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Autore: Black Swallowtail    11/04/2017    0 recensioni
Nelle profondità dei Labirinti Phtumeriani, attraverso lunghe, intricate gallerie oscure ed abbandonate, si nasconde quel che resta di un dono di creature irraggiungibili dall'uomo. Attraversando questa antica tomba, un gruppo di scolari di Byrgenwerth scopre ciò che metterà in moto gli eventi che cambieranno il mondo — il Sangue Antico.
I giovani studiosi, con in mano la chiave di volta per trascendere l'umanità, daranno il via ad una catena di eventi che li porterà a lacerare il velo che divide umanità da bestialità, che aprirà i loro Occhi su quel che risiede sopra di loro.
Anni prima degli eventi di Bloodborne, si snoda la storia di Gehrman, Maria, Laurence, Micolash, Caryll e Willem — gli Scolari del Sangue Antico.
"Se solo avessimo saputo a cosa stavamo andando incontro, forse ci saremmo fermati.
O forse, come falene attirate da una fiamma, avremmo seguito fino all'ultimo il pallido fantasma di una sapienza cosmica, trascendentale.
Forse, eravamo destinati a bruciare fin dal principio. "
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gehrman, Lady Maria, Laurence, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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VI —What we left untold.”

 

Byrgenwerth era così silenziosa, nel cuore della notte, senza nemmeno una luce ad illuminarne pallidamente le stanze, da apparire come un antico reliquiario abbandonato a se stesso, lasciato a marcire. Si specchiava sul grande lago che si estende a perdita d'occhio, fino a sfiorare l'orizzonte tenuemente rischiarato dal riflesso lunare, in quella sera così limpida e tranquilla, priva della tempesta che aveva fatto scoccare in me una scintilla di terrore.

Mastro Willem ci aveva atteso pazientemente sul balcone, sospirando il nostro ritorno insieme a Micolash e Laurence, decisamente più trepidanti di lui, a malapena incapaci di trattenere la loro eccitazione. È stato proprio Micolash che ci ha accolto alle porte della biblioteca, con gli occhi sbarrati, nell'osservare il corpo in posizione fetale che trasportavamo avvolto nel mantello di Gehrman, e di cui si intravedeva a malapena la sagoma umanoide attraverso il tessuto. Non riuscì nemmeno a balbettare le parole necessarie a chiedere una qualche spiegazione, allungò semplicemente una mano a sfiorare il cadavere esanime, quel feto privato della vita che riposava tra le braccia del Maestro. Laurence, alle sue spalle, si passò una mano sul viso, incredulo, di fronte a quell'essere di cui intravedeva a malapena i lineamenti, le braccia contorte, il corpo gracile, tremolante. L'Orfano della Madre Kos era giunto a Byrgenwerth, tra le nostre braccia.

Quella notte, avrebbe segnato la discesa nel morboso, ripugnante inferno che avremmo costruito e sorretto nel nome della Verità Ultraterrena, dello scopo ultimo che ci eravamo dati. Sentivo già un peso sulle mie spalle, invisibile, ma che lacerava il mio petto – il peso dell'orribile massacro che avevamo compiuto.

Ho abbandonato la mia arma. Ho gettato via la Rakuyo. La sua vista mi disgustava troppo, mi ricordava, in modo fin troppo ripugnante, tutto il sangue versato, le vicende di quella notte che hanno portato alla nostra definitiva caduta.

Perfino ora, che ripercorro con la memoria quei momenti, qualcosa in me sia gita, un istinto che non riesco del tutto a reprimere, un senso divorante di pentimento per ciò che abbiamo compiuto. Se solo lo avessi ascoltato prima, se solo avessi compreso appieno quel che stavamo facendo, forse ora sarebbe tutto diverso.

Portammo il corpo a Mastro Willem e a Caryll, che attendevano sul balcone, senza una parola, in religioso silenzio. Sono sicura che Caryll avesse già capito tutto, in un certo senso, che già sapesse della maledizione e del deicidio che avevamo compiuto; se poteva udire i sussurri degli Antichi, allora sicuramente aveva sentito l'ultimo, lacerante grido dell'Orfano di Kos, mentre lo estirpavamo dal ventre della madre, spegnendo quella scintilla di vita che era germogliata in lui per un solo istante.

Quella fu la notte che segnò la definitiva frattura tra di noi. Le nostre ideologie erano troppo diverse e tra Laurence e Willem si stava creando un abisso che non poteva più essere colmato; non c'era modo, dopotutto, di conciliare due visioni estremamente diverse come le nostre. Eravamo sicuri che fosse il Sangue la via verso l'evoluzione, non quegli occhi che Mastro Willem continuava a predicare.

Laurence, Micolash e Willem sezionarono il corpo dell'Orfano. Ad oggi, non so cosa abbiano compreso, cosa abbiano trovato al suo interno, se non quello strano, ripugnante Cordone Ombelicale nero e contorto, secco, ma che in qualche modo, ancora pulsava di una conoscenza ancestrale, che fece contorcere le nostre menti al tocco.

L'alba non era ancora sorta, quando ci radunammo attorno alla grande tavola in cui avevamo tenuto le nostre discussioni, in passato, e dove scoppiò l'ultima, feroce lite, che segnò il punto di non ritorno, lo scisma che ci avrebbe condotto lontano, a dire addio a Byrgenwerth, al lago, a quel luogo che era stato casa nostra così a lungo.

“L'umanità ha bisogno del Sangue Antico, di quello dei Grandi Esseri per riuscire a progredire!” la voce di Laurence era intrisa di collera, mentre batteva il pugno sul legno levigato, facendo tremare il tavolo e producendo un sordo tonfo, soffocato dalle sue parole irose, “Il Sangue ci ha portato ai Grandi Esseri!”

“Hai visto i suoi effetti, Laurence...” il tono di Willem era, al contrario, abbastana placido da innervosire ancora di più il suo interlocutore, “Hai visto come distrugge la mente ed il corpo. Non è ciò di cui abbiamo bisogno.”

“L'evoluzione senza sacrificio non porterà da nessuna parte. Lo hai detto tu stesso!”

Ignorando la risposta brusca del suo allievo, spostò lo sguardo su di noi, su di me, su Micolash, su Gehrman, e strinse le labbra, come se avesse solo in quel momento capito come stavano davvero le cose. “Voi la pensate come lui, non è così?”

Non ricordo cosa risposero gli altri, ma io, seppur il germoglio del dubbio stesse affondando le radici dentro il mio petto, annuii. In qualche modo, ero ancora convinta di potermi redimere, se solo avessi conseguito la Verità Ultraterrena. Ero convinta che avrebbe cancellato tutte le mie colpe, purgato le mie mani del sangue che le lordavano.

Ero un'illusa che cercava disperatamente assoluzione.

“Capisco. È così, quindi—” mugugnò tra sé Willem, carezzando distrattamente l'asta del suo lungo scettro, il simbolo della sua supremazia, della sua conoscenza, “E non c'è modo di giungere ad un compromesso.”

“Lo abbiamo fatto fin troppe volte. Ora basta, Maestro.” Laurence abbassò il capo, in segno di rispetto. Dopotutto, per quanto le nostre idee divergessero, per quanto il solco spalancatosi fosse un baratro insormontabile, in noi era ancora viva la stima per la conoscenza che egli aveva diligentemente raccolto e donato a tutti noi. Nonostante tutto, sarebbe rimasto sempre il nostro maestro.

Quella fu l'ultima volta in cui vidi Mastro Willem e Caryll. E furono proprio le parole della maestra delle rune a lasciarmi un brivido gelido sulla schiena, che rimase a tormentarmi per molto tempo, un memento sinistro, che accompagna, anche ora, la maledizione di Kos.

“Siete nell'occhio del ciclone. Ne verrete distrutti.”

Fece una pausa.

“Finiremo tutti in cenere.”

Il giorno seguente, eravamo pronti a partire. Laurence aveva già preparato tutto nei minimi dettagli, pronto alla scissione che ormai gravava su di noi come una minaccia costante. Lo attendevamo fuori dalle porte di Byrgenwerth, prima ancora che le luci dell'alba si innalzassero a tingere il Lago delle milioni di sfumature di blu che ricordo ancora a memoria.

Come suo primo e migliore allievo, aveva sentito il bisogno di andare a porgergli un ultimo saluto. Un saluto che ebbe un segno profondo, su di lui. Era pallido, quando si chiuse alle spalle il grande portone della scuola. Ma non si voltò nemmeno un istante. Lo sentimmo solo sussurrare, in poco più di un respiro, che non avrebbe dimenticato. Che non avrebbe mai cancellato dalla sua mente quell'avvertimento. Senza bisogno di chiedere, sapevamo già tutti di cosa stesse parlando.

“Siamo nati dal sangue, resi uomini dal sangue, disfatti dal sangue. I nostri Occhi devono ancora aprirsi… Temi il Sangue Antico.”

Lo ripeté un'ultima volta e noi, in religioso rispetto, gli facemmo eco. Quello era il più grande, il più prezioso insegnamento che ci aveva lasciato il nostro maestro, prima che lo abbandonassimo.

Se solo lo avessimo seguito...

E così, abbandonammo per sempre quella che era stata la nostra casa e ci dirigemmo verso la città che si erge, imponente, al di là dei boschi.

Yharnam ci attendeva. Ma nessuno di noi ne era felice.

Tutti avevamo lasciato qualcosa di nostro, a Byrgenwerth.

E, in fondo, sapevamo bene che, come aveva detto Caryll...

Saremmo finiti tutti in cenere.

Qualunque sia il marchio che bruci la nostra anima, scorra nel nostro sangue, ci ha portato alla rovina che avevamo solo intravisto. Accecati dalla grandezza della nostra scoperta, così vicini al reame delle creature divine che risiedono nei piani astrali, che scivolano nei nostri sogni e si nutrono dei nostri incubi, non avevamo nemmeno pensato, nemmeno per un secondo, al peccato che stavamo commettendo.

Uccidere un dio, il più grande crimine che l'uomo possa arrogarsi. Profanare il cadavere di un Grande Essere abbandonato, scavarne nella carne molle e putrescente, per violentarlo ancora, strappando quel bambino cresciuto nel suo ventre. Soffocandone, in ultimo, i suoi respiri, ancora prima che potesse capire di essere nato.

Solo dopo, abbiamo capito che ogni Grande Essere perde il suo bambino e che cerca disperatamente un suo surrogato. Solo dopo, abbiamo compreso appieno di aver infranto un ciclo che trascende la natura, qualcosa di cosmico ed insondabile per noi che siamo sul piano più basso. Solo dopo, quando abbiamo gettato una maledizione orribile su noi stessi, sul mondo stesso, abbiamo vagamente compreso quale follia ci abbia mosso fin dal principio.

Studiamo la storia per comprendere gli errori di chi ci ha preceduto. Le città pthumeriane cadute, le catacombe vuote, abbandonate, tutte quelle rovine lasciate a marcire distanti dall'occhio umano, avrebbero dovuto farci capire verso quali lidi ci stavamo dirigendo. In realtà, credo che tutti, dentro di noi, nella nostra coscienza più profonda, che non comprendiamo del tutto ma che è nostro istinto primordiale, sapevamo cosa stava per accaderci. Ma abbiamo represso ogni rimorso, ogni dubbio, nel nome della Verità Ultraterrena, perché convinti di aver intravisto, per un singolo istante, un modo per trascendere la nostra puerile umanità.

—Eravamo così convinti di poter progredire abbeverandoci di sangue mostruoso, da non farci alcuno scrupolo. Uccidere, ingannare, profanare e tradire; sperimentare, massacrare, violare, ogni cosa ha avuto la sua giustificazione. Ma nessuno di noi ha mai avuto il coraggio di ammetterlo, nemmeno per un secondo. Siamo rimasti silenziosi e abbiamo lasciato la cosa più importante non detta.

In fondo, sono sicura che tutti sentivamo che stessimo commettendo un grosso errore.

Il peso della mia colpa mi stava schiacciando.

Mi guardavo allo specchio e mi chiedevo—Ero davvero io Maria? Quel viso pallido, dagli occhi così chiari da sembrare vuoti, costantemente animati da un'ombra di malinconia e dubbio, erano ancora i miei?

Ero ancora un essere umano, o ero un mostro?

“Siano maledetti i mostri, ed i loro figli, ed i figli dei loro figli… Per sempre.”

Quella maledizione risuona ancora nelle mie orecchie, quando lascio che i miei pensieri seguano il loro corso, privi di alcun controllo. Quando siedo nella Torre dell'Orologio, ad osservare la città sotto di me, al tramonto del sole rossastro che, esausto, lascia il posto alla luna; quando cammino per i grandi corridoi, per le scale, per le stanze del Centro Ricerche e loro gridano il mio nome, mi implorano, mi chiedono scusa; quando sono sdraiata nel mio letto, lo sguardo vitreo e l'oscurità che nasconde il mondo intorno, nella vana speranza di darmi sollievo.

Ogni volta, qualcosa in me freme. Ogni volta, ricordo il massacro che abbiamo compiuto, le loro grida disperate, le loro preghiere. Ogni volta, i volti sfigurati dei pazienti che si dimenano e supplicano il mio perdono, suonano come una canzone ripugnante, che racconta tutti i miei peccati.

Non sono più sicura di ciò che stiamo facendo, non lo sono da molto tempo. La fede assoluta che ho avuto nella nostra causa per così tanto tempo, si sta lentamente spegnendo, divenendo sempre più pallida, più flebile.

Senza la Rakuyo tra le mie mani, ho smesso di cacciare le belve ripugnanti che noi stessi abbiamo creato. Gehrman continua a muoversi nell'ombra, ad eliminare le prove, per tenere buona la popolazione di Yharnam, in modo che la nostra Chiesa della Cura non debba rispondere dei suoi crimini. Laurence è terribilmente determinato a continuare, nonostante tutto. Non gli interessa quale sia il prezzo da pagare, perché è convinto che il risultato sarà il bene di tutti, che basterà a ripulirlo dalle disgustose azioni di cui si sta macchiando, direttamente ed indirettamente.

I nostri esperimenti sono solo orribili torture, innominabili e ripugnanti abbastanza da renderci più mostri di quelli che creiamo. Noi agiamo consapevolmente, non corrotti da nulla, se non dalla nostra stessa ambizione. Ma la mia determinazione vacilla.

Ho paura che sia troppo tardi. Ho paura di non poter più tornare indietro.

Siano maledetti i mostri...

Noi siamo i mostri, vero?

—Cosa abbiamo fatto?

Ci sono molte cose che non abbiamo mai detto.

Ci sono molte cose che io non ho mai detto, nemmeno in questo mio estremo momento.

Ci sono segreti che vanno lasciati dormire, lontani dal resto del mondo. Se solo lo avessi capito prima...

L'orologio della Torre Astrale batte un ultimo rintocco.

Mi siedo, le gambe accavallate, lo sguardo vitreo che scorre su Yharnam, sotto di me. Mi sembra quasi di poter vedere Byrgenwerth, in lontananza.

Abbiamo commesso tanti peccati inconfessabili.

Per questo, ho capito che non c'è dubbio. Il nostro destino era segnato. Questa è la punizione per quelli come noi, che hanno voluto giocare con gli dei.

Aveva ragione Caryll.

 

Eravamo destinati a bruciare fin dal principio.

 

Scholars of the Old Blood — End.

 

   
 
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