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Autore: Sacapuntas    10/04/2017    0 recensioni
Sin dal giorno in cui il suo sangue si è mescolato agli scoppiettanti carboni ardenti, Eric Coulter ha la reputazione di essere il ragazzo più spietato, rude, indifferente e gelido della suo nuova Fazione. La sua fama lo precede, ma la cosa non sembra disturbarlo minimamente, e si gode i suoi vantaggi da Capofazione in completa solitudine. Ma a volte basta solo una parola di troppo, un profumo particolare e due grandi occhi ambrati per stravolgere e riprogrammare la mente di qualcuno.
Sentitevi liberi di aprire, leggere e, se la storia vi appassiona, lasciare una recensione, mi renderebbe davvero felice!
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eric, Four/Quattro (Tobias), Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 13 - Il tatuaggio di Elizabeth




"Penso che abbia funzionato, sai?" mormora Elizabeth, mentre si siede sul bordo del mio letto.
Mi stendo sul materasso, la schiena frantumata dall'eccessiva quantità di lavoro svolto oggi. Dalla grande finestra rettangolare della parete destra dell'appartamento si irradiano tanti piccoli fasci di chiara luce della luna, che si riflettono sui suoi capelli, dando loro un colore argenteo. Elizabeth mi dà le spalle, ed io non posso non pensare che sia un grande gesto di fiducia. È sempre solita monitorare tutti i movimenti delle persone, sempre attenta, che questa sua disinvoltura mi lascia quasi sorpreso.
"Di che cosa stai parlando?" mi passo il dorso della mano sulla fronte asciutta ma bollente.
Penso di avere la febbre, o forse non ho ancora smaltito del tutto la scioccante rivelazione di Ezekiel. Se a quel bastardo scappa anche soltanto una parola su di me ed Elizabeth, gli farò fare un salto olimpico giù nello Strapiombo.
La Candida non si volta, ma sospira. O meglio, vedo la sua schiena -coperta da una delle mie felpe nere che non indosso più- alzarsi e abbassarsi per la stanchezza. Non riesco a vedere bene con tutta l'oscurità che ci circonda, ma penso che stia giocando con il "suo" coltellino, a giudicare dai piccoli lampi di luce che vedo riflettersi sul metallo nelle sue mani. È davvero tardi, Elizabeth dovrebbe essere al suo dormitorio.

"La paura dell'altezza, quello che hai fatto per me. In realtà, se devo essere sincera quella conversazione che abbiamo avuto con Zeke mi ha fatto dimeticare di essere così in alto. Forse è stato un bene, dopotutto..." il tono in cui lo dice mi fa pensare che sia parlando più a se stessa che a me, che sono steso alle sue spalle con un'espressione di pura perplessità in volto. Zeke, con il suo fare da ficcanaso, ha fatto sparire una delle peggiori paure di Elizabeth.
"Quindi se domani sera ritornassimo all'Hancock, giusto per fare qualcosa di più interessante dello stare chiusi qui dentro, a te andrebbe bene?" azzardo, senza troppa convinzione.
"E chi mi dice che non vorrai buttarmi giù dal novantanovesimo piano?" volta appena il viso verso di me, e dal suo sorriso appena accennato capisco che sta facendo del sarcasmo. Ovviamente.
"Dovrai accettare l'invito e scoprirlo da te, non trovi?" sospiro e una fitta mi attraversa l'intera lunghezza della spina dorsale come una forte scossa elettrica. Evito di gemere dal dolore perchè c'è Elizabeth qui, e non voglio che si preoccupi più di quanto non lo sia già. Parla della scoperta di Zeke come se fosse una cosa positiva, ma sono sicuro che nel suo profondo sa che è un problema. Uno bello grosso.

Raddrizza le spalle all'improvviso, con un movimento calcolato e rapido, come se anche la sua schiena fosse stata attraversata da una lieve scossa.
Vedo i suoi lunghi capelli fluttuare, e per un momento penso si sia voltata verso di me, quindi le rivolgo lo sguardo meno accondiscendente del mio repertorio e mi preparo a sentire quella sua voce -decisamente bassa, per una ragazza- che ormai saprei riconoscere ovunque. Poi, però, quando mi accorgo che i suoi occhi non incontrano i miei, seguo il suo sguardo pensieroso e vedo che la Candida sta fissando la porta alle sue spalle, a qualche decina di metri di distanza dal letto.
Aggrotto la fronte e lei mi sfiora con lo sguardo, sbattendo delicatamente le palpebre come se fossero le piccole ali di una falena. Rabbrividisco sotto la sua espressione indecifrabile. Non so perchè i suoi occhi mi fanno sentire così, ma spesso -troppo spesso- desidero di non ritrovarmi mai nel suo campo visivo, per non sentirmi vulnerabile come mi sento ora.

Si sistema appena sul letto, incrociando una gamba sul materasso e lasciando l'altra con il piede per terra oltre la sponda. In questo modo, posso vedere almeno una parte del suo splendido viso. Lei abbassa lo sguardo sul suo coltellino e un accenno di sorriso le solleva l'angolo destro della bocca, ma non è un sorriso sincero. Li conosco i sorrisi sinceri che ogni tanto le si formano sulle labbra, e questo non è uno di quelli.
"Scusa ancora. Per le spinte." con un impercettibile cenno del capo indica la zona dell'appartamento vicino alla porta, dove una sera prima mi aveva spinto con violenza perchè l'avevo fatta andare su tutte le furie. Mi sistemo anche io sul letto, appoggiando gli avambracci sul materasso e sollevando appena la schiena. Se mi mettessi seduto come lei, non avrei più una spina dorsale. Stavamo parlando della sua famiglia, quando mi ha messo le mani addosso. Non che mi abbia fatto male, ovviamente, ma non è stato neanche piacevole.
Elizabeth emette un verso tra un singhiozzo e una risata, che gli gorgoglia in gola così debolmente che mi sorprende anche il solo fatto che l'abbia sentito. Le sue dita continuano a giocare agilmente con la lama del coltellino, con disinvoltura e precisione. Cederei il mio posto di Capofazione a Quattro, per sapere quali pensieri contorti le stanno attraversando la mente, adesso.

"Cinque volte alla settimana." dice alla fine, con voce bassa ma decisa. Non alza lo sguardo su di me, perciò mi raddrizzo nella speranza di catturare la sua attenzione. Ma niente, non succede, da quanto è impegnata a giocare con la lama. "Mia madre. Mi picchiava cinque volte alla settimana. Il mercoledì e la domenica mi lasciava stare." pronuncia quell'ultima frase con un tono quasi divertito, ma posso leggere nei suoi occhi -illuminati debolmente dalla luce argentea della luna- le emozioni negative che le provoca quel ricordo.
"Cinque volte." ripeto incredulo, la mia voce è un sussurro. Immagino il piccolo corpo della ragazza contorcersi sotto i colpi della madre, implorandola di smettere. Anzi, in realtà sono abbastanza sicuro che Elizabeth non l'avrebbe mai implorata, probabilmente non ha mai emesso neanche un gemito. "Dio, Elizabeth..."
"No, non voglio che ora tu provi compassione per me. Va bene così, l'ho superato." blocca ogni mio gesto o parola con un movimento secco della mano.
"Non l'hai superato, dato che è una delle tue paure nello Scenario." penso ad alta voce, guadagnandomi un'occhiata gelida in risposta. Dimenticavo che non sopporta parlare delle Simulazioni, ma so anche che prima o poi dovremmo farlo. Dopotutto, devo aiutarla a sopravvivere. Sarà anche per questo che non si vuol far toccare da nessuno? Ha forse paura che la ferisca come ha fatto sua madre? La sola idea di ferire Elizabeth tanto brutalmente mi mette i brividi.
"Il punto non è non avere paura. Il punto è saperla combattere e utilizzarla a proprio vantaggio."

"Elizabeth" cerco di mantenere il mio tono di voce più neutro possibile, ma dentro di me sto tremando dalla rabbia. "Come può una cosa simile essere utilizzata a proprio vantaggio?"
"L'ho guardata tornare a casa ogni giorno, Eric, ed ogni giorno aveva uno sguardo diverso. In sedici anni ho imparato a interpretare i suoi movimenti, le sue espressioni, anche i suoi più semplici cenni del capo. Da lì capivo in che modo mi avrebbe punita, da dove posava lo sguardo prima di guardare me, da come rivolgeva la parola a mio padre... Ho imparato a capire le persone, Eric. Ed è stato grazie a lei." finalmente si volta verso di me e, contrariamente da quanto mi aspettassi, i suoi occhi sono perfettamente asciutti e nel suo tono di voce non c'è ombra di paura. L'Elizabeth che ho sempre conosciuto, e che gli altri hanno sempre visto, non è altro che il frutto di anni ed anni di violenze domestiche. Chissà come sarebbe stata, se fosse nata in una famiglia diversa.
I miei genitori non sono mai stati particolarmente presenti, ma non posso dire che non mi abbiano mai dato le attenzioni che necessitavo.

Mi metto a sedere, ignorando la dolorosa sensazione che si irradia dalla mia nuca fino a raggiungere la base della schiena. Le poso una mano su un braccio, ma non voglio che pensi che provo pena per lei, quindi faccio una leggera pressione sulla pelle e la costringo a guardarmi.
"Devi metterti in testa che ora sei al sicuro, negli Intrepidi. Be', relativamente. Tua madre non potrà mai più sfiorarti nemmeno più con un dito. Inoltre, ora sapresti tenerle testa, fisicamente e psicologicamente, ne sono convinto." le prendo il viso fra le mani e le accarezzo uno zigomo con il pollice. "Hai avuto la possibilità di farti una nuova vita, con noi Intrepidi. E ci sei riuscita benissimo. Supererai le Simulazioni, Elizabeth, e dopo -se vorrai- potremmo anche... Evitare di nasconderci in questo modo." poso distrattamente lo sguardo sui contorni poco definiti dell'appartamento, alludendo ai ridicoli stratagemmi che usiamo per vederci.

I suoi occhi si inumidiscono e si morde il labbro inferiore quando due o tre lacrime cominciano a scorrere sul suo viso pallido e triste. Abbassa lo sguardo sulle nostre mani, ora incrociate sul suo grembo. Le guardo attentamente. Incredibile come, nonostante le sue dita siano così piccole e sottili, riescano a trasmettermi più forza di quanta io non ne abbia mai avuto in vita mia.
Elizabeth annuisce mentre cerca di nascondere un'altra lacrima che le scivola sulla guancia sinistra, voltando il viso e asciugandoselo con la manica del maglione.
"Niente più segreti." le ricordo, con una durezza che non indendevo avere. Mi specchio nei suoi enormi occhi ora argentei, e intravedo la mia espressione ammonitrice e severa. Non cambierò mai, penso con una punta di amarezza. Mi sporgo in avanti e le bacio la fronte, poi le lascio un altro bacio sul suo naso rotondo dalla forma delicata, poi infine sulle sue labbra perfette.
"Niente più segreti." ripete lei annuendo, con un tono di voce così basso che le sue parole arrivano al mio orecchio soltanto come un sussurro sulle mie labbra.

La Candida si allontana da me e poggia i piedi piccoli e sicuri sul pavimento di legno dell'appartamento, sistemandosi nervosamente i capelli con una mano tremante. Mi siedo sul bordo del letto, mentre un'espressione perplessa mi si forma sul volto nel vederla in piedi di fronte a me. Il mio maglione che sta indossando lei in questo momento le arriva fino alle ginocchia e, sotto di esso, un paio di jeans neri aderenti le fasciano le gambe che ora sembrano tremare. Ha i lunghi capelli scuri che le lasciano scoperta la linea d'inchiostro nero che le serpeggia sulla parte sinistra del collo. Rimango quasi ipnotizzato dalla delicatezza con la quale quella linea si insinua sotto il maglione. Aggrotto la fronte. Quattro ha un tatuaggio simile.
Elizabeth respira profondamente prima di afferrare i lembi del maglione per poi sfilarselo da sopra la testa con un gesto fluido e lento delle braccia. L'unico indumento che le è rimasto addosso è un reggiseno sportivo nero, che copre la sua pelle altrimenti nuda. Sposto controvoglia lo sguardo dalle sue curve morbide ai suoi occhi, pieni di attesa e disagio. Stringe il maglione in una mano, mentre con l'altra si sistema ancora una volta i capelli, nervosa.

Ed allora capisco. Capisco che questo è il più grande atto di fiducia che Elizabeth abbia mai potuto compiere nei confronti di qualcuno. E quel qualcuno, incredibilmente, sono io.
"Ho detto di non voler avere segreti con te, e lo intendevo sul serio." comincia lei a voce bassa ma decisa. "Cominciamo da questo."
Si volta, dandomi le spalle, ed i lunghi capelli le ricadono sulla schiena come una cascata di riflessi rossi, castani e dorati che le arriva a qualche decina di centimetri prima della cintura dei pantaloni. Non riesco a vedere quasi nulla, ma tra lo spazio di pelle nuda rimasto fra la fine dei capelli e l'inizio dei jeans, riesco a vedere articolate linee nere che serpeggiano in uno schema complesso ma ipnotico.
La sento sospirare una seconda volta, ed un'opaca nuvola di condensa le esce dalla bocca. Vedo le sue braccia muoversi lentamente verso l'alto, mentre il reggiseno sportivo le scivola sulla pelle, spostando la folta chioma bruna su una spalla. Ora, finalmente, dopo settimane di curiosità, ho di fronte il tatuaggio di Elizabeth.

Sulla sua schiena, ora, posso constatare che c'è più inchiostro che pelle. Elizabeth incrocia le braccia e affonda le unghie negli avambracci, creando solchi così profondi che ho paura che abbia intenzione di strapparsi la carne di dosso. Vorrei concentrarmi sul suo tatuaggio, sulla grande e complessa forma che ha disegnata sulla schiena, ma ora mi risalta agli occhi come una semplice macchia nera, perchè sono troppo distratto dai suoi fianchi larghi ma morbidi e dalla sua pelle incredibilmente liscia.
Mi alzo, perchè mi rendo conto che la sto guardando da troppo tempo -e so che se n'è resa conto anche lei-, ed Elizabeth sussulta nel sentire le molle del letto che si rilassano, ora che non ci sono più seduto io. Raddrizza la postura e volge metà del suo volto pallido a me, guardandomi con la coda dell'occhio. È seminuda, scoperta, vulnerabile. Ed io mi sto avvicinando a lei, penso, Il fatto che non mi abbia accoltellato è già un ottimo segno. Ma so che non devo abusare della sua fiducia, allora rallento il passo, cercando di tranquillizzarla.

Mi avvicino a lei come se mi stessi avvicinando ad un animale selvatico: con infinita calma e lentezza, come se potessi farla scappare, o come se lei si potesse avventare contro di me. Guardo il suo viso baciato dal delicato pallore della luna, che crea ombre su di esso, rendendolo più minaccioso -o spaventato-.  Felino, è l'unica parola che riesco a trovare in quel momento.
Elizabeth si sposta di nuovo i capelli da un lato, perchè qualche ciocca aveva coperto il disegno, ed io mi ricordo che mi sono alzato per vedere meglio il suo tatuaggio, non lei.
Sono ad un paio di metri di distanza dalla sua schiena, ed assottiglio gli occhi per poter vedere meglio il quadro generale dello schema tatutato sulla sua pelle. Mi concentro. Mi concentro.
Per qualche istante non riesco a fare altro che vedere le stesse linee marcate e serpentine che ha sul collo, alcune le corrono inarrestabili sui fianchi, altre perpendicolarmente alla base della schiena, formando tre o quattro grandi semicerchi dalle estremità appuntite come artigli. Ci sono dei simboli nel mezzo, proprio il corrispondenza della sua spina dorsale, che occupano lo spazio di pelle che va dalla base della nuca a poco prima dei jeans.
Mi arrivano agli occhi soltanto come cinque cerchi di grandezza decrescente, per alcuni secondi, poi realizzo.
E non posso fermarmi.
Avanzo a passo deciso e le poso con più delicatezza possibile le mani sulle spalle, cercando di dimostrare una tranquillità che so di non avere in questo momento.

Sono le Fazioni.
Elizabeth ha tutti e cinque simboli delle Fazioni tatuati sul corpo.

Il primo, leggermente più grande degli altri, è quello dei Candidi, le due bilance assimmetriche bianche e nere. Come un animale selvatico, la verità è troppo potente per poterla ingabbiare. La disonestà fa sì che il male esista, ma l'onestà ci rende inestricabili. La voce della mia insegnante di Storia delle Fazioni mi ritorna in mente.
Poi, più sotto, quello degli Intrepidi, le fiamme ardenti del coraggio. Soltanto guardandolo posso sentire le esultazioni rumorose dei residenti di questa Fazione. Crediamo in ordinari atti di coraggio, nel coraggio che spinge una persona a ergersi in difesa per un'altra.
È da qui in poi che comincio a non capire. Le mie dita scorrono senza che io lo voglia -o forse lo voglio?- sulla pelle di Elizabeth, tracciando linee invisibili sopra l'inchiostro del tatuaggio. Sento Elizabeth sussultare, ma io sono troppo preso dalla confusione per prestare attenzione al fatto che la sto toccando, e che lei non ha che i pantaloni addosso.

Sotto le fiamme scoppiettanti della mia Fazione, un occhio che ormai conosco bene continua a fissarmi come in cerca di risposte.
L'occhio Erudito è disegnato a metà della spina dorsale di Elizabeth. Bisogna rispondere a tutte le domande a cui è possibile dare una risposta, o almeno cercare di farlo. I ragionamenti privi di ogni logica vanno constrastati e confutati. Le risposte errate devono essere rettificate. Quelle corrette devono essere proclamate.
I simboli vanno rimpicciolendosi.
Un albero si dirama in un cerchio nero come la pece. I Pacifici. Non li ho mai amati. Dona liberamente, fidandoti del fatto che anche a te sarà dato ciò di cui hai bisogno.
Per ultimo, infine, due mani si allacciano solidali, simboleggiando la Fazione degli Abneganti. La Fazione dei Rigidi come Quattro. Pertanto, ho scelto di allontanarmi dal mio riflesso, fare affidamento non su di me ma sui miei fratelli e sulle mie sorelle, per proiettarmi sempre verso l'esterno fino a quando non scomparirò.
Dopo il Manifesto degli Abneganti, alla base della sua schiena, non c'è più niente. Solo la sua pelle, liscia e pallida, che trema -non di piacere- al mio tocco poco delicato.
Le mie mani stringono la sua pelle. Ha tutti i simboli delle Fazioni tatuati sulla schiena. Dovrà pur significare qualcosa
No. Non può essere.
Non di nuovo.
Non lei.

"Eric!"
L'ho fatto ancora. L'ho spaventata. Mi rendo conto soltanto ora che l'ho presa con estrema veemenza per i fianchi nudi, lo sguardo incendiato dalla rabbia fisso sulla sua nuca. La lascio andare, indietreggiando confuso e amareggiato. Può esserlo. No. Non può essere una Divergente. Non Elizabeth. Non la Candida che ci ha messo mezz'ora per completare la sua Simulazione. Elizabeth si allontana da me e si rimette il maglione, le mani che tremano per la tensione.
So che dovrei dirle qualcosa, adesso, tipo che mi dispiace per averla terrorizzata a morte, ma capisco dal suo sguardo perplesso che un'espressione di pura rabbia mi si è stampata in volto. Non abbassa lo sguardo, decisa ad affrontarmi, giustificando una colpa che non sa di avere. Il suo tatuaggio è pericoloso, se qualcuno lo vedesse potrebbe pensare che sia una Divergente. Potrebbe morire. Potrebbe essere accusata di insubordinazione. Condotta al suicidio. Come Amar.
No. Oddio, no. Non Amar, non ancora Amar.

Sento le tempie pulsare, ed una nuova ed estranea forma di rabbia mi fa tremare le braccia. Sul volto di Elizabeth si forma un'espressione preoccupata. Chiedile scusa.
"Cosa vuole rappresentare?" Idiota! "Quel tatuaggio." indico, con un cenno della testa, il suo esile corpo che fino a poco fa tenevo stretto in una morsa che l'ha agitata tanto da farla allontanare da me. Nonostante il mio tono deciso e ammonitore, non sono sicuro di voler sapere la risposta.
"So come la pensi su queste cose. So che per te esistono solo gli Intrepidi. Ma per me non è così, va bene? Voglio imparare. Voglio anche essere altruista come gli Abneganti, intuitiva come gli Eruditi, gentile come i Pacifici. Non posso essere soltanto un'Intrepida, lo capisci?" fa un passo avanti, poi un altro, fino ad arrivare a sfiorarmi il braccio con un docco delicato e rassicurante. "Lo capisci, Eric?"
"No." ringhio "Elizabeth, non... Sei tu che non capisci. Senti... Tieni... Tieni quel tatuaggio coperto finchè resterai in questa Residenza. Non lo deve vedere nessun altro. Mai." marco l'ultima parola con decisione, afferrandole una spalla. Devo proteggerla. Lei mi guarda, gli occhi lucidi e tremanti come una fiamma morente.
Annuisce debolmente, prima di alzare di nuovo lo sguardo su di me.
"Non avrei voluto mostrarlo a nessun altro." mormora debolmente, come se si stesse riferendo a se stessa più che a me.
Quella confessione mi fa sorridere debolmente, e allora decido di stringere il suo piccolo corpo fra le mie braccia, cullandomela al petto come se fosse ancora una bambina.

                                                                                           ***

"Sei slittata all'ottavo posto, Liz!" sta esultando Samuel, abbracciando la mia ragazza con eccessiva allegria. Sul viso della Candida si allarga un ampio sorriso, il primo che le vedo formarsi sulle labbra dopo tanti giorni di paura e tensione. È così bello vederla sorridere, che per un attimo rimango a fissarla, immobile come un tronco d'albero.
Elizabeth non ricambia l'abbraccio di Samuel, perchè è impegnata a far scorrere gli occhi sulla tabella, facendo smorfie sorprese quando incontra un nome che riconosce. Alice non si è mossa dall'undicesimo posto, nonostante abbia fatto dei progressi notevoli nel suo Scenario. Questo, ovviamente, perchè io non la sopporto e volevo punirla in qualche modo. Ancora non so come abbia fatto la Pacifica a resistere così tanto in questa Residenza. Samuel, invece, per quanto mi stia tremendamente antipatico, ha fatto progressi che non potevano passare inosservati, quindi sono stato costretto a classificarlo al settimo posto, proprio prima di Elizabeth.

Jonathan, in qualche modo, è ancora in cima alla classifica. Quattro non mi ha permesso di assistere alla sua Simulazioni, diceva che "Il server è disturbato, dobbiamo riprovare un altro giorno." e così ho lasciato perdere, sia perchè si trattava semplicemente di Jonathan, sia perchè non volevo perdere tempo a discutere con un Rigido.
Mi volto, distogliendo lo sguardo dalla lavagna all'Intrepido dai riccioli biondi che continua ad essere acclamato dai suoi compagni come un Dio. Patetico.
"Forza, ritornate al dormitorio. Più tardi ci vedremo in mensa per discutere del test finale al quale dovrete essere sottoposti tutti." Quattro batte le mani, catturando l'attenzione degli iniziati, che eseguono gli ordini e si dirigono parlottando verso le loro stanze.
Do' un'ultima occhiata veloce alla tabella. Blackmount e Gabe si sono classificati sotto la linea rossa, questo vuol dire che se entro due settimane non riusciranno a superare le loro paure, saranno sbattuti fuori dalla Residenza. Abbasso lo sguardo, pensando ai due iniziati nei vestiti degli Esclusi che si ricaldano davanti ad un fuoco misero in una casa dai vetri delle finestre rotti.
Ma a me non importa, perchè so che Elizabeth è salva, e che può migliorare ancora di più. Ma forse le servirà il mio aiuto un'ultima volta.
Alzo lo sguardo e lo poso su Jonathan, che ha appena dato una poderosa pacca sulla spalla della mia ragazza con fare "amichevole". Un'ultima volta, mi ripeto, mentre continuo a fissare l'Intrepido finchè svolta l'angolo.

                                                                                           ***

Se prima pensavo che non ci fosse nulla di più spettacolare della vista della città al tramonto, allora non ero mai salito sull'Hancock di notte.
Sono vicino al cornicione del grattacielo e contemplo con estrema calma il panorama mozzafiato di fronte a me. Il vento mi sferza i vestiti e la fredda aria notturna si insinua nei miei polmoni, ma io non me ne accorgo, perchè sono troppo distratto a guardare la miriade di stelle che accende il cielo sopra la città. A volte, se osservo con attenzione, mi pare di scorgere altre piccole luci oltre la Recinzione, ma l'idea mi sembra così assurda che la scaccio immediatamente. Anche se ci fossero persone, o cose, oltre quel muro, sono davvero sicuro di volerle conoscere?
Non faccio in tempo a rispondere alla mia stessa domanda, perchè sento la porta di ferro che dà accesso all'ultimo piano del grattacielo chiudersi con un rumoroso cigolìo alle mie spalle. Ancora prima di scorgere la sua piccola ed esile figura, riconosco la sua voce profonda e tremendamente angosciata.
"Se è possibile, di notte fa ancora più paura." dice ad alta voce per farsi sentire dall'altra parte del tetto. Mi volto e mi fermo a guardarla, la vampa di capelli bruni mossi dal vento le incornicia il viso pallido e spaventato. Si tiene alla piccola struttura di mattoni del tetto, come se potesse cadere da un momento all'altro. "Immagino che dovrei venire là vicino al cornicione, vero?"
"Io non mi muovo da qui, quindi sì." le grido di rimando.

Con estrema cautela, si avvicina a me, le gambe corte che tremano man mano che accorcia la distanza fra lei e il bordo del tetto. Quando è abbastanza vicina da poterla toccare, la prendo per un braccio e la trascino con forza verso di me, imprigionandola in un'affettuosa morsa contro il mio petto, le mie mani incrociate alle sue sul suo grembo, lo sguardo rivolto verso la città. Lei sussulta e lancia un gridolino acuto, prima di ridere debolmente fra le mie braccia.
Appoggio il mento sulla sua testa, senza staccare gli occhi dal cielo pieno di stelle.
"Visto?" mormoro dopo qualche secondo di silenzio "È..."
"Bellissimo." conclude lei, spostandosi leggermente per potermi guardare negli occhi.
"Esatto." le sorrido, e mi sembra un gesto così innaturale da parte mia che non posso fare a meno di chiedermi che cosa stia pensando lei di me, adesso. "Esatto... Il cielo è..."
"Non parlavo del cielo." si limita a dire lei. Poi, quando incontra la mia espressione confusa, aggiunge "Parlavo di te."
"Mi hai appena fatto un complimento, Elizabeth." constato, incapace di pronunciare altro.
"Non è la prima volta." si volta di nuovo a guardare l'orizzonte puntellato dalle luci della città.
"No, ma l'altra volta eri ubriaca."
"Però lo pensavo comunque."

Stringo il suo corpo contro il mio, affondando il volto nei suoi capelli che profumano di vento e fiori primaverili. Inspiro, lasciando che il caratteristico odore pungente di Elizabeth mi invada le narici, arrivandomi fino al cervello come una scossa di adrenalina.
Mi riviene in mente il primo giorno, sul cornicione dell'entrata della Residenza, quando ho sentito il suo profumo dopo che mi era passata accanto per saltare in quel pozzo senza fondo. Solo ora penso a quanta paura debba aver provato nel lasciarsi cullare dall'oscura profondità di quella voragine, o alla scomodità d'animo che ha dovuto sopportare quando si è resa conto che tutti gli occhi erano puntati su di lei.
Come ho potuto ignorare una persona così forte, così spavalda da umiliare Jonathan in pubblico, così determinata da allenarsi anche la notte, così coraggiosa da rivolgermi la parola, ben sapendo la reputazione che mi si era incollata addosso come una seconda pelle?
Le mie dita tormentano le sue nocche, ed io mi ritrovo a tremare.
"Elizabeth." mormoro il suo nome come se fosse una domanda, come per assicurarmi che lei sia ancora qui con me, sul cornicione dell'Hancock.
"Mh?" distoglie lo sguardo dalla città per volgerlo a me. Nei suoi occhi sono riflesse tutte le piccole palline di luce davanti a noi, e le sue iridi brillano di una luce affettuosa.

La guardo a lungo prima di parlare. È così bella, così forte, così Intrepida.
Ripenso all'occhiataccia che mi ha lanciato la prima volta, nel tunnel della Residenza, e non riesco a fermare il tremore delle mie mani sulle sue.
"Mi dispiace. Mi dispiace per tutte quelle volte che ti ho fatto del male, per tutte quelle volte che ti ho fatto pensare di essere troppo debole o troppo fastidiosa. Mi dispiace di comportarmi come un idiota qualunque quando mi rendo conto che a volte tu sei troppo perfetta per stare qui. E non intendo solo qui con me." prendo una pausa solo per cercare le parole giuste. "Elizabeth, tu sei più coraggiosa di qualsiasi Intrepido che abbia mai conosciuto, sei più altruista di un Abnegante, più generosa di un Pacifico, più sincera di un Candido." la guardo come se potessi comunicarle ciò che voglio dire con la forza del pensiero. "E sei più intelligente di uno stupidissimo Erudito. So di cosa parlo, io sono ancora un Erudito, nella mia testa, eppure non potrei arrivare neanche lontanamente ai livelli di comprensione e intuizione che hai sviluppato tu. E tu... Dio... E tu sei così piena di qualità che ho paura che un giorno ti possa rendere conto che non sono così sicuro come voglio sembrare."

La sua reazione non era quella che mi ero immaginato.
Elizabeth mi guarda nello stesso modo in cui si guarda un preziosissimo fiore appassire. Si volta con tutto il corpo, schiacciando il suo addome contro il mio, come per assicurarsi di essere vicina a me, o come per darmi la forza necessaria per affrontare le sue parole. Mi prende il viso fra le sue piccole mani pallide, dalle dita affusolate e introrpidite dal freddo.
Ricambio il suo sguardo, come se fossi il colpevole di quella sua reazione tanto sorpresa. Le luci nei suoi occhi sembrano spegnersi.
"Tu non sei meno perfetto, ai miei occhi. Non è colpa tua se gli altri ti vedono come il Capofazione senza cuore della Residenza. La colpa è la loro, Eric, perchè non sembrano in grado di capire che in fondo non sei poi così diverso da tutti i ragazzi della tua età." il suo sembra più un rimprovero, più che un tentativo di rassicurarmi.
Vorrei dirle talmente tante cose, farle talmente tante domande, che la mia mente si blocca, incapace di formulare una frase di senso compiuto.
"Ti fidi di me?" le chiedo alla fine, ancorandomi ai suoi fianchi morbidi come se fossero l'unica cosa in grado di tenermi con i piedi per terra.

Elizabeth annuisce ed io non aspetto neanche un secondo prima di chinarmi e baciarla con più passione delle altre volte, un bacio disperato che sa di libertà e mi fa sentire invicibile. La tiro verso di me e lei allaccia le sue mani dietro la mia nuca, accarezzandomi i capelli corti con delicatezza, come se potesse farmi del male con il semplice tocco delle sue dita.
Interrompo il nostro bacio umido e disperato per sollevarla da terra e farla sedere sul cornicione. Elizabeth sussulta e spalanca i suoi occhi felini, ingabbiandomi in uno sguardo terrorizzato e confuso. Affonda le unghie nel tessuto della mia felpa, ed io mi avvicino per baciarla di nuovo. Posso sentire il suo cuore battere all'impazzata contro il mio petto che pian piano si calma, mentre lei riacquista il controllo e ricambia il bacio tirandomi a sè.
Restiamo così per parecchi minuti, Elizabeth seduta sul cornicione dell'Hancock, ed io davanti a lei, intrappolato dalle sue gambe incrociate dietro la mia vita. Parliamo e ci baciamo finchè non siamo stanchi morti e decidiamo di tornare alla Residenza.
Sapere che domani dovrò tornare ad essere di nuovo Eric lo spietato e fingere che Elizabeth non sia la mia ragazza -ma, al contrario, che ci odiamo a morte- mi fa venir voglia di non tornare mai più, di scappare lontano, magari anche oltre la Recinzione.

Però poi la guardo, e mi lascio riempire dalla gioia che i suoi occhi luminosi trapelano. Per Elizabeth posso fingere di essere così, spietato e con un cuore di pietra. Per Elizabeth potrei fare di tutto, che sia lasciare la Residenza per incontrarla all'Hancock oppure rischiare tutto e farla entrare nel mio appartamento di notte.
Per ora, la sua felicità è tutto ciò che conta, non mi importa neanche che Eziekiel Pedrad abbia scoperto della nostra relazione. Se e quando Elizabeth si sentirà pronta a rivelare a tutti ciò che siamo io e lei, io non potrò fare altro che sostenerla e proteggerla da qualsiasi critica che potrebbe raggiungerla.
Mi immagino già la nostra nuova vita fra gli Intrepidi, come le potrò accarezzare i capelli in pubblico, a come potrò finalmente evitare di fingermi irritato dalla sua presenza.
Sembra una prospettiva così inimmaginabile che l'unica cosa che riesco a fare è stringere a me l'esile corpo di Elizabeth, mentre la sua debole risata rieccheggia nell'aria fredda della notte. 
   
 
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