(Perdonate il ritardo, settimana impegnata -_- ... ad ogni modo, spero che il capitolo vi piaccia <3)
I just wanna
be yours
Tutto ciò
che
sentiva erano brividi.
Si strinse nella
coperta che Josephine gli aveva posato sulle spalle, tirandosi le
ginocchia al
petto per cercare di trattenere il calore, ma era bagnato fin nelle
ossa e il
freddo gli scuoteva la spina dorsale.
Bugiardo.
Il freddo
c’entrava, sì, ma solo in parte. Ciò
che negava l’ossigeno ai suoi polmoni, che
gli faceva tremare le mani e arrossare le guance, non aveva niente a
che fare
con i suoi vestiti fradici.
Lui era
dall’altra parte della stanza, la distesa limpida dal forte
odore di cloro
della piscina a dividerli, seduto di fronte a lui con la nuca posata
contro il
muro, il lungo collo immacolato che aveva tutta l’aria di un
invito e gli occhi
color del cielo nascosti dalle palpebre.
Quello, si disse Tarjei, era
quello, nient’altro che
quello, come se non fosse
abbastanza.
Se chiudeva gli
occhi, poteva sentire le sue labbra così meravigliosamente
piene contro le sue,
divorandole come se si fosse appena accorto di essere affamato, quelle
stesse
labbra che adesso erano a pochi metri da lui, socchiuse e arrossate.
Sembravano
(erano) tutto ciò che desiderava, e dovette guardare altrove
per non alzarsi di
scatto, aggirare la piscina fino a raggiungerlo e sedersi sul suo
grembo,
prendergli il viso fra le mani e mostrare a tutti ciò che
gli aveva tenuti
occupati per dieci minuti, fino a quando non avevano dovuto mandare
Lisa a
vedere che fine avessero fatto.
La sua amica
aveva esclamato un fatidico ‘te l’avevo detto che
sarebbe andata bene’, un
sorriso a trentadue denti ad illuminarle il volto, e Tarjei aveva
nascosto il
rossore nell’incavo del collo di Henrik, che intanto gli
accarezzava la schiena
senza nemmeno cercare di trattenere le risate. Al loro rientro, li
avevano
accolti con fischi e pacche sulle spalle, fino a quando Tarjei non
aveva
mandato tutti a quel paese e si era andato a sedere in un angolo,
ringraziando
Josephine e il suo tentativo di evitargli la morte per assideramento.
Quando
tornò a
guardare di fronte a sé, i suoi occhi lo stavano
già aspettando. La gabbia
delle farfalle si aprì senza troppe cerimonie.
L’attimo
dopo,
il cielo non c’era più.
“Bevi, hai
le
labbra blu.”
Julie si
accovacciò di fronte a lui, una tazza di cioccolata calda in
mano e un
sorrisetto sornione sulle labbra. Oltre la sua spalla riusciva ancora a
vederlo, ma adesso stava guardando Ulrikke, che gli stava porgendo una
tazza
identica a quella di Julie.
Tarjei
sospirò,
si stropicciò gli occhi e poi li puntò sulla
donna di fronte a sé, accettando
la tazza con un mezzo sorriso e rabbrividendo al contatto con la sua
pelle
gelida. Julie lo guardò fare un sospiro di sollievo dopo il
primo sorso, poi
Tarjei si morse il labbro inferiore e tornò a guardarla.
“Credi che
sia
stupido?”
La donna
inclinò
la testa di lato, poi si sedette accanto a lui e rimase in silenzio,
aspettando
che continuasse.
“E’
normale o mi
sto solo comportando come un ragazzino bisognoso di essere
coccolato?”
“Non
dubitare di
te stesso, Tarjei. Se dubiti di te stesso non hai più
niente.”
Accennò
un
sorriso e gli posò una mano sulla spalla, stringendola e
scuotendolo
leggermente.
“Tu sei
l’unica
certezza che hai, l’unica che non ti deluderà mai:
non voglio spaventarti, ma
le persone non rimangono, e quelle che rimangono si contano sulle dita
di una
mano, e una di quelle sei tu. E
questo,”
gli lasciò la spalla, posandogli la mano
all’altezza del cuore “questo lo devi
ascoltare, perché fa parte di te, e potrebbe sbagliarsi
certo, ma te ne
accorgeresti. Perché questo,” gli picchietto una
tempia, sorridendo “oh, lui sa
cos’è vero e cosa non lo è.”
Tarjei
abbassò
lo sguardo, per poi cercare il cielo. Guardandolo, Julie sorrise
teneramente.
“Loro due
non
sono mai d’accordo.”
“E se lo
fossero?”
“Se lo
fossero
dovresti alzarti e fare ciò che ti dicono.”
Poteva quasi
sentirlo pensare. Quando parlò, era così
spaventato e piccolo che Julie
vacillò, indecisa se stringerlo a sé come avrebbe
fatto Martha o semplicemente
aiutarlo a rimettersi in piedi da solo. Inevitabilmente, scelse la
seconda.
“Lo
sono.”
“Alzati,
Tarjei,
e fa ciò che ti dicono.”
Il ragazzo
chiuse gli occhi, poi le porse la tazza, si sfilò la coperta
dalle spalle e si
fece largo fra i ragazzi a bordo piscina, ignorando i loro tentativi di
fermarlo per parlargli di cose che in quel momento occupavano
l’ultimo posto
nella lista dei suoi pensieri. Gli occhi di Henrik non
l’avevano lasciato
nemmeno per un attimo, ed era già in piedi quando Tarjei gli
prese la mano e lo
portò via con sé.
-
Da quando lo
aveva conosciuto, non era passato un giorno senza che avesse sorriso
almeno una
volta. Sorrisi accennati, sorrisi stanchi, sorrisi furbi, sorrisi tanto
grandi
da illuminare una stanza ed impedirgli di vedere, e tutti erano sorrisi
sinceri. Prima di lui la vita era noiosa, buia, fatta di litigi,
incomprensioni, cocci di piatti frantumati contro le pareti che
giacevano ai
suoi piedi, inermi e stanchi come si sentiva lui. Adesso, non aveva
nemmeno più
bisogno di fumare per vedere il mondo a colori: a volte scopriva una
nuova
tonalità di verde nei suoi occhi, di oro nei suoi capelli.
Colori e colori e
colori.
All’una di
notte, osservando il soffitto illuminato dal neon delle insegne fuori
dalla sua
finestra, cullato dallo scorrere dell’acqua nella stanza
affianco, era certo
che il sorriso che gli incurvava le labbra dovesse somigliare a quello
di un
ebete. Un folle innamorato che ripensa alle labbra di colui che gli
aveva
permesso di vedere i colori. Henrik pensò che fosse una
definizione
estremamente azzeccata. Il suo sorriso si allargò oltre i
limiti di ciò che
credeva possibile e si coprì gli occhi con le braccia quando
lo scorrere dell’acqua
cessò, fremendo non solo per la finestra spalancata e i suoi
capelli ancora
umidi.
Lo sentì
stendersi accanto a lui e un attimo dopo una delle sue dita gli
accarezzava le
labbra, poi il naso, passando per gli zigomi e la mascella e tracciando
la
lunghezza del suo collo, fino a fermarsi sulle sue clavicole scoperte.
Lo
sguardo che incontrò quando spostò le braccia dal
viso era di tale adorazione
che si chiese se lo meritasse, se ne fosse all’altezza. Si
disse che
probabilmente non lo era, ma il suo angelo meritava che almeno ci
provasse.
Tarjei era steso
a pancia in giù, un gomito a sorreggerlo e le guance
arrossate per la doccia
appena conclusa, indossava una delle sue magliette e aveva la bocca
socchiusa.
Henrik gli posò una mano fra i capelli, sorridendo quando lo
vide socchiudere
gli occhi e abbandonarsi al suo tocco.
“Ehi
baby.”
Tarjei sorrise e
lasciò cadere il gomito, avvicinandosi a lui fino a
nascondere il viso nel suo
collo. Henrik lo circondò con entrambe le braccia, tornando
ad accarezzargli i
capelli quando lo sentì mugolare in protesta.
“Hai i
capelli
bagnati, ti ammalerai così.”
“Non
m’importa.”
“A me
sì però.”
Lo sentì
sorridere contro la sua pelle e la sua mano salì fino ad
afferrargli spalla,
cercando di stringersi ancora di più a lui, fino a
ritrovarsi più su di lui che
sul materasso.
“Anche tu
hai i capelli
bagnati.”
“Sono solo
umidi,
e io non mi ammalo.”
Tarjei
accennò
un risata, scuotendo leggermente la testa. Restarono in silenzio per un
po’,
tanto che Henrik credette che si fosse addormentato, ma alla fine
Tarjei parlò.
“Cosa dice
il
tuo cuore?”
In risposta, il
diretto interessato perse un battito. Henrik prese la mano che gli
stringeva la
spalla e se la posò sul petto, dove i battiti non avevano
rallentato neanche
per un attimo da quando erano usciti da quella piscina.
“Ascolta.”
Il ragazzo
rimase in silenzio, poi si allontanò tanto da portare il
viso all’altezza del
suo e guardarlo negli occhi. Deglutì visibilmente,
inumidendosi le labbra come
se avesse qualcosa di estremamente difficile da dire, e
spostò la mano per
posarla sulla sua guancia e accarezzargli la tempia con la punta di un
dito.
“E lui
dice la
stessa cosa?”
Henrik
annuì
lentamente, senza aver bisogno di pensare nemmeno per un secondo alla
risposta
da dare. Tarjei posò la fronte sulla sua, facendo sfiorare i
loro nasi.
“Voglio solo essere tuo.”
Il bacio che
seguì quelle parole tolse il fiato ad entrambi, eppure era
lento, dolce, pieno
di parole che non avevano bisogno di essere pronunciate ad alta voce.
Lo sei, lo sei, lo
sei ed io sono tuo,
tuo, tuo e di nessun’altro.
Si baciarono
fino a quando i loro sorrisi divennero così grandi da
impedirglielo. Allora
Henrik strofinò il naso contro il suo e gli
circondò la vita con le braccia,
facendolo stendere del tutto su di lui prima di mettersi seduto e
tenerlo per i
fianchi. Tarjei spalancò gli occhi e strinse le mani attorno
al suo collo.
“Che stai
facendo?”
“Ti porto
in bagno
per asciugarti i capelli, non ho intenzione di lasciare che ti prenda
la
febbre.”
Tarjei rise e
gli circondò la vita con le gambe.
“Questo si
chiama giocare sporco.”
“Questo si
chiama preoccuparsi per la salute del proprio ragazzo, dovresti solo
ringraziarmi.”
Anche se non
poteva vederlo sapeva che le sue guance si erano colorate di
quell’adorabile
rosso che amava così tanto, e gli posò un bacio
fra i capelli quando lo sentì
ripetere ‘grazie’ contro il suo collo,
puntualizzando ogni parola con un
leggero bacio.
-
“Henrik
hai già
incontrato mia madre, tipo dodici volte da quando ci conosciamo, mi
spieghi perché
adesso sei nervoso?”
Tarjei
guardò il
ragazzo (il suo ragazzo) passarsi
una
mano fra i capelli per l’ennesima volta da quando erano
usciti di casa. Lo
fermò in mezzo al marciapiede posandogli una mano sulla
guancia, costringendolo
a guardarlo negli occhi. Henrik posò una mano sulla sua e
sospirò.
“Prima non
era ‘la
mamma del mio ragazzo’, okay? Adesso è tutto molto
più serio.”
“Mia madre
ti
adora, cioè quando mi chiama chiede prima come stai tu e poi
mi saluta.”
Henrik rise e
portò la sua mano alle labbra baciandone il dorso per poi
far intrecciare le
loro dita. Tarjei arrossì e sorrise, per poi tornare a
camminare.
“Secondo
te avrà
chiamato anche mia madre?”
“Dopo il
messaggio che le ho mandato stanotte è sicuro.”
“Baby,
potevi
evitare di scriverle nel bel mezzo della notte ‘io ed Henrik
abbiamo qualcosa
di importante da dirti’.”
“Ma
è vero.”
Sorrise quando
gli baciò una guancia e poco dopo arrivarono di fronte alla
porta. Aveva appena
alzato una mano per suonare il campanello che la porta si
spalancò, rivelando
un Mathias che li guardava divertito. Henrik si stropicciò
il viso con la mano
libera.
“Non ci
credo,
ha portato anche te?”
“Fratello,
ho
letteralmente dovuto strapparle il telefono di mano per impedirle di
chiamare
papà dalla Svizzera.”
Il ragazzino
notò le loro mani intrecciate e alzò le
sopracciglia, poi sorrise e abbracciò
entrambi, prima di tornare all’interno.
“Tuo
fratello è
troppo intelligente per la sua età.”
Henrik
borbottò
un ‘lo so’ e Tarjei gli strinse la mano, per poi
varcare la soglia e chiudere
la porta alle loro spalle. Quando entrarono nella cucina, le due donne
avevano
lo stesso sorrisetto sulle labbra.
“Buongiorno
…”
Martha sorrise e
si voltò verso Siv, che rise alzando gli occhi al cielo e si
rivolse ai due
ragazzi.
“Non
c’è bisogno
di essere nervosi, bambini, lo sapevamo già.”
Henrik rise,
lasciando che la tensione abbandonasse i suoi muscoli, e si
avvicinò a sua
madre, dandole un bacio sulla fronte. Tarjei sorrise guardandoli e poi
si voltò
verso sua madre, che gli fece segno di avvicinarsi e lo accolse fra le
sue
braccia.
“Era
così ovvio?”
“Nah,
sesto
senso da mamma.”
“In
realtà era
piuttosto ovvio.”
“Mathias!”
“Che
c’è mamma?
E’ vero.”
Tarjei rise e
sciolse l’abbraccio, per poi guardare il ragazzino.
“Ehi,
Mathias.”
“Si?”
Sorrise.
“Adesso so cosa sono.”