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Autore: IamNotPrinceHamlet    10/04/2017    0 recensioni
Seattle, 1990. Angela Pacifico, detta Angie, è una quasi 18enne italoamericana, appassionata di film, musica e cartoni animati. Timida e imbranata, sopravvive grazie a cinismo e ironia, che non risparmia nemmeno a sé stessa. Si trasferisce nell'Emerald City per frequentare il college, ma l'incontro con una ragazza apparentemente molto diversa da lei le cambia la vita: si ritrova catapultata nel bel mezzo della scena musicale più interessante, eterogenea e folle del momento, ma soprattutto trova nuovi bizzarri amici. E non solo.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Hai poi sentito Mike per caso?” domanda con finta noncuranza la mia coinquilina dopo aver salutato cordialmente un cliente del minimarket.

“No. Grazie a dio” borbotto con la bocca piena di fagottini al cioccolato, la mia colazione, appena acquistata qui. Da quando Angie si è messa in testa di fare sport e vita sana non entra più un cazzo di dolce in casa nostra, come se la mia vita non potesse essere peggiore di così. 

“Beh, dovrai parlarci prima o poi. Cioè, secondo me dovresti”

“Ma dai? Veramente? Non sapevo fosse questa la tua opinione. O forse avrei dovuto, visto che è solo l'ottantesima volta che la condividi con me”

Sono giorni che me la mena con questa storia, dalla sera in cui è successo tutto il casino. Ovviamente lo fa a suo modo, cercando di non dare troppo nell'occhio, una domandina qua, una battuta là… dopotutto quella che mette il becco nelle vite degli altri sono io, mica lei!

“Se la condivido vuol dire che la ritengo valida”

“Sarà valida per te, ma non per me. E comunque nessuno te l'ha chiesta” aggiungo sorridendo prima di finire in un boccone il secondo fagottino.

“Stai ben poco velatamente cercando di dirmi che sono invadente?”

“Nooooo, ma va, niente affatto! E poi non lo saresti mai, come potresti? Proprio tu, che odi quando gli altri si intromettono nella tua vita… nah!”

“E’ una situazione completamente diversa dalla mia”

“Ah sì, e perché?” sono proprio curiosa di sapere cosa s'inventa.

“Perché io non ti sto suggerendo di perdonare Mike o rimetterti con lui”

“Anche perché se così fosse saresti da ricoverare seduta stante”

“Ti sto semplicemente consigliando di incontarlo per parlarci e chiarire, poi starà a te decidere” spiega facendo spallucce e continuando a disegnare i suoi quadratini sul blocco per appunti davanti a lei sul bancone.

“Decidere cosa? Come ucciderlo? Ok, forse potrei accettare consigli anche sulla scelta dell'arma, te lo concedo”

“Meg”

“Senti, Angie, non ho niente da dirgli e non voglio sentire cos'ha da dire lui, mi sembra tutto fin troppo chiaro”

“Beata te che hai le idee così chiare, io penso di non aver ancora capito del tutto Mike, forse solo un pochino”

“Io sì e te lo spiego volentieri. Anch'io all'inizio ero confusa, pensavo fosse solo uno che non sa cosa cazzo vuole dalla vita, che come si muove fa danni, ma fondamentalmente non una cattiva persona, uno che ti ferisce per sbaglio, senza cattiveria, soltanto perché non sa come evitarlo. Come un gattino che non ha ancora imparato a ritrarre le unghie e ti massacra le braccia quando in realtà vuole solo giocare con te” spiego e Angie posa la penna, incrocia le braccia sul bancone e comincia a sorridermi come credo di non averla mai vista fare da quando la conosco. Mi fa quasi spavento.

“Ah sì?”

“Sì. E perché cazzo sorridi così?”

“Hai appena paragonato Mike a un gattino”

“Un gattino che graffia”

“Un tenero micetto”

“Un micetto rognoso del cazzo che ti dissangua con indifferenza”

“Ma pur sempre un cucciolo”

“No, pensavo fosse un cucciolo, invece ora ho capito che lo fa apposta. Si diverte proprio a giocare coi sentimenti degli altri, da sadico bastardo”

“Ahahah ma chi?? Mike?”

“Certo. E non c'è niente da ridere. Non farti ingannare da quell'aspetto dolce e innocente, la sua anima è nera come la notte”

“Dolce eh?” chiede ammiccando ripetutamente con le sopracciglia.

“Vaffanculo, Angie”

“Meg, secondo me stai esagerando”

“Ah sto esagerando? La prossima volta che avrai problemi con un ragazzo ti riderò in faccia come stai facendo tu con me, dicendoti di non esagerare” ribatto imbronciata, appallottolando l'incarto dei fagottini e lanciandolo verso la faccia di Angie, che però lo acchiappa al volo. Questi allenamenti con la versione fitness di Henry Rollins le avranno migliorato anche i riflessi.

“Guarda che io non sto ridendo di te, è solo che Mike non mi sembra questo spietato genio del male, tutto qui. Io sono più per l'ipotesi gattino rimbambito inconsapevole” risponde buttando la carta nel cestino alle sue spalle dietro il bancone.

“Beh, anche se fosse, ha quasi 25 anni il micio, sarebbe anche ora che si svegliasse un attimo”

“Secondo me dei segnali di risveglio ci sono stati… si tratta solo di coglierli” commenta Angie col chiaro intento di insinuare qualcosa che sicuramente sto per scoprire.

“E io non li avrei colti?”

“Piuttosto li hai interpretati in modo sbagliato”

“Spiegati meglio”

“Davvero pensi che Mike non abbia detto di te a Melanie perché per lui non sei importante?”

“Se non per questo allora perché?”

“Beh, forse proprio perché sei importante, perché sotto sotto prova ancora dei sentimenti per te e non voleva che la sua ragazza si intromettesse nella vostra amicizia, che alla fine era tutto ciò che gli rimaneva con te”

“Quello che dici è già un controsenso: ha ancora dei sentimenti per me, ma ha un'altra ragazza? Dovrebbe stare con me allora, e invece no. Perché?”

“Ehm… forse perché tu l'hai sfanculato quella famosa sera del concerto all'Off Ramp?”

“Ok, tecnicamente sì. Ma anche prima di allora non stava con me, non voleva impegnarsi, quindi il motivo è un altro”

“Probabilmente non vuole impegnarsi perché è insicuro, ha paura di fare casini e, visti gli ultimi sviluppi, direi che è una paura piuttosto fondata. E poi… non hai mai pensato che potrebbe non sentirsi alla tua altezza?”

“Alla mia… che cazzo stai dicendo?” McCready coi complessi? Questa non l'avevo ancora sentita!

“Beh, tu sei bellissima, simpatica, intelligente e forte, conosci un mondo di gente, sei molto corteggiata e qualsiasi ragazzo darebbe un rene per uscire con te”

“Ci stai provando con me?”

“Ahahah no, era per dire che, insomma, a volte gli uomini possono farsi venire dei complessi di inferiorità, che ne abbiano motivo o meno. E non solo loro. E’ un po’ come me con Jerry… ok, è una situazione diversa, ma non parlo del triste epilogo, parlo dell'inizio, del prima: quando l'ho conosciuto pensavo fosse bello come un dio e non mi sarebbe passato nemmeno per l'anticamera del cervello di farmi delle illusioni su lui e me perché, voglio dire, mi hai vista?”

“E infatti eri una stupida e te l'ho sempre detto”

Ecco che riattacca con la solita solfa! Non che mi dispiaccia che la conversazione si sposti un po’ più su di lei e Jerry eh, visto che di parlare di Mike mi sono anche un po’ rotta le palle. Però non la tollero quando si butta giù così, è più forte di me. A parte il fatto che è molto carina e potrebbe avere qualsiasi ragazzo, non riesco a credere che una ragazza in gamba come lei possa veramente attribuire così tanta importanza all'aspetto fisico.

“E anche quando lui ha iniziato, come dire, a provarci, io l'ho sempre schivato perché, figurati, meglio lasciar perdere! Che poi, forse, sarebbe stata anche la cosa giusta da fare in quel caso… ehm ehm, ma non è questo il punto. Jerry probabilmente non è mai stato veramente innamorato di me, ma in tutti i mesi che siamo stati assieme sarà stato almeno vagamente attratto da me per un minuto, no? Beh, io ancora non riesco a concepirlo, non lo capivo allora e non lo comprendo nemmeno adesso. Poi va beh, il fatto che mi abbia cornificato non mi ha aiutata a convincermi di piacergli davvero”

“Angie tu stai completamente fuori, se Jerry ha fatto lo stronzo non è di certo perché non fosse attratto da te, non c'entra niente” ribatto sconcertata. Ok, quella merda di Jerry non sarà stato il fidanzato ideale, ma non è possibile che ancora abbia dei dubbi sul fatto di piacergli o no. I casi sono due: o la sua autostima è più bassa di quanto credevo o è completamente deficiente.

“Lo so, ma… ecco, non posso fare a meno di pensare che se fossi stata più bella tutto questo non sarebbe mai successo. E’ un po’ un pensiero che faccio sempre, non solo quando si tratta di essere scaricata da un ragazzo. Se fossi bella nessuno mi avrebbe abbandonata…” la voce le si alza leggermente e diventa più incerta, mentre elenca le sue stupide convinzioni “se fossi bella Drake il quarterback non avrebbe voluto vedermi solo di nascosto, se fossi bella non mi avrebbero fatto fare la parte del cespuglio nella recita di Natale in terza elementare, se fossi bella mi avrebbero presa come receptionist in quell'albergo figo vicino allo Space Needle, se fossi bella qualcuno mi offrirebbe spontaneamente il suo aiuto per prendere le cose dai ripiani più alti al supermercato e non dovrei arrampicarmi sugli scaffali rischiando la vita ogni volta”

“Ma lo capisci anche tu che non c'è alcuna correlazione tra la bellezza e queste cose che hai elencato, vero?” come se fossero solo le persone belle ad andare avanti nella vita. E poi belle in base a cosa, secondo quale criterio?

“Razionalmente sì, però… però no, perché in me è radicata la consapevolezza che se fossi bella la mia vita sarebbe diversa, invece la mia vita è imperfetta perché non lo sono ed è una cosa che mi accompagna sempre. Non nel senso che sto sempre lì a pensarci, non ce n'è bisogno, è come respirare o ascoltare, non è che tu stia continuamente lì a ragionare su inspirazione ed espirazione e sul fatto di avere le orecchie, ma allo stesso tempo respiri e senti i rumori e non hai bisogno di rifletterci più di tanto per sapere che dopo quattro piani di scale avrai il fiatone, perché sai già di essere fuori allenamento, lo sai già dal primo gradino, ma non ci pensi perché tanto saranno i tuoi limiti a farsi sentire al momento opportuno. Non ho bisogno di ricordare di continuo a me stessa che non sono abbastanza bella perché prima o poi andrò a sbattere contro qualcosa che me lo farà presente”

“Tu pensi che la vita di una persona bella sia perfetta?”

“No, solo più facile in alcuni contesti”

“Beh, allora la tua vita è molto facile, Angie, perché sei bellissima”

“Ci stai provando con me?” domanda ripetendo la mia battuta di qualche minuto fa.

“Ahah no, ma lo farei se non fossimo entrambe fortemente etero”

“Sarebbe comunque inutile perché io non mi sentirei alla tua altezza, come Mike” Angie è bravissima a rivoltare la frittata e ributtare su me e Mike il discorso.

“Mike non ha complessi sul suo aspetto fisico, almeno non credo”

“Non deve essere per forza l'aspetto fisico, magari non si sente abbastanza figo o forte, abbastanza fedele, abbastanza simpatico, abbastanza alto, potrebbe essere qualsiasi fottuta cosa, che so, potrebbe non sentirsi abbastanza mancino perché suona la chitarra da destro” Angie impugna di nuovo la biro e disegna sulla pagina del blocco una serie di pallini in fila, uno per ogni punto che sta elencando.

“Sì, ma in quel caso io che ci posso fare? E’ un problema suo, io non ho mai fatto nulla per renderlo insicuro”

“Per l'appunto, è un suo problema e lui ha cercato di risolverlo da solo, ma nel modo sbagliato. Per esempio, raccontando versioni alternative sul vostro stare insieme agli altri, compresi i nuovi arrivati, vedi scena con Eddie all'Off Ramp. Un po’ come una certa ragazza che ha tenuto segreta la sua storia con un chitarrista dalla folta chioma bionda fino alla fine…” dal primo pallino parte una linea verso sinistra, che si conclude con una punta di freccia, subito dopo seguita da una identica tracciata verso destra.

“Mmm”

“Oppure tentando il chiodo scaccia chiodo con Melanie, una ragazza che lo ha sempre venerato facendolo sentire figo. Un po’ come ha fatto sempre la nostra anonima ragazza lasciandosi andare a baci sconsiderati con una sua vecchia fiamma estiva” altre due freccie si allungano dall'ultimo pallino.

“Ma io ho fatto la stronza con Mike perché se lo meritava, il chitarrista dalla bella chioma ha fatto lo stronzo perché è stronzo”

“Infatti non sto dicendo che le due storie siano uguali, anzi. Però ci sono delle cose di Mike in cui riesco a rivedermi e, in fin dei conti, come ti ho già spiegato, anche se per motivi diversi, sia io che lui pensiamo di esserci meritati ciò che ci è successo, per quanto distorto tutto questo possa sembrarti” le frecce a sinistra puntano su un triangolo, mentre quelle a destra su un rettangolo.

“Quindi stai dalla sua parte?”

“No, sto dalla vostra parte. Io sono convinta che lui ti voglia bene, ma la cosa più importante è cosa provi tu. Perché puoi anche aver passato le ultime serate a bere e parlare male di Mike con Mel, ma in fondo io credo che tu sia ancora innamorata di lui, penso che tu non abbia mai smesso di esserlo altrimenti l'avresti già archiviato come una vecchia pratica e non ti saresti arrabbiata così tanto sentendoti cancellata dalla sua vita sapendo che non aveva detto nulla di te a Melanie” prosegue mentre è ancora impegnata ad annerire con la biro l'interno delle due figure geometriche ai lati del foglio.

Odio quando ha ragione, quindi la odio molto spesso. Praticamente sempre.

“Magari mi sono arrabbiata perché lo odio e basta”

“L'odio non è il contrario dell'amore, lo sanno anche quelli che selezionano le frasi da mettere nei cioccolatini, che è poi uno dei lavori che vanno a fare quelli che non sono abbastanza belli per fare altro”

“Il contrario dell'amore è l'indifferenza”

“Brava! Allora il semestre di psicologia è servito a qualcosa!” esclama passandosi brevemente la penna nella mano sinistra e allungando la destra verso la mia per stringerla sarcasticamente.

“Non ti allargare, tesoro”

“Comunque, quello che volevo dire è che sì, scoprire cosa passa davvero nella testa di Mike non sarebbe male, ma ciò che conta veramente sono i tuoi sentimenti”

“Che tu conosci meglio di me, immagino”

“Li conosci benissimo anche tu, ma fai di tutto per mascherarli. E con scarsissimi risultati aggiungerei”

“Quindi? Cosa dovrei fare a questo punto secondo te?”

“Beh io… non voglio intromettermi nelle tue scelte, devi fare quello che pensi sia giusto per-”

“Piantala con le cazzate e spara, coraggio” io quando voglio farmi i cazzi degli altri intervengo e basta, senza farla tanto lunga.

“Beh, per citare testualmente le parole che una mia cara amica mi ha rivolto tempo fa, direi che… Mike in un modo o nell'altro ti deve una spiegazione, no? Proponigli di incontrarvi, stasera magari, e mettilo alle strette e se quello che ti dice non ti piace… puoi sempre far partire una rissa” Angie mi sta rigirando il consiglio che le avevo dato io quando era saltata fuori la faccenda di New York e Jerry era andato a prenderla da Roxy. Era un buon consiglio, e non lo dico solo perché era da parte mia, anche se col senno di poi avrei fatto meglio a suggerirle di evirarlo e friggergli l'uccello nell'olio delle patatine.

“Di fronte a una rissa non mi tiro mai indietro”

“Che coincidenza, anche la cara amica ha detto una cosa del genere a suo tempo”

“Potrei invitarlo a casa nostra… che dici? Meglio in campo neutro?” alla fine non posso che capitolare, dopotutto non posso rifiutare un mio consiglio.

“Nah, meglio un campo dove hai un leggero vantaggio. E da dove lui non possa fuggire troppo facilmente”

“Giusto”

“E non ti preoccupare, cercherò di stare alla larga, magari mi infilo in biblioteca a studiare. O male che vada rompo un po’ le scatole a Chris e Matt con una scusa”

“Ah già! Tu non lavori stasera! No dai, faccio un altro giorno” mi ero completamente dimenticata del suo cambio di turno.

“Non trovare scuse, parlaci stasera e basta”

“Ok… però… c'è un però”

“Sarebbe?”

“Melanie. Abbiamo stretto amicizia adesso”

“Un'amicizia solida, costruita sul disprezzo per Mike McCready”

“Esatto. Se sapesse che lo vedo mi farebbe il culo con disprezzo”

“Va beh, ma… non è che sia obbligatorio dirglielo subito subito”

“La brava ragazza mi sta consigliando di mentire?”

“Certamente, io mento in continuazione. Ma questa non sarebbe neanche una bugia vera e propria alla fine, si tratterebbe solo di omettere una piccola informazione, che tra l'altro è ancora incompleta, visto che non sai come andrà a finire la cosa. Quando avrai il quadro completo della situazione, penserai a cosa dirle. Questo sempre secondo la mia opinione, poi vedi tu…”

“Capisco, è solo che-”

“E poi chi ti dice che non lo farebbe anche lei? Anzi, secondo me è molto probabile. Potrebbe anche averlo già fatto in fondo”

E’ brava, devo ammetterlo.

“Ok, mi hai convinta”

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Non appena metto il naso fuori dalla galleria, mi tiro su il cappuccio istintivamente, prevedendo la solita pioggerellina di Seattle delle quattro e mezza del pomeriggio. Quale il mio stupore nel constatare non solo la totale assenza di gocce, sia nell'aria che sull'asfalto, ma addirittura la presenza di non poi così timidi raggi di sole che mi puntano dritto in faccia, ora che sono lì lì per tramontare. Come un paio di chicche da veri fan piazzate giusto alla fine di una setlist tutto sommato tradizionale. Mi tiro giù il cappuccio mentre faccio lo sforzo di perdonarmi mentalmente per la forzata metafora musicale, dando la colpa all'imminente tour e alle ultime fasi della composizione dell'album. In realtà la mole di pezzi che abbiamo basterebbe tranquillamente per tre dischi… va beh, non esageriamo, facciamo due album e un ep. Ma visto che la nostra vena creativa è ben lontana dall'esaurirsi non vedo perché ci dovremmo fermare. La metà di quello che stiamo facendo potrebbe finire nel gabinetto, o più probabilmente nella cantina dei miei, ma chi lo sa, magari il pezzo migliore del nostro primo album dobbiamo ancora iniziare a scriverlo, magari lo scriveremo proprio oggi.

Dopo essere uscito come un razzo, decido invece di rallentare il passo, un po’ per far durare un po’ di più l'ormai inedita esperienza solare, un po’ perché dopo un'ora e mezza passata in uno scantinato, seppur a fare la cosa che più ami al mondo, si sente anche il bisogno di respirare un po’ d'aria, anche per riordinare le idee. Mi godo Seattle nella sua luce ottimale e, anche se il panorama dei negozi che danno sul vicolo tra Belltown e Blanchard non è certo da cartolina, devo dire che ha il suo fascino. Perfino il rosso e il verde dell'insegna del 7-Eleven dove vado a comprare le sigarette sembrano più brillanti. Di ritorno verso la galleria me la prendo un po’ meno comoda, perché Jeff all'inizio della sessione di prove ha accennato a un riff che gli gira in testa da ieri sera e non voglio che approfitti della mia assenza per farlo sentire prima agli altri. Quando sono quasi arrivato all'edificio colorato di graffiti però, la presenza femminile seduta sul marciapiede di fronte mi spinge a rallentare, fino a fermarmi del tutto.

“Oh mi spiace piccola scout, ho già comprato una decina di scatole dei vostri biscotti, non posso provocarmi la fame chimica ogni volta solo per aiutare la vostra causa” scherzo ironizzando sul colore verde dell'abito che vedo spuntare da sotto la giacca bianca di Grace e sulle sue treccine in stile Laura Ingalls.

“Ciao anche a te, Stone! Come va?” risponde senza alzarsi, ma limitandosi a sollevare gli occhi al cielo prima di salutarmi.

“Abbastanza bene, dai! A parte la glicemia. Colpa di quei fottuti biscotti…”

“Sai, noi piccole esploratrici camminiamo tanto e gli zuccheri li bruciamo facilmente, mica come i musicisti cannaioli”

“Considerando il tuo senso dell'orientamento, se tu sei un'esploratrice io sono cintura nera di karate”

“Hai anche cose carine da dirmi o pensi di concentrarti solo sulle prese per il culo per oggi?”

“In realtà non mi ero preparato nulla da dirti, visto che non ho avuto alcuna premonizione medianica sul fatto che ti avrei incontrata casualmente per strada questo pomeriggio, quindi calcola che sto improvvisando con le prime cose che mi vengono in mente pensando a te”

“Grazie, anch'io sono contenta di vederti. Ma… non lo definirei un incontro completamente casuale”

“Nel senso che il destino ci ha fatti incontrare facendoti venire il mal di piedi proprio qui davanti a dove suono spingendoti a fare una sosta?”

“Eheh non ti sei sbagliato più di tanto, sai? Comunque, più semplicemente, sono venuta appositamente a trovarti”

“Davvero? Beh, grazie per la visita. Quindi i biscotti sono in regalo?”

“Come va col disco e tutto il resto?” chiede ignorando le mie stronzate, mentre mi siedo accanto a lei.

“Bene, siamo riusciti a sganciarci definitivamente dalla vecchia casa discografica, non so se te l'avevo già detto. Comunque, continuiamo a registrare demo di pezzi nuovi, quando verrà il momento di scegliere cosa andrà nell'album sarà un bel problema”

“Problema che risolverai scegliendo tu per tutti, immagino”

“Esattamente! Non sarai un granché come esploratrice, ma il tuo intuito è imbattibile. E tu come te la passi?”

“Tutto ok, non mi lamento”

“Ottimo! E… novità?”

“Che novità?”

“Novità, non so, cose nuove che ti sono successe e che reputi interessanti, eventi che si raccontano in una conversazione normale tra due persone”

“Mmm no, nulla di che. Solite cose”

“Ok…” è venuta a trovarmi appositamente per non dirmi nulla?

“Ahimé, non ho la vita frenetica dell'artista come te, sai?”

“Siamo già arrivati al punto della conversazione in cui mi insulti anche tu per bilanciare la mia cattiveria?”

“E non sono fortunata come certi miei amici, che possono raccontare aneddoti divertenti a riguardo di clienti, come dire, particolari

“Clienti? Particolari? A chi ti riferisci?” so benissimo a chi si riferisce, ora ho capito perché è venuta fin qui.

“Oh stavo pensando a un mio amico, si chiama Pete, non so se te ne ho mai parlato”

“No, temo di no, non ne ho mai sentito parlare. A meno che non faccia Townshend di cognome. O Sampras, ma non mi pare siano mai saltati fuori nei nostri discorsi”

“Fa il commesso in quell'enorme negozio di scarpe a downtown Seattle, hai presente? Di fronte al ristorante vegano”

“Mmm sì, forse…” mi è bastato un mini-giro di telefonate per scoprire dove lavora il mentecatto con cui esce, una decina di minuti in tutto e avevo l’indirizzo.

“Beh, comunque mi ha raccontato un aneddoto davvero curioso”

“Wow, non vedo l'ora di sentirlo” dico distrattamente, con un entusiasmo palesemente finto, mentre apro le mie sigarette appena acquistate e me ne accendo una.

“Sì, di un tizio che è stato lì ieri mattina e l'ha praticamente fatto uscire fuori di testa”

“Ah davvero? Dopotutto si sa, i lavori a contatto col pubblico sono così” chiedo ridendo sotto i baffi e nascondendolo con difficoltà.

“Del tipo che gli ha fatto tirare fuori quasi tutte le scarpe che aveva in negozio e non gliene andava bene neanche una. E tirava fuori motivazioni tecniche sempre più assurde, come la suola troppo sottile o troppo spessa, il colore troppo colorato, la punta troppo a punta, ma solo dopo avergli dato ogni volta l'illusione di aver trovato il paio giusto. Quella era la bastardata più grossa secondo me!”

“Beh, le scarpe sono importanti, una scarpa scomoda ti rende la giornata impossibile se ci pensi”

“Già, infatti è uscito dopo un'ora senza comprare niente e Pete lo voleva uccidere”

“Povero Pete” in realtà è stata un'ora e un quarto.

“Dopo averne provate un centinaio di paia, ha chiesto se avevano solo quelle”

“Addirittura?”

“E il colpo di grazia gliel'ha dato mentre usciva dal negozio, quando ha precisato che comunque era entrato solo per farsi un'idea perché era in giro senza soldi”

“Adesso, Pete non vorrà mica mettersi a fare i conti in tasca alla gente…”

“E tu… immagino che tu non ne sappia niente, giusto? Di questa storia, intendo…”

“Ne so eccome invece!”

“Allora lo ammetti?!” esclama voltandosi completamente verso di me a occhi spalancati, pensando di avermi preso in castagna.

“Certo, ovvio che ne so qualcosa, me l'hai appena raccontata tu!”

Ingenua.

“Ah-ah, divertente…”

“Non era una battuta”

“Quindi tu non c'entri? Non eri tu il cliente misterioso rompipalle?”

“Assolutamente no, chi te l'ha detto?”

“Nessuno, è che la descrizione di Pete mi ricordava qualcosa: magro, capelli lunghi, occhioni, sorriso stronzetto, bei denti, gilet leopardato. A te non dice niente?” torna a sedersi come prima, guardando dritto di fronte a sé.

“Se questa è l'esatta descrizione che ti ha fatto, comincerei seriamente a farmi delle domande sull'eterosessualità del tuo ragazzo, Grace”

“E’ una descrizione rimaneggiata da me. E comunque chi ti ha detto che Pete è il mio ragazzo?” chiede guardandomi storto.

“Ho tirato a indovinare. Non lo è?”

“No”

“Ah no?”

“Ci sono uscita un paio di volte, ma mi sono accorta subito che non è il mio tipo e la cosa è stata reciproca. Quindi siamo solo amici”

“Uhm ok, capito. Comunque io non sono andato dal tuo amico” replico fingendomi totalmente indifferente alla rivelazione.

“Peccato” osserva lei alzando le spalle, sfregandole contro le mie.

“Peccato?”

“Beh, per un attimo avevo pensato che potessi essere stato tu e che, geloso o semplicemente infastidito, ci fossi andato col preciso intento di rompergli i coglioni”

“Cosa?! Ahahah geloso io? E di ch-” mi alzo producendomi in una risata molto esagerata, fin troppo, ma quel che viene dopo è talmente inaspettato che mi zittisce immediatamente.

“Cosa fai stasera, Stone?”

“Stasera? Beh, dopo le prove coi ragazzi, boh, andrò a mangiare qualcosa e poi vedremo che c'è in giro”

“E se invece mangiassi qualcosa con me e poi facessimo una passeggiata?”

“Con te?”

“Sì. Ti va?”

“E dove?”

“Mmm non saprei, sarei curiosa di provare quel ristorante vegano, che ne dici?”

“E’ una trappola! Vuoi portarmi da Pete per fare un riconoscimento?”

“Ahahah no, Pete non c'è, te lo giuro. E comunque, non avresti nulla da temere, no?”

“Offri tu?” le domando dopo aver finto di pensarci un po’ su, mentre anche lei sembra volersi alzare.

“Se io offro la cena, tu paghi il cinema” risponde allungando la mano verso di me per farsi aiutare.

“Cinema? C'è anche il cinema? Non basta la passeggiata?”

“Cena+passeggiata+cinema”

“In quest'ordine?”

“Prima si cena, poi passeggiando si digerisce e al cinema si sta seduti, tutto ha un preciso senso logico”

“Sicura di farcela? Sei già stanca, non riesci neanche ad alzarti”

“Va beh, io ti aspetto alle sette davanti al ristorante vegano, poi vedi tu. Ciao Stone!” scuote la testa, mi fa ciao ciao con la mano e fa per allontanarsi.

“Ho le prove fino alle sette, facciamo sette e mezza” la smetto finalmente di fare il cretino e le do una risposta sensata, al che Grace si blocca e si volta molto lentamente verso di me.

“Allora ti aspetto per le sei e mezza” ribatte facendomi l'occhiolino, per poi dileguarsi prima che io possa replicare, non perché sia veloce, anzi, se ne va a passo lento, ma perché mi ha lasciato senza parole. E non è una cosa che mi capita di frequente, tutt'altro, quindi il mio restare senza parole mi fa ulteriormente rimanere senza parole, in un sommarsi di meravigliato e meraviglioso mutismo.

A un certo punto mi riscuoto dal mio stato e torno alla normalità, si fa per dire, tanto che mi dirigo verso l'entrata principale della galleria, dimenticandomi momentaneamente che oggi è chiusa e che devo entrare dal retro. Mi do dell'idiota da solo prima di fare il giro dell'edificio e quando sto per bussare sul portone, per un pelo non mi arriva dritto in faccia.

“Ehi Stone, capiti giusto a proposito. Hai da cambiare?” Eddie esce guardando il cielo, probabilmente anche lui meravigliato dall'assenza di pioggia, e mi sventola una banconota sotto il naso.

“Sì, aspetta, ho il resto delle sigarette”

E, da quel che ho capito, ho anche un appuntamento.

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Le monete che mi ha appena dato Stone mi tintinnano nella tasca mentre esco velocemente dal vicolo per andare a mettere i soldi nel parchimetro per Jeff. Io sono venuto coi mezzi, che funzionano alla grande e sono anche piuttosto puntuali qui a Seattle. Ciononostante il numero di macchine è impressionante, praticamente chiunque qui ha un auto, tutti quelli che conoscono ne hanno una e la usano per andare ovunque, anche sotto casa. Poi magari prendono anche l'autobus o la monorotaia, vanno a lavorare in bici o in skate, ma la macchina ce l'hanno comunque. Io la prendo raramente per venire qui, soprattutto per il problema parcheggi. L'unico parcheggio un po’ ampio, e gratuito, qua attorno è quello di Roxy ed era già zeppo quando sono arrivato. Mentre faccio queste considerazioni do una breve occhiata al piazzale di fronte alla tavola calda, per poi procedere a inserire le monete nell'apparecchio per aggiungere un paio d'ore. Mentre giro la manopola per mandare giù l'ennesimo quarto di dollaro, mi rendo conto di un dettaglio che sul momento mi era sfuggito: allungo di nuovo lo sguardo verso il ristorante e inquadro meglio la Mini blu scintillante parcheggiata sulla sinistra. Che diavolo ci fa al lavoro a quest'ora? Finisco di mettere i soldi nel parchimetro in modo che Jeff sia al sicuro dalle multe e attraverso velocemente la strada. Non devo neanche avvicinarmi troppo per individuarla attraverso il vetro, di spalle, mentre prende nota delle ordinazioni di una coppia di mezza età che occupa un tavolo proprio accanto alla vetrina. Faccio giusto qualche passo avanti e posso apprezzare meglio la curva dolce del suo collo, scoperto grazie alla coda di cavallo d'ordinanza, da cui fuoriescono alcuni capelli più corti sulla nuca ed è quello il punto in cui si concentra tutta la mia attenzione, mentre lei annuisce, sorride e scrive sul taccuino e non ha la più pallida idea che sono qui, che la sto osservando e che è proprio lì che vorrei affondare il naso e farle venire la pelle d'oca con baci leggeri. Mi risveglio dai miei sogni da romanzo d'appendice quando Angie si allontana dal tavolo e si dirige dietro al bancone, probabilmente per passare le ordinazioni alla cucina. Sospiro rassegnato alla mia pateticità e mi dirigo verso l'entrata.

Quando varco la soglia della tavola calda, Angie è già dall'altra parte della sala, intenta a liberare un tavolo dalle tazze vuote lasciate dai clienti andati via. Si volta al suono del campanello della porta e mi regala uno dei suoi soliti sorrisi a cui non mi abituerò mai del tutto, credo.

“Ehi Angie” la saluto quando ci incontriamo a metà strada, entrambi diretti verso il bancone.

“Ciao Eddie, da dove vieni?” domanda guardandomi in modo strano, fermandosi con me davanti al bancone per poi appoggiarci su il vassoio con le cose da lavare.

“Dalla galleria, siamo sotto con le prove, come sempre”

“E hai litigato con i tuoi compari della band?” continua strofinando i palmi delle mani sul grembiule, come per pulirsi.

“No, perché?” le chiedo perplesso.

“O sono diventati ciechi? Perché chiaramente non ti hanno degnato di uno sguardo”

“In che senso?” insisto e continuo a non capire anche quando Angie mi scosta leggermente i lembi della giacca aperta e comincia a sbottonarmi la camicia. Probabilmente lo sguardo che le rivolgo deve essere allucinato perché nel momento in cui incrocia il suo lei scoppia a ridere.

“Eheh non vedi che sono tutti sfalsati, li hai allacciati storti”

“Ah… non me ne sono accorto… mi sono vestito un po’ di corsa” rispondo imbarazzato, mentre le punte delle sue dita tracciano involontariamente una linea delicata dal mio petto alla pancia, sfiorandomi appena nel riallacciare ogni bottone.

“Lo vedo. Ecco, ora sei presentabile” sentenzia a lavoro finito, mentre mi raddrizza anche il colletto, già che c'è.

“Grazie mamma”

“Non ero una regina, sono stata declassata a genitrice?” domanda ancora aggrappata al collo della mia camicia.

“Sei la regina madre!”

“Ahah ok, comunque prego.” fa per staccarsi da me per riprendere il suo lavoro, ma qualcosa va storto, non che mi dispiaccia ovviamente “Ops! Cazzo, mi sa che ho tirato un filo!”

Angie cerca di staccare la fibra incastrata nel suo orologio che la tiene ancora agganciata a me e io la guardo e sorrido, senza fare assolutamente nulla per aiutarla.

“Sarò ugualmente presentabile?”

“Sì, tranquillo, non mi sembra niente di che,” Angie riesce a sganciare il filo dal cinturino, per poi arrotolarlo un po’ attorno alle dita, spezzandolo con un gesto rapido “non rimarrai nudo, tranquillo”

“Era un po’ come se mi avessi al guinzaglio” commento ancora dalle nuvole.

“Ahah come un cane?”

“Sì. O come una tavola da surf”

“Le tavole da surf hanno il guinzaglio?”

“Volendo sì. Ci sono questi cavi di sicurezza che volendo puoi attaccare alla tavola e dall'altro capo c'è un anello da allacciare alla caviglia”

“Così non la perdi quando cadi in acqua, geniale” Angie smette di esaminare la mia camicia, convinta che non sia stato fatto effettivamente nessun danno, e gira dietro al bancone, prende il vassoio con le tazze e i cucchiaini sporchi e si allontana verso la cucina.

“Farebbe comodo anche a noi, così non ti perdo quando fai orari alternativi al lavoro” riprendo quando si riaffaccia dietro il bancone.

“Quindi sarei io la tavola? Pensavo il contrario”

“Il surfista sono io” le ricordo sedendomi su uno degli sgabelli al bancone.

“Ma l'anello allacciato al polso ce l'avevo io” ribatte agitando il braccio su cui ha l'orologio.

“Comunque perché sei qui? In genere non lavori mai a quest'ora”

“E tu che ne sai?”

“Davvero devo ancora ribadirti che sono un acuto osservatore? Sono molto deluso”

“Ho fatto a cambio con Steffy, un'altra mia collega, non so se l'hai mai vista. Bionda, con la frangetta e gli occhiali. Molto carina”

“Mmm no, o forse sì, non ricordo”

“Fa sempre il pomeriggio, oggi aveva un impegno e mi ha proposto di scambiarci i turni. E’ anche molto single, sai? Se vuoi te la presento” aggiunge rovinando definitivamente il momento.

“No, grazie”

“Ma guarda che è davvero simpatica”

“Scusa se non mi fido del tuo metro di giudizio, visto che a te era simpatica pure Violet” ribatto mentre la porta scampanella di nuovo.

“No, lei è simpatica sul serio, alla mano e non squilibrata. Almeno, non all'apparenza. Comunque, perché non provare a scoprirlo?”

“Onestamente non sono in vena di scoperte in questo periodo, sono concentrato su altro” infatti, in questo preciso istante, tutta la mia attenzione è focalizzata sui riccioli all'insù che si è disegnata con la matita sopra gli occhi. Sembrano identici, ma uno, il sinistro, è leggermente più basso del destro, che deve essere anche più spesso di qualche frazione di millimetro.

“Lavoro immagino, col tour e il resto, posso capire” sì, infatti, hai capito tutto.

“Già. Ma quindi che turno stai facendo, a che ora finisci?”

“Oh un'oretta e sono libera” risponde mentre si dirige verso il tavolo degli ultimi arrivati, dopo avergli dato un tempo ragionevole per guardare il menù.

“Quindi finisci alle sei?” le chiedo quando mi passa di fianco, porgendo le nuove ordinazioni e prelevando i piatti pronti che le hanno passato dalla cucina.

“Esatto” conferma prima di allontanarsi di nuovo.

“Che concidenza, anche noi finiamo le prove a quell'ora” mento spudoratamente quando torna verso di me.

“Davvero?”

“Eh sì, tecnicamente oggi la galleria è chiusa e ci hanno dato quest'orario”

“Capisco” risponde apparentemente sovrappensiero mentre carica la macchinetta del caffè.

“Se vuoi possiamo fare qualcosa… insieme… se ti va”

“Del tipo?” Angie alza la testa e il suo sopracciglio è già inarcato in segno di sospetto.

“Non so, andare a mangiare un boccone da qualche parte e poi, boh, fare un giro” ci riprovo, per l'ennesima volta, e mentre lo faccio e la guardo e vedo come mi guarda penso già alle battute che farà, magari mi proporrà di chiamare Stephanie o come ha detto che si chiama la sua cazzo di collega, mi chiederà se c'è qualche problema, se devo dirle qualcosa, se sono triste, se mi sento solo, se ho una crisi creativa o qualche altra stronzata, mentre io voglio solo uscire con lei perché mi piace da matti e non so più come cazzo farglielo capire.

“Va bene, ci sto” risponde per poi tornare serenamente ad armeggiare con la macchina del caffè e io ci metto un po’ ad elaborare la risposta perché all'inizio credo di non aver capito bene, ma me la meno a richiederlo e soprattutto ho paura che facendo la domanda di nuovo potrei ottenere una risposta diversa o una delle frasi tipo di Angie a cui mi riferivo prima. A un certo punto però capisco che si rende necessaria un'ufficializzazione, una conferma della cosa, perché non posso mica lasciarla cadere così nell'aria senza alcun tipo di certezza.

“Quindi ci vieni?”

“Sì, perché no? Hai già in mente un posto?” ribadisce lei e la sua voce ha l'effetto di un pizzicotto, che mi fa capire che no, non sto sognando.

“Beh, ne ho in mente qualcuno, però decidiamo insieme ovviamente. Se hai qualche preferenza…”

“Ho un'ora per farmi venire in mente qualcosa, poi decidiamo insieme, ok?” Angie viene chiamata dalla cucina e procede a portare le ordinazioni ai clienti.

“Perfetto! Allora, ehm, ci vediamo qui alle sei, insomma, passo a prenderti, cioè, passo qui al volo” esclamo cercando di contenere l'entusiasmo quando torna, dondolandomi sullo sgabello e appoggiandomi coi gomiti sul bancone, quasi arrampicandomici sopra.

“Va bene, fai pure con calma comunque, calcola che mi devo cambiare eccetera”

“Ah ok, quindi non dobbiamo neanche passare prima da casa sua, usciamo direttamente”

“Sì sì, ho gli abiti civili con me, tranquillo”

“Bene”

“Non è ora di tagliarli questi capelli?” Angie inclina leggermente la testa e mi guarda con un sorriso pieno, subito censurato dal solito scatto del labbro a coprire il canino sporgente.

“Dici che sono troppo lunghi?” le domando prendendo a esaminare una ciocca dei miei capelli ingarbugliati, cercando di districarla con le dita.

“No, parlavo di questi” Angie allunga la mano sulla mia testa e accarezza la parte della rasatura laterale, che avevo evidentemente lasciato scoperta senza accorgermene, buttando tutti i capelli dall'altra parte mentre mi agitavo come un deficiente per il suo sì, cercando invece di apparire tranquillo e imperturbabile.

“Ah”

“Sono cresciuti un bel po'” continua lei, tenendo la mano ferma sulla mia testa e muovendo solo il pollice in pelo e contropelo tra i miei capelli e io penso che se non la smette subito sono fregato, perché il suo tocco è così dolce da dare assuefazione immediata e io devo tornare dagli altri e devo trovare una scusa per scaricarli con un'ora d'anticipo e poi devo anche farla passare quell'ora e non posso di certo trascorrerla sognando il momento in cui Angie mi sfiorerà di nuovo. Anche perché non è detto che lo farà e sarebbe patetico passare il nostro primo appuntamento a escogitare metodi per farmi toccare da lei.

“Sì, ma ho pensato di farli crescere, non li raso più”

“No?”

“Nah, quel taglio mi ha stufato, li lascio crescere tutti uguali e vaffanculo” spiego passandomi una mano tra i capelli incriminati e così facendo sfiorando appena le punte delle sue dita con le mie.

“Beh ogni tanto fa bene cambiare. Io non ho mai fatto niente ai miei capelli, a volte ho la tentazione di darci un bel taglio o fare qualche colore, prima o poi lo farò” Angie si stacca di nuovo da me e io ne sento già la mancanza.

“Una bella rasatura laterale anche per te?”

“Ahah perché no? E perché non una bella cresta?” ridacchia e io vorrei dirle che tanto sarebbe bellissima anche calva coi capelli disegnati con il pennarello indelebile, ma decido di aspettare stasera per lanciarmi nei complimenti.

“Qualsiasi cosa scegli di fare con la tua chioma, sono con te”

“Grazie del supporto! Meg mi minaccia di morte ogni volta che le chiedo un consiglio su un cambio di look”

“Beh, magari comincia con qualcosa di meno drastico, poi si abituerà. Adesso… ecco, adesso dovrei andare, gli altri mi aspettano” mi alzo dallo sgabello, ma in realtà io non mi muoverei di qui. Oppure me ne andrei, ma me la porterei appresso alla galleria, possibilmente appiccicata a me o comunque il più vicina possibile, magari in spalla come al ritorno dalla festa in spiaggia. Rifarei quella strada avanti e indietro otto volte pur di sentirmela ancora addosso in quel modo.

“E vai via così?” mi chiede perplessa e io non capisco.

“Eh?”

“Non prendi niente? Non sei entrato per il tuo solito caffè?”

“Ah! No, veramente no”

“E allora perché?” già, perché? Per vederti, adorabile testa di cazzo.

“Beh per… per questo!” tiro fuori il portafoglio dalla tasca e tiro fuori una banconota da un dollaro “Ho bisogno di moneta per il parchimetro”

Angie mi cambia i soldi e ci salutiamo, dandoci appuntamento proprio qui tra un'ora circa.

 

La porta della tavola calda sembra come un portale dimensionale, la via di ritorno alla realtà, tanto che quando sono fuori ho bisogno di voltarmi e guardare di nuovo all'interno del locale per accertarmi che Angie ci sia veramente e che quindi ci ho veramente parlato e non ho sognato tutto. Solo mentre attraverso la strada mi rendo conto che ha iniziato a piovigginare, la solita pioggerellina pomeridiana di Seattle, fenomeno che rimarca ancora di più lo stacco tra la parentesi con Angie da Roxy e il mondo esterno. Mentre finisco di attraversare decido di sostare un attimo nei pressi del parchimetro, fingendo di armeggiare con la macchinetta, nel caso in cui Angie stesse guardando e penso di non essermi mai sentito tanto deficiente in tutta la mia vita. Sicuramente non mi sento molto meglio quando trovo chiuso il portone sul retro e nessuno risponde al mio bussare, sempre più insistente. Stanno suonando e non mi sentono e la pioviggine si sta trasformando in pioggia vera e propria. Provo a bussare di nuovo e con più vigore sul portone metallico, per poi restare con l'orecchio teso, non tanto per sentire cosa stanno suonando, ma semplicemente per approfittare dei momenti in cui smettono di suonare e riprovare a bussare per farmi aprire. Tuttavia il tempo passa e nessuno mi caga e ovviamente finisco per interessarmi al brano, un pezzo che non riesco a identificare. Dopo qualche minuto di ascolto stabilisco con certezza che questo pezzo non lo conosco, deve essere nuovo, forse partito da quel riff di basso di cui parlava Jeff. E neanche a farlo apposta, l'unica cosa che riesco a sentire da fuori è il basso, e più lo sento più mi sembra abbia qualcosa di magico, ma allo stesso tempo di solido, che si può toccare. Più che un giro di basso mi sembra una melodia. Mentre mi appoggio al muro dell'edificio più che posso, cercando un riparo inesistente dalla pioggia, infilo le mani in tasca e sento da una parte le monete ricevute da Angie, dall'altra un pezzo di carta. Tiro fuori il foglietto e ricordo immediatamente il mio piccolo furto: la pagina con i triangoli e i quadratini disegnati da Angie strappata dal blocco al mini market. Visto che sono bloccato qui fuori, tanto vale provare a combinare qualcosa di buono. Prendo una penna dalla tasca interna del chiodo. Fortunatamente ho sempre una penna con me, posso scordare il portafoglio, le sigarette, mettere calzini scombinati, abbottonarmi la camicia a cazzo di cane, ma non dimenticherò mai di infilarmi una penna in tasca prima di uscire. Piego la pagina in quattro e mi appoggio al muro, con la penna in mano, pronto a ricevere l'ispirazione: tutto quello a cui riesco a pensare è Angie, il suo sguardo tenero su di me, le sue mani, il desiderio di sentirle ancora, il filo che ci univa fisicamente e quello che ci unisce simbolicamente e che ci porta a ritrovarci sempre e non perderci, tra le onde del mare, dell'oceano. Come il mio preferito, quello che porta il suo nome.

  
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