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Autore: Marge    14/04/2017    4 recensioni
Questa è una storia particolare, diversa dalle solite, un’idea che mi è venuta qualche anno fa ma solo ora ha trovato la via della luce.
L’umanità – o almeno quel che ne resta – vive in Navi organizzate in una grande Flotta spaziale. La Terra è perduta per sempre a seguito di una grande Catastrofe Naturale, e il Gran Consiglio controlla e coordina la vita delle persone, portandole alla ricerca di un nuovo pianeta dove vivere. Ma questo succede ormai da quattrocento anni, e Shui è depresso e triste di questa vita; Mahi invece sogna la terra e l’erba e il sole sulla pelle, con testarda speranza; oltre a loro una professoressa single quarantenne che forse ne sa un po’ di più degli altri, una quindicenne in piena crisi adolescenziale, navi spaziali, universo profondo, lotte di potere, e, ovviamente, i Domini. Ma che fine ha fatto l’Avatar? Come mai da secoli nessuno ne sente più parlare?
Una storia particolare per la quale serve un po’ di fiducia iniziale; non so dove arriverò, ma vi prometto un autentico stile Avatar; pubblicherò un capitolo a settimana e offro biscotti pieni d’amore a chi vorrà farmi avere il suo parere :)
Genere: Avventura, Science-fiction, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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LIBRO PRIMO: ACQUA



VIII
L'Archivio



Suo padre era orgoglioso che Wo gli avesse chiesto di condurla, ancora una volta, a visitare gli uffici del Gran Consiglio. Wo ci era già stata una volta, con un gruppo di altri bambini, durante le scuole primarie e all’epoca anche lei era stata fiera di essere la figlia di uno dei più grandi capi.
“Non è proprio così” aveva riso lui, anche se quelle prole gli avevano acceso una luce negli occhi. “Sono solo un funzionario della Difesa. Ma un giorno, magari, tu potresti diventare un membro del Gran Consiglio. Sei molto intelligente per la tua età, Wo.”
Wo non era più così sicura di essere felice che suo padre lavorasse nella Difesa, né di voler diventare qualcuno. Aveva solo paura perché sua madre, di nascosto, aveva continuato a piangere per giorni e non era un buon segno. Era un pianto disperato e rassegnato, terrorizzante. Così gli aveva chiesto di poterlo accompagnare ancora una volta, con la scusa di dover scegliere presto verso quali studi universitari indirizzarsi.
Suo padre gli aveva mostrato la grande sala ovale dove il Consiglio si riuniva quando ve ne era bisogno, lo scranno occupato dal Presidente e dai quattro rappresentanti delle Flotte, e tutti gli spalti dove sedevano i consiglieri. Era una sala così grande e profonda da far girare la testa, delle dimensioni, da sola, di alcune delle navi civili più piccole. Attorno alla sala, come un alveare, si ammassavano corridoi e uffici di ogni funzione e a Wo sembrava che ci fossero migliaia di persone al lavoro. La Difesa occupava uno dei piani più alti e più larghi.
“Qui ci occupiamo di coordinare l’attività delle Navi Militari” stava spiegando suo padre con il tono di una guida turistica. “Come sai il mio lavoro è proprio questo: formare i nostri soldati, tenerli sempre pronti, …”
“Pronti a cosa?” lo interruppe Wo. “Le Flotte sono unite, no?”
“A volte vi sono piccoli movimenti di ribellione da sedare” spiegò lui con tono triste. “Persone che credono di poter trovare da sole il nuovo pianeta, piccole navi da cento persone che credono di poter sopravvivere nell’Universo infinito senza la coordinazione centrale, senza le Navi Orto, le Navi Laboratorio, le Navi Ospedale… Inoltre le Navi Militari si occupano della navigazione, dello studio delle rotte, dell’individuazione di galassie con pianeti in posizioni favorevoli rispetto alle rispettive stelle. Riesci a seguirmi?”
Wo annuì, composta.
In quel momento un uomo li interruppe e suo padre si ritirò in un angolo a parlare sottovoce.
“Wo, devo assentarmi per una mezzora. Credi di poter rimanere da sola senza infastidire nessuno? Ti accompagno nel mio ufficio. Hai qualcosa da fare mentre mi attendi?”
Wo sorrise e assicurò che sì, aveva con sé i compiti di scuola e se ne sarebbe rimasta tranquilla ad aspettarlo.
Non appena suo padre se ne fu andato, tirò un sospiro. Purtroppo una ragazzina in uniforme delle scuole superiori non passava inosservata nel corridoio di uno degli ufficio del Gran Consiglio, quindi non sapeva davvero come fare per curiosare un po’ in giro.
Non aveva un piano preciso. L’ufficio di suo padre era piccolo ma ingombro di carte; lo schermo del computer alla scrivania era spento, così come altri quattro alle pareti. Provò a sfiorarli ma, ovviamente, non si accesero, perché nonostante condividesse la metà del patrimonio genetico di suo padre, non aveva esattamente la stessa impronta digitale.
Sospirò. Se non avesse scoperto nulla, non avrebbe potuto far altro che aspettare il giorno in cui suo padre l’avesse condotta a fare quella cosa. Non aveva voglia di scoprire cosa fosse.
Aprì a caso qualche fascicolo ma non trovò altro che complicate mappe celesti con rotte tracciate. In qualche modo, lì al Gran Consiglio riuscivano ancora ad avere della carta, anche se era scura e sottile. Wo aveva un solo libro di carta vera, ed era stato un regalo speciale per i suoi dodici anni. Avrebbe potuto portarlo con sé, quando fosse partita per quella cosa?
Notò appesa in un angolo una riproduzione della struttura del Gran Consiglio; vi erano disegnati i piani con l’indicazione della funzione (nono piano, Difesa, tracciò con un dito), gli uffici, i passaggi. Trovò il nome di suo padre, così seppe dove si trovava, e notò che la stanza subito alla sua sinistra si chiamava “Archivio”. E, cosa ancora più strabiliante, dal disegno sembrava vi fosse una porta comunicante tra le due, senza dover passare dal corridoio. Si guardò intorno con attenzione e la notò subito, dietro uno degli schermi. A scuola ne avevano uno simile: scendeva dal soffitto per le lezioni, posizionandosi esattamente davanti la porta. E, dal momento che le Navi condividevano una tecnologia simile e negli ultimi quattrocento anni la squadra di tecnici per le riparazioni e le innovazioni era stata una sola, non le fu difficile trovare il pulsante, esattamente identico, a lato dello schermo. Spinse sulla freccia e quello salì, obbediente, fino al soffitto. Allora Wo aprì la porta e si intrufolò nella stanza accanto.
Solo quando fu dentro si rese conto che non aveva neanche controllato se ci fosse qualcun altro, ma era sola.
L’archivio consisteva in una lunga fila di schedari, alti fino al soffitto, chiusi da serrande scorrevoli. Ne alzò una a caso e scoprì una miriade di cartelle, tutta vera carta, in un intricato sistema scorrevole. Tirò con entrambe le mani per farlo muovere e il fruscio della carta la fece sobbalzare. Sfilò una cartella grigia e notò che riportava un cognome: Mosy. Conteneva fogli tutti uguali, sottili e scuri, con foto e dati su ogni singolo componente della famiglia. Lo rimise a posto e ne pescò un’altra, questa volta di colore rosso; all’interno tutti i fogli era scuri, tranne uno: la scheda di un bambino sui dieci anni era stampata su una sottile carta rossa. Continuò a sfilare cartelle: in alcune i fogli erano tutti uguali, sottili e scuri, ma altre avevano fogli colorati, soprattutto di bambini, e ve ne erano di rossi, verdi, azzurri e bianchi. Ne fece scivolare alcuni a terra. Chiuse la serranda con un colpo secco e le aprì una dopo l’altra fino ad arrivare alla H. Frugò con il cuore all’impazzata finché non la trovò: Huei. I primi due fogli erano scuri, e le foto di suo padre e suo fratello erano stampate senza colori. Come terzo, scivolò via dalle sue mani e cadde in terra un foglio bianco, candido, da cui una Wo a colori le sorrideva: era la stessa foto che portava sul cartellino identificativo che aveva appeso alla divisa. Si accorse di tremare. Scorse ancora la cartella, ma non trovò altri fogli bianchi e neanche la scheda di sua madre. La infilò di nuovo al suo posto, lasciando la propria scheda a terra.
Doveva riflettere un attimo. Non capiva ma aveva la mente vuota e non riusciva a concentrarsi. Aprì ancora qualche serranda, fece scorrere le cartelle in ordine sparso e prelevò qui e là qualche foglio colorato. Ne prese anche qualcuno di quelli scuri.
D’un tratto si illuminò: era un archivio cartaceo perché così non sarebbe stato possibile a nessuno consultarlo, se non i pochi autorizzati. Tutto il materiale digitale era di proprietà del Consiglio, non vi era informazione che non fosse controllata. Il Consiglio aveva il permesso di entrare in ogni tablet, computer, e device anche privato e poteva controllare l’attività di ogni cittadino delle Flotte.
Per questo, quando aveva dodici anni, Min le aveva regalato un libro di carta con le pagine tutte vuote: affinché Wo potesse scrivervi, se ne aveva voglia, tutto ciò che desiderava senza che nessuno potesse leggerlo. Wo lo custodiva gelosamente sotto al materasso, dove era certa suo padre non lo avrebbe mai trovato, soprattutto perché ne ignorava l’esistenza. Quel libro vuoto e la penna per scrivervi erano uno dei pochi tesori segreti di Wo, e l’archivio era lo stesso: una raccolta segreta di dati che solo suo padre e i suoi potevano consultare.
Con mani tremanti Wo raccolse i fogli da terra, ne fece un fascicolo e se li infilò sotto la canottiera, a contatto con la pelle. Come in trance richiuse tutte le serrande, non prima di aver girato per bene i rulli, così da evitare che qualcuno si accorgesse immediatamente che alcune cartelle erano state toccate. Tornò nell’ufficio di suo padre, premette il pulsante per far tornare lo schermo davanti la porta e si sedette su uno dei divanetti. Aprì il proprio tablet, che portava con sé nella cartelletta di scuola, e si mise a fissare uno dei testi da studiare per il giorno successivo.
Quando suo padre rientrò per portarla a mangiare qualcosa, si accorse di aver lasciato impronte di sudore sul piccolo schermo e di non aver scorso neanche una pagina.


  
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