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Autore: CassidyKeynes    11/04/2017    0 recensioni
[Skandar Keynes]
roba datata 2009
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Due giorni, erano passati due giorni dalla mia litigata con Skandar.

Quel giorno, uscita da casa sua avevo trovato John ad aspettarmi fuori, in macchina. Ero salita velocemente e gli avevo chiesto di riportarmi a casa. Lui aveva acceso il motore senza dire una parola, ma dopo pochi minuti aveva chiesto:

-Come mai quell’aria infuriata?

Non sapevo cosa dirgli, più che altro non sapevo fino a che punto potevo parlargli di ciò che era accaduto, ma avevo un disperato bisogno di sfogarmi con qualcuno, così gli raccontai dello spot pubblicitario, di come Skandar aveva reagito vedendolo e della litigata.

Parlare con John mi aveva fatto sentire meglio.

-Forse, se quel ragazzo non ti capisce, vuol dire che non fa per te- mi aveva detto poi, spegnendo il motore dell’auto ormai parcheggiata nel box di casa mia.

-Non lo so, John, non lo so…

John mi aveva poi portato dentro e mi aveva fatto sedere sul divano. Era strano non trovarci mio padre, ma John mi aveva assicurato che era uscito con alcuni vecchi amici. Non sapevo nemmeno che mio padre avesse degli amici, d’altronde era sempre in soggiorno a guardare la tv, oppure stava leggendo un libro.

John mi portò un the alla menta piperita, il mio preferito.

-Bere qualcosa di caldo aiuta parecchio in giornate come questa- aveva detto con un sorriso.

In questi due giorni mi aveva aiutato molto. Era proprio un bravo amico. Sì, potevo definirlo mio amico ormai.

Non sapevo se essere più triste o arrabbiata. Il fatto di aver litigato con Skandar mi rendeva tremendamente triste, mi sentivo depressa, avevo il morale sotto le scarpe, ma allo stesso tempo ero arrabbiata con lui perché non mi capiva! Avevo fatto quello spot perché praticamente obbligata, quello era il mio lavoro, rifiutandomi di girare quello spot oltretutto sarei sembrata una ragazzina viziata. Skandar non capiva che ciò che avevo dovuto fare era stato solo per lavoro. Oltretutto, anche lui era parte del mondo dello spettacolo. Lui era un attore e a maggior ragione avrebbe dovuto girare scene in cui avrebbe dovuto baciare una ragazza! In quel caso cosa dovrei fare io? Arrabbiarmi con lui e accusarlo di non essermi fedele? No, che assurdità. John mi aveva detto che se non mi credeva, probabilmente era perché non aveva fiducia in me. Io avevo fiducia in lui e se lui non ne aveva in me, non aveva senso continuare la nostra storia.

Portai le gambe al petto e poggiai la testa sul freddo vetro della finestra. Ero seduta sull’ampio davanzale e fissavo fuori dalla finestra quel dannato cartellone. Era successo tutto per colpa di quella pubblicità, per colpa di mia madre che aveva accettato quell’incarico. Ovviamente non stavo dando tutta la colpa a lei, ma era anche colpa sua, seppur in minima parte. L’idea che mi avesse fatto fare apposta quella precisa pubblicità sfrecciò nella mia mente più veloce di una freccia scoccata da un’abile arciere. Cercai di cancellarla immediatamente, d’altronde lei non sapeva del sentimento che ci legava, non lo poteva sapere.

Scesi dal davanzale, infilai ai piedi le pantofole azzurre e andai a fare un giro per la casa. Abitavo in quella casa a ormai tre anni e ancora non la conoscevo del tutto. C’erano volte in cui mi perdevo. Mi chiedevo che senso avesse comprare una casa tanto grande per tre persone. Bastava una casa normale, come quella in cui vivevamo prima. La mia precedente dimora era piccola e graziosa. Aveva tre camere da letto, una cucina, un bagno, un soggiorno, una soffitta e un piccolo giardino dietro, che confinava con quello dei nostri vicini. Io ci stavo bene in quella casa, mi ci ero affezionata. Cambiare quella casa per questa non aveva avuto assolutamente alcun senso. Per di più, molte stanze erano completamente vuote! Il quarto piano ad esempio era del tutto vuoto, eccetto per la terza porta sulla destra, la mia personale ed unica stanza della musica. Non c’era nient’altro in quel piano, eccetto un bagno in fondo al corridoio. Al terzo piano c’era la mia stanza, era la seconda porta sulla destra. Alla prima porta c’era il mio guardaroba. Più che un guardaroba era un negozio di vestiti in una stanza. Credeteci o no in quella stanza avevo due camerini e manichini sparsi ovunque. Ci mancava solo la commessa e non c’era da sorprendersi sul fatto che mia madre mi avesse proposto di assumere una ragazza perché mi aiutasse nella scelta dei vestiti.

Alla terza porta c’era il mio bagno (raggiungibile anche dall’interno della mia stanza). Alla quarta c’era una stanza per gli ospiti e alla quinta un bagno.

Al secondo piano c’era la camera dei miei genitori, l’armadio di mia madre, un bagno, lo studio di mia madre e lo studio di mio padre, anche se mio padre non so cosa ci facesse lì dentro, visto che di lavoro faceva… lo scansafatiche!

Al primo piano c’erano la cucina, la sala da pranzo, il salotto e un’enorme bagno.

Beh, la mia casa era decisamente troppo grande! Non che non fossi felice di abitare lì, anzi, ero grata a tutti perché avevo la possibilità di vivere in quella casa stupenda, ma per me era troppo, io ero più essenziale, mi accontentavo di una casa con tre camere, un bagno, una cucina e un salotto.

Ero arrivata al secondo piano, stavo aprendo tutte le porte, esplorando ogni camera. Entrai nella camera dei miei genitori. Era una camera grande e luminosa, con un letto matrimoniale a baldacchino. Mi avvicinai al comodino di mia madre. Sopra c’era solo una foto messa in un’elegante porta ritratto. Nella foto c’eravamo io, mia madre e mio padre al lago. Era una foto di quando ero piccola, avrò avuto dieci anni o giù di lì.

Il comodino di mio padre era un vero disastro. C’erano riviste, libri, fazzoletti, carte di caramelle. Non voleva che nessuno lo toccasse, diceva sempre che lo avrebbe messo apposto lui, ma non lo faceva mai. Sospirai, presi un paio di riviste e le raggruppai un po’ più ordinatamente sul comodino. Notai un libro dalla copertina in velluto rossa. Le copertine così mi attraevano sempre. Aprì la copertina rigida e ci trovai dentro una foto. Raffigurava una ragazza sorridente con un cappellino di paglia in testa e un vestito bianco. Aveva capelli lunghi, mossi e scuri e occhi color nocciola. Quella ragazza era la mia copia, anzi, forse ero proprio io, ma non ricordavo affatto di aver mai scattato una foto così, tantomeno ricordavo d’aver mai indossato un cappellino di paglia.

Presi la foto, richiusi il libro ed uscii dalla stanza. Infilai la foto nella tasca dei pantaloni, cercando di non stropicciarla. Salii le scale recandomi in camera mia. Lì avrei potuto osservare quella foto con calma e decretare se ero sul serio io, una foto di cui non ricordavo, o se era un fotomontaggio (anche se era strano che mio padre tenesse una foto truccata dentro ad un libro) o se era solo una donna che mi somigliava molto. E se non ero io chi era? E perché mio padre ne aveva una foto?

Davanti alla porta della mia camera trovai John con una tazza fumante in mano. Gli sorrisi.

-Pensavo ti facesse piacere prendere un po’ di the- disse semplicemente

-Grazie, mi serviva proprio- dissi aprendo la porta della mia camera, facendogli segno di entrare. Gli presi la tazza dalle mani e mi sedetti sul bordo del letto. John non fece mai un passo oltre la soglia.

-Guarda che puoi entrare, non ti mordo!- dissi divertita.

Lui fece un timido sorriso, per poi entrare e chiudersi la porta alle spalle.

Battei la mano sul letto, accanto a me, facendogli segno di sedersi. In fondo una chiacchierata non avrebbe fatto male a nessuno. Pensandoci bene, non sapevo nulla di John e lui sapeva tutto di me.

Si sedette al mio fianco. Non era a disagio e la cosa mi rincuorava.

-Allora…- cominciai –tu sai tante cose di me, ma io so poco o niente di te…

-Cosa vuoi sapere?- chiese

-In generale…- risposi alzando le spalle

-Mi chiamo John Williams, ho ventidue anni, faccio il maggiordomo in casa Kingston, ma sono il maggiordomo personale di Lucila. Gioco a calcio e a golf, adoro gli animali e il mare.

-Cos’altro ti piace?- chiesi curiosa. Chissà, magari anche lui aveva una passione per la musica.

Poggiai la tazza di the, ormai agli sgoccioli, sul comodino affianco al letto e aspettai una risposta.

Lui si avvicinò a me. Avevo il suo viso a pochi centimetri di distanza e mi trovavo abbastanza in imbarazzo. Solo in quel momento notai che i suoi occhi erano verdi con screziature grigie. Non ci avevo mai fatto caso.

-Ancora non lo sai?- chiese con voce profonda

Cercai di allontanarmi un po’ da lui, ma più mi allontanavo e più lui si avvicinava. Ormai le sue ciglia sfioravano le mie. Se si fosse avvicinato ancora, le sue labbra si sarebbero posate sulle mie e sinceramente non volevo che accadesse. Sì, John era bello, biondo, con gli occhi verdi screziati di grigio. Insomma, era un bel ragazzo, ma non era il mio ragazzo. Era Skandar il mio ragazzo e, anche se in quel momento ero in collera con lui, non potevo, non dovevo, baciare nessun’altro che lui. Eccetto che per lavoro, caso in cui ero obbligata per copione a baciare qualcun altro.

-John…- sussurrai –sei troppo vicino- dissi cercando di allontanarlo, senza risultati

-Non abbastanza- sussurrò lui.

Un secondo dopo le sue labbra erano incollate sulle mie. Cercai di divincolarmi, ma teneva le mani ben salde sui miei polsi. Mi sospinse sul letto. Lottai per liberarmi, ma la sua prese era ferrea, non riuscivo a muovermi. Teneva i miei polsi stretti con una sola mano. L’altra mano passò sotto la mia maglietta. Mi dimenai e riuscì a staccarmi da quel bacio.

-Lasciami, smettila!-gli urlai –Aiuto!- urlai più forte, nel disperato tentativo di riuscire a farmi sentire da qualche maggiordomo.

Mi tappò la bocca con un altro bacio. Una lacrima scese sul mio viso. Non osai immaginare cos’altro avrebbe fatto prima che qualcuno fosse venuto nella mia stanza.

Sentì il rumore di una porta sbattuta e un attimo dopo avevo i polsi liberi e le mie labbra anche. Mi alzai di scatto.

John a terra che si massaggiava la mandibola e dietro di lui… Skandar!!

-Non osare toccarla con le tue luride mani- sibilò massaggiandosi il polso

-Chi diavolo sei ragazzino, per dirmi cosa devo o non devo fare?- disse John alzandosi.

-Sono il suo ragazzo- disse indicandomi con un movimento del capo –e ti dico che se non te ne vai subito sei morto

Vidi John preparare i pugni, pronto a scagliarsi su Skandar.

-John, vattene subito da questa casa o chiamo la polizia- dissi in tono di minaccia

John grugnì qualcosa, per poi uscire sbattendo la porta della mia camera.

Guardai Skandar con gli occhi velati di lacrime, per poi buttargli le braccia al collo. Mi staccai leggermente da lui e gli presi il viso tra le mani, mentre altre lacrime scendevano dai miei occhi. Poggiai la mia fronte sulla sua, felice di vederlo, grata perché mi aveva “salvata”.

-Grazie…- sussurrai.

Lui sorrise e mi asciugò le lacrime con le dita. Mi abbracciò ed io mi abbandonai tra le sue braccia come una bambina.

-Mi dispiace di essere stato testardo, avevi ragione tu- mi disse, staccandosi da quell’abbraccio e guardandomi negli occhi. I suoi bei occhi scuri erano tornati splendenti come prima e questo mi rendeva felice.

-Puoi perdonarmi?- chiese

-Come potrei non perdonarti?- dissi asciugandomi l’ultima lacrima che era sfuggita al mio controllo.

Le sue labbra erano così vicine alle mie, i suoi occhi avevano un’espressione così dolce e la voglia di baciarlo era troppo forte. Come potevo resistergli? In un istante le nostre labbra erano incollate, impegnate in un lungo e profondo bacio. Tutto il mondo sembrò esplodere e scomparire dietro di noi. Probabilmente era solo la mia immaginazione, ma mi sembrava di volare. Dimenticai John, la foto di quella donna così simile a me, dimenticai mia madre ed il fatto che potesse tornare a casa da un momento all’altro.

Continuammo a baciarci, quei baci che mi accendevano uno strano fuoco dentro, un fuoco che non riuscivo a spegnere e che non volevo spegnere. Inarcai il collo, mentre le labbra morbide di Skandar cominciavano a baciarlo lentamente e con dolcezza. Gemetti, cercando di trattenermi dal saltargli praticamente addosso. Il suo profumo era talmente intenso da farmi venire il capogiro.

Il bussare alla porta spezzò la magica atmosfera che si era creata. Sbiancai, mi staccai velocemente da Skandar e lo trascinai dentro l’armadio.

-Stai qui- gli sussurrai per poi chiudere l’armadio ed andare ad aprire.

Mi ritrovai di fronte al viso infuriato di mia madre.

-Come mai ho visto John fuori dai cancelli? Che gli hai detto?

-Eh? No, nulla, gli ho detto che se aveva voglia poteva fare una pausa perché tanto io non avevo bisogno di nulla. Magari era andato a fare un giro ed era appena tornato!- dissi, cercando di essere il più convincente possibile.

Probabilmente la mia scusa funzionò, perché il volto di mia mare si rilassò.

Sospirò. –Come va con la canzone?

-Quale canzone?

-Quella per il film, tesoro mio, quale sennò?

-Ah, quella, si, procede bene, non manca molto, tranquilla

-Bene, perché domani è sabato ed hai un servizio fotografico e un’intervista. Per le otto devi essere più che pronta.

-Certo mamma.

-Tra un po’ si mangia, ha detto Paul che il pollo gli è venuto buonissimo. Speriamo che sia così.- disse per poi voltarsi per tornare al piano di sotto.

Chiusi la porta alle mie spalle e andai dritta all’armadio.

-Accidenti, qua dentro c’è un mondo!- esclamò Skandar indicando “l’armadio” alle sue spalle. –Altro che Narnia…- disse voltandosi nuovamente verso l’armadio.

Ridacchiai, divertita. In effetti aveva proprio ragione.

-Grazie ancora per avermi salvata dalle grinfie di John… Chi ti ha fatto entrare?

-Uno dei tanti maggiordomi. Ma in quanti siete qua dentro?

-Mia madre, mio padre, io e circa dieci o quindici maggiordomi, cameriere, cuochi ecc- dissi spiegando velocemente. –Ma tu te ne devi andare subito, perché la mia cara mamma è tornata dal lavoro e se ti vede qui siamo entrambi morti.- dissi spingendolo verso la porta.

-Se ho ragione e mia madre è andata nel suo studio, hai tutto il tempo del mondo per uscire, ma se è andata nel suo armadio hai meno di dieci minuti. Si cambia in fretta.

Uscii dalla stanza. Guardai a destra e poi a sinistra. Bene, non c’era nessuno nei paraggi. Feci un gesto a Skandar perché mi seguisse. Mi sentivo un po’ un’agente segreto. Controllai l’ascensore. Libero. Ma era comunque meglio prendere le scale, mia madre prendeva sempre l’ascensore ed era più difficile trovarla per le scale. Scendemmo silenziosamente ma in fretta. Arrivati al primo piano controllai la cucina. Di mia madre non c’era traccia. Controllai il salotto. Nemmeno lì. Feci segno a Skandar di correre fuori prima che qualcuno lo vedesse. Prima di lasciarlo andare lo attirai a me per un ultimo, veloce ma intenso, bacio. Lo spinsi poi verso l’uscita.

Andai alla finestra e da lì lo guardai andare via, ritornare a casa.

  
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