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Autore: Elizabeth_2206    09/04/2017    1 recensioni
"Hallelujah ci porta attraverso un immenso spettro di luoghi emozionali, spiegando quanti tipi di alleluia esistono, e che tutte le alleluia perfette e infrante hanno lo stesso valore. E' un desiderio di affermazione della vita con entusiasmo, con emozione. Chiunque la ascolti chiaramente scoprirà che è una canzone che parla di sesso, di amore, della vita sulla terra. L'alleluia non è un omaggio ad una persona adorata, a un idolo o un Dio. E' un'ode alla vita e all'amore."
1900, Casa Hawkeye. L'arrivo di una persona cambia per sempre il futuro dei suoi abitanti. E' l'analisi dell'adolescenza di Riza e di come si trova ad interagire con tutti i tipi di amore che esistono. Il racconto di come le vite di quella ragazzina e di Roy Mustang si sono intrecciate per sempre.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Berthold Hawkeye, Riza Hawkeye, Roy Mustang | Coppie: Roy/Riza
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Hallelujah'
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Hallelujah
#10 – The Grave
And I’ve seen your flag on the marble arch
And love is not a victory march
It’s a cold and it’s a broken Hallelujah

Riza scostò le foglie secche dalla lapide, per poi posare con cura il mazzo di crisantemi sulla superficie liscia. Si inginocchiò lentamente, e con una mano andò ad accarezzare la tomba.
“Ciao, Mamma.”

Il vento freddo di Novembre le sferzava i corti capelli, mentre si stringeva nel cappotto scuro.
Erano passati tre lunghi mesi da quando Roy se n’era andato da casa sua, e tutto quello che Riza ora sentiva era vuoto.
Fissò l’orizzonte, dove il sole ancora basso brillava opaco, nascosto da una spessa coltre di nubi bianche.
Il silenzio avvolgeva il cimitero.
Riza si voltò verso la lapide, dove era inciso, con abile maestria, il nome di sua madre, Elizabeth, mentre il cognome era quello da sposata, Hawkeye. Quello era il luogo dove, cinque anni prima, lei era stata seppellita.
L’ultima volta che era stata lì, un anno prima, aveva parlato alla donna di tutte le sue speranze per il futuro; di quanto la sua vita fosse migliorata, da quando Roy era entrato a farne parte; anche della guerra, sebbene la vedesse così distante e inaccessibile.
‘Adesso è tutto diverso.’

Roy se n’era andato, la guerra era così vicina, e suo padre…
Suo padre.

La mattina in cui il ragazzo era partito, Riza era rimasta chiusa nella sua stanza quasi tutto il giorno. Lo aveva fissato andare via, all’alba, e aveva pregato che si voltasse fino a quando lui non aveva varcato il cancello, diretto verso una nuova vita, verso la guerra.
Non aveva detto nulla a suo padre fino all’ora di cena, quando gli aveva portato un pasto caldo.
“Perché il ragazzo non è venuto, oggi?”
“Se n’è andato.”

Berthold si era bloccato improvvisamente, smettendo, per un attimo, di scrivere fra i suoi appunti, e aveva alzato la testa verso il muro di fronte a lui.
“Immaginavo che prima o poi sarebbe successo.”

E quelle furono tutte le parole che l’uomo disse, per quella sera.
Sembrava insofferente a quella notizia, e Riza avrebbe voluto riuscire anche lei a non curarsene, ad odiare quel ragazzo.
Però… quanto avrebbe voluto avere indietro quelle braccia calde e morbide in cui tuffarsi, ogni volta che gli incubi e i deliri di suo padre tornavano sempre più prepotenti. Avrebbe voluto ancora sentire quella sicurezza, che in quei quattordici anni della sua vita solo due persone erano riuscite a darle.

Riza scosse la testa, cercando di scacciare il pensiero. Non voleva pensare a Berthold, mentre era lì, davanti alla tomba di sua madre. Le sembrava un torto nei suoi confronti.
Dei passi silenziosi interruppero il treno dei suoi pensieri, e la portarono a voltare a testa verso il sentiero principale.
Quattro uomini sorreggevano una bara, preceduti dal sacerdote e da una donna vestita di nero. Sopra di essa, la bandiera verde con il drago argentato di Amestris svettava in tutta la sua magnificenza.
Riza li osservò in silenzio mentre calavano la cassa nel terreno e fissavano la lapide sopra di essa.
Guardò come piegavano la bandiera e la lasciavano sul marmo, come un monito.
Fissò la donna in nero crollare in ginocchio davanti alla sepoltura e appendersi ad essa, invocando il nome di qualcuno che non c’era più.
Il vento gelido le arrivò fino al cuore, dove sentiva un dolore lancinante.
‘Sarà così anche per te? La prossima volta che ti rivedrò, sarai tre metri sotto terra?’

Sospirò e si voltò un’ultima volta verso la tomba della madre.
Non era così che doveva andare.
Si alzò in piedi e si diresse verso casa, mentre i crisantemi oscillavano mossi dal vento.



Quando rientrò, l’accolse solo il silenzio. Scosse i piedi sullo zerbino per non sporcare il pavimento che il pomeriggio precedente aveva lavato, poi appese il cappotto nero all’attaccapanni all’ingresso.
Si diresse in cucina e aggiunse un tronchetto dentro la stufa. Faceva troppo freddo in quella casa.
Con diligenza e silenzio cominciò a preparare uno stufato, di quelli che era solita fare d’inverno, quando Roy si lamentava della temperatura.
Dopo aver messo la carne sul fuoco, si sporse verso il salotto per guardare l’ora sul vecchio pendolo.
Poi lasciò la stanza, mentre lo stufato si cuoceva. Salì le scale, chiedendosi cosa avrebbe potuto fare nel mentre.

Il giorno precedente aveva lavato tutti i pavimenti della casa. Quello prima aveva fatto tutto il bucato.
In generale, in quei tre mesi, aveva svolto le pulizie quasi ogni giorno; aveva cercato di passare il tempo così, non sapendo che fare.
Per via della guerra, i corsi scolastici non erano ricominciati a Settembre e a Riza nemmeno mancavo più di tanto.
Per questo motivo si era applicata nell’unica cosa che le riusciva facile e bene, tanto che ormai dubitava che nella casa ci fosse ancora un angolo impolverato.

A parte lo studio di suo padre e la vecchia stanza di Roy, ovviamente.

Ma, per quanto per la prima delle due ci fosse una motivazione più che valida, ovvero la costante e inquietante presenza di Berthold, per la seconda Riza non aveva nessuna scusa, a parte la propria debolezza.
Così fissò la porta scura, fece un respiro profondo e varcò la soglia.

Il motivo per cui Riza, da quando il ragazzo se ne era andato, non aveva messo piede lì dentro era che sapeva che l’avrebbe fatta stare male.
E infatti, non appena si rese conto che, oltre ai mobili e gli asciugamani, le uniche cose nella stanza erano quelle che lei aveva regalato a Roy, una sensazione strana la si insediò nel petto.
Scrutò con lo sguardo il paio di guanti, la vecchia foto, il segnalibro di foglie e i vari regali o ricordi che riguardavano i loro momenti insieme, sparsi sul comodino e sulla scrivania come se fossero reliquie.
‘Voleva dimenticarsi di me… voleva lasciarmi qua, insieme a tutti questi oggetti.’

Scosse la testa; forse era davvero meglio così. Non c’era ragione di tergiversare ancora sulla faccenda.
Roy aveva preso una scelta e, seppure non la comprendesse del tutto, per Riza era meglio imparare ad accettarla e conviverci.
Si arrotolò le maniche del maglione e decise di cominciare a pulire.



Era passata quasi un’ora, quando Riza sentì una porta aprirsi, dall’altra parte del corridoio.
Si sporse dall’uscio, per verificare chi fosse; nonostante fosse consapevole che insieme a lei c’era una sola persona in quella casa, le sembrava una cosa tanto assurda che doveva vederlo con i suoi occhi, altrimenti non ci avrebbe creduto.
E Berthold Hawkeye era lì, davanti a lei, in mezzo al corridoio.

Era tanto che Riza non lo vedeva in piedi, per cui rimase per un attimo in silenzio ad osservarlo. Ora che non era seduto, dimostrava il suo metro e ottanta di altezza, anche se la postura reclinata aveva curvato pesantemente le sue spalle.
I capelli biondo cenere scendevano lunghi ed incolti, e la ragazza si chiese da quanto tempo l’uomo non facesse una doccia. Gli occhi erano limpidi e la fissavano concentrati, la bocca era semi aperta.
L’uomo allungò un braccio tremante nella sua direzione, e Riza fece istintivamente un passo indietro.
Poi Berthold cominciò a sputare sangue.




Quando il Dottor Logan uscì dalla stanza da letto di Berthold, Riza era appoggiata al muro, affianco alla porta, con un’espressione assente negli occhi.
L’uomo richiuse l’uscio dietro di sé e poi si rivolse alla ragazza, con un sorriso gentile e uno sguardo preoccupato negli occhi.
“Ragazza mia, devi aver passato davvero un brutto quarto d’ora.”

Riza annuì mestamente, ripensando a come, dopo aver visto suo padre stare male, l’avesse trascinato prima verso il bagno, cercando di fermare quell’attacco di tosse; e di come fosse corsa fuori di casa, fino al paese, a bussare alla sua porta perché andasse al più presto a casa sua. Una smorfia le passò il viso, mentre il medico le faceva cenno di seguirlo lungo le scale.
“Non credo sia il caso di fare tanti giri di parole: tuo padre ha la Tisi, esattamente come tua madre. E’ una malattia spesso latente; probabilmente l’ha contratta quando tua madre era ancora viva, ma solo recentemente il batterio ha innescato la vera e propria malattia.”

La ragazza ripensò alle condizioni in cui versava l’uomo quando era uscito dalla stanza.
'Non mi meraviglio che sia successo.’

“C’è qualcosa che posso fare?”
“Per ora è il caso che tuo padre rimanga a riposo. Ti prescriverò degli impacchi specifici che dovrai fargli diverse volte al giorno; e inoltre dovrai controllare che la febbre non salga troppo.”

Nello sguardo della ragazza si leggeva il panico, così il dottore si voltò verso di lei e la prese per le spalle.
“Ascoltami, Riza. Dovrai mettercela tutta e fare quello che ti dirò. Non frequenti corsi scolastici, giusto?”

La ragazza scosse la testa, continuando a fissarlo negli occhi.
“Allora, tre volte a settimana, presentati a casa mia. Sto cercando di gestire, per quelli come te che sono rimasti qua in paese, un piccolo corso di primo soccorso. Non si sa dove questa guerra ci porterà…

Scosse debolmente la testa e riprese.
“Ad ogni modo, vieni. Ti spiegherò nel dettaglio come aiutare tuo padre e altre nozioni che potranno esserti utili in futuro. Non credo che tuo padre potrebbe avere nulla in contrario.”

La ragazza annuì mestamente e deglutì.
Il Dottor Logan si congedò e uscì di casa, lasciandola di fronte all’ennesimo incubo.
Tornò al piano superiore e si avvicinò alla stanza di suo padre. Socchiuse la porta e sbirciò dentro, cercando di scorgere la sua figura.
“Riza, vieni dentro.”

La ragazza sussultò, poi aprì la porta e fece come l’uomo le aveva detto.
Si fermò ai piedi del letto, mentre Berthold la fissava silenzioso.
“Dimmi, Papà.”
“Ho bisogno che tu porti in questa stanza i miei appunti e i miei libri di Alchimia. Se sono costretto qua, voglio poter continuare la mia ricerca. E’ quasi terminata…

Riza annuì, mentre una sensazione di delusione le si insinuava nell’anima.
“Inoltre, pulisci per bene il mio studio. Non voglio che rischi di ammalarti anche tu.”
“E’ tutto?”
“Si, puoi andare.”

Riza uscì dalla camera in religioso silenzio e si portò a passi lenti verso la propria. Quando ebbe chiuso la porta dietro di sé, si lasciò cadere a terra, nascondendo la testa dietro alle ginocchia.
‘Mamma, aiutami ti prego.’




















Note dell'autrice:
Dopo due settimane di intenso studio e impegni sportivi, finalmente aggiorno con un capitolo che beh, è un bel mattone.
Ci sono diverse cose che devo dire per quel che riguarda l'interpretazione, per cui abbiate un po' di pazienza.
•) Innanzitutto, la tomba. Quando Riza e Roy parlano di fronte alla tomba di Berthold, si vede  (almeno, nel manga) che ai loro piedi ci sono due tombe, per cui immagino che una di loro sia stata quella della madre di Riza, Elizabeth.
Non mi sembra strano che almeno una volta all'anno Riza vada a trovarla; e tantomeno che le parli. O, almeno, io conosco una persona che fa questo. Dice che in questo modo sente ancora vicina a sè la persona che ha perso, e al tempo stesso riesce a comprendere quali sono le cose della sua vita che hanno determinato un cambiamento significativo. Per questo motivo anche la nostra piccola Riza lo fa. Inoltre porta alla madre dei crisantemi, che hanno un duplice significato: nella mentalità occidentale (in particolar modo cristiana) sono il simbolo della morte; nella tradizione orientale invece rappresentano la vitalità.
•) La scena del funerale. In questa strofa di Hallelujah, Cohen dice 'I've seen your flag on the marble arch': Ho voluto tradurre marble arch come tomba, lapide; immaginando che la bandiera posatavi sopra sia quella di Amestris, che, da quando il ragazzo è entrato in accademia, è anche la bandiera di Roy. Poi, i versi 'Love is not a victory march/it's a cold and it's a broken Hallelujah' li ho voluti riassumere nelle poche righe in cui la donna abbraccia la tomba del proprio caro (che nella mia immaginazione è suo figlio): 'L'amore non è una marcia di vittoria', ovvero non è vincendo la guerra che si fa del bene a qualcuno. Anzi, é una cosa che fa soffrire ancora di piú le persone.
•) Le pulizie. Sono il modo che Riza utilizza per buttare fuori tutta al tensione, la rabbia, la delusione e il dolore per la partenza di Roy. E' una delle poche cose che la ragazza sa fare bene, per cui la vede come una via d'uscita semplice. Ovviamente, le due stanze che ha tralasciato sono quella di Roy e lo studio di Berthold. Ma, se per la prima Riza è in grado di affrontare la motivazione che le impedisce di entrare, per quel che riguarda lo studio di Berthold l'unico modo per farla interagire con essa è che sia obbligata.
Lei ancora non lo sa, ma sta preparando tutto ciò che servirà per la creazione dell'eredità di Berthold.
Ed è sempre questo il motivo per cui l'uomo si preoccupa che lei non si ammali: ha maturato una mezza idea su come preservare i suoi studi, e non può permettersi che Riza muoia.
•) Breve digressione sulla Tisi.
La Tisi, o anche Tubercolosi o Consunzione, era una malattia molto comune nella seconda metà dell'Ottocento e nella prima metà del Novecento, tanto da essere la causa della maggior parte dei decessi: il motivo era che era facilissimo contrarla, portando con sè i batteri anche per lungo tempo, prima che essi si attivassero e la vera e propria malattia cominciasse; ed è questo il caso di Berthold. Ad ogni modo, all'inizio del Novecento non ne sapevano moltissimo, in particolare per quel che riguarda le cure: nel 1905 si scoprì che era legata al latte di un tipo specifico di Bovini; ma i primi vaccini cominciarono solo dal 1915 e comunque c'è da ricordarsi che l'alta medicina non era alla portata di tutti. Esattamente come non è alla portata di Riza.
•) L'idea del corso di 'primo soccorso'. Riza ha delle essenziali nozioni di medicina: quelle che ha applicato a sè stessa dopo che Roy le ha bruciato il tatuaggio. Infatti, sappiamo che loro due e Berthold sono gli unici a conoscenza di quel segreto, e Riza (che fosse stata aiutata da Mustang oppure no) necessitava di sapere almeno le minime nozoni di medicina. Inoltre, per vivere con un malato di TBC, deve per forza sapere come curarlo, e non credo nè che le conoscenze le arrivino tramite miracolo divino nè tantomeno che basta le siano dette una volta perchè lei le capisca e sia in gardo di curare suo padre; non di certo a quattordici anni.
Ad ogni modo, questo è tutto. Il prossimo capitolo riguarderà l'avvenimento che ha cambiato la vita di Riza, per cui sarà abbastanza complicato da scrivere. Spero di risucire a pubblicare durante le Vacanze di Pasqua, ma non prometto nulla.
A presto, non vedo l'ora di sentire i vostri pareri!
-Elizabeth
   
 
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