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Autore: Chemical Lady    10/04/2017    0 recensioni
[[ Spoiler su tutto Tokyo Ghoul :re - Presenza di personaggi OC nella storia ]]
La figura che troneggiava su di lei sembrava un angelo.
Distinta, si stagliava verso il cielo possente, spezzando il buio notturno con la sua bianca presenza. Il cappotto candido cadeva fino al terreno, immacolato ad eccezione di qualche piccola ma visibile goccia di sangue. Una costellazione vermiglia, spaventosa, che impregnava il tessuto sovrapponendosi ad altre più vecchie, marroni e rapprese, ad alta velocità.
Il volto, invece, pareva quello di un demone. Gli occhi dall'innaturale sclera nera spiavano impassibili e annoiati il solo superstite della squadra Hidaishi.
Riversa sul marciapiede, in una pozza della sua stessa urina, c'era una ragazza dai capelli neri, che spuntavano arruffati da sotto il casco della divisa antisommossa del CCG. Teneva gli occhi ambrati fissi su quelli del ghoul dalla maschera rossa, incapace di distoglierli.
Sto morendo , si diceva in una lenta litania. Sto morendo.
Aiko Masa, vent'anni sprecati a compiere scelte inutili, stava morendo.
[[ Quinx Squad center ]]
Genere: Angst, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Nuovo personaggio, Sasaki Haise, Sorpresa, Un po' tutti, Urie Kuki
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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saboteur

僕は孤独さ  No Signal

Parte terza: Il caso Tightrope Walker.

 

 

 

«Le ultime parole di Aiko-chan sono importanti. Abara mi ha detto che anche se nessuno mi ha ancora interrogato, devo riferirle al presidente.» Tutti si voltarono a guardare stupiti Suzuya, colpiti non dal fatto che avesse parlato senza permesso, ma da ciò che aveva detto. A Urie non sfuggì lo sguardo veloce che Hirako scambiò con Arima, senza però tradire nessuna emozione, immobile nella sua permanente apatia. Forse era allarmismo quello? Forse c’era qualcosa di cui Kuki non era a conoscenza? C’era ancora speranza?

«Quali sarebbero state queste parole?», a rompere il mutismo fu proprio il presidente Washuu. Fino a quel momento aveva lasciato parlare gli altri, senza entrare nel merito della discussione, ma arrivati a quel punto voleva far sentire anche la sua voce.

Juuzou guardò verso Haise e con un piccolo sorriso paterno lo incitò a parlare.

Quando lo fece, la stanza si gelò.

«Ha chiesto a chi andasse la fedeltà di Hirako. Poi stava per dire il nome del Re col Sekigan

Urie si voltò con gli occhi sgranati verso il piccolo agente, che lo guardò a sua volta confuso, inclinando il capo come un gattino. Il Re col…

«Take ha sbagliato», fu Arima ad intervenire, pacato come suo solito, tenendo le mani dietro il busto in una rigida posizione marziale. «Dovevamo risparmiarla in quanto agente e informatrice, è vero. Aiko avrebbe potuto raccontarci ciò che le era successo, se fosse stata costretta o ricattata in qualche modo, ma in quella circostanza abbiamo dovuto trattarla non come una collega, ma come un ghoul. Stava per attaccarci di nuovo col suo kagune, quello che ha detto potrebbe essere stato solo un modo per prendere tempo.»

«Era umana.» A quel punto, Urie non si trattenne oltre. Conseguenze o meno, non ce la faceva più. Perché nessuno gli aveva chiesto nulla se non per parlare della loro vita privata? Lui, che era la persona che le era stata più vicina, declassato a semplice amante e lei elevata al livello di un mostro pericoloso da abbattere. Non lo poteva accettare. «Una ragazza di neppure ventitré anni. Non era un ghoul. Le ferite che il prima classe Hirako le ha inflitto durante lo scontro erano potenzialmente mortali, forse non sarebbe arrivata nemmeno in ospedale. Come poteva attaccare di nuovo col kagune? Non sarebbe mai riuscita a rigenerarlo!»

«Primo livello Urie, attendi il tuo turno per parlare», lo ammonì severamente il direttore.

Kuki Urie, che aveva sempre rigato diritto, che aveva sempre rispettato l’autorità al fine di venire promosso il più velocemente possibile, non riuscì a trattenersi. «Era un essere umano!», insistette, stringendo le mani lungo i fianchi. «Aveva dei problemi mentali ed era sola, in mezzo a un combattimento, contro due investigatori molto abili. Perché nessuno si è fermato a chiederle perché!?»

«Urie!», Haise lo guardò con gli occhi fiammeggianti oltre le lenti degli occhiali, «Smettila.»

«Kishou», il presidente, per nulla scosso da tutto quel fracasso, si rivolse ad Arima. « Aiko Masa è stata trasferita dalla squadra Quinx alla Suzuya e successivamente, per circa un mese, è stata la tua partner, confermi?», domandò retorico, tenendo fra le mani il fascicolo della giovane ragazza. Quando Arima confermò, l’anziano uomo procedette. «Credi che fosse ancora una minaccia?»

La Morte Bianca si prese un istante per pensare, prima di replicare. «Metterei nelle mani del prima classe Hirako la mia vita. So a chi va la sua fedeltà e va a me. L’ho addestrato io a capire quando e come percepire un pericolo. Penso che abbia agito bene, in quel caso. Magari non è un’azione che possiamo perdonare a cuor leggero, ma è largamente giustificabile.»

Stronzate. Urie avrebbe tanto voluto urlarlo, ma non poteva. Non poteva spingersi troppo oltre. Strinse solo le mani guantate così tanto da sentire le nocche far male.

Il presidente si rivolse quindi a Juuzou. «Tu cosa ne pensi, Suzuya? Eri presente anche tu e hai anche testimoniato delle parole molto precise. Credevi fosse una minaccia?»

Il ragazzino lo guardò con i grandi occhi vermigli sgranati da sotto i ciuffetti neri, fissandosi sul suo volto rugoso prima di rispondere con una certa sicurezza: «Io credo che Urie-kun abbia ragione. Non era una minaccia, non riusciva nemmeno a sollevare la testa dal pavimento.»

«Ci troviamo a un bivio. Entrambe le versioni sono attendibili allo stesso modo, quella del primo livello Urie e quella del prima classe Hirako, poiché sostenute da altrettanti testimoni oculari.» Il direttore si voltò guardando il padre, prima di sospirare gravemente. «Il punto fondamentale però è uno solo: avevamo un membro di Aogiri fra le nostre file e nessuno di voi se n’è accorto. Tutte le persone presenti in questa stanza hanno lavorato a stretto contatto con lei, gomito a gomito, anche per lunghi periodi di tempo. Ci hanno vissuto insieme. Esigo che Sasaki approfondisca le indagini e se ci sono altri coinvolti, verranno giudicati.»

«Per garantire il mantenimento dell’integrità del bureau, sospendo a tempo indeterminato sia l’agente Hirako che l’agente Urie.» Il presidente prese questa decisione molto in fretta, lasciando Kuki a boccheggiare, irrigidito. Non avrebbe potuto collaborare alle indagini, visto che non avrebbe nemmeno potuto accedere alla struttura. «Nel caso in cui la questione si faccia più problematica, la conduzione dell’istruttoria passerà automaticamente nelle mani del classe speciale Washuu per ulteriori accertamenti, ma per il momento Sasaki può procedere. Potete andare tutti eccetto Arima e Matsuri.»

Take fu il primo a lasciare la stanza, stringendosi nel suo trench argentato e non ricambiando lo sguardo di Ito, quando questi cercò di fermarlo nel corridoio. Non lo seguì, quando comprese che stava andando via, non intenzionato a parlare con nessuno.

Urie uscì seguito da Sasaki, che gli lanciò una lunga occhiata penetrante, decidendo poi di accompagnare Abara e Juuzou a lasciare la loro testimonianza, sostituendosi di diritto ad Hoiji.

«Allora?» domandò nervoso Higemaru non appena lo ebbe raggiunto.

Urie guardò sia lui che Ito, poi Takeomi che doveva essere arrivato nel mentre. Non si sentì nemmeno lontanamente irritato dalla cosa, il suo petto era sprofondato in un pozzo nero e niente avrebbe potuto scuoterlo. «Sono stato sospeso», disse infine. «Anche Hirako. Hanno avviato un’indagine per capire se qualcuno dall’interno ha aiutato Masa.»

«Ma come-»

Urie prese un respiro, poi scosse il capo. «Andiamo a casa, Hige

«Riposati», Kuroiwa gli appoggiò una mano sulla spalla, scostandosi per farlo passare.

Come avrebbe potuto dormire? Come sarebbe riuscito a chiudere occhio dopo averla vista morire, impossibilitato a fare qualsiasi cosa? Avrebbe rivisto quella scena nella sua mente, in un delirante loop per il resto dei suoi giorni.

Come  era successo per Shirazu.

In ascensore non parlò, nemmeno quando si accorse che Higemaru stava cercando di nascondere il fatto che stava piangendo. Non gli disse niente, non lo toccò. Uscirono nell’ingresso sempre chiusi nel mutismo, ma lì vennero fermati.

«Aizawa, non ora», cercò di dire Kuki, ma il medico non gli diede tempo di aggiungere altro.

«Ti hanno sospeso, vero?» chiese sbrigativo. «Hanno sospeso anche me.» C’era una scintilla folle nei suoi occhi, quando lo prese per il braccio, tirandolo di nuovo nell’ascensore.

«Cosa diavolo fai?! Se sei sospeso devi tornartene a casa!»

«Col cazzo. Ci stanno nascondendo qualcosa di grosso e io non intendo lasciare che Arima insabbi tutto. Non di nuovo.» Attese che anche Higemaru ebbe avuto modo di rientrare nell’ascensore, poi guardò il primo livello. «Io sto andando a fare comunque l’autopsia per cercare di capire cosa vogliono impedirmi di vedere. Vieni anche tu o no?»

Urie tentennò, ma solo per un istante. Poi premette il bottone del piano interrato e le porte si chiusero.

 

Capitolo quindici.

L’insonnia era una vecchia compagna di vita, per Aiko. Fin da quando era bambina, aveva difficoltà a coricarsi la sera. Durante la sua adolescenza aveva subito diversi ricoveri in strutture specializzate per cercare di riprendere il controllo della sua psiche. Una volta entrata nel bureau, ci aveva rinunciato direttamente.

Quando riusciva a dormire cinque ore filate era una festa e ad ogni azione dalla parte di Aogiri le ore di sonno diminuivano fino a che il senso di colpa la mangiava viva, per poi riprendere ad aumentare progressivamente.  A due settimane dalla morte di Shirazu non riusciva ancora a dormire bene. Ogni volta che chiudeva gli occhi, dopo aver preso le gocce per aiutare il sonno, rivedeva il suo viso sorridente, alle volte di scherno, sentiva la sua voce e poi lo rivedeva in pezzi, sul tavolo operatorio di Kanou. Era insopportabile, così insopportabile che preferiva non dormire direttamente e collassare per la stanchezza anche dopo trentadue ore consecutive sveglia, certa che non avrebbe sognato in quelle condizioni.

Era diventato difficile anche tenerlo per sé. Da quando aveva ceduto la sua stanza alle nuove leve – che ancora non era chiaro quando sarebbero arrivate – doveva dividere la camera e quindi il letto con Urie, il quale aveva il sonno così leggero che bastava uno starnuto per svegliarlo. Era un bel problema, anche se il ragazzo dormiva quasi meno di lei. A tenerlo sveglio non erano solo i brutti ricordi di quella notte, ma anche le tante preoccupazioni che derivavano dalla sua nuova posizione.

«Anche oggi si dorme domani.» Era diventata la frase di rito che quotidianamente uno dei due proferiva quando l’alba bagnava la stanza, illuminandola parzialmente attraverso le grate delle veneziane.

Più o meno era quello il momento in cui entrambi riuscivano a trovare un po’ di pace. Quando il cielo si rischiarava e avevano a disposizione un paio di orette prima dell’inizio della giornata lavorativa.

Dopo averli chiusi per poco più di venti miseri minuti, Aiko riaprì gli occhi. Prese il cellulare sotto al cuscino, constatando che erano le cinque e quaranta. Sbadigliò, con lo sguardo puntato al soffitto, riflettendo che mancava ancora una preziosa ora e venti alla sveglia. Ruotò il capo, osservando Urie che invece sembrava dormire abbastanza bene. Si spostò sul letto, abbassandosi e appoggiando il capo alla sua spalla, prima di tornare a chiudere gli occhi per riprendere a dormire.

Sorprendentemente ci riuscì e quando si svegliò in via definitiva, si sentiva quasi bene. Nell’aria c’era un odore forte, che le colpì il naso non appena riemerse dal mondo dei sogni. Socchiuse le palpebre, allungando una mano e sentendo il cuscino accanto al suo vuoto. Alzando il capo vide Urie al cavalletto, con la mascherina sul viso e i guanti neri di lattice sulle mani.

Se stava dipingendo, questo voleva dire solo una cosa.

«È domenica?», chiese con tono roco, senza spostarsi di un centimetro. Tornò a chiudere gli occhi, mentre sentiva le delicate pennellate colpire la tela.

«Così pare», fu la sola risposta che le arrivò dall’altro.

«Ci siamo dimenticati che è domenica, facciamo schifo.»

«Vero anche questo.»

Masa riprese il cellulare in mano, controllando l’ora e constatando che erano quasi le undici. Con la consapevolezza che non avrebbe dovuto mettere piede nella sede centrale prima del giorno successivo, la ragazza decise che avrebbe dormito ad oltranza fino a che non si sarebbe sentita davvero riposata. Appoggiò il gomito sul materasso, facendo leva per sollevarsi. Spiò il quadro che il ragazzo stava realizzando, cercando di capire dove avrebbe potuto aver visto quel tramonto sul mare. Non sembrava inventato, c’erano dei dettagli piuttosto precisi dipinti sul molo, ma non chiese nulla perché sapeva che tanto sarebbe stata liquidata in fretta o peggio, sarebbe stata ripresa perché lo stava disturbando. In ogni caso, Urie non aveva le cuffie, segno che forse non gli dispiaceva un po’ di conversazione.

«Perché non ti rimetti un po’ a letto?», gli domandò, cercando di domare i capelli passandoci le dita attraverso.

«Mi sono già vestito», fu la replica del ragazzo che però sembrava vagamente esitante.

Aiko sorrise e lui la notò dal riflesso dello specchio che aveva sulla sinistra. «Non credo sia un problema, sai? Ho letto su delle riviste scientifiche che i vestiti si possono sfilare e rimettere più volte nell’arco di una giornata.»

Lui la fissò consapevole che lo stesse prendendo in giro dal riflesso, senza voltarsi, poi riprese a dipingere fino a che non ebbe finito tutti i colori aperti sulla tavolozza. Una volta fatto ciò lavò il pennello in un bicchiere di acqua pulita, sfilandosi la mascherina e i guanti. Si voltò verso la sua ormai ex partner, che sembrava essersi riaddormentata. Asciugò il pennello in un pezzo di carta assorbente, andando verso il letto e sistemando le coperte in modo da potersi stendere sulla trapunta vestito. Passò le setole umide del pennello sulla spalla nuda della ragazza, che arricciò le labbra in un sorrisetto, senza aprire gli occhi. Si limitò solo ad allungare una mano, appoggiandola sul fianco dell’altro, spostandosi sul materasso per puntellarsi contro il suo petto.

Venti meravigliosi secondi di pace, poi il telefono di Urie si mise a suonare.

«Spero che chiunque sia, possa sperimentare i dolori della dissenteria da qui alla fine della giornata», cantilenò con tono amabile Aiko, sollevando il capo per spiare lo schermo del telefono, quando Kuki lo recuperò dal comodino. «Cosa cazzo vuole Matsuri la domenica mattina? Hai passato tutto il giorno con lui, ieri, a fare finta di lavorare.»

«Inizia a diventare un po’ fastidioso.»

«Un po’?», chiese scocciata la mora, prima di buttarsi supina sul materasso, con le braccia aperte e gli occhi sgranati per l’irritazione. «Un po’. Le ragadi sono un po’ fastidiose. Forse la bomba su Hiroshima è stata un po’ fastidiosa. Matsuri è un cancro sociale.»

«Esagerata. Ora stai zitta.» Le lanciò un’occhiata vagamente minacciosa, prima di accettare la chiamata con il solito tono da leccaculo. «No, non stavo dormendo, signore.» Lei gli fece il verso, mimando le sue parole con qualche smorfia connessa. Lo guardò ascoltare in silenzio, come se Matsuri avesse deciso di candidarsi a sindaco, costringendolo a sentire il discorso. Un sorrisetto furbo si dipinse sulle sue labbra, non appena un pensiero all’apparenza divertente le attraversò la mente. Tornò a sposarsi sul fianco, sporgendosi per baciarlo sul collo, notando con soddisfazione la pelle della gola incresparsi per i brividi. Lui non fece una piega, naturalmente, cercando solo di impedirle di aprirgli la cintura, fermandole entrambi i polsi con la mano libera. Ficcò il cellulare tra il collo e la spalla, premendole il cuscino sulla faccia quando lei si mise a ridacchiare, ma poi si bloccò. Masa si affacciò da sotto il cuscino, notando il cambiamento di umore.

«Arrivo subito.»

Urie scattò in piedi, alzandosi dal letto come se avesse sempre avuto una molla bloccata sotto alla schiena. Lo vide mettere via il telefono e cercare le scarpe.

«Hai deciso di dargli il culo oggi, così da permettere ad entrambi di passare piacevoli ore la domenica mattina?», gli domandò prendendo il pennello e passandoselo da sola sull’avambraccio.

«La quinque è pronta.»

Aiko schiuse le labbra, sorpresa. Urie si era appena infilato la giacca, quando anche lei scese dal letto. «Posso venire anche io?»

Erano giorni che non si parlava di altro, allo chateau. Secondo un offesissimo Aizawa, non gli era stato permesso di mettere le sue mani su Noro perché Matsuri aveva detto che ci avrebbe pensato lui alla futura quinque del capo dei Quinx. Nessuno si era davvero scandalizzato o stupito, ma la curiosità non era poca.

Urie ci pensò su.

«No.»

Lei spalancò la bocca, indignata. «Stronzo!», gli urlò dietro, mentre lo guardava infilarsi fuori dalla porta con i mocassini in mano e una sola manica del completo gessato infilata. «Me ne ricorderò!»

«Sarai la prima a provarla, ma dopo!»

La porta di ingresso si aprì e si richiuse in un battito di ciglia e alla giovane non rimase molto altro da fare, se non buttarsi di nuovo sul letto. Si coprì le gambe lasciate nude dai pantaloncini del pigiama e sollevò uno spallino della canottiera, incrociando poi gli occhi con quelli di Hsiao, che probabilmente stava tornando dal bagno, pronta con addosso una misé da allenamento.

«Mi ha scaricata per Matsuri», le fece sapere con semplicità, strappandole un sorrisetto divertito. «So che non dovrei farne un caso di stato, ma penso di essere più carina io.»

«Cambiati», le rispose pragmatica la taiwanita. «Due ore di corsa prima di pranzo ti faranno dimenticare ogni delusione amorosa.»

«Sai cosa ti dico? Ci sto. Due minuti e scendo.»

Aiko chiuse la porta, decisa a cambiarsi in fretta per seguire la nuova arrivata negli allenamenti. Prese prima il telefono, leggendo un paio di messaggi di Eto che aveva solo visualizzato la sera prima. Quando chiuse la chat con Uzume, però, era più amareggiata di prima. Si aggrappava a Urie per sentirsi normale, ma alla fine tornava sempre da lei. Si chiese se prima o poi sarebbe riuscita a trovare le energie per fare una scelta.

Tenere il piede in due scarpe iniziava a pesarle, perché rischiava di inciampare ad ogni passo.

 

 

Masa picchiettava il pennarello contro il palmo aperto della mano, tenendo sott’occhio il fascicolo del caso aperto. Stavano aspettando il direttore Yoshitoki per iniziare e lui aveva avvisato che avrebbe ritardato a causa di un meeting. Urie e Matsuri si erano già seduti alla scrivania di fronte alla lavagna luminosa, di fronte alla quale Aiko se ne stava ritta come una pertica, un po’ scocciata dall’attesa, con Mutsuki seduto accanto a lei, con la testa altrove, come al solito.

Lavoravano al caso da ormai due settimane e gli unici sviluppi che c’erano stati erano derivanti dal numero di cadaveri che andava accumulandosi sotto i loro occhi. Aiko controllò nuovamente l’ora, prima di alzare una mano per salutare Koori attraverso la vetrata che separava la stanza dal corridoio.

E ancora il direttore non si vedeva.

«Fortuna che abbiamo pranzato», soppesò lanciando un sorrisetto a Tooru, che ricambiò pallidamente, facendo per replicare.

Matsuri però prese la parola, rivolgendosi direttamente al vice caposquadra dei Quinx. «Non preoccuparti Masa, queste che spendi ad aspettare sono ore che ti paghiamo.»

Che lui non la sopportasse non era un segreto e Aiko sapeva benissimo anche il perché. Non riusciva a guardarlo senza rischiare di ridargli in faccia a causa di tutte le battutine e gli scherzi stupidi che lei e Aizawa lanciavano a Urie a causa dell’ossessione del classe speciale per lui. Anche in questo caso, Masa trattenne un sorrisetto divertito, ricacciando indietro ogni singolo pensiero malevolo. «Sono solo ansiosa di proporre la mia idea.»

«Ho due interrogatori da fare», si intromise anche Kuki, cercando di sviare l’attenzione dalla collega che rischiava davvero di ridergli in faccia. «Spero che il direttore non abbia avuto un brutto contrattempo.»

I due uomini si misero a parlare fra loro e Aiko girò le spalle alla platea, appoggiandosi con i fianchi alla scrivania e parlando direttamente con Tooru, a mezza bocca, così da non farsi sentire. «Penso sia geloso perché io ho una vagina e Urie è etero», disse al partner, che sorrise complice.

«Lo penso anche io», asserì, ridacchiando quando la mora gli fece l’occhiolino. Entrambi comunque si diedero un contegno, poiché il direttore era arrivato. Si misero diritti con educazione e anche i due uomini seduti si alzarono, rispettosi verso il superiore.

«Perdonate il ritardo.» Washuu andò a sedersi accanto al figlio, facendo cenno a tutti di rilassarsi e smetterla con le formalità. Guardò quindi i due investigatori pronti a esporre le loro tesi. «Primo livello Masa, primo livello Mutsuki, iniziamo.»

Tooru si rimise seduto al computer, mentre Aiko prendeva la parola. «Stiamo lavorando da ormai quattordici giorni sul caso del Funambolo, o Tighrope Walker se vogliamo essere internazionali. Questo ghoul di livello S- è stato per la prima volta avvistato all’interno della ventunesima circoscrizione, anche se la maggior parte delle sue vittime sono state rinvenute in diversi punti della ventiquattresima.» Sullo schermo apparvero le foto delle scene del crimine. «Le vittime sono in tutto dieci: due coppie, quattro donne e due uomini. L’età media è ventotto anni e sono tutti casi di predazioni al fine di reperire la carne per il nutrimento. È nostra opinione credere che questo ghoul abbia sempre cacciato, ma che si sia ritrovato improvvisamente solo, distaccato dal gruppo di appartenenza con cui ha lavorato da quando è diventato famoso alle forze del ccg.»

«Di chi parliamo?», chiese Matsuri.

Lei lo guardò, alzando un sopracciglio. «Non sa nulla dei funamboli, classe speciale? Stanno al circo.»

«Come i Clown», a concludere fu il direttore, che guardò suo figlio come se si stesse chiedendo come avesse fatto a mettere al mondo un essere tanto stupido. Fatto che diede non poca soddisfazione a Masa. «Ho capito cosa vuoi chiedermi, primo livello.»

«Devo parlare con Donato Porpora», tagliando la testa al toro, Aiko fu diretta. «E devo farlo il prima possibile. Dieci morti in quattordici giorni sono inaccettabili e non abbiamo piste. Sembra essersi dissolto come fumo.»

Yoshitoki chiese il fascicolo, che sfogliò con attenzione. Lesse i rapporti del corner molto velocemente e poi passò ai rapporti di Aiko sull’indagine sulle scene. «Ricordo molto bene il lavoro superbo che hai fatto con il caso Embalmer, primo livello Masa», soppesò sotto voce, con gli occhi ancora inchiodati a quelle foto. Quando le rese il rapporto, lei aveva già capito che era fatta. «Interroga Porpora tutte le volte che ritieni necessario alla risoluzione di questo caso. Hai l’accesso libero alla Cochlea. Vado subito a fare le telefonate.» Si alzò in piedi, rispondendo con un cenno all’inchino rispettoso di Aiko. Augurò a tutti un buon proseguimento e poi lasciò la stanza in fretta.

«Vuoi che venga con te?», le chiese Urie, mentre Masa tornava da Tooru, che stava chiudendo il portatile. Lei lo guardò sorpresa.

«Tu hai il tuo caso aperto», gli ricordò, alzando le spalle. «Poi il signor Porpora non mi spaventa. È una vecchia conoscenza.»

«Non essere eccessivamente ingenua, Masa», di nuovo Matsuri si frappose fra lei e un minimo di gratificazione, alzandosi per lasciare la stanza. «Donato Porpora è un ghoul molto pericolo e manipolativo, capace di convincerti di cose che tu nemmeno puoi immaginare. Non passare più tempo del necessario in sua compagnia.»

«Donato Porpora sarà dietro a un vetro molto, molto spesso, classe speciale. Ho avuto esperienze più dirette con ghoul che mi hanno spaventata molto di più. La ringrazio comunque per i preziosi consigli.»

C’era una palese presa in giro nel suo tono, ma l’altro non poteva di certo provarlo. La guardò quindi con la solita irritazione, prima di tornare alle sue mansioni, lasciando i tre Quinx nella stanza da soli.

«Dovresti evitare di provocarlo.»

Aiko sorrise a Urie con la solita espressione da furba, sistemandogli il nodo della cravatta che si era storto durante la giornata. «Non posso farci niente. Sembra il figlio sfigato dell’imperatore del Giappone. Per colpa di Aizawa non riuscirei a prenderlo seriamente nemmeno impegnandomi.»

Lui sospirò, rassegnato. «Questo è un caso importante. Non lasciare che il tuo caratteraccio ti porti via meriti.»

«Punto primo: il mio carattere è fantastico. Secondariamente, non è che io sia particolarmente interessata ai meriti.» Aiko inclinò di lato il capo, lasciando scivolare la mano dalla cravatta al petto del ragazzo, un po’ civettuola. «Voglio evitare che questo Funambolo crei una Aogiri 2.0, lavoro molto seriamente sul caso.»

«Credi voglia fondare un nuovo gruppo di ghoul?»

«Se no perché staccarsi dai Clown? O è stato buttato fuori o ha grandi ambizioni e io preferisco pensare in negativo per non avere brutte sorprese.»

Si guardarono negli occhi per alcuni secondi, poi, per una volta, fu il cellulare di Aiko a suonare. Lo prese dalla tasca dei pantaloni neri, leggendo velocemente un messaggio e sorridendo divertita.

«A fine turno ho un appuntamento, quindi ceniamo alle otto e mezzo», fece sapere al caposquadra.

Urie assottigliò lo sguardo, curioso. Spiò lo schermo. «Shukumei? Cosa vuole adesso? E perché chiama te e non me?»

Masa ridacchiò «Perché tu sei intrattabile», gli fece notare con ovvietà, prima di rispondergli. «Vuole parlare di un vecchio caso della squadra Hirako a cui io ho partecipato. Non so chi, ma mi ha spiegato che è una cosa personale.»

«Capisco. Alle otto e mezzo però vedi di esserci.»

«Porto anche Tooru.» Il diretto interessato tornò considerare i due, quasi come se si fosse isolato in una bolla per riuscire ad ignorarli. Era quasi meglio quando litigavano che quando facevano così. «Così ci prendiamo un caffè da Touka

Mutsuki fece per dire qualcosa, ma alla fine tirò un mezzo sorrisetto. «Ti accompagno volentieri, Macchan.»

Non sembrava così, ma Masa non ci diede peso. Erano giorni che Tooru era strano, sembrava disinteressato o distratto.

Chissà per quanto ancora avrebbe sofferto l’assenza di Sasaki.

L’investigatrice se lo chiedeva spesso.

 

 

Il :re era quasi deserto quando Mutsuki e Masa vi misero piede. Mancava ancora un’ora alla chiusura, quindi Touka li fece accomodare come sempre, con un sorriso gentile e la solita disponibilità.

«Un caffè e un cappuccino al ginseng», le disse Aiko, aprendosi il trench e appoggiandolo sullo schienale della sedia, prima di spostare la valigetta tra le gambe del tavolo. Si accomodò di fronte a Tooru dopo aver avuto un cenno di assenso dalla cameriera, accavallando le gambe con uno sbuffo stanco. «Domani abbiamo un lavoraccio da portare a termine», gli disse, distraendolo dalla sua osservazione del bancone. «Donato Porpora è un abile manipolatore di menti, non credere a quello che ti dice e non mostrarti spaventato. Farai il suo gioco se no.»

«L’ho già incontrato», le fece sapere l’altro, aprendo svogliato uno dei menù e osservando le diverse composizioni di gelati senza l’intento di ordinarne uno. «Quella volta mi ha colto impreparato, ma domani non sarà così.»

«Se preferisci aspettare fuori, lo capisco.»

«Non sono così debole.»

Aiko gli sorrise, appoggiando una mano sul suo polso e stringendolo. «Lo so», disse con fermezza, come se non l’avesse mai pensato. «Voglio solo che tu ti senta a tuo agio. In questi giorni ti vedo smarrito.»

«Non mi sono ancora ripreso del tutto da quello che è successo all’Eclipse.»

La partner annuì, ben consapevole di cosa stesse parlando. «Piccoli passi», gli disse, ringraziando Touka quando appoggiò le loro ordinazioni sul tavolo, prima di sparire di nuovo nel retro bottega, sotto lo sguardo di Mutsuki. Aiko aveva notato il modo in cui il ragazzo controllava la cameriera, ma non aveva intenzione di chiedere nulla. Non voleva fare la sfacciata come suo solito in un momento di debolezza del collega. Senza contare che il suo appuntamento aveva appena varcato la soglia, dondolando con eleganza sui tacchi a spillo come suo solito. «Ciao, Shukumei», la accolse, guardandola appoggiare una borsa spaziosa di un rosso brillante laccato sulla sedia libera.

«Ciao Aiko», le rispose, sbottonandosi il giacchetto da parata blu e appoggiandolo insieme alla borsa, prima di ordinare un caffè e un pezzo di torta alle fragole al signor Yomo. Successivamente si voltò verso Tooru. «Non ci conosciamo. Io sono Shukumei Kurhei

«Una giornalista», chiarì subito Masa, facendo ridacchiare la nuova arrivata. Anche Tooru si presentò, prima di schiacciarsi sulla sedia, con la tazzina già vuota di fronte, a disagio. «Come posso aiutarti questa volta?», domandò, diretta come sempre, l’agente di primo livello, strappando un sorrisetto divertito a Shukumei.

La giornalista prese il solito taccuino dalla borsa, aprendolo con già la penna impugnata in mano come la spada di un cavaliere. «Ho letto qua e la dei  nomi di ghoul che la squadra Hirako ha incontrato o su cui ha indagato. Volevo un paio delucidazioni.»

«Sentiamo i nomi.»

«Dente di Fata e Lisca.»

Masa prese un sorso di cappuccino, sporcandosi il labbro superiore con la schiuma. «Su Lisca non posso dirti praticamente nulla», le fece sapere, pulendosi con un tovagliolino di carta. «Non solo perché è un caso aperto che il classe speciale Hachikawa ha chiesto e richiesto per mesi e mesi. Ma perché non so nulla. L’ho incontrata il giorno in cui abbiamo annientato proprio Dente di Fata. C’è stato una sorta di scontro, ma lei è scappata.»

«Lei?»

«Lisca è un ghoul femmina.» Aiko accavallò le gamba, muovendo la mano per gesticolare come sua abitudine. «La notte che abbiamo eliminato Dente di Fata siamo arrivati alla conclusione che stavano per avere un incontro con alcuni membri di Aogiri, ma che non ne facevano parte.»

Shukumei scrisse un paio di appunti, prima di guardarla. «Come fate a dirlo?»

«Perché noi stavamo indagando su una serie di reti di informazioni legate a Naki degli Smoking Bianchi», spiegò Aiko. «Quella notte forse dovevano incontrarsi per gestire delle trattative. Aogiri non è solo terrorismo. Aogiri è anche un agglomerato di attività, una vera e propria mafia. Per tenere in piedi un’organizzazione del genere servono molti soldi e grazie all’acciaio quinque che hanno rubato recentemente saranno tranquilli per un po’.»

«Ho sentito cosa è successo. Una bomba nella sede centrale per distrarvi. Astuti.»

Mutsuki le lanciò un’occhiatina, prima di tornare a voltarsi verso Touka. Masa seguì il suo sguardo, poi riprese. «Di Dente di Fata non sappiamo molto altro. Era un ghoul che predava per due e visto che Lisca non è mai stata vista uccidere non abbiamo mai potuto provarlo. Non negli ultimi otto anni per lo meno.» Fece una pausa, per riprendere il filo del discorso. «In definitiva, pensiamo che Dente di Fata predasse anche per lei e che ora Lisca si sia trovata un nuovo amico per la caccia.»

Shukumei ridacchiò. «Scusa, Aiko. Solo mi sembra assurdo che un ghoul possa provare sentimenti così forti da uccidere per nutrirne un altro.»

Masa notò che sembrava davvero divertita dalla cosa. «I ghoul da questo punto di vista non sono poi così diversi da noi. Amano, provano dolore, felicità e paura. Per quest’ultima emozione, posso garantire anche io. Non ero in quella stanza quando il combattimento è iniziato. Ma quando sono arrivata per dare appoggio al mio caposquadra, Dente di Fata aveva lo sguardo di un cane in gabbia, pronto per essere ucciso. Era massacrato, a pezzi, distrutto. Eppure, con solo il busto e un braccio, ancora arrancava contro il suo nemico. L’ho sentito io stessa dire che si sarebbe portato qualcuno di noi con sé e ci è quasi riuscito.»

«Un ragazzo ostinato.» Shukimei smise di scrivere per un paio di secondi, come fissa su un pensiero definito. Poi scarabocchiò un altro paio di parole, portando una mano ai capelli lunghi per spostarli dietro alle spalle. Passò la penna tra le dita dalle unghie curate, prima di parlare nuovamente. «Ci sono altri ghoul legati a lui?»

Aiko scosse il capo. «Non lo sappiamo. Era un lupo solitario, a quanto abbiamo scoperto a posteriori dal prima classe Toga, che ai tempi indagava su di lui. A noi è capitato per puro caso di averlo lì e grazie alla sua entrata in scena, Naki è scappato.»

«Posto sbagliato nel momento sbagliato?»

«Secondo me dovevano incontrarsi. Non possiamo provarlo, ma chi entrerebbe in uno stabile occupato dal ccg? Si sarebbe quanto meno dovuto nascondere.»

La giornalista fece una pausa, controllando qualche appunto. «Possiamo parlare del massacro del Lunar Eclipse?»

A parlare, questa volta, fu Mutsuki. Rispose al posto del superiore, che stava prendendo un altro sorso di cappuccino, mentre guardava con interesse la torta che il signor Yomo aveva appena servito a Shukumei. «Abbiamo firmato un documento per garantire il massimo riserbo. Abbiamo perso molti compagni lì dentro.»

La donna lo guardò sbattendo le palpebre un paio di volte, prima di tirare un sorriso accondiscendente. «Immagino, agente Mutsuki. Non volevo mancare di rispetto ai caduti, ma ho sentito che l’operazione ha fatto molte vittime sia umane che ghoul e che alla fine, i due capi famiglia degli Tsukiyama sono entrambi scappati. Uno era già sotto custodia, vero?»

«No comment

Masa sorrise divertita, appoggiando la mano sull’avambraccio di Tooru. «Scusaci, ma non possiamo davvero parlarne.»

«Dovete aver fatto molto danno, allora.» Shukumei non si interessò minimamente dello sguardo duro di Mutsuki, non si rimangiò quell’affermazione. «Ultima cosa, allora.»

«Aspetta, vedo uno spettro.» Aiko la bloccò, sporgendosi in avanti per salutare la persona ammantata di nero che aveva appena fatto il suo ingresso silenzioso. «Associato alla classe speciale Sasaki, quanto tempo!»

L’ex mentore dei Quinx alzò la mano guantata di rosso in segno di saluto, sorridendo alle tre persone al tavolo, ma contrariamente alle aspettative dei due ex sottoposti, non si avvicinò. Andò filato al bancone, sussurrando la sua ordinazione a Touka.

«Allora Urie ha ragione, ci sta evitando» disse Masa alzando le sopracciglia, prima di sospirare leggermente amareggiata. L’espressione sul viso di Mutsuki era impagabile. Sembrava un misto di tristezza e delusione, con gli occhi leggermente granati fissi su quello che fino a due settimane prima era il ragazzo che preparava loro la colazione, puliva le orecchie di Saiko e li trattava come se fossero i suoi cinque figli. Aiko studiò il partner, non sentendosela però di dire nulla di fronte a Shukumei. L’essere ignorato così dall’uomo di cui era palesemente innamorato doveva fargli male. Molto male. «Quindi, l’ultima questione?»

Shukumei, che si era tenuta fuori da tutta quella situazione, reggendo in mano la penna mentre osservava i due agenti seduti allo stesso tavolo e le loro reazioni, balbettò una risposta sconnessa, controllando nuovamente gli appunti.

«Labbra Cucite»  ricordò alla fine, controllando un paio di vecchi fogli annotati dagli angoli stropicciati. «Di questo ghoul non so proprio nulla di nulla.»

Masa non fece una piega. Tenne lo sguardo sollevato, annuendo alle parole di Shukumei come se avesse capito di chi stava parlando, pronta a raccontare qualcosa su se stessa. Ormai ci era abituata, infondo.

«Non sappiamo molto di Labbra Cucite. Sappiamo quasi meno di lei che di Lisca» le spiegò, appoggiandosi con le braccia al tavolino. «Stando a quanto ci hanno detto alcuni ghoul che abbia catturato e imprigionato nella Cochlea, è il boss della diciannovesima e che il suo secondo è il famoso Soldato. Non sappiamo il sesso, ne la provenienza, anche se un paio di informatori sostengono ch e sia una giovane ghoul femmina di provenienza straniera, probabilmente cinese, alle dirette dipendenze di Tatara.»

«Sapete solo questo?»

«Sì, questo è quanto ci ha detto Fueguchi. Abbiamo stimato il rating Labbra Cucite a S-, ma non sappiamo nemmeno che tipo di cellule rc abbia. Quando c’è stato l’attacco alla sede del ccg della diciannovesima non ha agito direttamente e non era presente al furto dei camion di qualche mese fa.»

«Oggi mi è andata proprio male.» Shukumei chiuse l’agenda e la ripose in borsa, prendendo il portafogli. «Non ho puntato i ghoul giusti.»

«Spero per te che tu non li incontrerai mai, questi ghoul.»

«Sicuramente Dente di Fata no.» Con un sorriso, passò i soldi a Touka, offrendo l’ordinazione anche ai due agenti per il disturbo. Quando la cameriera si allontanò dal tavolo, la giornalista non si trattenne oltre. «Se devi continuare a guardarla così la consumerai» constatò, ammiccante. «Dovresti chiedere il numero a Kirishima

«Non sono interessato a persone del genere, grazie.»

Tutto nella frase di Tooru suonò sbagliato. Per iniziare, il tono sfrontato che non lo rappresentava affatto. Poi le parole scelte, per niente gentili, in netta contrapposizione col suo modo di essere. Aiko lo guardò con le labbra socchiuse per lo stupore per tutti i secondi di silenzio che passarono. Poi, quando Mutsuki si alzò in piedi bonfonchiando delle scuse sbrigative e indossando il trench, ritrovò la parola. «Ehi, tutto ok?»

«Vado a casa» rispose, prendendo la sua valigetta.

«Ok, andiamo.»

Non la fece alzare. «Preferisco prendere la metropolitana. Ho bisogno di un attimo per pensare. Ci vediamo allo chateau.»

Ad Aiko non rimase molto, se non guardarlo andare via.

«Ho detto qualcosa di sbagliato, vero?»

Riportando gli occhi sulla giornalista, Masa sospirò. «A quanto pare. È un periodo molto difficile per lui e io non sono la persona adatta per fargli da partner. Non ho la delicatezza d’animo di Sasaki, anche se non sembrerebbe, visto che se ne è andato senza dire nulla.» Anche Masa si alzò, indossando il cappotto di ordinanza che arrivava fino alle caviglie, velocemente. Magari sarebbe riuscita a convincere Tooru a tornare insieme e, magari, parlare con lei. «Vado anche io. Domani ho un appuntamento con la morte, non vorrei mancare o arrivare stanca.»

«La morte.»

«Puoi chiamarla Donato Porpora se preferisci.» Shukumei la guardò impressionata, alzandosi a sua volta per andarsene. «Non hai mai provato a ottenere un’intervista con lui? So che l’iter è molto lungo, ma posso assicurarti che è un’esperienza formativa.»

«Il problema è la Cochlea.» Salutarono insieme Kirishima, che rispose invitandole a tornare presto. «Mi mette i brividi.»

«Non posso darti torto.»

Si salutarono proprio di fronte all’ingresso. Shukumei si avviò sulla sinistra, mentre Masa cercava con gli occhi il collega. Si dovette arrendere presto; la strada era deserta e a lei non rimase altro se non tornare per conto suo, prendendo in mano le chiavi della macchina.

«Odio guidare», sussurrò tra sé e sé, entrando nell’abitacolo a appoggiando la valigetta della quinque nel sedile accanto al suo, prima di avviarsi, con la prospettiva di un bagno e un piatto di riso, probabilmente, scondito. Ciò le strappò un sorrisetto un po’ ironico.

«Amo la mia vita.»

 

 

Continua…

 

 

NdA

 

Nuovo caso, nuovi indizi.

Grazie a Virginia per aver betato questo capitolo e per quelli che beterà d’ora in avanti.

Ho pronto tutto fino al capitolo diciotto, quindi spero di metterne qualcuno in più nei giorni  che seguono, in concomitanza con le vacanze di Pasqua.

Se avrò voglia.

Fatemi venire voglia voi, visto che ho sforato le seicento letture.

 

Buona serata e buona settimana!

C.L.

 

 

  
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