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Autore: Alyss Liebert    10/04/2017    2 recensioni
Egli era la ragione per la quale il serafino aveva sempre messo al primo posto la sua incolumità, aveva desiderato in cuor suo farlo desistere da quella pericolosa missione; non aveva mai tollerato del tutto quelle sue rovinose qualità che l’avrebbero portato all’autodistruzione per il bene di migliaia di persone, ed invidiava il suo carisma e coraggio.
C’erano momenti in cui voleva estirpare quel flusso di pensieri nocivi dalla sua mente scombussolata, ed attimi in cui non riusciva a sostenere il suo stesso sguardo riflesso mentre pensava alle sensazioni contraddittorie che l’amico gli provocava: dalla voglia di vederlo felice e la consapevolezza che un giorno avrebbe dovuto lasciarlo andare, al recondito ma pressante desiderio di essere compreso, avere tutte le sue attenzioni, sentire il suo corpo vicino al proprio, ammirare ogni lineamento del suo viso e contorno del suo splendido sorriso.

{Terza classificata al contest "Quel primo, assurdo bacio" indetto da Shanna_GrifthiterinEvil sul forum di EFP}
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer
I personaggi e le ambientazioni non mi appartengono, ma sono proprietà dei rispettivi autori; al contrario, il racconto che state per leggere è una mia creazione.
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.



≈*≈



~ Iris ~



«Do you… uhm, want be help?»

Ennesima volta che Sorey sbagliava il tipo di approccio e la grammatica. Ennesima volta che Mikleo affondava il viso fra le mani, spazientito e vergognato per l’amico.
L’anziana signora, a cui il giovane Redentore si era rivolto, lo scrutò con aria circospetta – il classico atteggiamento di un inglese che realizza di trovarsi di fronte a un forestiero, per giunta incompetente – ed indietreggiò di qualche passo prima di esporgli i suoi dubbi.
«Which one of these two types of Earl Grey would you recommend me? They have, more or less, the same price; I can’t decide», si espresse mostrandogli le due confezioni.
«Oh yes, they very good… and the price also!», esclamò il ragazzo, sfoggiando un sorriso a trentadue denti.
«Ti ha chiesto quale delle due le consiglieresti», si intromise Mikleo, che li stava supervisionando dal reparto adiacente.
Sorey s’irrigidì.
«Potevi dirmelo prima!», inveì lasciando il serafino sbigottito.
Si voltò di nuovo verso la donna, turbata ulteriormente dalla sua esclamazione incomprensibile rivolta al nulla; adoperando ogni briciolo del suo carisma, senza escludere un modo di gesticolare esagerato, il ragazzo riuscì a farsi capire dalla signora, che alla fine optò per la seconda marca.
Incredulo di avere finalmente qualche minuto per riprendere fiato e placare l’agitazione, osservò il suo migliore amico – che aveva, a sua volta, lo sguardo fisso su di lui e le braccia conserte.
«Scusami», disse grattandosi con timidezza la nuca.
Mikleo non rispose, ma gli sorrise e scosse il capo.
«Credo tu abbia bisogno di un po’ di riposo, Sorey», udì l’interessato dopo qualche secondo.
Un uomo di mezza età, dal fisico tarchiato e i capelli brizzolati ma ben sistemati, si avvicinò al giovane, posandogli una mano sulla spalla.
«Signor Collins…»
«Il tuo turno dovrebbe finire tra un’ora, ma ti vedo esausto e probabilmente non lavoreresti al meglio», considerò.
«Stia tranquillo, posso servire i clienti fino alla fine», ribatté l’altro.
«Non se ne parla. Non pretendo da te quello che esigo dagli altri. Ti trovi qui a Londra per un altro motivo. Io ho molto rispetto e stima di te, perciò ti concedo di terminare adesso e tornare a casa».
La sua espressione tanto magnanima quanto intransigente fece desistere Sorey dal tentativo di opporsi. Cercando di camuffare la stanchezza e l’insoddisfazione per non aver resistito, chinò il busto verso quel signore.
«La ringrazio per la cortesia».
«Con me non servono tutte queste formalità, te l’ho già detto!», esclamò il più grande. Gli fece, poi, l’occhiolino. «Goditi il resto della serata, tu e i tuoi compagni di viaggio».

Tornare ad indossare i suoi abiti consueti, dopo aver rimosso la sua elegante ma scomoda divisa color cobalto, non era mai stato così gradevole. Ebbe la sensazione di essere stato, per tutto quel tempo, un’altra persona.
Appena fu in procinto di andarsene, quell’uomo gli si avvicinò di nuovo, dicendogli: «Stamattina, prima che tu arrivassi in negozio, si è presentata di nuovo Phoebe, e mi ha detto di salutarti».
La notizia attirò l’attenzione di Mikleo, che fino a quel momento stava esaminando una serie di tisane.
«Ah, davvero?», replicò Sorey senza aggiungere altro, con un’esultanza che al serafino parve simulata – o forse era quello che egli sperava.
«Hai proprio fatto breccia nel suo cuore! Quando ti deciderai ad accettare di vedervi da soli?», domandò il signor Collins, dandogli una leggera gomitata.
«Beh… non è facile trovare un po’ di tempo libero, specialmente perché ho una missione da portare a termine», spiegò il giovane, lasciandosi sfuggire una timida risata e portandosi – com’era suo solito fare – una mano dietro il collo.
«Suvvia, non fare il paladino della giustizia e lasciati coinvolgere dal romanticismo, almeno una volta!», lo esortò l’altro, «Ricorda che occasioni come queste non vanno mai sprecate. Tu non te ne rendi conto, ma la tua soulmate potrebbe trovarsi da queste parti… ed essere molto vicina a te».



~ ♦ ~



Il tragitto di ritorno fu particolarmente silenzioso, sia per Sorey e Mikleo, sia per Lailah ed Edna. Indugiarono a contemplare l’enorme posto in cui si trovavano, proferendo poche parole.
Londra era una città – a loro parere – affascinante; non tanto maestosa, ma pullulante di abitanti e turisti.
In quel luogo, le innovazioni e la cosiddetta tecnologia avevano fatto passi da gigante: imponenti infrastrutture, grattacieli, opere antiche ben preservate o modernizzate. La gente, in quell’universo, non si spostava a cavallo o in carrozza, bensì con mezzi di trasporto chiamati automobili, treni, metropolitane – “a forma di capsula gigante”, secondo Sorey, e a cosiddetta trazione elettrica –, autobus color vermiglio – a due piani, sempre colmi di passeggeri, e che funzionavano a motore – e molto altro.
Le strade erano congestionate, gremite di persone che solevano scattare innumerevoli fotografie e che spintonavano per la fretta senza scusarsi.
A proposito di foto ed apparecchi forgiati a posta per “catturare” i momenti e i paesaggi più belli, quasi tutti i passanti erano alle prese con piccoli oggetti bizzarri di forma rettangolare – chiamati cellulari –, che osservavano e maneggiavano con sguardo assorto, premendo con incredibile velocità dei pulsanti inseriti in una lamina sottile e luminosa. C’era anche chi possedeva versioni più ingombranti di essi, ed era costretto a sedersi da qualche parte e posarli sulle proprie gambe incrociate per poterli utilizzare.
Non mancavano inoltre, nei pressi di Piccadilly Circus, insegne pubblicitarie mobili di marche famose, che emettevano – soprattutto la sera – una luce abbagliante.
Tuttavia, vi erano anche zone meno affollate, ed erano quelle in cui di solito Mikleo passeggiava. La spettacolare distesa color smeraldo del Parco Reale di Greenwich era la sua preferita, ed egli adorava percorrere la salita che permetteva la contemplazione del paesaggio londinese e del fiume Tamigi.
Un po’ lo divertiva osservare le persone che tentavano di ottenere una buona abbronzatura, sdraiandosi nei giardini pubblici all’interno della città e mettendosi a petto nudo come se fossero in spiaggia. In effetti, gli inglesi non potevano vantarsi di possedere fantastiche zone balneari.
Uno dei passatempi di Sorey era andare a caccia di individui vestiti in modo strambo, poiché lì la moda era intesa – a quanto pareva – diversamente; ogni volta che incappava in un soggetto interessante, il primo che doveva saperlo era Mikleo, che però era sempre poco propenso a prestargli attenzione e pensava, piuttosto, che l’amico dovrebbe badare anche al suo inconsueto abbigliamento.
Per facilitare il ritorno a casa, Sorey e gli altri decisero di servirsi di un bus; scelta che costò loro tanta fatica, perché non tolleravano certi tipi di odori.
Il tono alterato di un signore in giacca e cravatta, che stava inveendo all’autista per una serie di motivi incomprensibili, li fece tornare alla realtà.
"Più sviluppo e più invenzioni ci sono, più la malevolenza si ristagna e corrompe gli animi delle persone"; di solito la “regola” era quella, e Londra non era un’eccezione.
Quell’ambiente era loro ostile, non piaceva a nessuno dei quattro. L’aria che si respirava era contaminata da sentimenti negativi mischiati a smog e miasmi nauseanti; Sorey e gli altri serafini la percepivano molto bene grazie al loro olfatto fino.
Le frequenti sensazioni di spossatezza e mancamento erano fautrici di terribili malesseri fisici, specialmente per il Redentore – l’incaricato di purificare gli avernali ed assorbire parte della loro energia negativa –, il quale veniva immediatamente soccorso da Mikleo.
A Lailah piaceva soffermarsi, di tanto in tanto, ad osservare l’albino mentre vegliava sul suo amico con apprensione, talvolta asciugandogli il sudore con un panno, sussurrandogli parole incoraggianti, stringendo con le sue dita affusolate dall’incarnato diafano il corpo provato del moro, come se temesse che potesse svanire o – in qualche modo – allontanarsi da lui. Aveva sempre un’espressione inquieta sul volto, e la serafina del fuoco, ipotizzando chissà quale motivazione, gli rivolgeva un sorriso mesto quando egli la guardava.
Il ragazzo dava l’idea di stare patendo una duplice sofferenza, nata da un conflitto che probabilmente non c’entrava nulla con la questione di Londra.
I quattro si trovavano in quella metropoli perché il signor Peter Collins, uomo benestante e amico intimo della famiglia di Alisha – conosciuta quando alcuni suoi membri avevano deciso di visitare quella terra –, aveva richiesto la presenza del Redentore nel luogo, dopo aver assistito all’episodio di una cupa coltre di nubi che sprigionò una pioggia scrosciante nei dintorni di Buckingham Palace; egli pensò che quel fatto assurdo coincidesse con la presenza di malevolenza, proveniente forse da alcune guardie che – secondo le voci di corridoio – stavano orchestrando un complotto contro la regina.
Il signor Collins era da sempre stato affascinato dai racconti della principessa Alisha a proposito delle gesta di Sorey e i suoi presunti serafini; il desiderio di conoscere quel ragazzo così giovane ma promettente non l’aveva fatto esitare a domandargli aiuto, stupendosi poi dalla repentina risposta positiva dell’interessato, nonostante il lungo tragitto che avrebbe dovuto compiere in carrozza.
Sebbene la sua stima e il suo rispetto per lui fossero incommensurabili, l’uomo lo trattava senza troppa riverenza ma con tanto affetto, come un padre con un figlio. Propose a Sorey persino di dargli una mano nella sua maison, specializzata nella vendita di tè e cioccolata dalle molteplici varietà, per non dare troppo nell’occhio – tralasciando il pessimo inglese di quest’ultimo.

Una volta messo piede nella casa spaziosa ed accogliente nella quale quel gentile signore aveva deciso di ospitarli – preparando tutte le camere e i letti necessari, pur non potendo scorgere la presenza dei serafini –, i ragazzi notarono il cielo farsi improvvisamente plumbeo, rabbuiarsi; piccole gocce di pioggia cominciarono subito dopo a depositarsi sui vetri delle finestre.
«Di nuovo questi sbalzi…», mormorò Sorey pavido.
«La loro causa si trova sicuramente fra le mura del palazzo reale», ricordò Lailah, «La malevolenza sta facendo il suo corso. Potrebbe anche apparire un avernale».
La serafina gli rivolse uno sguardo coscienzioso.
«Questa gente non è ancora al corrente della leggenda e della tua venuta; perciò, per purificare le anime di quelle persone, devi essere pronto a rivelarti ed affrontare qualsiasi ingiuria nei tuoi confronti».
«Ne sono consapevole», rispose il Redentore, accorgendosi nel mentre che Mikleo non era lì con loro.
La ragazza, a quel punto, lo congedò con un quasi impercettibile «Sii sempre forte».



~ ♦ ~



Una corporatura esile, cerea e vergognosamente femminea fu ciò che Mikleo riuscì a scrutare all’interno del bagno intiepidito, prima che il vapore sprigionato dall’acqua calda della vasca appannasse il modesto specchio ovale a cui egli era di fronte; nudo, con le spalle curve, la vita cinta dalle sue braccia incrociate, e la pelle scossa da lievi fremiti.
Per qualche strana ragione, quel giorno si sentiva ancora più fragile, particolarmente a disagio con se stesso. Una crescente insoddisfazione aveva cominciato a logorargli l’anima e causargli profonde morse allo stomaco.
Non si sentiva a posto con la sua coscienza, imperniata di incertezze e pensieri da lui definiti impuri – che, per un serafino senza peccato, dovrebbero essere estranei.
La causa di tale egoismo e corruzione era proprio lui: Sorey. Egli era la ragione per la quale il serafino aveva sempre messo al primo posto la sua incolumità, aveva desiderato in cuor suo farlo desistere da quella pericolosa missione; non aveva mai tollerato del tutto quelle sue rovinose qualità che l’avrebbero portato all’autodistruzione per il bene di migliaia di persone, ed invidiava il suo carisma e coraggio.
C’erano momenti in cui voleva estirpare quel flusso di pensieri nocivi dalla sua mente scombussolata, ed attimi in cui non riusciva a sostenere il suo stesso sguardo riflesso mentre pensava alle sensazioni contraddittorie che l’amico gli provocava: dalla voglia di vederlo felice e la consapevolezza che un giorno avrebbe dovuto lasciarlo andare, al recondito ma pressante desiderio di essere compreso, avere tutte le sue attenzioni, sentire il suo corpo vicino al proprio, ammirare ogni lineamento del suo viso e contorno del suo splendido sorriso.
Tuttavia, lui non aveva alcun potere sui sentimenti del compagno; sapeva che quest’ultimo gli stesse sfuggendo di mano, che fosse ormai impossibile trattenerlo e aspirare ad un ritorno a Elysia, che lui per Sorey fosse un semplice amico, un serafino con caratteristiche che non avrebbero potuto appagarlo.
Annegò il suo flusso di pensieri non appena si immerse nell’acqua, tirando un sospiro di sollievo. Quando si sentiva spaesato o di cattivo umore, non c’era niente di meglio che stare a contatto col proprio elemento.
“Ti dimenticherà”, parlò una voce nella sua testa, che gli fece sgranare gli occhi.
Sollevò il busto dal bordo della vasca a cui era poggiato, portandosi una mano fra i capelli, scostando le ciocche umide dal suo volto inquieto.
«Non dire sciocchezze…», mormorò fra sé e sé.
«Veramente non ho ancora parlato», rispose qualcuno alle sue spalle.
Mikleo sobbalzò e si girò di scatto per incontrare il viso sereno di Sorey, che aveva messo piede nel bagno senza che lui se ne fosse accorto. Era scalzo; non aveva più il mantello del Redentore in dosso, ma i vestiti che soleva eleggere quando entrambi andavano ad esplorare le rovine contro la volontà del nonno.
«… Da quanto tempo sei qui?», domandò l’albino, faticando a regolarizzare i battiti impazziti del suo cuore, che rimbombavano incessantemente nelle orecchie e nel collo accaldato. Doveva essere arrossito parecchio.
«Da qualche minuto; poco prima che entrassi nella vasca, insomma», specificò l’amico, creando un ulteriore imbarazzo all’interessato, «Scusami se ti ho fatto spaventare… Ti avevo pure chiamato, ma eri completamente imbambolato».
Mikleo voltò di nuovo la testa in direzione dell’acqua, cercando di recuperare la sua solita espressione imperturbabile.
«No, scusami tu. Hai bisogno di qualcosa?»
«Sì, svuotare la vescica», replicò l’altro facendo una sonora risata, «Faccio in fretta. Tu prosegui».
Non gli fu per niente facile, e non lo sarebbe stato neanche se avesse evitato di vederlo calarsi i boxer o avesse fatto finta di trovarsi da solo in quel luogo che ormai pareva una sauna. La presenza di Sorey lo fece irrigidire, e decise per questo di immergersi fino al collo – come se la tiepida acqua trasparente e non ancora pregna di schiuma potesse effettivamente coprire le sue nudità – e di evitare anche solo di afferrare lo shampoo.
«Cos’hai intenzione di fare con quella ragazza?», sfuggì a Mikleo dopo qualche secondo, senza riuscire a frenare la curiosità.
«Chi, Phoebe?», chiese conferma Sorey mentre si lavava le mani, «Mah, penso che potrei accettare un invito da parte sua».
Il coetaneo si sentì la gola stringere; non riuscì a deglutire.
«Non un appuntamento, sia chiaro», sentì puntualizzare all’interlocutore.
«Vuoi uscirci?», domandò comunque a fatica, sentendo il fiato mancargli sempre di più per ogni parola che pronunciava.
«Sì, perché no? Non mi sembra una ragazza poco affidabile, nemmeno una portatrice di malevolenza. Forse è destino che dobbiamo conoscerci! Magari sa delle Cronache Celesti e potrebbe affiancare Alisha come Adepta!»
«Beh, per quanto mi riguarda, puoi anche starci insieme; l’importante è che non le dia subito troppa fiducia e non ti cacci nei guai», sentenziò Mikleo, rendendosi poi conto del tono arrogante e della falsità delle sue parole.
La sua visuale fu coperta da un asciugamano scagliato in pieno volto.
«Scemo. Ti ho appena detto che non è mia intenzione essere vincolato da certi tipi di relazioni; ora più che mai», ribatté Sorey facendo una smorfia.
Per tutta risposta, gli arrivò in faccia uno schizzo d’acqua indirizzato dal serafino col semplice movimento di un dito.
«Voi umani dite sempre così, ma alla fine portate raramente a termine una cosa prefissata, e siete capaci di farvi comandare da sentimenti che non dovrebbero esistere o non vi aspettavate di provare», sostenne l’amico mentre si liberava dall’asciugamano inumidito.
Senza attendere oltre, deciso a procedere con la pulizia personale, si tirò a sedere, prendendo il prodotto per capelli.
In quel lasso di tempo, Sorey si limitò a guardare il compagno senza proferire il minimo suono; forse per la riflessione di Mikleo, forse perché restava ammutolito ogni volta che si scopriva a fissarlo.
Osservò con minuziosa attenzione le ciocche ricadere sul suo viso, le gocce d’acqua solcargli le guance come se fossero lacrime, i suoi occhi non particolarmente vividi ma dall’intenso color ametista, le labbra rosate, la corporatura asciutta ma esile, la pelle chiara come il latte, tutto il resto dei particolari che aveva potuto ammirare per intero quando lui era ancora in piedi, svestito, di fronte allo specchio.
Era una lieve gelosia, quella che Sorey provava quando si focalizzava su quella figura tanto angelica. O apprezzamento. O altre sensazioni che non sapeva definire; forse desideri reconditi.
Si approssimò al serafino, che stava per versarsi un po’ di shampoo, per poi inginocchiarsi e poggiare i gomiti sul bordo della vasca da bagno.
Appena Mikleo realizzò il repentino spostamento dell’amico, l’imbarazzante vicinanza e lo sguardo penetrante, si irrigidì, sentendosi avvampare. Gli scivolò la confezione, che cadde in acqua.
«… Sorey?», provò a chiamarlo mentre tentava di recuperare l’oggetto con le sue mani che gli sembrarono improvvisamente di pastafrolla.
«Tu sai che non potrei mai impegnarmi con una ragazza. Talvolta non le capisco; le considero… complicate», cominciò a rivelare il moro.
«Beh, impara a rapportarti con loro, fai esperienza! Là fuori ci sarà sicuramente una persona che potrà renderti felice, completarti», replicò l’altro senza sostenere la sua occhiata curiosa.
«L’ho già trovata», rivelò Sorey, facendo finalmente voltare Mikleo nella sua direzione, «Tu sei il mio unico e solo; te l’ho sempre detto».
L’albino sgranò gli occhi di fronte a quella rivelazione, e sentì il cuore riprendere a battergli freneticamente.
«Con te mi diverto! Se tu non ci fossi, con chi esplorerei le rovine?»
Il silenzio che susseguì fu sgradevole e molesto. Mikleo si sentì tutt’ad un tratto infiacchire sotto lo sguardo benevolo del compagno; un guizzo di rabbia latente cominciò a farsi strada nelle sue vene, e gli occhi iniziarono a pizzicargli.
Non seppe spiegarsi il perché, ma sentì un terribile malcontento per quell’affermazione.
Distolse lo sguardo e chinò la testa.
«Vattene», proferirono le sue labbra.
La presenza di Sorey gli era al momento nociva; non aveva ben chiaro se gli avesse ordinato ciò perché indignato dal suo comportamento o per la consapevolezza di essere di pessimo umore, facilmente irritabile.
«… Mikleo?», lo chiamò l’interessato con tono mesto, «Ho detto qualcosa che non va?»
«Puoi andartene, per favore? Voglio stare da solo», replicò l’altro, ostentando tutta l’intransigenza che la sua voce riuscì a fingere.
Percepì dopo un po’ i passi lenti di Sorey, che si stava avvicinando in silenzio alla porta. Il serafino non ebbe il coraggio di scrutarlo neanche con la coda dell’occhio, per vedere magari quale espressione fosse dipinta sul suo volto.
«Se ti ho recato qualche dispiacere, che adesso non arrivo a comprendere… », cominciò a dirgli alla fine il Redentore, «… ti chiedo di perdonarmi».



~ ♦ ~



«Excuse me?», emise la giovane donna che Sorey stava servendo alla cassa.
«Ah, uhm… yes?», rispose il ragazzo.
Quel giorno non riusciva proprio a liberare la mente da certi pensieri ed essere produttivo, e arrivava persino ad imbambolarsi di fronte ai clienti.
«It’s six pounds, not eight!», lo ammonì visibilmente contrariata.
Accorgendosi di aver segnato il prezzo sbagliato nel registratore, egli si scusò almeno cinque volte prima di correggere la cifra e far tornare il sorriso sulle labbra della signora.

Una volta liberatosi di quel fardello, venne sostituito da un suo collega che l’aveva cordialmente definito “a brat with the head in the clouds”.
Sorey non fece troppo caso all’insulto; comunque, non smetteva di meravigliarsi del modo differente in cui veniva trattato lì. Molte persone stimavano o provavano simpatia per quel “nuovo arrivato imbranato”, ma altre lo esaminavano con un fare guardingo che non aveva percepito così tanto neanche a Ladylake.
Un Redentore che metteva piede in un luogo in cui la sua influenza non era ancora stata trasmessa, diventava come gli altri, diventava nessuno; e non bastava il suo carisma per attirare a sé una moltitudine di corrotti, poiché scettici, bisognosi di vedere per credere.
In quel momento, quando si mise in disparte con le spalle al muro, provò un lieve senso di abbandono e frustrazione. “Abbandono” perché quel giorno Mikleo non era insieme a lui a fargli compagnia e aiutarlo; “frustrazione” perché non riusciva a dimenticare anche solo per un minuto l’immagine inspiegabilmente sofferente e fragile del serafino, che non aveva mai visto così sconsolato, schivo e vulnerabile.
Qualche ora prima, la fantomatica Phoebe era venuta in negozio a fargli visita prima di dirigersi a scuola. Come al solito, le occhiate trasognate e maliziose della ragazza non mancarono di mettere in soggezione il Redentore.
Egli non aveva esitato molto a proporle di vedersi il giorno successivo, domenica, con conseguente euforia della giovane e la promessa che sarebbe stata puntuale.

Tuttavia, più il moro pensava al suo invito, più se ne pentiva. Qualcosa non andava in quella decisione; non era più tanto entusiasta di stringere amicizia con lei. Non sapeva se fosse il suo sesto senso a suggerirgli ciò, oppure il dispiacere di Mikleo, contrariato per chissà quali ragioni.
Non percepiva nessun’aura negativa da Phoebe Carter, la ragazza che era rimasta stregata dal suo aspetto dal primo momento in cui l’aveva visto. Prima che fosse arrivato Sorey, era una cliente abituale, poiché figlia di amici di Peter – che le faceva sempre uno sconto – e amante della cioccolata. Non comprava sempre tavolette; a volte le piaceva semplicemente immergersi in quell’atmosfera magica, in quel luogo colorato, ben arredato e decorato, e pregno di un odore zuccherino e stuzzicante.
Da quando Sorey l’aveva aiutata a scegliere un tipo di preparato per torte nel suo inglese particolare, si era manifestato il colpo di fulmine, incitandola a fargli visita ormai quasi tutti i giorni.
Dopo una breve chiacchierata, in cui egli le aveva detto di provenire da Ladylake, Phoebe gli rivelò che sapeva parlare la sua lingua perché sua madre era originaria di Lastonbell, la città degli artigiani.

«Sorey-san», lo chiamò Lailah – l’unica dei tre serafini ad averlo seguito –, risvegliandolo dai suoi pensieri.
Il Redentore le fece un sorriso mesto.
«Mi sto prendendo una breve pausa», le disse poi.
«Mi devi perdonare se non posso esserti un granché d’aiuto in inglese, ma anch’io, nonostante abbia viaggiato tanto, non sono portata per l’apprendimento di tante lingue», spiegò la serafina del fuoco, soffocando un risolino.
«Non preoccuparti. Apprezzo molto anche solo la tua presenza al mio fianco», replicò Sorey con un tono incredibilmente dolce che spense il lieve senso di colpa di Lailah come pioggia fervida su un roveto ardente.
Lo sguardo del giovane divenne poi assorto; i suoi occhi puntarono qualcosa di indefinito dall’altra parte del negozio, e all’interlocutrice parve che la mente del ragazzo stesse andando ben oltre quella dimensione spaziale e temporale, in cerca di ricordi da riesumare.
«Mikleo è sempre stato una persona sapiente, che non si stanca mai di apprendere cose nuove», cominciò infatti a dire quest’ultimo, «Da piccolo era tanto orgoglioso del luogo in cui stava trascorrendo la sua infanzia quanto desideroso di saperne di più sul mondo esterno – seppur diffidente nei confronti degli umani. Per questo motivo, talvolta senza l’approvazione del nonno, si immergeva nella lettura di libri riguardanti anche questi universi così differenti, arrivando persino ad apprendere abbastanza bene quelle lingue. Io ero poco interessato ad argomenti troppo astrusi per i miei canoni – amavo concentrarmi, appunto, sui racconti delle gesta dei precedenti Redentori –; c’era, però, qualcosa in lui… percepivo una luce… che mi attirava a studiare di tanto in tanto qualcosa su quello che gli interessava, a stare ad ascoltare con stupore le sue spiegazioni e notare i suoi progressi».
Arricciò per un attimo le labbra, come se avesse voluto impedire la manifestazione di un’espressione triste sul suo volto, e chinò il capo.
«Da quando mi sono sobbarcato di questo incarico, ho la sensazione che il nostro rapporto si stia sfaldando col passare dei giorni. Credo di star deludendo Mikleo, forse perché non riesco a dedicare più di tanto tempo a noi due. Sento… che lui mi sta sfuggendo di mano, così come la situazione in cui ora mi trovo».
«Io non la vedrei così grigia», rispose Lailah.
«Perché no? Probabilmente, se fossi rimasto con lui a Elysia, queste controversie non sarebbero successe… anche se, d’altra parte, non mi pento di aver adempiuto ad un compito di importanza universale».
«Avreste comunque dovuto affrontare queste cose».
«Per via del nostro carattere?»
«Perché, dovunque aveste vissuto, sareste cresciuti lo stesso. Ora siete più grandi, siete adolescenti; state solamente affrontando una fase difficile della vostra maturazione… e stanno sorgendo in voi nuove consapevolezze», spiegò la serafina, rivolgendogli un sorriso amorevole, come quello di una madre che capisce al volo il turbamento di un figlio.
«Consapevolezze?», ripeté Sorey.
«Tu hai bisogno di Mikleo, non è vero? Ti manca? Ti senti… incompleto?», gli domandò l’altra.
«Beh, quando uniamo le nostre forze in combattimento, i risultati sono sempre grandiosi!»
«Non in quel senso», lo corresse Lailah ridendo, «Quanto tieni a lui? Cosa provi quando gli sei accanto?»
Notando che quelle domande avevano lasciato il giovane alquanto spiazzato, ella preferì non attendere una sua riflessione.
«Forse è troppo presto per comprendere… ma non importa. Il tempo chiarirà presto ogni cosa», lo informò per poi guardarlo dritto negli occhi, «Ben presto tu e lui riuscirete a riconciliarvi».
«Ne sei così convinta?», domandò il Redentore, facendo una risata nervosa.
Lailah annuì, specificando: «Dopotutto, in fondo al tuo cuore c’è già la risposta che cerchi. Devi solo… ascoltarlo un po’ di più».



~ ♦ ~



«Sei proprio scemo», fu il rimprovero di Edna, dopo aver ascoltato la spiegazione alquanto stringata di Mikleo sul motivo per cui si trovasse a casa del signor Collins invece che in negozio con Sorey, «Fai l’antipatico solo perché il tuo amico ha una potenziale spasimante».
«Non è affatto per questo», ribatté il serafino, «Non sono questioni che ti riguardano… e non potresti capirle».
Il giovane era seduto sul tavolo squadrato della modesta sala da pranzo – nella quale aleggiava sempre un gradevole odore di spezie –, intento a sorseggiare una tazza di tè “mint & lime” comprato da Sorey a prezzo ridotto.
«Perché, tu invece hai tutto chiaro?», rimbeccò l’interlocutrice, «Noi ragazze siamo più empatiche, e spesso riusciamo a capire gli uomini prima di loro stessi».
«Ah, davvero? E cosa avresti compreso della mia situazione?», la sfidò Mikleo con aria indisponente.
Edna gli rivolse un sorriso sornione.
«Lo vuoi proprio sapere?»
«… No», stabilì poi l’altro, senza pensarci troppo, «Sarebbero solo strane idee di una ragazzina».
Sentì, poco dopo, la punta dell’ombrello della serafina colpire con moderazione la sua testa, e quest’ultima appropinquarsi all’interessato e sedersi accanto a lui.
«Tu mi piaci, Meebo. Sei un tipo interessante, a volte divertente; mi piace parlare con te, prenderti in giro e litigare», cominciò a dire, non curandosi dell’espressione irritata del giovane, «Il problema è che sai essere tanto ingenuo quanto duro con te stesso; è un lato di te che non mi piace per niente».
«Credo tu possa capire, invece, cosa io non digerisco di te», sentenziò Mikleo.
«È naturale, perché i nostri gusti non vanno di pari passo. Io sono diretta; tu fuggi, soffrendo per cocciutaggine e orgoglio».
Prima che l’albino potesse confutare nuovamente, si ritrovò lo sguardo di Edna addosso, profondo e alquanto severo.
«“Quanto tempo ancora mi sarà concesso per stare insieme a Sorey?”», proseguì la piccola, «Penso che ti sia ripetuto questa domanda mille volte… e che sia ciò che più ti assilla».
Aggrottò la fronte.
«Perché, allora, sei così stupido da non voler sfruttare questo tempo a disposizione per chiarire ogni cosa? È davvero così tanto il terrore di essere sincero con lui?»
«E secondo te questo sarebbe il momento migliore, ora che Sorey ha una missione di importanza universale da compiere?», sbottò il serafino.
«Esattamente. E più attendi, più lui farà nuove conoscenze durante il suo cammino», replicò. Poi chinò il capo e disse: «C’erano tante cose che mi sarebbe piaciuto dire a mio fratello Eizen… e tanti luoghi che avrei voluto visitare insieme a lui. Il destino ci ha momentaneamente separato e, ora come ora, vivo con rimorsi per occasioni sprecate».
Si alzò dalla sedia, continuando a dare le spalle a Mikleo. Quest’ultimo suppose che lei fosse in procinto di piangere, o che lo stesse già facendo.
«Se non vuoi soffrire come me, ti consiglio di svegliarti e agire».
Con quelle ultime parole, Edna lasciò la sala da pranzo e l’amico, rimasto a contemplare la sua immagine riflessa nel tè ormai tiepido all’interno della tazzina.



~ ♦ ~



Il sonno del serafino dell’acqua venne interrotto dal rumore di un oggetto pesante caduto a terra, che emise un tonfo assordante.
Si stiracchiò e notò che l’orologio sul suo comodino segnava le cinque e mezza. Il suo riposo pomeridiano era, comunque, andato a gonfie vele.
Incamminatosi verso la cucina, da cui provenne quel suono, scorse con stupore un Sorey parecchio indaffarato nella preparazione di qualche pietanza. Aveva il grembiule sporco di farina e costellato di chiazze di crema pasticcera; il tavolo su cui stava lavorando era pieno di vassoi imburrati, terrine colme di preparati amalgamati e bustine vuote da gettare.
«Sto combinando un casino, vero? Scusami se ti ho svegliato», ruppe il ghiaccio il Redentore, mentre continuava a spianare l’impasto col mattarello.
Un odore delizioso impregnò le narici del serafino, il quale capì che quegli ingredienti erano per un dolce.
«Guarda come sei ridotto…», constatò poi, avvicinandosi all’amico.
«Vorrei vedere te, se fossi al mio posto», ribatté l’altro.
«Sai bene che non mi sporcherei neanche se mi cimentassi in preparazioni ardue, a differenza tua».
Allungò un indice per rimuovere un po’ di panna montata dalla guancia di Sorey, passandolo delicatamente su di essa e portandoselo poi alla bocca.
Per via di quel gesto, il moro osservò Mikleo con un certo stupore; quest’ultimo cercò di concentrarsi sul sapore, non potendo però evitare di arrossire.
«Troppo zucchero», si limitò a commentare.
«Davvero!? Ah, accidenti a me che non ho assaggiato nulla…», si lamentò l’interessato.
«Posso sapere cosa stai preparando?»
«… I nostri biscotti preferiti», replicò con una certa esitazione.
«I frolli-frolli?», chiese conferma Mikleo, accennando un sorriso.
«Proprio quelli».
«Avresti potuto chiedermi aiuto! Tra noi due, sono quello appassionato di cucina e che ha appreso meglio come prepararli», gli ricordò.
«Guarda che ricordo a memoria la ricetta da seguire! È solo che… non sono bravissimo a metterla in pratica. Dopotutto, ho sempre realizzato questi biscotti insieme a te», spiegò Sorey.
«Manca la scorza di limone grattugiata, vero? Non sento il suo odore», comunicò il compagno, ignorando quel discorso.
L’interlocutore fece una smorfia di disappunto e sbuffò.
«Pazienza, piaceranno lo stesso», contestò con toco seccato mentre prendeva alcuni stampi a forma di stelle e mezzelune.
«Va bene, ti lascio in pace», disse il serafino prima di incrociare le braccia e fare dietrofront.
«Senti, Mikleo…», lo chiamò l’altro subito dopo, facendolo voltare di nuovo, «Domattina ho un appuntamento con Phoebe. Ci conosceremo meglio, finalmente».
Udita quella rivelazione, l’albino non riuscì a frenare un sobbalzo. La testa cominciò gradualmente a girargli, le gambe si fecero talmente mence da rischiare di cedere; il cuore aumentò il ritmo delle pulsazioni, facendo diventare le sue orecchie color porpora.
Egli stesso giurò di poter sentire la sua voce interiore gridare; tuttavia, l’impassibilità del suo viso non lasciò trasparire il minimo turbamento.
«Oh… alla fine siete riusciti a organizzarvi», considerò.
Tornò ad osservare i biscotti in preparazione, comprese con avvilimento per chi li stesse preparando e gli si strinse così tanto la gola che gli sembrò di soffocare.
I frolli-frolli, che erano sempre stati la merenda preferita dei due amici d’infanzia, i quali occultarono quella ricetta perché gelosi di essa e orgogliosi di poter essere gli unici a gustarli, stavano per essere regalati ad una sconosciuta, mandando in frantumi la loro promessa fino ad allora irremovibile.
«Eh, sì… Comunque, se vuoi, puoi farmi compagnia! La nostra sarà solo una chiacchierata», propose Sorey.
Mikleo raccolse ogni briciolo di autocontrollo per soffocare quel maledetto “ok” a fior di labbra, rispondendo in seguito: «Non se ne parla. Io non c’entro nulla».
«Non eri tu quello che mi ripeteva sempre di voler stare al mio fianco perché certe persone che incontro potrebbero celare malevolenza?», gli ricordò il coetaneo.
«Sei stato vicino a Phoebe già parecchie volte. Da lei non hai mai avvertito nulla di sinistro… e nemmeno io, Lailah ed Edna», controbatté il serafino.
«Mi piacerebbe lo stesso che tu fossi presente. Non si sa se potremmo essere attaccati da un avernale esterno; quindi, avrei bisogno di te».
Il Redentore ottenne come risposta solo il silenzio dell’amico e il suo sguardo dubbioso.
«Mikleo, ti fidi di me?», gli chiese dunque, ostentando un’espressione più risoluta.
«Sì, ma…»
«Allora vieni», deliberò avvicinando il suo viso a quello del compagno, «Prometto che non ti farò sentire in imbarazzo o inadeguato».
Il serafino non poté fare a meno di arrossire, e tentò di scacciare dalla mente il pensiero del doppio senso.
«Non accadrà: lei non mi può neanche vedere», replicò. Tirato, poi, un profondo sospiro, decise: «Ci sarò, ma mi terrò a discreta distanza. Non aspettarti che sarò seduto al tavolo con voi».
Lo sguardo di Sorey si ravvivò, risplendendo di una luce che animò le sfumature verde giada di quegli occhi che Mikleo aveva sempre considerato stupendi e portatori di speranza.
«Grazie mille, sei il migliore! Ti abbraccerei, ma ho le mani sporche», disse il moro ridacchiando.
«Tranquillo, sarà per un’altra volta. So resistere, credimi», rispose l’altro con ironia, «Dopotutto, ho promesso di starti accanto finché il destino ci sarebbe stato favorevole».



~ ♦ ~



Ogni proposito di Mikleo svanì la mattina successiva, quando lui, Sorey e Phoebe misero piede nell’offuscato e gremito locale di Starbucks.
Dopo mezz’ora di fila e dieci minuti di inglese approssimativo di Sorey ed interpretazione colta di Mikleo, i due riuscirono a pagare ed ottenere il loro vassoio, facendosi poi largo tra gli altri clienti e raggiungendo la ragazza che era andata ad occupare un tavolo.
Il serafino fu costretto a sedersi accanto a loro perché non c’era nessun altro buco dove potersi appostare, data l’esagerata congestione del locale e gli sgradevoli miasmi che percepiva stando a fianco ad altre persone.
Sorey non ne sembrò affatto infastidito o mortificato.
«Non avresti dovuto pagare tutto», lo ammonì Phoebe.
«L’ho fatto con piacere», rispose l’interessato, pronto ad addentare il suo muffin al cioccolato.
La loro conversazione non andò a toccare subito i punti più personali; i due parlarono principalmente dell’ambiente in cui si trovavano, esponendo considerazioni anche ilari su certe usanze e alcuni posti che erano soliti frequentare.
In seguito, Phoebe fu la prima a parlare di sé in maniera più approfondita, senza che Sorey le avesse domandato nulla al riguardo, volenterosa di presentarsi come chissà quale pretendente. Gli parlò della sua passione per la letteratura e la danza classica, ostentando ogni particolare della sua eccellente vita scolastica.
Era una ragazza alquanto vanitosa – riconobbe Sorey –, ma di sani principi e di buona educazione.
Tuttavia, l’entusiasmo della giovane scemò quando gli chiese informazioni in più sul suo conto ed egli prese la parola.
«Il mio hobby è purificare avernali insieme ai serafini», affermò con espressione serena.
Mikleo, sentendo ciò, trasalì e osservò l’amico con sconcerto.
«Prego?», emise Phoebe confusa.
«Non conosci la leggenda del Redentore?»
«… Ne ho sentito parlare a mia madre, poiché lei è della provincia di Rolance. Non ci ho mai creduto, però».
«Non sarebbe ora di ripensarci?», le domandò l’interlocutore, «Il mondo sta per essere inglobato dalla malevolenza, e le persone si stanno allontanando sempre di più dalle cose spirituali e dai buoni precetti».
La ragazza aggrottò la fronte.
«Non dirmi che sei un fanatico!», esclamò allontanando di poco la testa, «Chi può credere, ormai, a questi falsi miti? C’è bisogno di prove concrete, di focalizzarsi sui problemi di questo mondo e di stare coi piedi per terra».
«Se non vedete, non credete; è questo il problema. E non sono un fanatico, ma un semplice ragazzo che si è ritrovato a vestire i panni del Redentore per poter salvare l’umanità».
Il serafino, intanto, era paralizzato dall’imbarazzo, pur non potendo essere visto. Si sentiva in soggezione per il compagno che – non sapeva per quale motivo – aveva deciso di rendere pubblico il suo segreto in una maniera che – a detta sua – non avrebbe convinto neanche un seguace di quelle dottrine.
Cercò un contatto visivo con Sorey, che però non avvenne.
«Mi stai prendendo in giro?», chiese Phoebe, curvando le labbra in un sorriso nervoso.
«Perché dovrei?»
«… Quindi sapresti fare magie?»
«Beh sì, ma grazie ai miei compagni di viaggio… che tu non puoi vedere perché sono serafini».
«Dimostramelo. Evoca qualcosa o chiedi a queste specie di angeli di mostrarsi».
«Io e loro possiamo utilizzare i pieni poteri solo in presenza di avernali; nessuno ti impedisce di assistere ad uno scontro, ma il luogo diventa sempre molto pericoloso. La seconda richiesta, invece, non posso esaudirla; umani e serafini non si possono incontrare… per ora», spiegò Sorey, tralasciando la questione dell’Adepto.
«Anche tu sei un umano!»
«Sì, ma sono cresciuto in mezzo a loro, nella città del cielo», replicò puntando con un dito il soffitto, «Sono venuto a conoscenza della leggenda quand’ero piccolo; leggevo insieme ad un mio caro amico quelle storie ogni sera. Ah, questa persona è un serafino!»
Così dicendo, lanciò una rapida occhiata ad un Mikleo sempre più turbato.
«Fare questa vita mi ha portato a sviluppare un incredibile senso di giustizia», proseguì, «Voglio viaggiare, voglio portare la pace ovunque io vada, voglio far riconciliare umani e serafini. Non ho tempo per dedicarmi ad altre cose».
La giovane deglutì senza dire una parola. Non smetteva di scrutare il volto del ragazzo, in cerca di qualche piccolo dettaglio stonante, segnale espressivo che le facesse pensare “sta mentendo”; o, in alternativa, attendeva che lui glielo dicesse.
Niente di tutto ciò; sembrava sincero, sicuro di sé. Forse era proprio la consapevolezza che egli credesse in quei discorsi e facesse sul serio ad intimorirla ulteriormente.
«Affrontare certe battaglie è un’impresa ardua… e penso che quella che capiterà qui a Londra non sarà più semplice», le confessò. Protese, poi, il suo volto entusiasta verso quello della ragazza, rivelandole: «Vedo i draghi, sai?»
Phoebe strisciò di scatto la sua sedia, facendo per alzarsi.
«Sorey, non sono venuta per sentirti intrattenere una simile conversazione e per riempire la mia testa di idiozie», disse con tono seccato.
«Idiozie?»
«Quella leggenda è una stupidaggine alla quale possono credere solo i deboli di carattere», inveì, «E se esistono davvero i serafini, sono degli stronzi che non si curano di proteggere noi umani. Quando parlerai con uno di loro, mandalo a quel paese da parte mia».
Un attimo dopo, uno schizzo d’acqua andò a depositarsi sulla sua camicia azzurra. La ragazza non riuscì a scansarsi, e notò con stupore il suo bicchiere improvvisamente vuoto – senza che lei ne avesse bevuto il contenuto – e il suo interlocutore completamente immobile, con i gomiti ancora poggiati sul tavolo, ma con un’espressione seria e un po’ demoralizzata che contornava il suo viso.
«C-Come…? Cos’è successo?», mormorò con voce tremante.
Sorey sospirò.
«Diciamo che un serafino non ha gradito la tua affermazione», spiegò osservando di sbieco un Mikleo alquanto sdegnato, «Ti posso assicurare che anche loro vorrebbero sentirsi più rispettati da voi; quindi, se ti arrabbi per questo motivo, aspettati che il sentimento sia ricambiato».
«C’è un serafino accanto a te!?», sbottò indicando la sedia apparentemente vuota a fianco a lui.
«Sì, ed è proprio quel mio amico d’infanzia».
«… Devo andare», concluse Phoebe alzandosi e prendendo la sua borsa, evitando di incrociare lo sguardo del giovane, «Perdonami, ma ho altro da fare. Grazie, comunque, per la compagnia».
Era arrossita fino alle orecchie, e Sorey faticava a capire se fosse per vergogna o agitazione.
Egli riuscì a fermarla solamente quando tutti e tre furono fuori dall’asfissiante caffetteria.
«Ti credevo diverso», rivelò ella, liberandosi dalla presa al braccio del Redentore, «Pensavo fossi… tutt’altro tipo di persona».
«Mi ritieni dunque strano, un matto, un esaltato?», le domandò l’interessato senza manifestare particolare dispiacere.
Phoebe non riuscì a replicare e si morse il labbro inferiore.
«Scusami se ti ho detto la verità», palesò il ragazzo.
«Tu mi piacevi!», esclamò lei subito dopo, «Ero interessata a te, mi avevi fatto un’ottima impressione! Non avrei mai immaginato che potessi essere così infantile».
Calò il silenzio.
Mikleo non tollerava le invettive e le improvvise dichiarazioni di quella sconosciuta, ma non poteva fare altro che stringere i pugni fino a far sbiancare le nocche. Continuava a domandarsi perché Sorey non avesse interrotto la conversazione molto prima, degenerata già agli albori. Doveva, forse, dirle qualcos’altro?
All’improvviso notò l’amico girarsi verso di lui e rivolgergli uno splendido sorriso rassicurante. Il serafino provò per qualche secondo un certo conforto e senso di sollievo, immergendosi nel riflesso acquamarina di quegli occhi colmi di vita; e, un istante dopo, si rese conto di avere i nervi meno tesi.
Successe tutto in una maniera troppo rapida perché fosse ben carpito dalla sua coscienza. L’unica cosa su cui poté focalizzarsi furono i passi lenti di Sorey – che si era voltato di nuovo e si stava avvicinando alla ragazza –, il suo capo chinarsi e pronunciare le seguenti parole: «Mi dispiace, ma non avrei potuto ricambiare il tuo interesse. A me… piacciono gli uomini».



~ ♦ ~



«Mentivi».
«Ero sincero».
«Mentivi spudoratamente».
«La sincerità in persona».
Dal loro tragitto verso casa a quando si erano chiusi in camera – salutando a malapena Edna e Lailah – Sorey e Mikleo non avevano fatto altro che ribadire in modi differenti gli stessi concetti in cui credevano fermamente, senza prima degnarsi di discuterne con calma e dare più spiegazioni al riguardo.
«L’hai detto solo per far calare l’interesse di Phoebe… e lasciati dire che hai esagerato», insisté Mikleo, visibilmente scosso, rosso in viso, guizzando lo sguardo in ogni direzione per evitare di posarlo sul compagno.
Non stava fermo: faceva avanti e indietro per la stanza – al contrario di Sorey, seduto sul letto – e gesticolava quando doveva rafforzare un suo parere.
«Ho solo detto la verità», ribatté il moro, «Sai anche tu qual è il mio compito, in quanto Redentore».
«Non mi riferisco a…». Il serafino si bloccò, ripensandoci. Scosse poi la testa e proseguì. «Anzi, hai sbagliato tutto di quell’approccio. Come ti è venuto in mente di rivelarle quelle cose con tale leggerezza? E se lei le raccontasse in giro?»
«Prima o poi queste persone dovranno essere al corrente della leggenda. Inoltre, se lo facesse, mi confermerebbe di non poter adempiere nemmeno al ruolo di Adepta».
«Ma in questo modo è difficile che qualcuno ti creda! Phoebe ti ha guardato come se ti fosse spuntata un’altra testa!»
«Beh, avevo previsto la sua reazione», confessò Sorey.
Mikleo si voltò finalmente verso di lui.
«Prego!?»
«Ho avuto poco tatto nel dire certe cose… ma comportarmi così è stata anche una mia decisione», svelò stringendo con entrambe le mani la stoffa dei suoi pantaloni.
«… Perché?», fu la domanda che il serafino scandì a fatica dalle sue labbra secche; la domanda che gli sarebbe costata chissà quale verità, che avrebbe voluto tenere seppellita nelle proprie viscere, ma senza la quale non avrebbe potuto proseguire la serata.
Il silenzio dell’amico lo spinse a parlare ancora.
«Non hai mentito neanche quando hai detto l’ultima frase? O era una scusa per farla allontanare definitivamente?»
«Tutto ciò che ho detto era per accertarmi se un’ipotetica relazione avrebbe funzionato. Tutto ciò che ho detto non era una menzogna». Osservò Mikleo dritto negli occhi. «Tutto ciò che ho detto era per dimostrarti qualcosa. Non ti avrei chiesto di essere presente, se avessi desiderato una conversazione più intima con lei».
I tratti del volto del compagno cominciarono a distendersi. Per la prima volta, mantenne lo sguardo fisso su Sorey.
«Potresti spiegarti meglio?», gli domandò con tono più pacato.
«Ecco… avevo intuito che non ti facesse piacere che io ricevessi le attenzioni di Phoebe; d’altra parte, però, io non sono mai stato interessato a lei, e la vedevo solo come un’amica o una potenziale Adepta. Forse la mia è stata un’azione poco carina nei suoi confronti… ma le ho detto quelle cose sia per metterla alla prova, sia per farle capire cosa io provassi. Inoltre, volevo che tu fossi presente per dimostrarti che non mentivo su quello che ti dissi mentre ti stavi lavando, che devi stare tranquillo, che ciò che le ho confessato… ti riguarda».
Una volta detto ciò, il moro non poté fare a meno di arrossire, abbassare lo sguardo, esibire un sorriso nervoso e grattarsi una guancia con un dito.
«Sì, non è stata l’idea più saggia…», ammise poi ridacchiando, «… ma sono inesperto in questo campo, immaturo. Solo adesso mi sto accorgendo di provare qualcosa… e quel qualcosa mi sta facendo sentire tanto adulto quanto tonto».
Sentì la parte del materasso alla sua destra sprofondare, e vide con la coda dell’occhio la figura di Mikleo seduto accanto a lui.
«È normale che non riesca ad immaginarmi una vita senza di te?», continuò imperterrito il Redentore, sentendo il bisogno di sfogarsi, «Io… non mentivo l’altro giorno, quando ti dissi che per me sei unico e inimitabile. Nessun’altra persona, maschio o femmina che sia, potrebbe eguagliarti; e non ho mai provato, finora, un sentimento veramente forte per una ragazza… probabilmente perché non riesce a trasmettermi ciò che io recepisco da te. Sento di non desiderare nessun altro, di essere davvero felice quando parlo, scherzo, bisticcio con te. Il problema è che… non ho mai approfondito questi miei pensieri, non credendo che l’assenza di chiarimenti potesse farti soffrire».
Respirò profondamente.
«Pensi che fra noi due potrebbe…?»
L’indice di Mikleo si posò sulle sue labbra non appena ebbe il coraggio di sollevare di nuovo il viso. Non sapendo come reagire, Sorey restò immobile; notò gli occhi lucidi del serafino e le sue labbra lievemente dischiuse, come se fosse in procinto di rispondere, e in quel momento pensò che non ci fosse creatura più bella.
«Non voglio che tu lo dica», disse finalmente il coetaneo, «Non si sa cosa ci riserverà il futuro».
«Non mi dimenticherei mai di te», ribadì Sorey.
«Ti credo… ma la probabilità di separarci, se sopravvivessimo a questa battaglia, sarebbe altissima. Quanto tempo ti servirà per purificare un essere come il Dominus della Catastrofe? Cosa farai subito dopo? Dove andrai? Trascorrerai il resto della tua vita con gli umani? Ogni giorno, Sorey, ogni giorno mi chiedo tutte queste cose», replicò Mikleo con espressione avvilita, «Tu sai che, per quanto mi capiti di brontolare per una tua decisione, alla fine non potrei mai voltarti le spalle e abbandonarti».
«Nemmeno io», s’intromise un attimo il compagno.
«Quello che temo non è la nostra distanza spirituale – che ritengo impossibile –, ma quella fisica. È una questione di… resistenza, nostalgia, privazione che potrebbe attanagliarci senza pietà».
Vedendo il volto del Redentore demoralizzarsi, il serafino poggiò una mano sopra la sua e la strinse, spinto da un’irrefrenabile voglia di rassicurarlo.
«Quello che provi per me… lo sento anch’io per te. Sei sempre stato una persona speciale», rivelò accennando un timido sorriso, meravigliandosi della sua stessa spontaneità, «Proprio perché questo sentimento è corrisposto… ti chiedo di andarci con calma, o addirittura aspettare. Se portassimo avanti questa relazione, rischieremmo di soffrire, qualora ci separassimo in seguito».
La mano di Sorey andò a finire su una spalla dell’albino.
«Non credi, invece, che ci farebbe soffrire di più mantenerla in uno stato di stallo? Anche se ci dovessimo separare, non avremmo il rimorso se la sviluppassimo».
Mikleo si ritrasse.
«La fai facile», lo ammonì, «Per me non è così. Sai quanto mi costerebbe lasciarti andare?»
«Sai quanto rimpiangeresti un’opportunità sprecata?»
Rendendosi conto della frase avventata e del volto dell’altro farsi sempre più angosciato, Sorey si morse il labbro inferiore e strinse l’amico a sé.
«Scusami, non avrei dovuto dirlo».
«… Scusami tu. Sono il solito apprensivo», rispose l’altro dopo un po’.
«Sono una frana a gestirmi in queste situazioni».
«Sono messo peggio io».
«Credimi, io so essere più imbranato».
Sciolto l’abbraccio, i due si guardarono per qualche secondo e poi scoppiarono a ridere.
«Dobbiamo competere anche in questo?», chiese Sorey.
«Se necessario…», gli comunicò il serafino.
«È meglio se non complichiamo le cose», concluse l’altro, «Sappi che voglio assecondarti… o almeno provarci. Rispetterò ogni cosa che deciderai di fare. Dopotutto… tu hai sempre avuto tanta pazienza con me, e mi hai appoggiato in tutte le circostanze difficili».
Senza attendere qualsiasi accordo o obiezione da parte di Mikleo, si alzò dal letto.
«Torno subito», lo avvisò prima di uscire dalla stanza.
Dopo qualche minuto, rientrò mostrando al compagno un piatto pieno di biscotti; gli stessi che si stava cimentando a preparare l’altro giorno.
Mikleo inarcò le sopracciglia. Aveva completamente dimenticato che Sorey li avesse cucinati, così come non si era domandato il motivo per cui non li avesse portati a Phoebe.
Cominciò a credere di aver frainteso molte cose, e l’interlocutore gli diede conferma di ciò.
«I frolli-frolli! Li ho cucinati per noi», lo informò infatti.
«… Non erano per lei?», si accertò il serafino con una certa vergogna.
«No!», esclamò l’amico, «Doveva essere una sorpresa per te. Non volevo che mi scoprissi mentre li stavo preparando; ecco perché mi ero rimboccato le maniche quando stavi dormendo. Purtroppo, però, ti sei svegliato a causa mia. Immaginando una riappacificazione con te, dopo l’incontro con Phoebe, avevo deciso di mostrarteli una volta tornati a casa».
Mikleo incrociò le braccia, e lo scrutò con aria di sfida.
«E se avessi continuato a mettere il broncio?»
«Avrei cercato di corromperti con l’aroma dei biscotti», affermò il moro.
«Manca la scorza di limone grattugiata», gli ricordò l’altro.
«… Quanto puoi essere noioso!?»
Dopo l’ennesima risata, si sedettero sul pavimento di legno e iniziarono a sgranocchiarli. Non erano il massimo della bontà, secondo Mikleo, ma riferì comunque al compagno che, per essere la prima volta, aveva fatto un buon lavoro.
«Ti ringrazio per la sorpresa», aggiunse poi.
In quel momento, il Redentore si soffermò a pensare a quanto fosse incredibile il loro rapporto, e ancora acerbo allo stesso tempo.
Si erano detti di piacersi, ma senza nessuna smanceria in più. Tornavano sempre a scherzare serenamente dopo ore, giorni passati a fulminarsi con lo sguardo o affrontare questioni delicate. Risolvevano determinati problemi con una leggerezza tanto scialba quanto invidiabile. Si stavano comportando come se non fosse successo niente di spiacevole o destabilizzante; forse perché troppo uniti, troppo empatici, troppo fiduciosi l’uno nei confronti dell’altro.
«Sai, Mikleo…», cominciò a dirgli, «… se il rapporto tra umani e serafini potesse essere spontaneo come il nostro, se ogni rancore si potesse attenuare con la stessa facilità con cui noi due chiudiamo un litigio… il mondo sarebbe veramente un posto migliore».
L’interessato lo osservò con un certo stupore, soffermandosi ad ammirare ancora una volta i suoi occhi vivaci e del colore del mare.
Quella a cui il serafino stava assistendo era l’espressione dell’autentico Sorey, piena di speranza e zelo per il susseguirsi della sua missione. In quegli occhi era riflesso lo splendore del suo futuro e di quello dell’umanità, un senso di calore e pace interiore che invadeva l’anima di chiunque contemplasse il volto di quel ragazzo.
«Per questo ti chiedo…», proseguì il Redentore, rivolgendogli un dolce sorriso, «… di continuare a strami vicino ed essere la mia forza e motivazione. Se sto andando avanti senza cedere è soprattutto grazie alla tua presenza; perciò, permettimi di stare al tuo fianco fin quando sarà possibile, per riportare la pace nel mondo… ed essere felici».
Senza dire una parola, Mikleo sollevò il braccio destro e lo incrociò con quello del compagno.
«Insieme, allora?», confermò Sorey.
«Something in your eyes, makes me wanna lose myself», proferì invece l’albino.
«… Eh?»
«C’è qualcosa nei tuoi occhi che mi fa venire voglia di perdermi», tradusse il serafino, «Perdermi in essi, perdermi in ogni luogo e in ogni sensazione incontrollabile; non mi importerebbe, perché ci saresti tu al mio fianco».
Addentò un altro biscotto e proseguì dicendo: «In qualsiasi posto mi sono trovato finora, non mi sono mai sentito totalmente un estraneo; neanche quando mi ero smarrito, perché ero comunque vicino a te… e con te mi sono sempre sentito a casa. Basta guardarti negli occhi per ritrovare me stesso e il mio coraggio».
Gli sorrise.
«Sei capace di fare miracoli alle persone. Hai un grande dono».
Sorey si grattò istintivamente la nuca.
«Mi metti in imbarazzo…», mormorò, «Se continui così…»
Si bloccò, incerto su come terminare la frase.
«Mi tappi la bocca?», ipotizzò Mikleo, ostentando un’incredibile calma che non si addiceva al suo solito comportamento.
Il moro decise, a quel punto, di stare al gioco.
«Esattamente, con un frank kiss», replicò con espressione maliziosa, avvicinando il suo viso a quello del compagno e facendo risalire lentamente una mano lungo il suo braccio sinistro.
Non ottenne, però, da lui l’“effetto stupore” sperato, bensì un riso sornione.
«Un bacio franco? Allora io te ne darei uno schietto», fu il commento.
«Io intendevo “alla francese”!»
«Si pronuncia french kiss, ignorantello», lo rimproverò l’albino, mantenendo un’espressione divertita.
«… Beh, sarebbe anche franco, perché il bacio è sincero!»
Sorey abbassò un attimo lo sguardo per scegliere un altro biscotto, ma l’unica cosa che vide fu qualche briciola sul piatto. Piantò di nuovo gli occhi sul serafino, e notò che stava tenendo in mano l’ultimo frollo-frollo a forma di mezzaluna.
«Si può sapere quanti ne hai mangiato?», gli chiese.
«Mmh, una dozzina», replicò l’altro senza scomporsi, «Quest’ultimo sarebbe il tredicesimo».
«Io solo quattro! Non è giusto!», inveì.
«Tu cucini, io assaggio».
«Assaggi? Hai per caso il verme solitario, o li hai trovati squisiti e non vuoi ammetterlo?»
«Se sei troppo lento, non è colpa mia», rispose rigirando la questione.
Il Redentore curvò le labbra in una smorfia infastidita.
«Quando mi darai una soddisfazione?», gli domandò.
Per tutta risposta, Mikleo infilò il biscotto fra i denti, senza però morsicarlo, mostrandolo in quello stato all’amico con espressione vittoriosa.
“Ormai è di mia proprietà, e non lo divido con nessuno”, era il messaggio che trasudava dai suoi occhi vispi.
Fu in quell’attimo che Sorey, sentendosi un’altra volta sfidato, si affidò all’istinto. Con uno scatto fulmineo delle gambe, si avvicinò al viso del serafino, passò una mano fra i suoi capelli chiari e dietro il suo collo per evitare che indietreggiasse, e posò i denti sulla metà esterna del biscotto che il compagno stava tenendo in bocca; nel farlo, unì per pochi secondi le sue labbra a quelle morbide di Mikleo, muovendole timidamente per tastarle, assaporarle, confermare ciò che aveva sempre fantasticato a proposito di esse. Dopodiché, non appena avvertì queste ultime muoversi – non seppe se per assecondarlo o per tentare di emettere qualcosa di simile a un “Ma che diavolo…?” –, si affrettò ad addentare la parte che voleva rubare ed interruppe quel contatto.
Il viso imporporato della vittima, la sua espressione intontita, gli occhi sgranati e le labbra ancora dischiuse lo divertirono oltremodo, e pensò a quanto fosse carino.
«In tal caso, sarò io a crearmi queste soddisfazioni», proferì mentre masticava, orgoglioso di avergli fatto gettare la maschera da scaltro.
Mikleo si sfiorò le labbra con l’indice e il medio della sua mano lievemente tremante.
«Mi hai appena dato un bacio?», fu la sua domanda retorica, «Un bacio al biscotto
«Qualcosa del genere», replicò Sorey ridendo, «Un cookiss».
«Che squallida…», commentò il serafino, lasciandosi contagiare dal suo buonumore.
«Ti è piaciuto?», si accertò poi il compagno.
«Come inizio non è male», giudicò l’interessato, tentando di mostrarsi di nuovo sereno, «Molto… bizzarro e creativo».
«Posso fare di meglio», sostenne l’altro, sentendo un’improvvisa euforia scorrergli nelle vene.
«Contieni i tuoi ormoni», lo ammonì Mikleo alzandosi in piedi, prendendo il piatto vuoto e dirigendosi alla porta.
«Se vuoi, possiamo darci il prossimo con una fetta di pizza!», propose Sorey seguendolo.
«Condividere la pizza? Giammai».
«Uno spaghetto?»
«Pecca di originalità».
«Un marshmallow?»
«Niente cibo. Mi farebbe, inoltre, un tantino schifo».
«Uffa, volevo essere meno monotono…»



~ ♦ ~



Due settimane dopo

La notizia che all’interno del palazzo reale si stessero deliberando piani loschi e trattative inconsuete, oltretutto senza la completa supervisione della regina – data per malata –, si era diffusa come voce di corridoio con una celerità impressionante.
Tutti gli abitanti della città ne discutevano nei luoghi di ritrovo, e i loro discorsi pieni di apprensione erano arrivati anche alle orecchie delle guardie reali; tuttavia, queste ultime, i vari funzionari e alcuni membri di quella grande famiglia continuavano a smentire alcune dicerie e tentare di tranquillizzare il popolo.
Sorey sentiva che era arrivato il momento di agire, di farsi notare in qualsiasi modo da quelle persone, per permettere che venisse accolto tra le mura di quell’imponente edificio e gli fosse data l’opportunità di conversare con loro – com’era consuetudine quando visitava una città della sua terra natia e patria delle Cronache Celesti. In quel caso, però, non poteva essere riconosciuto e appoggiato da nessun uomo rilevante o qualcuno che detenesse cariche di alto rango.
L’occasione di rivelarsi gli si presentò poco dopo quella riflessione, in un pomeriggio di vento impetuoso e pioggia incessante dall’odore asprigno, quando si imbatté in un drago di notevoli dimensioni, dalle squame raggrinzite e paonazze, e dallo sguardo feroce e spietato. Quella creatura stava sorvolando il palazzo reale, e Sorey ebbe immediatamente la conferma che il fulcro della malevolenza cresceva proprio fra quelle mura.
Le persone che si trovavano nelle vicinanze non poterono vedere il dragone, ma restarono immobili, quasi impietrite, appena videro la figura del Redentore illuminarsi di una luce quasi divina ed essere investita da un’onda di energia anomala ai loro occhi.

“Per purificare le anime di quelle persone, devi essere pronto a rivelarti ed affrontare qualsiasi ingiuria nei tuoi confronti.”

Il ragazzo scrutò per un attimo tutti gli spettatori, e notò una Phoebe e un signor Collins alquanto sbalorditi in mezzo alla folla.

“Se ogni rancore si potesse attenuare con la stessa facilità con cui noi due chiudiamo un litigio… il mondo sarebbe veramente un posto migliore.”

Si voltò poi verso Mikleo, il quale era accanto a lui, alla sua destra, e aveva dipinta in volto un’espressione risoluta ma smorzata da un sorriso premuroso che il Redentore ricambiò all’istante.
«Sorey-san, è il momento», lo richiamò Lailah.
«Non perdiamo altro tempo», aggiunse Edna.

“Permettimi di stare al tuo fianco fin quando sarà possibile, per riportare la pace nel mondo… ed essere felici.”

«Sei pronto, Mikleo?», domandò dunque all’interessato.
«Quando lo sei tu», fu la risposta.
E il cuore di Sorey cominciò a battere con frenesia; non per il terrore di affrontare quella creatura, ma perché pervaso improvvisamente di gioia e fiducia in se stesso e nel serafino.
Colui che amava e con il quale aveva appena intrapreso un cammino delicato quanto la sua missione.
Colui con il quale era fiero di combattere, poiché sicuro della loro invincibile unione.
Le sue dita sfiorarono quelle affusolate di Mikleo; i loro mignoli si incrociarono, e il Redentore sollevò il capo, pronto a pronunciare il vero nome del suo compagno di vita come un grido di battaglia.
«Luzrov Rulay!»



sormik




~*~





Angolo dell’autrice


Salve a tutti gli utenti di questo fandom!
Dunque, confesso che bazzico quest’ultimo già da mesi. Se, però, mi sono decisa a postare qualcosa di mio (“traslocando” momentaneamente dal fandom in cui pubblico di più), è grazie a questo grazioso contest che ho avuto la fortuna di scoprire.
Appena ho letto le parole chiave “primo bacio”, ho subito pensato che sarebbe stato intrigante ideare una trama del genere con Sorey e Mikleo come protagonisti. Dopotutto, la Sormik è una delle mie coppie preferite della saga.
Tuttavia, non nascondo che calare quei due in un’atmosfera romantica è stato alquanto faticoso; e mi sono resa conto di questa difficoltà solamente durante la stesura.
I problemi principali di questi personaggi – che, comunque, adoro – sono i seguenti: nella storia originale non sono stati sufficientemente analizzati per quanto riguarda la sfera sentimentale, e – soprattutto – sono entrambi… “uke”. *ride*
Tenete conto che non ho ancora avuto l’occasione di giocare al videogioco (pur avendo letto molti spoiler, inseriti tra l’altro in maniera “occulta” in questa one-shot), e non so se in esso siano presenti momenti più “gratificanti” fra i due. Per ora posso rifarmi solo alle vicende dell’anime, che – sarò sincera – mi hanno entusiasmato pochissimo. I personaggi, a mio parere, hanno molto da offrire allo spettatore, ma non è stata data loro la possibilità di essere meno “bidimensionali”.
Tornando a noi, ho trovato arduo “far avvicinare” Sorey e Mikleo perché entrambi hanno determinati comportamenti/fissazioni che io considero “ostacoli” per lo sviluppo della loro relazione. Ho evidenziato di proposito certi momenti di immaturità, confusione, goffaggine, e ho reso le scene più “intime” molto leggere, spontanee; questo proprio perché nel mio immaginario non li vedo ancora pronti al 100% per impegnarsi.
Per il resto, avendo scelto il pacchetto Inghilterra, ho ambientato la storia a Londra (città che ho fortunatamente visitato anni fa; perciò, ho potuto “parlarne” rifacendomi ai miei ricordi, le sensazioni provate e alcune foto). Ho inserito nel testo le parole “tè” e “kiss” richieste dal pacchetto, così come la citazione inglese – più la sua traduzione – pronunciata da Mikleo alla fine (che ho scoperto provenire dal testo di una canzone che parla proprio di “sentirsi a casa quando si è assieme ad una determinata persona”).
I nuovi personaggi e tutte le circostanze che hanno portato i due a darsi il tanto agognato(?) bacio (bizzarro, tra l’altro *ride*) sono un’aggiunta non esplicitata nel pacchetto, ma che ho ritenuto indispensabile e interessante inserire per una buona maturazione psicologica dei protagonisti, per dare – appunto – un senso all’ambientazione richiesta ed un perché al fatto che si trovassero in un luogo diverso dal “solito”.
Non ho inserito tutti i personaggi, poiché non era d’obbligo per lo sviluppo delle vicende.
Infine, il titolo della storia è “Iris” per due motivi/sfaccettature:
- questo fiore è simbolo di sentimenti profondi e positivi. Nello specifico: l’assoluta fiducia, il trionfo della verità, la promessa della speranza (elementi trattati nella one-shot). Fiorisce specialmente in primavera, ossia in questo periodo.
- “iris” è una parola inglese (e di origine greca) che in italiano si traduce con “iride”, la parte della membrana vascolare dell’occhio. Ciò si ricollega alle volte in cui Mikleo si è soffermato a contemplare gli occhi di Sorey (elemento importantissimo della citazione contenuta nel pacchetto). Hanno notevole importanza anche gli occhi del serafino, poiché il loro colore rimanda all’iris viola che simboleggia la sapienza (caratteristica del personaggio).
I crediti della fanart vanno alla rispettiva autrice, che purtroppo non sono riuscita a identificare. *sospira*
Spero abbiate gradito questo racconto, così come spero di non avervi annoiato con queste delucidazioni e di aver gestito bene i personaggi.
Tornerò da queste parti (non so quando). Intanto, spero di essere la benvenuta. ^^
Vi ringrazio per essere arrivati fin qui. Recensite, fatemi sapere!
Alla prossima,
Scarlet
  
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