla creatura, sebbene si vergognasse
di come appariva: debole, impaurita e stanca. Tuttavia, un sorriso
orgoglioso si dipinse sulle labbra dell'elementale. Era circondata da
un alone nebuloso, segno che non era nella sua forma
“materiale” come durante il loro primo incontro.
Nemeria la vide azzerare la distanza che le separava e arrestarsi di
fronte a lei.
- Pensavo mi avessi abbandonata. - esalò commossa.
Io sono sempre qui. Non me ne andrò mai.
Il vento della notte soffiò più forte e
dissipò la sua figura, lasciando però intatto il
calore sprigionato dalla sua mano nel punto in cui l'elementale l'aveva
toccata. A Nemeria venne spontaneo sorridere. Prese un bel respiro e si
concentrò finché il suo cuore non si
calmò e l'aria fredda non le ebbe asciugato il sudore. Poi
studiò la grata, assicurandosi che fosse ben chiusa, e
uscì nel vicolo.
La strada era tutta illuminata e i fanoos, appesi alle funi sopra la
testa dei passanti, ondeggiavano pigramente a ogni refolo. Uomini e
donne, abbigliati con lunghi abiti ricamati in oro e sandali che si
intrecciavano fin sotto il ginocchio, camminavano osservando i giochi
di luce delle lanterne, fermandosi di tanto in tanto alle diverse
bancarelle per comprare qualche pannocchia alla griglia o dei semit,
panini dalla forma rotonda ripieni di formaggio, crema di olive o
dolce. I bambini, invece, sembravano più interessati ai
giocolieri, che all'angolo delle strade si esibivano in numeri
spettacolari con scimmie, cerchi di fuoco e spade. Le guardie cittadine
pattugliavano le strade, ma la maggior parte erano più
concentrate a guardare una donna che si dilettava in giochi di
prestigio.
Nemeria si riempì gli occhi, imprimendosi nella memoria ogni
dettaglio. Aveva ancora le mani sudate e il cuore non si era ancora
allineato sulla sua frequenza naturale, ma la paura aveva lasciato il
posto alla meraviglia. Anche il suo stomaco sembrava essersi svegliato
e per ogni bancarella che vedeva gorgogliava, più affamato
che mai.
- Ragazzina. -
La bambina si voltò, in cerca della voce che l'aveva
chiamata. Si avvicinò a un carretto vicino al quale era
stata allestita una griglia rovente unta d'olio, dove erano state
posate delle fette di pane e dello sgombro ad arrostire. Chiunque
fosse, si doveva trovare lì nei paraggi, ma Nemeria non vide
nessuno. Ad un tratto, con la coda dell'occhio scorse un movimento al
suo fianco. Con sua grande sorpresa, si ritrovò faccia a
faccia con il cuoco che aveva incontrato il primo giorno che era giunta
a Kalaspirit, quello che le aveva urlato dietro e poi le aveva dato un
pezzo di formaggio.
Sebbene lo superasse di almeno quattro pollici, Nemeria
indietreggiò intimorita con tutta l'intenzione di dileguarsi
nella folla. Prima che potesse scattare, il
besajaun le batté una mano sulla spalla, un colpo
così forte che quasi la mandò a terra.
- Scommetto che sei venuta qui a rubare qualcosa. Conosco voi
ladruncoli, vi infilate ovunque e quando meno ce lo aspettiamo, zac!,
ci soffiate la merce da sotto il naso. - aggirò la griglia,
prese uno dei filetti di sgombro e lo infilò nel pane, per
poi farcirlo con insalata, cipolla e pomodori, - Vuoi anche una
spruzzata di limone e qualche peperone? -
Nemeria fece saettare lo sguardo da lui al panino, stranita da
quell'inaspettata gentilezza. La sua parte razionale le
ricordò che non aveva nemmeno degli spiccioli con
sé, ma quando il suo stomaco gorgogliò di nuovo
si limitò ad annuire. Il cuoco
tirò fuori un barattolo pieno di vari sottaceti, da dove
prelevò non solo i peperoni, ma anche barbabietola, carote e
cetrioli. Prima di porgerglielo, aggiunse una spezia rossastra che
Nemeria non riconobbe.
- Mangia, sembri un insetto stecco. - le ordinò e lei non se
lo fece ripetere.
Azzannò il panino e lo divorò, gustandosi ogni
boccone. Non si era resa conto di essere così affamata.
- La ringrazio molto, signore. È stato davvero... -
Lui la bloccò con un gesto stizzito della mano e
poggiò un altro pezzo di sgombro sulla griglia. Aveva le
mani grandi e callose e le unghie erano corte, eppure non c'era traccia
di sporcizia. Persino il carretto, così piccolo e anonimo,
era pulitissimo, come gli utensili che penzolavano dai ganci. Soltanto
il grembiule aveva alcune macchie d'olio sparpagliate sulla pancia e
qualche schizzo di quello che le sembrava pomodoro.
- Non saprei come sdebitarmi. Non ho soldi con me. -
- Non voglio niente, basta che non tocchi nulla con le tue mani lerce.
Anzi, levati di mezzo che mi porti via la clientela. -
- Ne è sicuro? Insomma... -
- Ragazzina, non ho tempo per discutere, gli affari sono affari e
questo è il mio modo di arrotondare la paga. Sparisci, o il
vecchio Behrang ti prende a calci finché non ti metti a
correre. - afferrò le pinze, le stesse che aveva usato per
prendere il suo sgombro, e gliele puntò sotto il naso, -
Sono stato chiaro, insetto stecco? Pensi di poter fare
“puff” con le tue gambine, oppure hai bisogno che
ti aiuti? -
Come se avesse alle spalle una muta di cani da caccia, Nemeria si
defilò, confondendosi tra la folla. Lo scatto iniziale
finì quasi subito, d'altronde la sua intenzione era solo
quella di mettere una minima distanza tra lui e il carretto. Adesso non
le faceva più paura, non come prima, la sua gentilezza
l'aveva lasciata disarmata, sebbene alla fine l'avesse scacciata in
malo modo.
“Che tipo strano. Prima mi offre un panino e poi mi manda via
così. Hediye mi aveva detto che i besajaun sono volubili, ma
non credevo fino a questo punto. La prossima volta mi
inviterà nella sua osteria per poi buttarmi fuori a calci
nel sedere?”
Si trovava sulla stessa strada maestra che aveva percorso al suo arrivo
a Kalasprit. Le parve di riconoscere nel profilo di uno dei soldati che
sonnecchiava nella guardiola lo stesso che aveva incontrato quando
aveva fatto il suo ingresso in città. Non voleva tornare
alla tana, né avere a che fare con nessuno dei membri della
famiglia fino alla mattina seguente.
Inspirò l'aria fredda della sera e riprese a passeggiare.
Anche se non poteva comprare nulla, si fermò a guardare da
lontano le bancarelle, soprattutto quelle che vendevano animali. Rimase
impressionata in particolare da un venditore che metteva in mostra un
cavallo dall'aspetto a dir poco fiero. Era un baio dal pelo corto, la
criniera lunga e serica e gli occhi enormi e intelligenti che fissavano
i possibili compratori. Sembrava mansueto e brucava di tanto in tanto
il fieno che il venditore gli porgeva prima di tornare a elogiarlo.
Nemeria non riusciva a staccargli gli occhi di dosso, tant'è
che solo in un secondo momento si accorse di una presenza alle sue
spalle.
- Noriko! Che ci fai qui? - esclamò sconvolta.
- Quindi eri andata davvero a farti un giro... - disse ansante, piegata
sulle ginocchia per la corsa sfrenata che doveva aver fatto dalla tana,
- Potevi dirmelo, sarei venuta con te. -
- Non capisco perché tu mi abbia seguita. -
- Non è una buona idea girare da soli per le strade, anche
in un quartiere così movimentato. -
- In qualsiasi caso, non avrei di certo scelto te per accompagnarmi. -
Noriko le piantò le unghie nel braccio e la costrinse a
indietreggiare. Per quanto Nemeria tentasse di liberarsi, la presa era
salda e quando la tirò fuori dalla folla con uno strattone
non riuscì a opporre la benché minima resistenza.
- Che cosa ti prende?! Mi fai male! -
Provò a divincolarsi, ma la ragazza l'avvolse in un
abbraccio soffocante. Le tenne il capo con una mano e il viso contro la
sua spalla, quasi volesse proteggerla.
- C'è qualcuno che ti sta pedinando. Non so chi sia, ma
è da quando sei arrivata qui che non ti perde di vista un
attimo. -
- Non prendermi in giro, non sono stupida. Me ne sarei accorta. -
La afferrò per i fianchi e spinse per allontanarla, ma
Noriko non si smosse, anzi rinserrò la presa e la strinse
fino a far aderire i loro corpi. Nemeria poteva sentire le ossa dei
loro bacini a contatto, la sua pancia scavata che si scontrava contro
quella tonica e muscolosa della sua compagna.
- Non sto scherzando. Lo so che mi detesti, ma non mi abbasserei mai a
raccontarti una storia del genere solo per convincerti a stare con me.
- si guardò intorno, la mandibola contratta e gli occhi che
scrutavano attenti la folla, - Alla tua destra, vicino al giocoliere e
al mangiafuoco. Fingi di star osservando lo spettacolo, non deve sapere
che ti sei accorta di lui. -
Non appena Noriko la lasciò, Nemeria, dopo averle scoccato
un'occhiata risentita, fece come le aveva detto. All'inizio non
notò niente di strano, i due artisti di strada si
prodigavano in numeri sempre più difficili e pericolosi,
attirando molti spettatori. In mezzo alla calca, però,
intercettò un movimento e la luce delle lanterne
rimbalzò su una superficie metallica.
Dalle labbra del mangiafuoco scaturì una potente fiammata e
ricevette uno scroscio di applausi e di gridolini di stupore.
Il fuoco tracciò alcuni dettagli della figura incappucciata:
un'armatura nera, una daga appesa al fianco e una maschera,
più bianca dell'avorio, con due fori per gli occhi e una
piccola lacrima rossa.
Nemeria divenne una statua di sale e le gambe cominciarono a tremarle
pericolosamente. Se non ci fosse stata Noriko a sorreggerla quando le
ginocchia le cedettero, sarebbe caduta a terra.
L'avevano trovata, alla fine.
- Calmati, non c'è alcun pericolo. Se non ti ha avvicinata
sinora è perché attendeva che fossi da sola. Ora
torniamo a casa. Passeremo per le vie affollate, così
sarà più semplice seminarlo. Non ti allontanare
da me, per nessuna ragione al mondo. -
Nemeria annuì, anche se il suo cervello aveva captato solo
parte del discorso. Non si oppose né quando Noriko la prese
per mano né quando la condusse attraverso la strada a passo
svelto. Era tutto diventato tetro e minaccioso, il mondo aveva perso i
suoi colori e ora qualsiasi ombra sembrava essere il nascondiglio di un
mostro, di uno spettro, di uno di quei sicari. Nemmeno la luce era
più in grado di difenderla.
Quando giunsero a un crocevia, Noriko aumentò l'andatura,
svoltò in una viuzza laterale, spostò veloce una
grata e la spinse dentro senza alcuna grazia. Prima ancora che Nemeria
mettesse i piedi sulla pietra, la rossa aveva già richiuso
il passaggio e iniziato a scendere le scale. Nel buio gli occhi di
Noriko brillavano come minuscoli soli, la sua presenza incombente e
confortante al tempo stesso.
- Tu sai chi ti stava seguendo. - commentò in tono neutro,
sbirciando in direzione di Nemeria.
Nemeria andò a sbattere contro il muro e si
lasciò scivolare a terra, gli occhi bassi e il cuore che le
galoppava nel petto alla stessa velocità con cui pulsava la
pietra di luna. I pensieri vorticavano impazziti e sconclusionati, non
riusciva a dare un senso logico a quello che voleva dire. Non voleva
analizzare quello che aveva visto, sarebbe crollata all'istante.
Noriko sospirò e le si parò davanti. Il suo
calore passava attraverso il lino logoro dei pantaloni e le accarezzava
la pelle delle ginocchia.
- Non permetterò che ti faccia del male. Non sono un
Dominatore, ma so combattere. Se quell'uomo, chiunque egli sia,
proverà anche solo ad avvicinarsi, lo manderò
via. - dichiarò solenne.
- Tu non puoi niente, lui ti ucciderà! Ti
ucciderà come ha fatto con Etheram, Rakhsaan, la Grande
Sacerdotessa e tutti gli altri. - pigolò, si premette le
mani sulle orecchie e artigliò il cuoio capelluto fino a
farsi male, - Lui mi troverà, non posso fuggire. Ovunque
vada, lui... loro scoveranno le mie tracce e prima o poi mi
prenderanno. -
- Chi sono? -
- Non lo so! Sono apparsi dal nulla e hanno trucidato tutti i membri
della mia tribù. La magia delle Anziane non funzionava,
nemmeno la Grande Sacerdotessa ha potuto fare nulla! -
Noriko si inginocchiò e la strinse a sé. Le
accarezzò la testa con movimenti lenti e delicati,
respirando piano. La sua vicinanza fece sentire Nemeria protetta, tanto
che persino i rumori delle gallerie, improvvisi e sempre spaventosi, si
erano trasformati in morbidi e innocui fruscii.
- Non so chi tu sia, né da dove tu provenga, ma te lo giuro,
farò tutto ciò che è in mio potere per
proteggerti. Tu però devi permettermi di farlo. Devi
cominciare a fidarti di me. - sussurrò Noriko.
- Perché? -
- Questo non è importante. - si allontanò in modo
da poterla guardare negli occhi e si appropriò di una ciocca
bianca, - Hai un aspetto molto singolare, domani vedremo di fare
qualcosa per renderti il più normale possibile. Ora torniamo
a casa. -
Nemeria la fissò un momento e per un secondo le parve di
vedere un riflesso liquido nello sguardo della sua compagna. Avrebbe
voluto chiederle cosa le era successo per renderla la persona che era,
ma si limitò a prenderle la mano e a farsi condurre
attraverso le gallerie. Per la prima volta da quando era entrata a far
parte della famiglia, Nemeria si accorse di non avere più
paura del buio.