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Autore: Christine Enjolras    09/04/2017    1 recensioni
Marius Pontmercy, sedici anni, ha perso il padre e, nel giro di tre mesi, è andato a vivere con il nonno materno, ora suo tutore, che lo ha iscritto alla scuola privata di Saint-Denis, a nord di Parigi. Ora Marius, oltre a dover superare il lutto, si trova a dover cambiare tutto: casa, scuola, amici... Ma non tutti i mali vengono per nuocere: nella residenza Musain, dove suo nonno ha affittato una stanza per lui dai signori Thénardier, Marius conoscerà un eccentrico gruppo di amici che sarà per lui come una strampalata, ma affettuosa famiglia e non solo loro...
"Les amis de la Saint-Denis" è una storia divisa in cinque libri che ripercorre alcune tappe fondamentali del romanzo e del musical, ma ambientate in epoca contemporanea lungo l'arco di tutto un anno scolastico. Ritroverete tutti i personaggi principali del musical e molti dei personaggi del romanzo, in una lunga successione di eventi divisa in cinque libri, con paragrafi scritti alla G.R.R. Martin, così da poter vivere il racconto dagli occhi di dodici giovanissimi personaggi diversi. questo primo libro è per lo più introduttivo, ma già si ritrovano alcuni fatti importanti per gli altri libri.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Bossuet

La giornata stava scorrendo lentamente per Bossuet: quella lezione di matematica sembrava non finire mai e le lancette dell’orologio giravano con una lentezza mai vista. Avrebbe voluto cercare di seguire, ma proprio non ci riusciva: era addirittura sicuro di essersi addormentato ad un certo punto, ma non ci diede peso perché tanto di matematica non ci capiva assolutamente nulla. Tutte quelle formule assurde, quei numeri lunghi e complicati, quei teoremi senza senso, dimostrazioni impossibili da ricordare, tutte quelle lettere… che poi: perché diavolo ci sono le lettere nella matematica? Insomma: bisogna fare dei calcoli oppure una gara di spelling? A cosa possono mai servire le lettere? Aveva tentato di capire qualcosa delle funzioni, ma ci aveva rinunciato presto: lo avrebbe chiesto a Joly quella sera a casa, visto che lui nelle materie scientifiche e logiche non aveva il minimo problema. Loro che frequentavano l’indirizzo scientifico erano più avanti di lui in matematica, quindi era sicuro che il suo ragazzo avrebbe saputo aiutarlo. Deciso a non far fumare il suo cervello più di quanto non avesse già fatto, Bossuet si gettò indietro sulla sedia e iniziò a pensare a quando quella sera avrebbe chiesto a Joly di spiegargli la lezione: si sarebbe sicuramente seccato, ma alla fine avrebbe accettato. A Bossuet non importava nulla della spiegazione: voleva solo restare un po’ da solo con il suo ragazzo. Paradossalmente, tra una trovata e l’altra di Courfeyrac, la scuola, la leggera influenza di Joly e le sue preziosissime otto ore di sonno, i due ragazzi non erano ancora riusciti a prendersi tanto tempo per stare da soli come si deve da quando erano tornati a Saint Denis dopo le vacanze, salvo la notte prima di andare in piscina… ma oramai erano passate quasi due settimane. A Bossuet la cosa dava parecchio fastidio: tra non molto si sarebbero trovati entrambi sommersi dallo studio e dai compiti, soprattutto lui che era all’ultimo anno.

Già… l’ultimo anno. Quel pensiero era l’unico che riusciva a demolirlo completamente: aveva solo nove mesi da passare ancora con il suo ragazzo e i suoi amici in quel piccolo comune a nord di Parigi, poi avrebbe dovuto rientrare nella capitale per frequentare l’università di legge. Cercava sempre di pensare a godersi ogni momento, ogni esperienza che avrebbe fatto assieme agli altri, eppure ogni tanto succedeva che quel pensiero fisso lo buttasse giù. Più volte, prima di dormire, Joly, segnando i giorni che passavano sul calendario come da sua abitudine, si era lasciato sconfortare da questo evento sempre più imminente e vicino. Prendeva in mano il pennarello nero e faceva una piccola croce sul numero del giorno appena finito, restava a fissare il calendario con la mano tremolante e si lasciava cadere sul letto con gli occhi pieni di tristezza. Davanti a questa situazione, Bossuet si sforzava ogni volta di restare di buon umore, cercando con tutte le forze di sorridere, poi si sedeva accanto a Joly, gli carezzava la nuca e lo avvolgeva in un grande abbraccio, ripetendogli che sarebbe andato tutto bene. Si conoscevano da tre anni, in cui erano stati assieme tutti i giorni, e da altrettanti condividevano la stessa stanza; lui era stato il primo con cui Joly si era sentito di essere sé stesso, ed erano quasi due anni che avevano una relazione: chiunque avrebbe capito lo stato d’animo di Joly nel vedere che quella storia che aveva cambiato la sua vita stava per finire come un sogno al mattino. Bossuet non si permetteva di buttarsi giù, ma questo non significava che per lui il pensiero non fosse doloroso: anche a lui l’incontro con Joly aveva cambiato completamente la vita per sempre. Non riusciva a pensare che quella fosse solo una storia tra adolescenti, di quelle che oggi si sta assieme e domani chissà: fin da subito avevano dato qualcosa l’uno all’altro, si erano aiutati a vicenda e si erano spinti oltre i loro limiti grazie al sostegno del compagno. No, la loro non era di certo una storia come tante: insieme erano migliori perché insieme stavano crescendo. Bossuet si era innamorato di quella tenera fragilità fin da subito: gli era impensabile lasciare andare via Joly così, solo perché non avrebbero più frequentato la stessa scuola e sarebbero stati in due città diverse. Qualcosa si sarebbe inventato, non avrebbe mai permesso alla distanza di portargli via ciò che sentiva di avere di più importante.

Al pensiero dell’abbandono di Joly, si collegò subito anche quello dell’abbandono dei suoi amici e questo gli fece tornare alla mente un ricordo: era più di una settimana che doveva parlare con Enjolras di una cosa importante. Come la campanella finalmente suonò, Bossuet recuperò le sue cose, si congedò dai suoi compagni di classe e corse giù per la scala di servizio verso la biblioteca: sapeva che Enjolras e Marius avrebbero avuto l’ultima ora libera, quindi era sicuro di trovarlo lì, secchione com’era quel ragazzino. Dovette farsi largo tra tutti gli studenti che riempivano il corridoio diretti alla mensa, ma alla fine arrivò nella grande sala ricca di scaffali. Cercò a lungo nell’ampio atrio centrale correndo tra un tavolo e l’altro, sfidando così le ire della bibliotecaria, ma non lo vide. Iniziò a chiedersi se non avesse sopravvalutato il suo impegno nello studio, poi un’idea lo folgorò: dove altro poteva essere quel fissato di Enjolras se non nella sezione della biblioteca dedicata ai libri di diritto? Bossuet vi corse subito e lo vide accanto allo scaffale dei libri sul diritto costituzionale, con la testa appoggiata alla mano e lo sguardo fisso su un grande tomo. Bossuet rimase a guardarlo per un po’, poi gli venne da ridere: il biondino era così concentrato sul libro che stava leggendo da non accorgersi nemmeno che un numeroso gruppetto di studentesse, passando alle sue spalle, lo aveva guardato e aveva iniziato a ridacchiare. Allora Bossuet decise di risollevarsi il morale facendogli uno scherzo: si avvicinò di soppiatto, accostò il viso all’orecchio del suo amico e disse ad alta voce: “Bu!”

Enjolras balzò sulla sedia e si girò di scatto verso di lui con un sussulto, i grandi occhi azzurri spalancati per lo spavento. “Bossuet!” disse il ragazzo riconoscendolo. “Mi hai spaventato a morte!”

“Eri così perso dentro a quella noia mortale che non potevo non approfittarne!” gli rispose ridendo.

“Noia mortale? Tu studi diritto! Come puoi trovarlo noioso?”

“Beh, ci sono cose più interessanti del diritto costituzionale” disse Bossuet sorridendo. “Nel caso del diritto, io trovo più interessante il diritto penale, mentre nella vita ci sono cose decisamente più affascinanti…” Poi sentì qualcuno ridacchiare alla loro destra, non lontano da loro, così si girò in quella direzione: il gruppetto di ragazze che aveva visto prima stava ancora osservando il ragazzo dai capelli dorati, ma lui parve non farci caso, anche se Bossuet era sicuro che non se ne fosse nemmeno accorto. Il ragazzo pelato si lasciò scappare un risolino e fece notare ad Enjolras, sussurrandogli nell’orecchio: “…quelle ragazze, per esempio, trovano più affascinante te rispetto a quello che stai leggendo!”

Enjolras sembrò imbarazzarsi: arrossì sgranando gli occhi, si voltò di scatto verso le ragazze, le quali aumentarono le risatine incrociando il suo sguardo, e tornò fulmineo a guardare il suo libro. “N-Non dire idiozie…” si lasciò sfuggire Enjolras irritato, ma ancora rosso in viso per il disagio.

Bossuet restò a guardarlo mentre cercava di ignorare il fatto di essere fissato da quelle studentesse, poi si lasciò scappare una risata e disse: “Mi spiace deluderti, ma non credo di aver detto stronzate!” Poi il suo sguardo si intenerì e, mentre si sedeva accanto a lui, pizzicandogli una guancia con l’indice e il medio aggiunse: “Non puoi farci nulla se la natura ti ha creato attraente: dovrai accettarlo!”

Una volta il biondo ragazzo si sarebbe irritato da questo gesto, Bossuet lo ricordava bene, ma in questo caso non ebbe alcuna reazione, se non un rassegnato risolino accompagnato da uno scuotimento di testa ad occhi chiusi: questo fece pensare a Bossuet che Enjolras avesse fatto l’abitudine ai suoi piccoli gesti affettuosi. Del resto, nonostante avesse un gran rispetto per Enjolras e il suo carattere forte, il ragazzo pelato aveva trovato una certa tenerezza in lui quando si erano conosciuti: Enjolras lo aveva sempre riempito di domande sul suo indirizzo di studi e su quello che sentivano al telegiornale della sera, almeno finché non ne aveva saputo più di lui sull’argomento, e poi il suo totale smarrimento davanti a quel mistero chiamato romanticismo lo aveva sempre incuriosito e intenerito assieme. Bossuet vedeva come ragazze e, qualche rara volta, anche ragazzi guardavano quel suo piccolo amico o gli parlavano con interesse, ma Enjolras sembrava non accorgersene mai: lo sguardo confuso che aveva ogni volta che i suoi amici lo prendevano in giro per aver rimorchiato qualcuno lo faceva sembrare così ingenuo e inesperto, che Bossuet lo vedeva come un fratellino a cui doveva insegnare ancora tantissime cose. Dopo due anni, ai suoi occhi Enjolras era cambiato e cresciuto molto, tanto da ammirarlo per la sua ferma decisione; ma quando vedeva i suoi occhi azzurri spalancarsi per la confusione o l’imbarazzo, rivedeva quel ragazzino spaesato che tanto lo aveva sempre intenerito e non poteva fare a meno di dargli un’arruffata di capelli o un buffetto sulla guancia, esattamente come faceva quando erano più piccoli.

“Sei venuto qui solo per parlarmi di madre natura o c’è qualcosa che devi dirmi?” disse Enjolras appoggiandosi allo schienale della sedia.

“Hai ragione, scusa” disse Bossuet, tornando serio. Poi appoggiò un gomito sul tavolo, mise una mano sullo schienale della sedia di Enjolras e si protese in avanti verso di lui. “Ricordi che la settimana scorsa dicevo di doverti parlare?”

Enjolras fissò per diversi secondi un punto imprecisato, quasi stesse facendo mente locale. “Cazzo!” esclamò sgranando gli occhi. Poi li chiuse con espressione dispiaciuta e tornò a guardare il suo amico, proseguendo: “Me ne ero completamente scordato, scusami!”

“Nah, non preoccuparti!” lo rassicurò Bossuet. “Io ero occupato a tenere d’occhio Joly; tu hai dovuto pensare alle sbronze di Grantaire, al problema di Jehan, alle follie di Courfeyrac, a far da paciere tra lui e Bahorel e mi hai aiutato con le paranoie di Joly, senza contare che vedo che hai pure in ballo qualcosa con Feuilly e che stai aiutando tu Marius ad inserirsi per bene. Non mi sorprende che ti sia dimenticato e non mi è sembrato giusto disturbarti: ci mancavo solo io a darti noie!”

“Ma che noie?” disse Enjolras leggermente sorpreso. “Non è un problema darvi una mano!”

“Beh, ma non potete fare tutto tu e Combeferre: se posso darti meno cose a cui pensare, lo faccio…” disse Bossuet, un po’ esitante. “Solo che stavolta ho davvero bisogno del tuo aiuto…”

Enjolras si fece molto serio: probabilmente aveva capito che c’era in ballo qualcosa di importante. Restò immobile in silenzio per qualche istante, con lo sguardo fisso su Bossuet; poi appoggiò i gomiti sul tavolo, incrociando le braccia, si tirò in avanti e disse: “Dimmi di che si tratta.”

 

“Enjolras, per favore, non correre!” Bossuet iniziò a pensare di aver creato un mostro: Enjolras avanzava spedito verso la scala monumentale, facendosi largo tra la folla di studenti che si stava recando alla mensa.

Per tutto il tempo in cui Bossuet gli aveva spiegato la situazione, il biondo ragazzo non si era nemmeno espresso: aveva ascoltato il racconto fino alla fine con attenzione, mantenendo lo sguardo serio, pieno di quel fervore tendente alla rabbia che da sempre lo caratterizzava. Alla fine del racconto, si era alzato dalla sedia, aveva recuperato le sue cose in silenzio e si era diretto verso l’uscita. Quando Bossuet, confuso dalla sua reazione, gli aveva chiesto dove stesse andando, lui gli aveva risposto lapidariamente: “Da Javert!” Bossuet aveva subito pensato che fosse una follia dirigersi dal professore proprio ora che c’era la pausa, che forse sarebbe stato meglio attendere la fine delle lezioni, ma, nonostante glielo avesse detto durante il tragitto, Enjolras sembrava non aver voluto sentir ragioni. A Bossuet parve che il suo amico avesse in mente solo la sua meta e questa era Javert. Il passo del biondo ragazzo era così spedito che, mentre scivolava tra i ragazzi con una facilità dovuta sicuramente al suo esile fisico, Bossuet temette di averlo perso di vista più volte. Fortuna che portava il solito zainetto rosso sulle spalle, così gli era facile riconoscerlo; inoltre, i suoi capelli erano resi talmente dorati dai raggi del sole che penetravano dal chiostro che gli fu impossibile non notarlo tra la folla. Mentre cercava di passare tra uno studente e l’altro nel tentativo di tenere il passo di Enjolras, Bossuet sentì vibrare il suo telefono dalla tasca del suo cardigan di lana. Lo estrasse e vide che a chiamarlo era Joly.

“Ehi, amore!” rispose sorpreso Bossuet. “Che succede?”

Come ‘che succede’? Dove sei?” chiese Joly preoccupato. “Mi avevi detto che saresti passato per la mia classe: pensavo ti fosse successo qualcosa! Stai bene?

Bossuet ricordò solo in quel momento la promessa che gli aveva fatto quando lo aveva lasciato davanti alla sua aula. “Hai ragione, scusami! È che dovevo parlare con Enjolras, quindi sono corso subito da lui finita la lezione.” Il ragazzo dovette interrompersi per far passare due ragazze che procedevano nel senso di marcia contrario al suo, ma poi riprese quasi subito, mentre cercava Enjolras con lo sguardo: “Me ne sono scordato, mi spiace tantissimo!”

“Non è per quello: mi hai fatto preoccupare!” lo riprese subito Joly. Bossuet si dispiacque di essersi scordato la promessa fatta, non perché ora Joly sembrava sgridarlo: lo conosceva benissimo e sapeva che quella del suo ragazzo non era rabbia, ma solo preoccupazione. Un po’ esagerata, forse, ma sapeva che il suo tono severo era dovuto al suo perenne stato di allarme.

“Lo so, piccolo: scusami!” disse con tono dispiaciuto Bossuet. Si zittì per diversi secondi: non riusciva a pensare a cosa dire a Joly e a seguire Enjolras contemporaneamente e non voleva perdere di vista il biondo ragazzo.

Fu Joly a spezzare il silenzio: “Ma Enjolras è lì con te?

“Davanti a me, per la precisione” spiegò Bossuet. “Stiamo andando da Javert.”

Grantaire sta cercando di contattarlo da un po’: lui sta bene?

“Professore!” Quando sentì la voce alta e furente di Enjolras, Bossuet riportò la sua attenzione a ciò che accadeva davanti ai suoi occhi castani. Finalmente lui e Enjolras avevano lasciato il corridoio del chiostro ed erano entrati nell’ampio atrio in cui saliva lo scalone monumentale. Bossuet vide il biondino accelerare verso i gradini con passo deciso, guardando verso l’alto. Il ragazzo pelato si fermò accanto al muro della piccola anticamera, vicino al punto in cui essa si apriva sull’atrio: da quella posizione vedeva chiaramente Enjolras e, più in alto, il professor Javert che saliva lentamente ed elegantemente l’enorme scalinata, i piccoli occhi chiari assorti in un plico di fogli. Appoggiatosi alla parete, Bossuet dovette prendere un respiro profondo. “Professor Javert!” chiamò nuovamente Enjolras, appoggiandosi all’imponente corrimano in marmo, con il piede destro già posto sul primo gradino, pronto ad inseguire l’insegnante: il tono della sua voce era talmente pervaso di intolleranza e di severità che Bossuet sarebbe potuto rabbrividire se non avesse conosciuto bene quel ragazzo. Del resto, tutti nel gruppo avevano imparato che dietro al visino da angelo di Enjolras si nascondeva un’inflessibilità indescrivibile: troppo spesso i suoi amici lo avevano definito come un bel ragazzo capace di essere terribile[1] e, in quel momento, Enjolras stava dimostrando di meritarsela proprio quella descrizione. Chi non avesse conosciuto questa sua caratteristica, nel sentirlo parlare a quel modo si sarebbe sentito raggelare il sangue nelle vene.

René?”

Bossuet lanciò un sospiro rassegnato, scuotendo la testa. Poi si lasciò scappare una leggera risata tra il compiacimento e l’esasperazione e disse a Joly: “Direi che il nostro difensore degli oppressi oggi è in gran forma!”

“Professore! Ha intenzione di ascoltarmi o no?!” Enjolras iniziava a spazientirsi e Bossuet sentiva che avrebbe dovuto cercare di calmarlo, se non altro per evitargli una punizione.

“Ti richiamo più tardi, piccolo…” disse preoccupato, chiudendo la chiamata. Stava per avanzare verso il suo amico, quando ad un tratto, alle spalle di Enjolras, Bossuet vide apparire un uomo, il quale mise una mano sulla spalla del biondino e gli fece cenno di restare lì: era il professor Valjean.

 


[1] Riferimento al romanzo: Enjolras, alla sua apparizione, viene definito “[…] un simpatico giovane, capace di essere terribile, bello d’una bellezza angelica […]”.

   
 
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