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Autore: SaraJoie    13/04/2017    0 recensioni
Gabriel Hayes è un giovane come tanti, conduce una vita perfettamente normale in una piccola e tranquilla cittadina. Le uniche note stonate nella sua vita sono la morte tragica e prematura del fratello maggiore, e il complicato rapporto con la nonna, autrice pluripremiata di favole per bambini. Ma qualcosa sta per cambiare.Una serie di strani e misteriosi eventi, sembrano volergli ricordare che nella sua vita non c'è proprio niente di normale...
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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 “ ... ‘E i baci delle fate come sono?’ chiese la bambina al folletto. Quello si levò il cappello a forma di pigna, e vi si nascose dietro ridendo. ‘Oh, piccola umana. I baci delle fate sono un dono. A volte però sono anche una disgrazia. Non permettere mai a una fata di baciarti, piccola, o la tua memoria verrà via e non ricorderai più niente di noi e di tutto questo’
‘Nemmeno un bacio sulla guancia? O sulla mano’
‘No nemmeno quelli. ’ ”
 
Da “Le Avventure di Cecily D.” Di Cecily Dashwood


 
Melanie si passò ancora una volta il pettine tra i capelli.Era un piacere vederlo affondare nella sua chioma rosso-arancio.Era felice. Si , quel giorno era proprio felice. La strategia di Lizzy si era rivelata vincente. Tra lei e Gabriel sembrava filare di nuovo tutto liscio, e lui non vedeva l’ora di presentarla ufficialmente a sua nonna. Avrebbe dovuto ricordarsi in futuro di questa lezione: dell’amore che i maschi nutrono per le figure materne. Si rimirò ancora una volta nel piccolo specchio, soddisfatta di come i capelli le ricadevano lisci e morbidi sulle spalle. Si tolse l’asciugamano rosa che che aveva legato sul seno, e si rivestì, cercando con non poca difficoltà il reggiseno schiacciato nel suo borsone blu. In giro non c’era nessuno. Gli allenamenti si erano conclusi da un’oretta. Al contrario delle altre ragazze che si erano lavate e rivestite in fretta e furia, lei non aveva alcuna fretta. Gabriel avrebbe trascorso il pomeriggio a casa della nonna, si sarebbero visti direttamente per le otto, per mangiare insieme al Grill-Inn.Lei avrebbe espresso il desiderio di farsi raccontate la visita a Cecily nei minimi dettagli, così lui sarebbe stato soddisfatto.Il rumore di una porta aperta in lontanza la fece voltare di scatto. Si coprì istintivamente il petto con la maglietta ancora appallottolata, indossava soltanto i jeans. Silenzio. Non sembrava esserci nessuno. Melanie si infilò a maglietta in fretta, e cominciò a raccogliere le sue cose. Sarà stato il vento , pensò tra se e sè, non riuscendo comunque a trattenersi dal buttare le sue cose nella borsa alla rinfusa. La lampadina al neon sopra la sua testa cominciò a sfavillare.
 Melanie si ritrovò al buio.Sentì un rumore di passi, leggeri come un ombra.
“C’è nessuno?” disse, cercando di mantenere la voce ferma. Si caricò la borsa in spalla, mentre un orribile presentimento si faceva strada nella sua mente. Okay, era meglio uscire fuori da lì. Non finì nemmeno di formulare questo pensiero che si sentì tirare da dietro per i capelli. Fu dolorissimo. Quelle mani sconosciute la strattonarono con un forza tale, che barcollò e cadde quasi in ginocchio. Cominicò a urlare. Ma fu tutto inutile, la sua voce rimbombò per i corridoi vuoti.La testa era piegata all’indietro, il collo teso. Cercò inutilmente di girarsi il viso del suo aggressore. Allungò la mani verso quello sconosciuto cercando di difendersi,  ma anche quel tentativo fu vano, cadde solo col sedere sul pavimento.Sembrava che le volesse fare lo scalpo. E poi finì tutto in un baleno. Melanie sentì il suo corpo libero dalla presa del suo aggressore, cadde completamente per terra con le spalle sul pavimento. Riuscì solo a vedere una figura minuta, con una felpa blu calata sul capo, che scompariva nel corridoio. Non la udì nemmeno allontanarsi, scomparve semplicemente nel nulla.Rimase dov’era per qualche secondo, pietrificata dalla paura. Non riusciva a capire ancora cos’era realmente succeso. Percepì qualcosa di morbido e leggero adagiato sulle sue spalle.Quando allungò le braccia per capire cosa fosse, si trovò tra le mani lunghe ciocche di capelli rossi. Si portò di scatto le mani sulla nuca. Non sentiva più quella matassa familiare, toccò solo delle punte corte e e irregolari.Pianse.
 
Quella volta non fu Diana ad aprire la porta, con suo sommo disappunto. Al suo posto quel giorno venne accolto da Lucy, una donna di circa quarantanni dai capelli mesciati raccolti in una coda severa. Era l’infermiera personale della nonna, e Gabriel non osava chidere cosa facesse di preciso. Lucy –che continuava a fissarlo con uno sguardo ispiegabilmente severo- lo fece accomodare nel solito salottino. Trovò sua nonna intenta a versare il tè in due tazze. La tavola era apparecchiata esattemente come l’ultima volta, con tazze e teriera al posto giusto. Diana aveva ragione quando diceva che Cecily era ossessionata dall’ora del tè. Era vestita meno formalmente: con una sobria camicia bianca (decorata dall’immancabile spilla) e un cardigan di lana . Erano ormai i primi di ottobre, e l’inverno si avvicinava inesorabile. L’invito della nonna diceva che c’era una questione importante di cui voleva discutere. La carta da lettere profumava di fiori, e la scrittura era sempre la stessa: elegante e dolcemente incurvata. Gabriel si pentì di non aver portato nemmeno una misera scatola di dolci con sè , era stato troppo preso dal pensiero di rincontrare Diana e raccontarle delle rose nel suo armadietto. Ma di lei non c’era traccia.
“EDiananonc’èoggi?” chiese senza riuscire più a trattenersi. Stavano chiaccherando del più e del meno, e Gabriel sperava che quella domanda sembrasse solo una innocente curiosità.
“Come dici, caro?” chiese la nonna con un’espressione confusa. Forse aveva parlato un pò troppo velocemente.
“Um..Diana, non è in casa?” ripetà stavolta forte e chiaro. Affondò subito la faccia nella sua tazza di tè, cercando di nascondersi dallo sguardo indagatore Di Cecily.
“Sfortunatamente è al lavoro. Dovevi chiederle qualcosa?”
Gabriel si affrettò a negare, fionandosi sul piattino di biscotti a cioccolato. Nell’imbarazzo si infilò in bocca anche un tramezzino al cetriolo…mischiato col cioccolato aveva un sapore orribile. Il pomeriggio trascorse in modo diverso dall’ultima volta, c’era meno eccitazione nell’aria. Era solo un tranquillo pomeriggio tra nonna e nipote, e Gabriel ne fu felice.Era come se avessero recuperato in pochi giorni quell’intimità che era rimasta sospesa per dodici anni. Era andato dalla nonna subito dopo essere uscito da scuola, indossava la divisa (la cravatta era rigorosamente piegata nella tasca posterioire del pantalone) e si era portato dietro anche uno zaino carico di libri. Parlarono a lungo della scuola, Cecily si informò con minuzia di particolari delle sue lezioni di letteratura. Nessuno dei due fece riferimento allo strano atteggiamenteìo della nonna dell’ ultima volta, non si parlò di re della foresta, nè di fate, nè di magie. Gli fece anche qualche domanda sull’occhio nero, ormai in via di guarigione, ma Gabriel si limitò a rimanere sul vago, dissimulando la risposta con un colpo di tosse un pò forzato.
“Gabriel, come ti dicevo nell’invito, c’è qualcosa che mi preme mostrarti oggi” disse dopo un pò la nonna, sorridendo trepidante. Prese un fascio di fogli posati sul tavolino a fianco, e inforcò degli eleganti occhiali a mezzaluna.Diede una rapida lettura della prima pagina, per poi passarli al nipote. Lo sguardo di Gabriel fu attratto dalla frase “La tana delle Fate”. Per un secondo interminabile di puro terrore temette che quei fogli parlassero del misterioso Re della Foresta, o di altra fandonie. A una seconda occhiata il ragazzo colse parole come ‘membri’, ‘associazione’ e ‘statuto’, e si rese conto che quei fogli parlavano di tutt’altro. Cominciò a leggere con attenzione ogni rigo, mentre la nonna, allegra e entusiasta, gli illustrava in maniera chiara il contenuto. Cecily Dashwood aveva deciso di investire parte del suo patrimonio in un’associazione benefica. “La tana delle fate” non era solo un semplice titolo, la Tana esisteva in carne e ossa...anzi, in cemento e mattoni. Si trattava di un piccolo edificio che la donna aveva da poco comprato, e che stava arredando per i suoi scopi. L’obiettivo dell’associazione era quello di creare un supporto ai bambini che vivevano in famiglia disagiate. L’idea di Cecily era creare una vera  e propria casa, che accogliesse i bambini in caso di bisogno senza strapparli del tutto alle loro famiglie, un porto sicuro lontano dall’inferno degli assistenti sociali e dalle questioni burocratiche. Ci sarebbero stati dei letti , delle cucine, e ovviamente una libreria. La Tana doveva essere un supporto per altri enti, un ponte tra lo stato e i bambini infelici.
“Un pò come questa casa lo è stata per Diana” constatò Gabriel, sollevando lo sguardo dai fogli. Cecily sorrise tristemente.
“Si. Non so cosa i tuoi genitori ti abbiano raccontato a proposito di Diana. Sappi che, al contrario di quello che pensa tutta la città, non sono ancora così rimabita da ospitare in casa mia qualcuno che mira solo al mio denaro. Diana è..” esitò.
“...è la tua famiglia.” concluse per lei Gabriel.         Il senso di colpa cominciò di nuovo a farsi sentire, e questa volta lo colpì dritto al cuore, come una gabbia di ghiaccio che si stringeva attorno al petto.
“Si, è, anzi era- gli rivolse un dolce sorriso- l’unica famiglia che ho. A volte penso che Diana sia il mio debito. Non ho potuto fare nulla per Jonathan, ma la vita mi ha fatto incontrare qualcuno che avesse ancora bisogno di me. Non ha avuto una vita facile, Gabriel. Quello che per te e tua sorella è sempre sembrato normale e dovuto, a lei è stato sempre negato.”
Ripensò alla storia raccapricciante che la ragazza gli aveva raccontato in giardino. Una madre che spacca una bottiglia in testa alla propria figlia. Cecily aveva ragione, era un qualcosa di inimmaginabile per lui. I suoi genitori forse aveva fatto degli errori, ma di certo erano sempre stati presenti e gli avevano sempre voluto bene.
“Lo so. Mi ha raccontato qualcosa” ammise dopo un pò. Gabriel fu sicuro di leggere sorpresa nel suo sguardo.
“Incredibile. Ritieniti un privilegiato allora, Diana chiude il suo cuore a chiunque . Perfino a me” rispose lei. Lo disse con serenità, ma con un sorriso velato sulle labbra, come se fosse felice per qualcosa di cui Gabriel non era a conoscenza.
“Che mi dici di Amanda Forrest? Si incontrano mai?”
Cecily si porto le dita alla tempia, sospirando. Scosse la testa.
“No. Amanda, è una donna spregevole. Avrebbe venduto la figlia per un pò di droga...non le è mai importato niente di lei, a meno che non le servisse per qualcosa.”
Il ragazzo rimase in silenzio, fissandosi le mani strette in grembo e rimurginando.La nonna era capace di vedere del buono in chiunque, se era lei a dirlo allora quella donna doveva essere davvero un mostro.  Aveva il cuore in subbuglio, pensando alla piccola Diana maltrattata dalla madre. Ripensò a come era intervenuto in difesa di Liv Wilson, gli sarebbe piaciuto tornare indietro nel tempo e fare lo stesso per Diana. Se la immaginava piccola e indifesa, ad aspettare che qualcuno la salvasse proprio come era accaduto a Liv. Ma quel qualcuno non era mai arrivato.
“Su, basta rimuginare! Se sapesse che ti ho raccontato queste cose, Diana mi ucciderebbe!” esclamò la nonna sorridendo. “Gabriel, và all’ultima pagina del fascicolo per favore.”
Il ragazzo obbedì. Lesse l’ultima pagina, è si stupì quando lesse il suo nome. Guardò sua nonna con un sopracciglio sollevato, quella lo incitò a continuare con un gesto della mano.
“Vuoi...che...che una parte dell’associazione sia mia?”chiese il ragazzo dubbioso.
“Non esattamente. Sono vecchia ormai Gabriel, vecchia e molto ricca. La Tana delle Fate è il mio monumento su questa terra, e quando non ci sarò più, perchè accadrà presto tesoro, voglio che qualcuno continui il mio lavoro. Una quota dell’associazione sarà tua alla tua morte..non sarà impegnativo tranquillo, abbiamo sistemato ogni cosa con gli avvocati. E poi, non ci sarai solo tu.”
Il ragazzo fissò di nuovo il foglio, in fondo alla pagina c’era lo spazio per tre firme.Sul primo rigo lesse, con non poca difficoltà, il nome di Diana, tracciato con una grafia disornitata a frettolosa. Sotto di esso c’erano altri due spazi vuoti.
“Diana, io, e....?”
“Elizabeth. Tua sorella” rispose lei. Non era abituato a sentirse chiamare Effy col suo nome di battesimo. “Non ho mai dimenticato nessuno dei miei tre nipoti.”
Gabriel prese una penna posata sul tavolino, e firmò senza nemmeno pensarci su troppo.
“Effy firmerà di persona, davanti a te. Molto presto. Te lo prometto.”
Continuarono a parlare dell’associazione ancora per un pò, prima che il telefono del ragazzo cominciasse a squillare. Gabriel lo tirò fuori dalla tasca con difficoltà, lesse il numero di Melanie sul dispaly. Guardò la nonna, che lo incitò a rispondere con un sorriso. Si portò il telefono all’orecchio , e si alzò cercando di avere un pò di privacy.
“G-Gabriel...” disse una voce lacrimosa al telefono.
“Mel?! Che succede?”
“Devi venire alla centrale di polizia...è....è successa una cosa.”
 
Gabriel non era mai stato così in ansia in vita sua, nemmeno quando Effy era stata operata d’urgenza di appendicite o quando si era rotto un braccio cadendo dalle scale. Quando aveva lasciato casa di Cecily, si era precipitato in macchina a tutta velocità,aveva sfrecciato per le strade silenziose  premendo al massimo l’acceleratore, come se avesse un inseguitore alle calcagne.In quel breve tragitto mille pensieri gli affollarono la mente. Si trattava sopratuttto di immagini vivide in cui vedeva Melanie in preda alle sofferenza. Nelle sue fantasia più rassicuranti la ragazza aveva il volto sfregiato con l’acido. Non era stata molto esaustiva al telefono, sembrava solo che qualcuno l’avesse aggredita. Chi poteva odiare Melanie, che era buona con tutti e non aveva neanche un nemico? Mike Enderson? Il re della Foresta? Ormai associava automaticamente il misterioso uomo delle rose bianche a quel nome assurdo,e per un attimo si sentì ridicolo. Non poteva essere stato lui, fino ad ora si era limitato a spargere le sue inquietanti rose in giro, e a non fare del male a nessuno. C’entrava sicuramente Enderson. Quel vigliacco non aveva avuto abbastanza fegato per prendersela con lui.Arrivato a destinazione scese dalla macchina come una furia, parcheggiando in maniera approssimativa e dimenticandosi di chiudere la macchina.
“Buonasera. Sono qui per l’aggressione. Melanie Peterson.” disse tutto d’un fiato, con la mani posate sul bancone della reception, incombendo sulla povera segretaria stordita. La signorina lo fissò con aria confusa,in quel preciso momento era intenta ad applicarsi minuziosamente il mascara sulle ciglia dell’ occhio sinitro.
“...la signorina dai capelli rossi?” disse lei poco dopo, continuando a sbattere con fastidio l’occhio appena truccato. “La porta in fondo a destra, è con i suoi genitori...” Senza nemmeno darle il tempo di rispondere il ragazzo si fiondò versò la porta a vetri. Tirò un sospiro di sollievo. Si trovavano in un piccolo ufficio, arredato solo con una scrivania e un divano verde scuro.Melanie era seduta sul sofà, circondata da un gruppo di persone che lì per lì non riuscì a identificare, e fortunatamente sembrava illesa. Niente sfregi in faccia, e nessun livido. Aveva una coperta sulle spalle, e tra le mani stringeva un tazza di polistirolo, da cui partiva un rivolo di caldo vapore.Posò la tazza al sua fianco, e Gabriel si precipitò su di lei.
“Mel…stai bene? Cosa ti hanno fatto?” chiese trepidante, mentre con dolcezza le afferrava il viso, accarezzandole le guance. Fece vagare lo sguardo sulle braccia libere, ora che la coperta era caduta arrotolandosi sul divano.Sembrava non avere niente di rotto, tornò a fissarla in viso. Gli occhi verdi della ragazza erano lucidi, come se avesse appena pianto.
“Oh Gabriel. È-è stato orribile...” disse lei con un filo di voce. La afferrò tra le braccia stringendola forte. Lei affondò il viso nel suo collo. Le mani di Gabriel risalirono verso i capelli di lei, pronte ad affondare le dita nella sua morbida chioma. Sentì solo la pelle della nuca sotto le sue dita. Si scostò da lei osservandola meglio. I capelli. Erano corti, fin sopra le orecchie, tagliati in modo irregolare. Piccole ciocche rosse sparavano in tutte le direzioni. Melanie si accorse del suo sguardo, si chinò sulla sua spalla ricominciando a piangere. Le hanno tagliato i capelli? Gabriel fece vagare lo sguardo nella stanza, riconoscendo finalmente le persone che gli stavano attorno. In piedi dietro di loro c’erano il signor e la signora Peterson, la mamma era una copia sputata della sua fidanzata, pur conservando i lunghi capelli rossi. Il signor Peterson era un omino basso , con pochi capelli in testa e un paio di baffetti castani. Dietro di loro in disparte c’era qualcun’altro.
“Mamma?!” esclamò Gabriel continuando a stringere Melanie fa le braccia.
“Mi ha chiamato Jane. Sono arrivata poco fa” rispose quella semplicemente  , portandosi un ciuffo castano dietro l’orecchio. Gli occhi azzurri erano colmi di preoccupazione.
“Cosa è successo?” chiese Gabriel senza rivolgersi a nessuno in particolare, e continuando a stringere Melanie fra le braccia.Nei minuti successivi gli altri lo misero al corrente dei fatti: l’aggressione era avvenuta negli spogliatoi della scuola, qualcuno le aveva afferrato i capelli da dietro, l’aveva buttata per terra e glieli aveva sfrangiati con una forbice. Gabriel afferrò dolcemente Melanie per le spalle, costringendolo a guardarla negli occhi.
“Mel...è stato Mike Enderson?” chiese lui, sempre più convinto che un gesto così vigliacco poteva provenire solo da lui.
“E lui è il fidanzato, suppongo” disse una voce maschile alle sua spalle. Gabriel si alzò in piedi , fissando il nuovo arrivato. Era un uomo alto, probabilmente un quarantenne, aveva i capelli biondo cenere e la fronte alta segnata da numerose rughe.
“Sceriffo McBurney, piacere.” disse il poliziotto tendendogli la mano. Lo sguardo di Gabriel cadde automaticamente sul distintivo, elegantemente appuntato sulla giacca. Il ragazzo rispose titubante alla stretta. “Gabriel Hayes” si limitò a rispondere.
“Gabriel, è il nuovo sceriffo del distretto” precisò sua madre da dietro, “il vecchio Jeffrey è andato in pensione”. Gabriel ripensò al sceriffo Jeffrey, c’era lui quando avevano tirato il corpo di Jonathan fuori dall’acqua. Ricordava perfettamente i suoi occhi gentili e le sue carezze sulla testa, quando gli aveva chiesto che cosa fossero andati a fare lui e suo fratello nello stagno. Gli occhi del sceriffo McBurney trasmettevano tutt’altro.
“E’ bizzarro, signor Hayes” disse il sceriffo dopo aver lasciato la sua mano, lo squadrava da testa a piedi con uno sguardo indagatore. “La sua fidanzata sembra essere piuttosto sicura dell’identità del suo aggressore, eppure sono certa di averla sentito pronunciare un nome maschile, contrariamente alle dichiarazioni della signorina.”
Gabriel si voltò di scatto verso di lei, la fissò con uno sguardo interrogativo, invitandola a parlare.
“Tu l’hai visto in faccia?” chiese alla sua fidanzata.
“Mi permetto di correggerla Gabriel...l’ha vista.” lo corresse il sceriffo. Melanie si decise finalmente a fissarlo negli occhi. Sussurrò il nome dell’aggressore con un filo di voce.
“ Diana Forrest. E’ stata lei...l’ho vista.”
Non era possibile. Gabriel lo aveva ripetuto già a McBurney almeno tre volte, non poteva essere stata Diana, perchè era al lavoro. Lo aveva detto pure Cecily. Eppure una vocina nella sua testa non faceva che sussurrargli che dopotutto non era impossibile, non sapeva se poteva fidarsi effetivamente di lei. La conosceva da così poco tempo, e lei era così sfuggente e misteriosa. Se tutte le cose strane fossero davvero dipese da Diana? La sveglia manomessa, la rosa nell’armadietto. ...lui le aveva creduto subito, non era riuscito a mettere in dubbio le sue parole, quando lei aveva affermato di non saperne niente. Ricordò lo sguardo colmo di paura quando aveva raccontato di essersi risvegliata nella foresta. Le era sembrata così sincera. Eppure Melanie l’aveva vista. C’era qualcosa che non tornava, un particolare che stonava in tutta quella storia, anche se nemmeno Gabriel riusciva a identificarlo con esattezza.
Melanie era ancora seduta sul divano insieme a sua madre, il sceriffo aveva costretto Gabriel a seguirlo nel corridoio adiacente, voleva fargli ancora qualche domanda. Magda li aveva seguiti a ruota, come un segugio. Il ragazzo non era indagato e non c’erano prove del suo coinvolgimento, il sceriffo non aveva il diritto di sottoporlo a una vero e proprio interrogatorio. E trovarsi in una stazione di polizia era sicuramente più piacevole se si aveva una mamma avvocato.
“..Signor Hayes. Non riesco proprio a capire come fa ad essere così sicuro che Diana Forrest fosse al lavoro in quel momento. Che rapporti ci sono tra lei e quella ragazza?” chiese lo sceriffo, cercando di mascherare il sospetto che si faceva strada nella sua mente. In realtà Gabriel non era sicuro proprio di un bel niente. Non poteva proprio dire come faceva a sapere che Diana fosse al lavoro, non con sua madre davanti. O avrebbe scoperto delle sue visite a casa della nonna, e sicuramente non l’avrebbe presa bene. E poi, nemmeno lui aveva idea di quali fossero i suoi rapporti con Diana Forrest. Non era un amica, ma non era nemmeno una semplice conoscente. Rimase lì impalato, senza riuscire a spiccicare una parola.
“Sceriffo! Cosa vorrebbe insinuare?! Gabriel non rispondere, non sei obbligato a farlo!” esclamò sua madre, ponendo fine a quel silenzio straziante. Magda stava a braccia conserte, aveva un espressione seria e decisa, quella che a casa chiamavano la “faccia-da-avvocato”. Continuava a rivolgere al figlio delle occhiate indecifrabili. Sicuramente anche lei aveva gli stessi dubbi, ma fu abbastanza furba da non lasciarlo trasparire.
“Senta” disse Gabriel esasperato, aveva l’impressione che stare taciturno e fermo lo avrebbe fatto sembrare solo colpevole, anche se  non sapeva esattamente di cosa. “Sanno tutti che lavora lì..sono sicura che non è stata Diana..”
“Non è stata Diana a fare cosa?” disse una voce familiare alle sua spalle, che catturò immediatamente l’attenzione di tutti i presenti. La segretaria che poco prima aveva accolto Gabriel alla reception arrivò una manciata di secondi dopo, aveva il fiatone e gli occhiali storti sul naso.
“Mi scusi signore...non...sono riuscita a fermarli.Sono corsi...corsi via...”
Diana si limitò a rimanere in silenzio come se la donna non avesse parlato affatto. Rimase a braccia conserte a squadrarli col suo solito sguardo velato di indifferenza. Ma non era sola. Era spalleggiata da un ragazza alto, i capelli color grano erano lunghi e fissati sulla nuca in un codino. Gabriel squadrò il suo volto, gli occhi chiari, il naso dritto e gli zigomi alti. Sembrava straniero.
“Signorina Forrest...mi fa piacere che sia corsa qui immediatamente ma...”
“So che avete chiamato a casa di mia madre” lo interruppe lei glaciale, “sembrava urgente.
“Melanie Peterson è stata aggredita, qualche ora fa” disse all’improvviso sua madre, precedendo il sceriffo che aveva a malapena aperto bocca. McBurney la fulminò con uno sguardo. Ma l’attenzione di Gabriel fu tutta per sua madre, gli occhi azzurri di Magda, di solito buoni e calorosi, erano socchiusi e colmi di odio disprezzo mentre fissava Diana. Non aveva mai visto sua madre fissare qualcuno con quell’atteggiamento, stava riservando alla ragazza lo sguardo che si rivolge a qualcosa di ripugnante, a un parassita. La ragazza non sembrò accorgersene, si limitò a ricambiare con uno sguardo freddo. Il ragazzo biondo invece fissò sua madre con altrettando disgusto.
Esattamente” intervenne il sceriffo, continuando a fissare Magda in cagnesco. “E la vittima ha fatto il suo nome signorina Forrest. Ora se vogliamo accomodarci...”
“Non è possibile.” intervenne il ragazzo biondo, con un marcato accento dell’Est. “Non serve nessun interrogatorio, signore. Diana è stata a casa mia tutto il pomeriggio. C’era il mio conquilino, è stato sempre lì. Può chiamarlo se vuole” Diana rimase impassibile, ignorando totalmente Gabriel che la fissava cercando di dire qualcosa.Il ragazzo biondo le passò possessivamente un braccio intorno alle spalle, e lei lo lasciò fare. Lo sceriffo McBurney piegò le labbra in un sorriso soddisfatto, facendo vagare lo sguardo tra loro tre.
“Verificheremo. Il signorino Hale aveva ragione, almeno in parte. Ha affemato con una certa sicurezza che lei fosse al lavoro” disse, rivolgendole un sguardo pungente.
La ragazza lo fissò da sotto le lunghe ciglia scure, con un’espressione impenetrabile.
“La signorina Forrest era effettivemente da un’altra parte. In un posto che lui non immaginava affatto.”
Gabriel aveva smesso di ascoltarlo, non si stava comportando in maniera molto furba e lo sapeva. Continuava a far guizzare lo sguardo da Diana al ragazzo straniero, con un espressione sempre più accigliata stringendo i pugni con forza.
“E’ a lui che doveva fare delle domande!” esclamlò a un tratto il ragazzo biondo, sciogliendo Diana dal sua stretta e indicando Gabriel con fare accusatore.
L’attenzione di tutti si spostò su di lui. Gabriel lo guardò stupido, incapace di fare domande.
“Perchè non gli racconti di quando hai importunato Diana al lavoro...eh?!” proseguì il ragazzo. Gabriel sentì un peso calargli sullo stomaco. Si ricordò improvvisamente del ragazzo, era il collega di Diana che li aveva visti discutere al fast-food. In effetti, quel giorno non aveva fatto bella mostra di sè. A chiunque avesse visto la scena da fuori doveva effettivamente sembrare che stesse importunando una ragazza indifesa.La tensione divenne palpabile.
“Gabriel!” intervenne Magda, “di cosa sta parlando questo ragazzo?E’ la verità?”
Non riusciva a trovare qualcosa da dire, come poteva spiegarsi senza raccontare tutto nei particolari?
“E’ la verità!” intervenne di nuovo il ragazzo “l’ha strattonata da un braccio! Perchè non parli,eh? Non ti sai difendere senza l’aiuto di mammina?”
Ora lo gonfio di botte, pensò Gabriel prima di avvicinarsi minacciosamente al suo interlocutore.
“Ti faccio vedere io come si strattona qualcuno se non...”
Sentì Magda trattenere il respiro alle spalle, e il sceriffo avvicinarsi per dividerli. Ma fermarlo fu una mano piccola e fredda posata sul suo petto.
“Smettila” ordinò Diana. Si era messa in mezzo a loro due, e gli aveva posato una mano sul petto come per allontanarlo. “Anzi...smettetela tutti e due!”  tolse la mano e si rivolse al sceriffo.
“Gabriel non mi stava aggredendo! Ci eravamo incontrati per caso il giorno prima e io lo aveva trattato male perchè non va mai a trovare sua nonna. Quel giorno abbiamo solo chiarito. E sapeva che ero al lavoro perchè è stata sua nonna a dirglielo.”
Il sceriffo la guardò perplesso. Ma fu Magda a intervenire.
“La nonna?!” esclamò incredula. “Tu…cosa…da quanto parli con quella donna?!” chiese sbalordita.
Diana sbuffò, quasi ridacchiando.
Quella donna è tua madre!” ribatté Gabriel piccato, “e penso di avere il diritto di vederla quanto mi pare a piace. Il problema è un altro…”
“…Da quanto va avanti questa storia?! Ti avevo avvertito di stare alla larga da lei!” lo interruppe quella, evidentemente incapace di concentrarsi su altro.
“Qualcuno vuole gentilmente spiegarmi?” intervenne lo sceriffo, facendo guizzare lo sguardo da madre a figlio con interesse.
“Sceriffo” intervenne Magda sospirando e massaggiandosi le tempie “…la nostra situazione familiare è alquanto particolare.  Se possiamo andare da un’altra parte le spiegherò...”
“Miss Hayes, adesso parlerò con Diana Forrest in privato di là, poi sentiremo anche la sua versione...Jules e Jim invece se ne rimarranno calmi qua fuori” rispose lui lapidario, e con un gesto condusse Diana nel suo ufficio chiudendosi la porta alle spalle.
Quei venti minuti sembrarono durare un’eternità. I tre ragazzi erano stati fatti accomodare nella sala d’aspetto, Diana e il suo amico sedevano vicini su due sedie di plastica rossa, mentre Gabriel preferì rimanere in piedi con le spalle appoggiate al muro. Avrebbe voluto camminare su e giù, ma fu costretto a trattenersi. Era troppo impegnato a guardare in cagnesco il ragazzo straniero. La tua ragazza è appena stata aggredita, e tu ti metti a litigare con uno sconosciuto? Disse una vocina nella sua testa. Cercò di ricomporsi, guardando Diana con la coda dell’occhio. La ragazza non riusciva proprio a stare seduta normalmente, aveva incrociato le gambe come un indiano e continuava a giocherellare con la sua collana barocca, tenendo lo sguardo basso. Mentre tu perdevi tempo a difenderla, lei se la spassava con quel bell’imbusto, disse di nuovo quella vocina fastidiosa. Gabriel scosse la testa, quasi cercando di zittirla. Lo sceriffo aveva parlato a lungo con Diana, e adesso stava trattenendo sua madre da quella che sembrava un eternità. A intervalli regolari dall’ufficio di McBurney si riusciva a sentire la voce di sua madre, che aveva evidentemente perso le staffe. Si riconoscevano frasi del tipo “come osa” o “…lei sa chi sono…”. Improvvisamente la porta dell’ufficio si aprì. Magda fu la prima ad uscire, teneva le braccia incrociate al petto e aveva un’espressione contrariata. Fu seguita subito dallo sceriffo, che richiuse la porta dietro di se con studiata calma. La cosa non presagiva nulla di buono.
“La Signorina Forrest e il suo amico sono liberi di andare” disse il sceriffo, indicandoli con un cenno del capo.
“Alleluya” commentò Diana a mezza voce.
“Abbiamo contattato telefonicamente il vostro amico, e ha confermato che i ragazzi sono stati in casa per tutto il tempo” spiegò il sceriffo con fare pratico. Gabriel tirò un sospiro di sollievo, non poteva essere stata davvero lei.
“Ci sono novità sull’aggressore?” chiese incapace di trattenersi. Per un attimo si sentì in colpa, era talmente sollevato dal fatto che Diana fosse stata scagionata da essersi dimenticato di chiedere di Melanie.
Magda intervenne, mise una mano sul braccio di Gabriel spingendolo ad allontanarsi.
“Non c’è proprio nessuna novità. Andiamo a casa, nemmeno noi abbiamo motivo di stare qui” disse, cercando di spingere via il figlio. Nel frattempo l’altro ragazzo fece lo stesso, poggiando un braccio sulle spalle di Diana, quella sì scansò. I due se ne andarono, camminarono ben distanti l’uno dall’altra. Gabriel osservò la ragazza con la coda dell’occhio, ma non ricevette in cambio nemmeno un misero sguardo.
“Gabriel” lo richiamò lo sceriffo. Il ragazzo ignorò sua madre che continuava a cercare di spingerlo via. “Il mio dovere mi obbliga a informarla che abbiamo già smesso di cercare il presunto aggressore” disse asciutto, con un ombra di sorriso sul volto. Presunto?
“Come sarebbe a dire?!” esclamò il ragazzo trafelato.
“Le sue sono solo supposizioni…” intervenne Magda, cercando di mettersi fisicamente tra i due con fare autorevole. Il sceriffo alzò una mano, invitandola a tacere. Gabriel lo ammirò, quasi nessuno era capace di zittire sua madre.
“A giudicare da quello che ho visto qualche minuto fa, qui non si tratta altro che di un banalissimo triangolo amoroso, e nemmeno troppo interessante. Signor Hayes, le consiglio vivamente di prestare attenzione alla sua ragazza…solo alla sua ragazza. Così, la prossima volta eviterà di compiere degli atti così sciocchi solo per richiamare la sua attenzione…e incolpare la sua rivale in amore. Le donne a volte sanno essere davvero spietate”
Gabriel rimase imbambolato, incapace di rispondere per lo stupore.
“Lei…lei sta insinuando che Melanie avrebbe fatto tutto da sola?! Ma che razza di poliziotto è! Ora la colpa è della vittima?! Sul serio?!” esclamò, alzando eccessivamente il tono della voce. Il ragazzo sentì la mano della madre sulla schiena, che cercava di invitarlo a calmarsi.
“Gabriel” disse pacatamente il sceriffo, “ho chiamato personalmente il guardiano della scuola, che ha visionato per noi i filmati. Nessuno è uscito o entrato dagli spogliatoi…a parte Melanie, ovviamente. L’edificio è circondato da telecamere, nessuno sarebbe potuto passare senza essere visto. Domani andrò a controllare i filmati di persona, ma sono certo che non troverò niente di più di ciò che le ho detto”
Il ragazzo rimase in silenzio, incapace di ribattere.
“E ora inviterei lei e sua madre a tornare a casa. Melanie e i suoi genitori hanno già lasciato l’edificio da un po’. Se non le dispiace ho dei veri casi che mi attendono.”
 
 
 
Il ritorno a casa fu terribile. Aveva ancora il cappotto sulle spalle quando sua madre comincò a sbaitare nell’ingresso di casa.
“Ma cosa diavolo sta combinando Gabriel?! Eh?”
Il ragazzo sbuffò togliendosi del tutto il cappotto.
“Non sto combinando proprio un bel niente!” rispose lui con rabbia. “Non puoi farmi una scenata solo perchè sono andato dalla nonna... non puoi impedirmi di...”
“Oh cielo!” lo interruppe lei ridendo con poco divertimento, “...non parliamo di quello non voglio pensarci! Sto parlando del tuo comportamento a dir poco...sconveniente!”
Gabriel la fissò incredulo.
“Scusami Kirsten, mia madre ha deciso di urlare proprio ora” disse Effy, che uscì in quel preciso istante dalla cucina con il cordless attaccato all’orecchio.
“Elizabeth...va di sopra! Subito.” urlò Magda.La ragazza salì le scale ridacchiando, con la coda nell’occhio Gabriel la vide sedersi sedersi a terra su uno scalino al piano di sopra intenta ad origliare.
“Sconveniente?!” esclamò Gabriel dopo qualche secondo. “E cosa avrei fatto di tanto sconveniente?
Sua madre gli puntò un dito contro. “Non provare a prendermi in giro Gabriel Hayes! Non so cosa tu abbia combinato, ma Melanie è una bravissima ragazza e ti vuole bene, e tu...tu… pensi a trastullarti con quella poveraccia!”
Al termine poveraccia il ragazzo sentì la rabbia montargli dentro.
“Adesso dai ragione allo sceriffo pure tu?! Pensi che sia stata Melanie a farsi quello da sola! Mamma...sul serio?!”
“Io non penso proprio niente. So solo che qualcuno ha fatto una bella scenata di gelosia alla centrale... e che quel qualcuno non sono di certo io! Sei cambiato Gabriel! Non sei più la stessa persona, non rispetti Melanie, ti mescoli a certa gente…per l’amor del cielo siamo appena stati in una centrale della polizia!
“Cosa c’entro ora io con la centrale della polizia?!” esclamò il ragazzo, sempre più colpito sul vivo.
“…E scommetto che centra lei. Oh sì, avrei dovuto immaginarlo che era colpa di Cecily!” continuò quella imperterrita.
“Stai parlando di tua madre per caso?!” urlò Gabriel di rimando, alzando sempre di più il volume della voce.
“Si sto parlando esattamente di lei! Hai cominciato a vederla senza dirmi nulla…e guarda ora cosa diavolo sta succedendo!” rispose Magda, che sembrava sempre di più aver perso ogni controllo. Si avvicinò al figlio, puntandogli un dito contro il petto. “Apri bene le orecchio: sta lontano da tua nonna, da quella casa e soprattutto da quella ragazza!”
 
   
 
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