Capitolo 11: I’ll always be here until the end
I’ve seen kingdoms
through ages
Rise and fall I’ve seen it
all
I’ve seen the horror
I’ve seen the wonders
Happening just in front of my eyes.
All our stories and all our glory I held so dear
We won’t be together for ever and ever no more tears
I’ll always be here
until the end…
(“Jillian (I’d give my heart)” – Within Temptation)
La
notte di orrori e torture psicologiche trascorsa nella spaventosa Sala da
pranzo di Re Ferrante lasciò subito il segno sullo sventurato Principe Alfonso.
La mattina seguente, il giovane si svegliò con un forte mal di testa, vertigini
e grandi brividi di freddo che lo scuotevano violentemente.
Alfonso
si sforzò di alzarsi comunque, preso dal terrore che Re Carlo potesse pretendere
la sua presenza fin dal mattino; tuttavia, non appena cercò di alzarsi dal
letto, le gambe gli cedettero e ricadde giù.
“Principe!”
esclamò il Generale, preoccupato. “Ti senti male? Cos’hai?”
Alfonso
tentò di schermirsi, di dire che andava tutto bene, ma si sentiva veramente
troppo male e poté solo scuotere il capo con un sospiro. Il Generale lo prese
tra le braccia per deporlo nuovamente sul letto e lo sentì scottare per la
febbre.
“Principe,
ma tu hai la febbre alta” disse, turbato. “Non devi alzarti, rimani a letto e
riposa, io mando a chiamare il dottore affinché ti visiti.”
“No,
no…” protestò debolmente Alfonso, “Sua Maestà… si infurierà con me…”
Il
Generale lo rimise sotto le coperte e lo abbracciò forte.
“Con
Sua Maestà parlerò io” lo rassicurò, “tu devi solo pensare a stare meglio.
Calmati, ti fa male agitarti così.”
“Tanto
muoio lo stesso…” mormorò il ragazzo.
“Ma
che cosa dici?” replicò il Generale, sorpreso. “Non morirai affatto, ti
riposerai e ti sentirai meglio.”
“No…
adesso tocca a me… la febbre napoletana, me la sono meritata…”
“Non
è quello, non dirlo nemmeno per scherzo!” lo interruppe il comandante francese,
molto preoccupato. “Faccio subito chiamare il dottore e lui ti tranquillizzerà.
Adesso chiudi gli occhi, piccolo Principe, e cerca di dormire.”
Alfonso
si raggomitolò sotto le coperte, cercando di controllare i brividi che lo
tormentavano, ma il freddo che gli si era insinuato dentro era più potente e
gli arrivava fin dentro le ossa. Si sentiva dolere tutte le parti del corpo,
come se qualcuno lo avesse torturato di nuovo con cattiveria, la testa gli
girava e in certi momenti non riusciva nemmeno più a capire se fosse davvero
nella sua stanza, nel tepore del letto, o se invece fosse stato trascinato di
nuovo nelle segrete e appeso a due pali in croce per essere straziato nei modi
più osceni. Il cuore gli batteva impetuoso e se lo sentiva pulsare
dolorosamente nelle tempie, anche la luce della stanza lo tormentava.
Nel
frattempo, il Generale aveva spedito un armigero a chiamare il dottore in tutta
fretta. Nonostante non volesse ammetterlo, anche lui era molto in pena per il
giovane Principe e temeva che veramente potesse trattarsi di quella maledetta
pestilenza. Era vero che ormai da qualche settimana non se ne sentiva più
parlare nemmeno nei bassifondi di Napoli, tuttavia Alfonso era tanto fragile e
delicato che poteva anche esserne caduto preda.
Sua Maestà direbbe
che se lo è meritato, ma… no, no, non voglio nemmeno pensarlo! Alfonso non ha
la febbre napoletana, è soltanto la reazione alla paura che ha provato ieri
sera, prigioniero nella Sala da pranzo di suo padre e interrogato dal sovrano.
Forse ha preso freddo e il terrore ha fatto il resto… il dottore si occuperà di
lui e tutto si risolverà.
Il
dottore arrivò in tutta fretta, anche lui molto preoccupato per il giovane
Principe che aveva visto nascere. Lo visitò accuratamente, esaminando ogni
parte del suo corpo con attenzione e serietà. Alla fine della visita sembrava
piuttosto turbato e il Generale si allarmò.
“Dottore,
allora, si tratta della pestilenza che ha infettato Napoli? E’ questo?”
domandò, in tono concitato. “Vi vedo scuro in volto, parlate, dunque!”
Il
dottore guardò a lungo il Principe, di nuovo raggomitolato nel letto, e si
lasciò sfuggire un sospiro prima di rispondere.
“No,
il Principe Alfonso non ha contratto la peste” rispose, a bassa voce. “A parte
la febbre, non ha nessuno degli altri sintomi che contraddistinguono
quell’infezione.”
“Tuttavia
siete inquieto” rilevò il comandante francese. “Di che cosa soffre il
Principe?”
“La
febbre così alta è causata da veleni che si stanno propagando nel suo sangue”
ammise il medico, chinando il capo.
“Veleni?
Volete dire che qualcuno ha avvelenato il Principe? E chi potrebbe averlo
fatto, dannazione?” l’uomo appariva sinceramente sconvolto all’idea che
qualcuno potesse aver fatto del male al ragazzo.
Il
dottore guardò di nuovo il Principe con infinita pena, poi rialzò lo sguardo
verso il francese.
“Siete
stato voi, mio signore” rispose, riluttante.
Il
Generale rimase allibito.
“Come
osate accusarmi? Io sto proteggendo il Principe, non lo avvelenerei mai! Volete
dire che qualcosa è sfuggito al mio controllo, forse?”
“Non
intendevo questo” chiarì il medico. “Il Principe Alfonso non è stato avvelenato
da qualcosa che ha mangiato o bevuto, il veleno nel suo sangue è dovuto alle…
alle torture che gli sono state inflitte, agli strumenti sporchi e infetti che
sono stati usati per causargli quelle lacerazioni… io ho curato le sue ferite
meglio che ho potuto, ma parte di quell’infezione si è propagata nel suo
sangue.”
A
quella spiegazione, il comandante francese impallidì.
“Gli
arnesi per la tortura…” mormorò. “E voi non potete fare niente per guarirlo,
per togliere questo veleno?”
Il
dottore scosse tristemente il capo, senza più osare guardare l’uomo negli
occhi. Se lo avesse fatto, il francese avrebbe potuto leggere nel suo sguardo
il rancore che non era più possibile dissimulare: sì, era stato lui ad
avvelenare il sangue del Principe, obbedendo a quel pazzo vendicativo del suo
Re che lo aveva voluto far torturare in modo atroce nelle segrete, pensando di
liberarlo solo quando era ormai troppo tardi…
“I
veleni fanno ormai parte del suo sangue” rispose, “infetteranno ogni organo del
Principe e io… io potrò soltanto curare i sintomi più evidenti, come la febbre
e i dolori, ma non guarirlo completamente. L’unica cosa che posso, e che mi
impegnerò a fare con tutto me stesso, è tentare di prolungare la sua vita e di
farlo stare il meglio possibile, ma ci saranno altre ricadute, il Principe
Alfonso sarà sempre più fragile e delicato e alla fine… nemmeno io potrò più
aiutarlo.”
“Va
bene. Potete andare” lo liquidò bruscamente il Generale. Era veramente molto
turbato e non voleva che il dottore vedesse quanto le sue parole lo avevano
ferito.
Si
sedette sul letto, accanto al Principe, gli accarezzò i capelli umidi, gli
prese la mano che scottava.
Il dottore ha
ragione, è anche colpa mia. Avrei dovuto parlare subito con Sua Maestà,
insistere sul valore strategico che la vita del Principe avrebbe avuto per la Francia,
convincerlo a punirlo in modo diverso. Quegli strumenti di tortura… pieni di
ruggine, sporco, sangue di altri condannati… hanno lacerato Alfonso nei punti
più delicati e l’infezione si è diffusa e adesso… quanto potrà sopravvivere? Il
dottore non l’ha detto, ma ha fatto capire che potrà trattarsi di qualche anno,
se non addirittura di pochi mesi. Il mio Principe morirà e sarà stata tutta
colpa mia!
In
preda all’angoscia e ad un dolore mai provato prima, il francese prese tra le
braccia la fragile figura che tremava nel letto, lo tenne stretto a sé quasi lo
volesse difendere dall’infezione, dalla febbre, da ciò che glielo avrebbe
presto strappato via. Non riusciva nemmeno più a concepire la sua vita senza
quel ragazzo accanto a sé e giurò che anche lui avrebbe fatto tutto quanto era
in suo potere per facilitare la sua guarigione e impedire che si stancasse
troppo, per prolungare la sua vita il più possibile e fare in modo che fosse
sereno e tranquillo. Non lo aveva aiutato quando ne aveva avuto la possibilità,
ma da ora in avanti avrebbe dedicato la maggior parte delle sue energie a
rendere placida e luminosa l’esistenza del suo piccolo Principe condannato.
Tuttavia,
quella mattina non poteva restare accanto ad Alfonso; il Re avrebbe senza
dubbio reclamato la sua presenza e, se non si fosse presentato subito, avrebbe
potuto infuriarsi ancora di più con il povero Principe. Perciò, seppure a
malincuore, diede un’ultima carezza sulla guancia del ragazzo e poi uscì dalla
stanza per comparire al cospetto del suo sovrano. Impassibile come sempre,
eseguì tutti gli ordini che Re Carlo gli impartì, principalmente riguardanti
l’organizzazione dell’imminente ritorno in Francia. Dentro di sé, però, il
Generale era molto inquieto per la salute del suo Principe e si chiedeva anche
come avrebbe potuto quel povero ragazzo, debole e febbricitante, sopportare un
viaggio tanto lungo e faticoso.
Alfonso,
comunque, non restò solo a lungo. Il dottore si premurò di fargli visita molto
spesso, controllando come procedeva la malattia, portandogli del cibo leggero e
somministrandogli alcuni rimedi per tentare di abbassare la febbre che lo
divorava.
Il
Generale riuscì a liberarsi dai numerosi doveri che lo assillavano solo dopo
cena, una cena per fortuna più rapida del solito. Nemmeno Sua Maestà desiderava
trattenersi a lungo a tavola, poiché doveva riflettere sulla persona che
avrebbe scelto come reggente del Regno di Napoli e pianificare quanta parte
dell’esercito e dei cannoni impiegare per difendere la recente conquista. Non
era una decisione facile: Re Carlo sapeva bene che i nobili italiani avrebbero
approfittato immediatamente della sua assenza per tentare di attaccare Napoli e
lui non aveva nessuna intenzione di perdere il Regno appena occupato; d’altra
parte, le minacce del Duca di Mantova gli risuonavano ancora in testa e non gli
piaceva per niente l’idea di attraversare tutta la penisola italiana con un
esercito sguarnito, che avrebbe potuto essere attaccato da chiunque. Insomma,
anche il sovrano francese aveva i suoi pensieri…
Il
Generale, dunque, fu ben lieto di ritornare nelle sue stanze prima del previsto
e si affrettò a controllare le condizioni di Alfonso. Al suo capezzale c’era
ancora il dottore e il comandante francese gli domandò subito notizie.
“Sono
riuscito a fargli prendere del brodo caldo” spiegò il medico, “poi gli ho
somministrato una pozione di erbe per abbassargli la febbre. Avrei voluto
praticargli un salasso, sarebbe stato più efficace contro la febbre, ma il
Principe è talmente debole che una perdita di sangue potrebbe fargli più male
che bene. Spero che il rimedio che gli ho dato abbia effetto e gli permetta di
riposare tranquillo stanotte, ha molto bisogno di dormire per riprendere le
forze. Tornerò domattina presto per visitarlo di nuovo ma, se stanotte dovesse
avere bisogno di me, non esitate a farmi chiamare, a qualunque ora.”
“Lo
farò. Vi ringrazio, dottore” rispose il Generale, parlando al medico ma tenendo
lo sguardo fisso sulla figuretta esile e febbricitante raggomitolata nel letto.
Quando
il dottore ebbe lasciato la camera, il francese si spogliò e si mise subito a
letto accanto al ragazzo, prendendolo tra le braccia. Sembrava addormentato, ma
di un sonno agitato e il suo corpo scottava ancora.
Farò tutto quello
che posso per farti guarire, mio Principe, mi occuperò di te, ti farò curare
dai migliori dottori… non posso perderti adesso che so quanto sei prezioso per
me.
Tenendolo
stretto tra le braccia, anche il Generale cadde in un sonno leggero: la
preoccupazione per il giovane Principe non gli permetteva di rilassarsi,
nonostante avesse trascorso una giornata stancante e piena di impegni.
Nel
cuore della notte l’uomo fu destato improvvisamente dai lamenti e dai gemiti
del ragazzo.
“Principe
Alfonso, cosa ti succede? Ti senti peggio? Faccio chiamare subito il dottore”
esclamò il Generale, in preda all’inquietudine.
Tuttavia
si accorse ben presto che il giovane non lo sentiva e che stava vivendo in un
incubo provocatogli dalla febbre alta.
“Per
favore… vi prego, no, non portatemi laggiù!” gemeva Alfonso, con voce rotta.
“No, vi scongiuro, non fatemi del male! Abbiate pietà! No, non quella, vi supplico, farò tutto quello
che volete…”
Sconvolto,
il Generale comprese immediatamente che il Principe stava rivivendo la
terribile notte in cui era stato torturato, la notte che aveva segnato l’inizio
di tutte le sue sventure e a causa della quale ora soffriva le conseguenze più
atroci.
Gli strumenti di
tortura gli hanno avvelenato il sangue… il Principe non guarirà mai
completamente per colpa di quelle torture…
“Abbiate
pietà… qualcuno mi aiuti, per favore, per favore…” singhiozzò ancora il
ragazzo, pronunciando le stesse parole che aveva detto ai suoi aguzzini durante
i supplizi. Il Generale, che era presente anche allora, le riconobbe
all’istante e si sentì stringere il cuore in una morsa dolorosa.
Perché
non era intervenuto prima? Perché aveva lasciato che lo straziassero nelle sue
parti più delicate, distruggendolo per sempre?
Profondamente
turbato, l’uomo avvolse il Principe in un abbraccio protettivo, parlandogli con
pacatezza, tentando di risvegliarlo da quell’incubo tremendo che, purtroppo,
era anche un ricordo reale.
“Principe,
va tutto bene, non sei nelle segrete, sei qui con me” mormorò, stringendolo e
accarezzandolo teneramente. “E’ solo un sogno causato dalla febbre, ora è tutto
finito, sei al sicuro.”
A
quelle parole, il Principe aprì gli occhi e parve risvegliarsi dal suo incubo,
ma non era così. Il giovane si era destato da un sogno spaventoso solo per
piombare in un’allucinazione ancora più terrificante. Il suo sguardo si posò
sul volto del Generale e nei suo occhi apparve un lampo di orrore.
“Voi!
Siete voi!” gridò, terrorizzato. “Mi avete trascinato nella sala delle torture,
mi avete consegnato ai miei aguzzini! Perché? Perché volete straziarmi, io non
vi ho fatto niente!”
Il
grido disperato di Alfonso fu come una stilettata nel cuore del Generale perché
il ragazzo, purtroppo, aveva detto il vero. L’uomo non era mai riuscito a
confessarlo nemmeno a se stesso, era troppo doloroso per lui, ma i rimorsi che
lo tormentavano non nascevano solo dall’aver lasciato che il Re si vendicasse
crudelmente sul Principe. No, il senso di colpa che lo lacerava era per ben
altro: il Generale era consapevole del fatto che era stato lui a strattonare e trascinare Alfonso verso tutti gli
orrendi strumenti di tortura. Lui lo
aveva tenuto per le braccia e spintonato, aveva sentito quanto fragile fosse il
suo corpo, aveva visto da vicino il suo viso da bambino terrorizzato e
piangente, ma aveva comunque obbedito al Re e consegnato quel ragazzino in
lacrime ai suoi aguzzini.
Sì,
era stato lui e il Principe, nel delirio della febbre, lo aveva rammentato fin
troppo bene.
Sono stato io. Sì,
sono stato io. Eppure l’avevo così vicino, potevo vedere e sentire quanto fosse
delicato e indifeso… E ora è colpa mia se il suo sangue è avvelenato, io l’ho
doppiamente condannato!
Con
il cuore a pezzi, il francese prese di nuovo tra le braccia il giovane
Principe, facendolo sentire accolto e protetto.
“Perdonami,
Principe” gli sussurrò, stringendolo più forte a sé, “perdonami, Alfonso, per
tutto il male che ti ho fatto. E’ stata colpa mia, è vero, ma adesso ti
prometto che non dovrai soffrire mai più. Ti proteggerò io da ogni male, ti
sarò vicino, ti difenderò da tutto e da tutti. Ci sarò sempre per te, povero
piccolo Principe.”
Il
tono accorato, l’abbraccio tenero e protettivo, l’odore e il calore che Alfonso
aveva ormai imparato ad associare alla figura del Generale ebbero la meglio
sulla sua allucinazione; il ragazzo riacquistò lucidità, si aggrappò all’uomo e
si abbandonò a lui.
“Allora…
non mi lascerete morire da solo?” chiese in un sospiro.
“Tu
non morirai, Alfonso, non morirai affatto. Il dottore ti curerà e guarirai
perfettamente” protestò il Generale.
“Mi
promettete… che non mi lascerete morire da solo?” insisté il Principe, come se
non avesse sentito. La debolezza che provava gli faceva presagire che non
sarebbe vissuto a lungo, ma la presenza del Generale lo confortava.
“Ti
prometto che non ti lascerò mai solo, non sarai solo mai più, piccolo mio”
affermò deciso l’uomo, sorvolando sull’accenno alla morte.
Lo
baciò a lungo, turbandosi nel sentire le sue labbra così calde, così brucianti
per la febbre. Aveva bisogno di sentirlo, di diventare una sola cosa con lui
senza più pensare al pericolo di perderlo. Divaricandogli le gambe, si fece
lentamente strada dentro il Principe, senza smettere di baciarlo intensamente, poi
si staccò dalle sue labbra morbide e iniziò a muoversi piano in lui, con
cautela, temendo di turbarlo; ma Alfonso lo accoglieva docile e tenero,
rispondendo alle sue sollecitazioni e assecondando i suoi movimenti, con gemiti
e sospiri che, come sempre, eccitavano ancor di più il Generale perché
suonavano stupiti e increduli. Ogni volta era come se il giovane Principe rimanesse
sbalordito per il fatto che quell’atto potesse donargli tanto piacere…
Alla
fine dell’amplesso, il ragazzo sembrava pacificato e riuscì a riprendere sonno
tra le braccia del Generale, un sonno finalmente più quieto e riposante.
Io sarò per sempre
con te, mio piccolo Principe, per te ci sarò sempre, promise dentro di
sé il comandante francese, prima di scivolare a sua volta nel sonno.
FINE