Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
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Autore: Noemi_Campopiano    10/04/2017    0 recensioni
Guardai il cuore che ancora batteva tenace. Guardai le membra martoriate dell'angelo. Guardai il viso sconvolto di Raziel. Una rabbia feroce crebbe in me, mentre avvertivo il cuore e gli arti ardere.
"Usa il mio potere..."
"Lasciati usare..."

Una scelta, una decisione, comporta sempre delle conseguenze a cui, però, spesso non si è del tutto preparati. La scelta di Eva l'ha catapultata in un mondo che credeva esistere soltanto nei suoi libri, popolato da angeli, demoni, creature mostruose e spiriti, fantasmi come lei stessa o forse no. Perché Eva non è un'anima comune, ma per districare i nodi del mistero che avvolge la sua essenza, la ragazza dovrà mettersi in gioco e scoprire chi sta sterminando la popolazione angelica e per quale empia ragione. Per far ciò, avrà bisogno di Raziel, angelo traghettatore a cui Eva è stata affidata e forse l'unico di cui potrà davvero fidarsi.
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[PROMO] Attenzione! Questa storia contiene i primi tre capitoli di "Stelle nel Buio". Troverete il libro completo in libreria e online edito dalla casa editrice "Silele Edizioni"
© Noemi Campopiano
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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01
Piume nere


Eva

Mani che s’intrecciano, si cercano.
Luce.
Ovunque.
Completamente avvolta da una luminosità fredda ed irreale, socchiusi gli occhi per cercare di cogliere qualcosa aldilà della nebbia luminosa. Una strana sensazione mi avvolse e mi sentii come prigioniera dentro uno specchio o appena al di sotto di una liscia superficie acquatica.
Non avevo paura. Affatto, tuttavia avvertii la mancanza di qualcosa. Di qualcuno.
Chiusi gli occhi, poi li riaprii. Non ero più dentro lo specchio. Fuori dalla mia prigione trasparente, incontrai lo sguardo furente della vera prigioniera.
Occhi scarlatti inchiodarono i miei e avvertii la mia anima perdersi in languide volute di tenebre e fuoco.


Urlai alzandomi di scatto.
Spalancai gli occhi e mi tastai con le mani il viso e le braccia alla ricerca delle ustioni che ero convinta quel fuoco nero mi avesse provocato, ma non trovai nessuna bru-ciatura.
«Era un sogno» mormorai con un enorme sollievo «solo un sogno». Eppure ero assolutamente certa di aver avvertito il calore sprigionato da quelle fiamme oscure.
Strinsi i pugni e inspirai a fondo. Scacciando gli ultimi residui dell’incubo, mi costrinsi a tornare alla realtà. Fu in quel momento che sentii i singhiozzi. Li seguii, scoprendo che provenivano dalla stanza adiacente a quella in cui mi ero addormentata.
Lì, in ginocchio accanto al letto, la giovane donna di cui non conoscevo il nome piangeva disperata. Accanto a lei, un prete e un medico discutevano sommessamente. Il vecchio era morto.
Immobile e cinereo, il suo corpo giaceva tra le lenzuola.
Perfino nella morte, constatai infastidita, quel suo dolce sorriso era rimasto impresso sulle labbra livide.
Sbuffai e feci per allontanarmi da quella scena assurda, ma un bagliore attirò la mia attenzione. Guardai attentamente l’angolo della stanza nel quale ero sicura di averlo visto e, per un attimo, pensai terrorizzata che uno dei cacciatori fosse riuscito ad entrare nella casa. Un istante dopo quel bagliore ricomparve, ma invece di scomparire restò immobile, sospeso da terra.
Era come un globo luminoso che, però, i vivi non riuscivano a vedere. Né la donna, né il prete o il medico si voltarono infatti verso quella strana luce. Solo io la vidi tremare appena, come le onde increspate dal vento, e iniziare a mutare forma. Uscii dalla camera, ma invece di fuggire come gridava il mio istinto, mi nascosi nel corridoio, per poi affacciarmi guardinga nella stanza.
Il globo era sparito ed ora, in piedi di fronte al letto, c’era un ragazzo.
Lo fissai ad occhi sgranati chiedendomi cosa diavolo fosse. Nessuno lo vedeva, quindi non era vivo e decisamente non aveva l’aspetto mostruoso dei cacciatori. Sembrava umano, ma era di una bellezza sconvolgente. Aveva i capelli color mogano, leggermente lunghi, che gli ricadevano armoniosi su due splendide iridi dorate. La pelle era chiara, perfetta e le labbra sottili erano curvate in un leggero sorriso. A piedi scalzi, si avvicinò al corpo del vecchio, chinandosi poi su di lui come se volesse baciargli la fronte.
E probabilmente l’avrebbe anche fatto se in quel momento non mi avesse vista.
Volse il capo di scatto verso la mia direzione e io spaventata scappai cercando di raggiungere la porta il più in fretta possibile. Strillai ritrovandomelo esattamente di fronte poco prima che riuscissi ad attraversare l’uscio. Mi bloccai e cercai di fuggire dalla parte opposta, ma lui mi afferrò prima che riuscissi a scappare. Con una mano mi tappò la bocca, mentre con l’altra mi bloccò le braccia.
“Che cosa diamine sei?” pensai cercando di liberarmi, ma chiunque fosse quel ragazzo era davvero molto forte e non accennava a lasciarmi andare.
«Ferma! Ferma!» mi disse trattenendomi «Non voglio farti del male! Ora ti lascio, ma non gridare, ok?»
Annuii, più infuriata che spaventata. Lui sciolse la sua stretta e io indietreggiai, cadendo sul parquet. Il ragazzo si accucciò di fronte a me, aggrottò la fronte e mi squadrò da capo a piedi come se non riuscisse a capacitarsi di ciò che stava vedendo ed io sussultai di nuovo, imbarazzata e infastidita allo stesso tempo.
«Chi sei?» mi domandò con uno sguardo dubbioso.
«Come fai a vedermi?» chiesi io tutto d’un fiato.
Io ero morta dannazione! Nessuno doveva essere in grado di vedermi, eppure quel ragazzo mi stava parlando, mi stava guardando… mi aveva addirittura toccato!
«Chi sei tu?» chiesi arretrando leggermente.
«Guarda che te l’ho chiesto prima io, ragazzina» sorrise sornione.
Se c’era una cosa che davvero detestavo, era essere chiamata in quel modo, soprattutto con quel tono, e di certo non avrei fatto eccezione con quella sottospecie di maniaco soprannaturale strafottente che mi ritrovavo davanti!
«Ma come ti permetti?!» sbottai furiosa «Razza di…» ma non riuscii a finire il “fine” discorso perché la sua mano si posò con poca delicatezza sulla mia bocca.
«Ecco la parte che detesto in questo lavoro» disse con aria di sufficienza, poi guardandomi negli occhi concluse: «le ragazzine che strillano come pazze».
Valutai le varie alternative che mi attraversarono la mente e, fra le tante, scelsi la più veloce ed efficace: gli morsi la mano.
«Ma sei impazzita?! Che diavolo fai?» gridò scostando la mano dolorante lontano dalla mia portata.
“Gli ho fatto male” pensai sorpresa «Cosa vuoi da me? E chi cavolo sei?» chiesi cercando in tanto una possibile via di fuga con lo sguardo.
Lui mi guardò come se volesse incenerirmi, ma poi sbuffando disse: «Io sono Raziel, il traghettatore inviato a recuperare l’anima che, per colpa tua, sta ancora aspettando di là» finì indicando con un cenno la stanza in cui il vecchio era morto.
«Sei…» balbettai «Sei… una specie di angelo?»
«Una specie?» ridacchiò il ragazzo sorpreso alzandosi in piedi.
«Non hai le ali… e l’aureola…»
L’altro sorrise sarcastico e incrociò le braccia al petto senza dire una parola. Io lo guardai confusa finché non mi accorsi di minuscole e luminose particelle color ebano che si materializzarono pian piano intorno a lui. In pochi istanti, le scintille si solidificarono, formando piume nere e lucenti che andarono a comporre due grandi e meravigliose ali nere.
«Sono abbastanza angelo adesso?» sorrise sornione inclinando il capo. Io non risposi. Mi alzai in piedi e allungai una mano per sfiorare quelle piume lucenti.
Di nuovo” pensai.
L’angelo mi lasciò fare, piegando appena un’ala per permettere alle mie dita di accarezzare le morbide penne color ebano.
«An-gelo…» mormorai come in trance «Sei un angelo…»
«E tu sei…»
«Eva» mormorai.
«Bene Eva» sorrise soddisfatto richiudendo - con mio grande disappunto - le ali dietro la schiena «che cosa ci fai tu qui?»

«Cosa vuol dire cosa ci faccio qui?» domandai con un cipiglio perplesso. Già solo il fatto di essere un fantasma da ben più di una settimana era qualcosa di assolutamente assurdo; senza contare poi le capacità che avevo acquisito e stavo ancora scoprendo; quei cosi che mi seguivano ovunque andassi e ora un angelo - e avrei potuto annoverare anche questo tra gli avvenimenti assurdi accaduti dopo la mia morte - mi stava chiedendo perché mi trovassi… lì?
«Cercavo riparo dai cacciatori» dissi usando il nome che avevo affibbiato agli esseri che mi inseguivano «L’energia dei vivi li tiene lontani, almeno per un po’».
Raziel mi guardò di nuovo con un’espressione stupita, ma anche piuttosto circospetta.
«Energia?» ripeté facendo un passo indietro e squadrandomi di nuovo da capo a piedi.
«Sì, beh… tu non la senti?» gli domandai.
Quella forza era come milioni di fiumi che s’intrecciavano tra loro e creavano una rete sicura, una scia vitale che faceva vibrare ogni particella del mio corpo… o meglio, anima.
«Certo che la percepisco, ma io sono un angelo, tu no» 
«Ma davvero?» risposi sarcastica «Non me n’ero accorta».
Raziel piegò le labbra in una smorfia e scrollò il capo «In ogni caso non ha senso, perché nessuno ha raccolto la tua anima? Da quanto tempo sei qui?»
«Se intendi in questa casa, poche ore; se invece mi stavi chiedendo da quanto sono morta direi… circa tre settimane».
Tralasciai il chi avrebbe dovuto recuperare il mio spirito. Primo, non ero un dannato pacco postale e, secondo, cosa cavolo ne sapevo io?
«Assurdo» fu tutto quello che riuscì a dire l’angelo «no, sul serio, sei davvero strana»
«Non sono strana!» ribattei incrociando le braccia.
«Forse c’è stato un altro… incidente» mormorò soppesando per qualche istante l’ultima parola «per questo il tuo traghettatore non ti ha trovata, però resta il fatto che gli spiriti normalmente restano legati al luogo dove sono morti»
«Quindi io non dovrei avere questa capacità di andare a zonzo da una casa all’altra, giusto?» ragionai.
L’altro annuì. «E queste ferite?» continuò sollevandomi il mento con le dita.
Scostai il capo imbarazzata. Tutte le abrasioni causate dal Sole si rimarginavano, lentamente, dolorosamente, ma guarivano. Tutte tranne quelle che mi avevano sfregiato il corpo prima che morissi.
«Intolleranza alla luce solare» mormorai.
Raziel non disse niente, richiuse di colpo le ali intorno a sé e scomparve.
Mi guardai intorno perplessa. Perché era sparito in quel modo?
«È tardi maledizione!» esclamò ricomparendo all’improvviso con una sfera candida fra le mani «Devo andare, ma non posso lasciarti sola».
L’angelo si guardò intorno, indeciso.
«È l’anima del vecchio?» gli domandai indicando la sfera di luce che ondeggiava dolcemente fra le sue dita. Lui annuì, poi, guardandomi fisso disse: «Resta qui, torno presto, promesso».
Mi sorrise e scomparve di nuovo.
Non credevo che uno spirito potesse stare fisicamente così male, eppure mi girava la testa e mi lasciai sfuggire un lungo ed involontario sospiro. Solo quando fui certa che Raziel si fosse davvero allontanato, mi resi conto di quanto fossi stata tesa fino a quel momento. In ogni istante che avevo passato con l’angelo, non avevo mai abbandonato la mia posizione difensiva ed ero sempre stata all’erta.
Aggrottai la fronte perplessa. Innanzitutto Raziel era un angelo. Un angelo! Se non mi fidavo di lui, di chi diavolo avrei dovuto fidarmi? E poi erano settimane che passavo le mie giornate a parlare da sola e a canticchiare stupide canzoni sentite alla radio, mentre adesso, per la prima volta dopo giorni, ero riuscita a parlare con qualcuno che mi vedeva, mi rispondeva.
E mi toccava.
Rabbrividii. Era assurdo, ma quando avevo sfiorato le piume delle sue ali e, prima ancora, quando Raziel mi aveva afferrato per non farmi fuggire, avevo avuto la sensazione che tutto ciò fosse già accaduto. Ovviamente mi sbagliavo, ma la testa continuava a girare e quella sensazione di deja-vu era così forte… così reale…
Fu come perdere alcuni fotogrammi di un film. Un istante prima barcollavo dentro casa cercando riparo dal ricordo dell’angelo dalle ali nere; un istante dopo ero fuori sotto il portico. Lo stordimento svanì immediatamente, ma ormai era troppo tardi.
Il Sole era calato da ore, ma se il buio e la Luna mi proteggevano dai venefici raggi dell’astro diurno, dall’altra davano libera azione ai cacciatori.
Erano troppo veloci e mi ritrovai circondata prima ancora di rendermi conto di ciò che stesse accadendo. Mi voltai, ma uno di quegli esseri si era posto tra me e la porta e le finestre erano troppo lontane perché le potessi raggiungere.
Ero spacciata.
E non avevo paura.
Per la prima volta mi ritrovai a pochi centimetri dai cacciatori e nulla mi impedì di scorgerne chiaramente l’aspetto, ma per quanto mostruoso fosse, non sentii l’ovvio terrore che avrei dovuto provare. “Demoni” pensai incontrando lo sguardo argenteo di ognuno di loro. Erano sette, quattro dei quali avevano una forma più simile a quella animale che non a quella umana, ma persino quelli che parevano esseri umani più bassi e tarchiati avevano caratteristiche inconfondibili. Corna ritorte, zampe lunghe e pelose, artigli che ri-splendevano sotto i raggi della Luna e che, per un istante che parve un secolo, mi ammaliarono totalmente. I demoni mi scrutarono guardinghi, ma non mi attaccarono. Soltanto uno di loro allungò un arto verso di me, sfiorandomi il mento con un artiglio. Seguii il riflesso d’argento fino ai suoi occhi così chiari e vidi la sua espres-sione cambiare istantaneamente.
Un frullio d’ali e l’incantesimo si ruppe.
Due braccia mi afferrarono per la vita e piume nere come la notte oscurarono la mia vista.
Mi dibattei spaventata e Raziel - finalmente lo riconobbi - dovette lasciarmi andare a pochi metri di distanza dai cacciatori.
«Ma sei impazzita?!» gridò scrollandomi «Dobbiamo andarcene!»
Il ringhio basso e minaccioso dei demoni si propagò nell’aria e la sensazione di torpore mi invase di nuovo. Sentii una scossa, una vibrazione che scese lungo la schiena e mi avvolse il cuore. La vista mi si appannò e nella nebbia riconobbi nitida una freccia scoccata in direzione dell’angelo.
«Attento!» gridai gettandomi su di lui e facendolo cadere a terra.
«Ma che…» incominciò, ma non finì la frase che il dardo gli sfiorò la guancia destra, conficcandosi nel cemento e lasciandovi una profonda crepa. Ci voltammo entrambi nella sua direzione, ma la folgore si stava già dissolvendo in mille, piccole, faville nere.
«Co... cos’era?» gli chiesi iniziando visibilmente a tremare.
Lui si rialzò e porgendomi una mano disse più rivolto a se stesso che a me: «Una freccia di Eros»
«Chi?»
L’angelo non mi diede retta e afferrandomi bruscamente si alzò in volo, evitando per un soffio l’attacco dei demoni.
   
 
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