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Autore: laulaury    10/04/2017    0 recensioni
[Skyrim]
[Skyrim][Skyrim]"Ero stesa a terra; sentivo il corpo intorpidito e un dolore pulsante dietro la nuca.[...] -Ehi! Sei ancora viva- ".
A tutti i fan di Skyrim o agli amanti delle ambientazioni fantasy propongo questa storia che incrocia la trama originale del videogioco con il mio personale gameplay e qualche licenza poetica per rendere più avvincente la storia. Se amate gli elfi, gli orchi, i draghi e compagnia bella provate a leggere.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO III: Dolce libertà

“Seguimi! Dobbiamo penetrare nei sotterranei della fortezza di Helgen.”. Ralof mi aveva afferrato per mano e mi stava trascinando all’interno di una torre di guardia. Precipitandoci giù dalle scale, eravamo giunti in una stanza sotterranea. L’atmosfera umidiccia e le mura coperte di muschio rendevano l’aria pesante e sgradevole all’olfatto. A terra giacevano due corpi: uno indossava una divisa come quella dei miei carcerieri, l’altro aveva un’armatura identica a quello del mio compagno di fuga. Ralof si era inginocchiato vicino al suo compagno d’armi perduto; aveva scosso la testa e aveva chiuso palpebre dell’amico con gesto caritatevole. Poi si era messo a spogliare l’amico dalla sua armatura per lanciarla ai miei piedi: “ Mettitela, non puoi pensare di uscire viva da qui con quella tunica logora. Predi l’ascia di quello sporco imperiale, io prenderò il pugnale di Gujar” diceva, afferrando l’arma di fianco al cadavere ormai spogliato. La stanza aveva due porte una di fronte all’altra. Quella più vicina a noi aveva spesse sbarre di freddo. Ralof vi si era avvicinato guardingo e aveva tentato di scuoterla senza, però, riuscire a smuovere la serratura di un centimetro. L’altro cancello era, invece, di legno: sicuramente sarebbe stato più facile da distruggere. Mentre ci stavamo dirigendo verso questa via d’uscita, avevamo udito l’eco di voci provenire dal corridoio. Le voci erano sempre più vicine; Ralof mi aveva fatto segno di fare silenzio e di nascondermi a lato della cancellata. Il cancello aveva cominciato a scricchiolare fino a scomparire verso l’alto. Dall’uscio erano apparse due guardie imperiali. Potevo sentire il cuore battere all’impazzata nel petto, ma ero talmente terrorizzata da non riuscire quasi a prendere respiro. Ralof, invece, si era scagliato senza indugio sulle due ignare guardie. Era riuscito a coglierle di sorpresa e come un leone maestoso si era lanciato nella mischia senza paura alcuna. Ralof volteggiava schivando i colpi mortali ed era riuscito a sferrare dei fendenti alle due vittime. Una era stata colpita al collo e, mentre le sue mani mollavano l’arma e si apprestavano a stringersi sulla ferita, da quel taglio aveva cominciato a fuoriuscire una quantità innumerevole di sangue. Quella visione cruenta mi terrorizzava, tanto che l’ascia mi era caduta dalle mani che, libere, usavo per coprirmi gli occhi. Era accucciata a terra cercando di cancellare dalla mia mente lo scontro appena avvenuto, quando una mano mi aveva toccato la spalla facendomi trasalire. Avevo riaperto gli occhi e mi ero ritrovata Ralof ad un palmo di naso. Non potevo non notare le macchie di sangue che gli rigavano il viso; aveva raccolto l’ascia che avevo lasciato cadere e me l’aveva nuovamente porta. L’avevo afferrata con mani tremanti; Rolaf mi aveva dato una pacca sulla spalla e mi aveva aiutato a rialzarmi. Ero ancora spaventata ma anche sollevata dal fatto che il mio compagno di fuga aveva, in qualche modo, accettato il mio non-coinvolgimento nella lotta. Il cancello di legno si era chiuso alle spalle delle guardie e il meccanismo per azionarlo stava dall’altra parte della porta. Fortunatamente una delle due guardie appena uccise aveva agganciate alla cintura le chiavi per l’altra uscita; l’avevamo aperta e stavamo percorrendo il corridoio di fretta e furia. Si udivano ancora dei rumori terribili provenienti dal soffitto. D’un tratto il soffitto era crollato proprio di fronte ai nostri piedi e dalla fessura potevamo intravedere la coda del drago. Quest’ultimo si stava ancora aggirando per la città-prigione: “Accidenti! Quel drago non si arrende tanto facilmente. Per di qua!”. Ralof stava indicando una porta aperta a sinistra, proprio prima delle macerie. Continuavamo a correre giù per le scale; scendevamo sempre più, sembrava stessimo per raggiungere le viscere della terra. La corsa e l’aria appesantita rendevano il respiro sempre più affannoso. Alla fine dell’ennesima scalinata potevamo vedere della luce debole di candele e delle grida strazianti:” Ehi, siamo vivi!”; ad intermittenza una luce bianca, più accesa, abbagliava gli ultimi scalini. Giunti alla fine delle scale avevamo trovato una stanza con delle celle microscopiche e degli strumenti di tortura. Lì stavano combattendo due guardie imperiali e un compagno di Ralof, mentre da una cella un uomo con una tunica scura urlava a squarciagola e imponeva le mani verso le due guardie. Ralof era immediatamente corso in aiuto del suo amico io, invece, ero catturata da quell’uomo imprigionato. Ero rimasta a fissarlo poiché pareva che fosse lui la causa dei quelle folgori ma non ero in grado di capire come facesse. Una delle guardie si era divincolata dall’attacco di Ralof e del compagno e aveva trafitto con la spada il povero uomo nella gabbia. Quest’ultimo indietreggiava toccandosi la ferita nel ventre fino a crollare a terra. Sembrava che la guardia credesse fosse fondamentale eliminare quel guerriero a discapito della propria vita; difatti, avendo abbassato la guardia, Ralof aveva potuto eliminare la prima guardia senza problemi per poi occuparsi della seconda senza che questa potesse nemmeno avere il tempo di voltarsi verso il suo assassino. Eliminati i due imperiali, Ralof era andato a soccorrere il suo compagno d’arme:”Grazie amico, senza di te non so se ce l’avrei fatta.”. Ralof non pareva avere voglia di convenevoli ed era arrivato dritto al punto:” Sei scappato con lo jarl Ulfric? Sai dov’è?”. Il ragazzo non era in grado di rispondere. Mentre questi discutevano, io stavo scrutando le celle. Erano minuscole, molto più anguste di quella in cui ero stata imprigionata io. All’interno di quella dell’uomo dalla tunica scura si potevano vedere degli oggetti. Avrebbero potuto essere utili alla nostra fuga. Da un tavolo lì vicino avevo afferrato due ferri, sicuramente destinati a scopi cruenti fino a quel momento, e avevo iniziato ad armeggiare col lucchetto della cella. Dopo poco si era aperta scricchiolando; la porta cigolava arrugginita e il rumore aveva richiamato l’attenzione dei due miei compagni di fuga. Ai miei piedi giaceva lo sconosciuto e vicino a lui una bisaccia; l’avevo afferrata sentendo il tintinnio di alcune monete e di un paio di ampolle piene di liquido strano. Proprio sotto la borsa stava un libro. Un tomo dalla copertina scura e uno stano simbolo inciso nella pelle della copertina. Il libro era parecchio rovinato e sporco. Passandoci sopra la mano potevo scorgere il titolo “Tomo magico: Scintille”. Ralof mi aveva esortato a seguire lui e l’amico; avevo indossato la borsa a tracolla e ci avevo inserito il libro: qualcosa mi diceva di non poterlo lasciare lì a terra. Cercando di inserire il tomo trovato a terra, mi ero accorta che la borsa conteneva un ulteriore libro; stavo per liberarmene ma avevo notato la sua fattura ben più preziosa e meglio conservata. Dal lato potevo scorgere il titolo “Sangue di drago”. Forse era cartastraccia, ma Ralof ormai era uscito dalla stanza e non potevo perdere altro tempo: avevo ricacciato i libri nella borsa e mi era apprestata a raggiungere i sue compagni. L’umidità ormai era visibile, formava una nebbiolina maleodorante che pervadeva tutti i cunicoli. Ralof procedeva senza il minimo indugio, il suo amico pareva più titubante. La fuga ci aveva, ora, portato ad un percorso di ponti di legno e corde montati al di sopra di fiumiciattoli verdognoli. Qui un paio di guardie imperiali ci erano corse incontro a viso duro; una terza era più lontana e ci stava attaccando con arco e frecce. Tutte quante erano state uccise per permetterci di scappare. Mentre ci avvicinavamo all’uscita, il cadavere dell’arciere giaceva immobile con la sua arma ancora salda nella sua mano freddamente serrata. Avevo agganciato alla mia cintura l’ascia, ancora inutilizzata, e mi ero accovacciata verso l’arco. Avevo capito che se volevo uscire di lì viva e scoprire perché mi trovassi lì non potevo continuare a dipendere da altri: era ora che iniziassi a difendermi. Preferivo di gran lunga utilizzare l’arco che, a mio avviso, avrebbe reso meno cruento l’eventuale scontro. Il giovane ragazzo si era improvvisamente fermato:” Voi andate avanti, io sto qui nel caso passasse Ulfric”. “Che Talos ti aiuti” aveva ribattuto Ralof. Io non avevo alcuna intenzione di stare chiusa sottoterra un minuto di più. Ero decisa più che mai ad uscire da quelle grotte infernali. Dopo aver corso ancora per qualche cunicolo, ci eravamo trovati di fronte ad un grosso portone con il ponte levatoio sollevato. Fortunatamente la leva era lì vicino. Tirandola, il ponte era sceso emettendo dei suoni poco rassicuranti. L’avevamo attraversato con attenzione poiché pareva sgretolarsi sotto i nostri piedi; difatti, appena avevamo toccato la terra ferma, questo era rovinosamente crollato. Gli altri uomini intrappolati avrebbero dovuto trovare un’altra via di fuga. Quel pensiero aveva reso un po’ cupo il volto di Ralof il quale, comunque, non aveva esitato ad arrestare il suo cammino. Da quel momento in poi le stanze che si succedevano avevano un aspetto sempre più selvaggio e tetro. La nostra strada era spesso inondata da acqua gelida e putrida. Le stanze parevano più fredde e i muri parevano ricoperti da uno spesso strato di ragnatele appiccicose. Il mio compagno si era arrestato improvvisamente, ordinando anche a me di fermarmi. Potevamo udire una specie di scricchiolio fastidioso avvicinarsi a noi: ragni giganti! Orrendi, pelosi e velenosi ragni giganti. Il primo aveva quasi infilato le sue zanne velenifere nel braccio di Ralof che tentava di proteggersi; non sarebbe stato in grado di divincolarsi dalla morsa del ragno se quest’ultimo non fosse caduto all’indietro senza vita: avevo scoccato con successo una freccia che aveva colpito la bestia proprio tra gli occhi. Ralof mi aveva guardato con la coda dell’occhio e mi aveva sorriso compiaciuto. Combattendo insieme avevamo debellato la minaccia senza troppa fatica: “Odio questo genere di cose: troppi occhi, mi capisci? Comunque te la cavi  bene con l’arco, piccolo elfo!” aveva affermato Ralof. Procedevamo di corsa, come se sentissimo che ci rovavamo ad un passo dall’uscita. Eravamo entrati in un’ulteriore grotta, molto più grande e molto più luminosa delle precedenti. Più avanti potevamo scorgere un’apertura tra le mura e la luce del sole. Potevamo finalmente uscire da quell’inferno! Stavo per correre verso la libertà, ma Ralof mi aveva afferrata per fermarmi e mi aveva fatto cenno verso un angolo più buio: proprio lì stava dormendo un grosso orso bruno. “Meglio non farci sentire. Abbiamo avuto troppi guai per oggi.” Quindi, furtivi, ci avvicinavamo all’uscita. Era difficile contenere la gioia che pervadeva ogni centimetro del mio corpo: finalmente potevo sentire una brezza leggera sfiorarmi il viso; i raggi del sole mi accarezzavano dolcemente le guance. Libertà! Dolce, dolce libertà. L’apertura nel muro si trovava alla fine di una strettoia che rendeva difficoltoso il passaggio. Io, che ero più esile, ero passata per prima mentre Ralof mi spingeva dalle gambe. Ero in piedi, là fuori e guardavo dritto il sole; non mi ero potuta crogiolare troppo in quella quiete in quanto dovevo aiutare Ralof ad uscire da quella piccola fessura; riuscivano a spuntare la testa, le braccia e le spalle, ma il resto pareva bloccato. Mi ero girata verso di lui e lo tiravo per le braccia. A fatica e con qualche ammaccatura all’armatura, ero riuscita a tirare fuori di lì l’uomo. Appoggiandosi sulle sue ginocchia si era immediatamente alzato e guardandomi mi aveva detto:” Non sappiamo se qualcun altro si è salvato ma presto qui pullulerà di Imperiali, meglio andarsene. Ho una sorella, Gerdur, gestisce la segheria di Riverwood, sono sicuro che lei ti aiuterà. Ah, dimenticavo: grazie per l’aiuto, senza di te non ce l’avrei mai fatta! Dai, seguimi.”. 


[Ciao a tutti i lettori! Spero vi piaccia questo capitolo e il mio "esperimento" di tramutare The Elder Scrolls of Skyrim in un racconto. Perdonate qualche errore di battitura ma lo sto pubblicando velocemente prima che la batteri del portatile si esaurisca. Grazie a tutti, ciao ciao.]
  
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