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Autore: baby80    15/04/2017    16 recensioni
Ho voluto immaginare un epilogo differente della puntata "accusa di tradimento". Cosa sarebbe successo se...
Genere: Drammatico, Erotico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: André Grandier, Generale Jarjayes, Oscar François de Jarjayes, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Arrivammo a Parigi che era ormai passata la mezza e la pioggia, di grazia, sembrava averci concesso un momento di quiete dopo ore di incessante lacrimare.
In me non vi era più nulla di asciutto, i capelli mi ricadevano mollemente sul volto gocciolando perle di quel diluvio appena passato e gli indumenti che indossavo erano così profondamente zuppi da pesarmi sul corpo come se fossero stati confezionati con la pietra. Mi sentivo esausta per il viaggio ed anelavo solamente un riparo di qualunque tipo e del fuoco davanti al quale asciugarmi le vesti, ed ancora, ma forse la mia mente stava osando troppo, una tinozza dove poter lavar via il disgusto della sera appena trascorsa. Ma quando vidi dove eravamo diretti mi ricaccia nelle meningi le neonate aspirazioni.
Nel quartiere che oramai era stato varcato non solo non ci sarebbe stato un camino con del fuoco vivo al suo interno, e tanto meno una vasca per il bagno, ma dubitai perfino che avremmo trovato una casa con tutte le travi sul soffitto e quel pensiero mi fece sentire male.
Non ero mai stata una persona con la puzza sotto il naso, per il tipo di educazione che avevo ricevuto il mio carattere era stato forgiato per sopportare ogni genere di situazione, anche la più avversa, eppure mi sorpresi insofferente davanti a quella circostanza.
Lasciammo la strada principale e ci addentrammo lungo la Senna, verso una via secondaria che riconobbi immediatamente, ci trovavamo nel sobborgo di Les Halles e quel posto mi colpì da subito col fetore delle proprie interiora. Il nostro cavallo era stato invitato a seguire un movimento lento, al passo, così che ebbi modo di guardare con attenzione ciò che mi stava attorno, ero già stata in quel luogo durante una ronda giornaliera con i soldati del mio reggimento, per tenere a bada i disordini divenuti una quotidiana consuetudine  nelle strade di Parigi, tuttavia non ricordavo tutta quella bruttura.
Abbassi lo sguardo sul selciato che stavamo percorrendo e mi accorsi di quanta sporcizia e letame vi fosse al di sopra, una quantità tale da serrarmi la gola.

“Qualcuno dovrebbe occuparsi di tutta questa sporcizia.”
ritrovai le parole che durante il tragitto da palazzo Jarjayes a Parigi erano sparite. Nessuno dei due aveva aperto bocca in quelle ore, io non avevo chiesto quali sarebbero state le sue intenzioni e lui non si premurò di informarmi su alcunché.

“Tu dici, Oscar? Ho sentito dire che la nobiltà gradisce un selciato molle per le carrozze.”
mi rispose di rimando André, con un tono sprezzante della voce ed io non seppi ribattere, conscia della stupidaggine che, per i tempi che stavamo vivendo, non avrebbe dovuto neppure sfiorarmi la mente. E forse perché anch'io facevo parte di quella nobiltà che guardava ma non vedeva cosa stava accadendo al popolo francese.
Mi irrigidii, raddrizzai la schiena e nel compiere quel movimento urtai contro il torace di André, rammentando quanto poco spazio vi fosse tra di noi e, mentre cercavo di condurre la ragione al di fuori della pelle, lo sentii spingermisi addosso così strettamente da provare un senso d'oppressione. Presi in considerazione la prospettiva di scivolare io stessa più avanti, ma non vi era più neppure un lembo di seggiola da occupare, per cui rimasi immobile, attenta a respirare il più lentamente possibile poiché anche quella manovra rendeva i nostri corpi ancora più serrati.

“Dove siamo diretti? Hai intenzione di alloggiare in qualche locanda?”
domandai quasi senza averne coscienza, ferma nella medesima postura.

“Una locanda è fuori discussione, a quest'ora della notte nessun oste ci farebbe entrare, a meno che...”
sentii il soffio di quelle parole sulla guancia destra e fu un primo colpo alla mia fortezza, ma non crollai, per nulla al mondo avrei mostrato quel cedimento. Non dopo le interminabili ore di cammino, che erano state croce e delizia d'una giornata paradossale.
Era stato un viaggio difficile il nostro, perché se avevo odiato il ridestarsi della mia femminilità ancor di più avevo maledetto il suo essere uomo, che non mi diede tregua, palesandosi con prepotenza in ogni suo gesto. Quando, dopo aver messo parecchia strada tra noi e palazzo Jarjayes, allarmato forse da un rumore proveniente dalla boscaglia al margine della strada, vidi le mani di André agguantare con forza le redini e subito dopo lo sentii poggiare il petto sulla mia schiena, invitandomi senza domandarlo ad assumere una posizione prona. Quella che si prende quando si ha l'intenzione di spingere l'animale oltre il limite del galoppo. Capii subito le sue mire e non opposi resistenza, mi adattai alla sua forma e mi tenni il più stretta possibile all'estremità della sella, e prima che potessi anche solo formulare un nuovo pensiero le sue braccia mi si chiusero attorno e così pure le gambe, a ridosso delle mie cosce.
Vorrei poter raccontare, come declamerebbe un commediante, di brividi e palpiti d'amore, ma così facendo mentirei soltanto nel tentativo di occultare qualcosa di più terreno, che nulla ha da invidiare al romanticismo, ma che possiede a suo vantaggio un elemento più appagante.
Lo stomaco prese a dolermi senza strazio, come se un'invisibile mano vi fosse comparsa all'interno per agguantare le viscere, e li, in una profondità del ventre, qualcosa al suo interno si contrasse.
Una fitta, che non fu amara e neppur tenue, mi fece dono d'una movenza liquefatta che cominciò a pulsare nell'abisso del mio grembo.
Era dunque quello il piacere a cui innumerevoli poeti avevano dedicato poemi? O si trattava forse di quella bramosia che m'ero premurata di rifuggire da quando le fattezze di bambina m'avevano abbandonato?
Durante tutta la peregrinazione decisi di godere della vicinanza di colui che conoscevo da una vita intera e, sopra ogni altra cosa, mi lasciai guidare dall'ondeggiare del cavallo, così deliziosamente malevolo che mi ritrovai ad apprendere ciò che non mi era stato insegnato, rincorrendo l'andare e venire delle nostre forme, al fine di aumentare il diletto appena scoperto.

“...tutte le locande sono chiuse, perfino la taverna dei “Tre cavalieri”. Strano, solitamente c'è sempre qualcuno che tenta di portare all'interno qualche cliente...”
mi accorsi che André aveva seguitato nel chiacchierare solo quando fermò il cavallo ed io mi ridestai dalla visione dei miei pensieri. Seguii la direzione della sua mano che indicava una vecchia insegna di legno, sulla quale vi erano raffigurati tre cavalieri a cavallo e tre scheletri che stavano loro davanti, e riconobbi in quella illustrazione una leggenda medievale, quella dei Tre morti e dei tre vivi (1).
Mi sfuggì un sorriso, riflettendo sull'ennesima ironia di quella notte e provai a trovare un ordine nel garbuglio dei discorsi che, distratta, avevo ignorato.

“A meno che? A quale condizione ci si aprirebbero le porte delle taverne?”
domandai, ricordando una frase lasciata in sospeso chissà quanto tempo addietro, troppo mi venne da pensare, perché lui impiegò un'eternità per rispondere.
Ruotai il capo alla ricerca d'una replica che non voleva giungere e trovai sul volto di André un'espressione dubbiosa, le sopracciglia erano corrucciate e la bocca lievemente dischiusa, poi sembrò riaversi, come fosse stato pungolato da uno spillo.

“Se fossimo due uomini in cerca di compagnia e con del denaro sonante nelle tasche, Oscar.”
la mia curiosità fu soddisfatta più di quel che avrei voluto.

“Allora cosa stiamo aspettando? Ho del denaro e...”
proposi, decisa a porre fine al tormento che il suo corpo mi stava infliggendo.

“Non mi pare il caso Oscar. Se l'oste decidesse di aprirci le porte, e sottolineo se, non lo farebbe per alloggiare un paio di uomini per la notte. No, quel disturbo implicherebbe il pagamento di una stanza e la compagnia d'una donna. E non ci potranno essere giustificazioni per declinare l'offerta, e perdonami, ma questa notte non ho alcuna voglia di fare a botte.”
replicò prontamente, esponendo quel che sarebbe dovuto essere ovvio anche per me.
Avrei voluto trovare una soluzione ma la resa mi serrò le labbra, permettendo solo ad uno sbuffo di discorrere al mio posto.

“Non darti pensiero Oscar, c'è un posto, non molto distante da qui, dove possiamo andare.”
il tempo che impiegò a concludere la frase fu quello che ci volle per giungere a destinazione.
Terminammo il nostro cammino in Rue de la Lingerie e più precisamente in un appartamento che stava dirimpetto ad una bottega di cucitrici. Le cucitrici di bianco, enunciava l'insegna impreziosita da un bordo di pizzo finemente lavorato.
Avevo sentito parlare di quelle botteghe durante uno dei tanti discorsi che venivano pronunciati alla Reggia di Versailles, era li che le dame di compagnia, le preferite, o per meglio dire le galoppine delle virtuose nobildonne, si recavano a comperare cuffiette, scialli ed altri fronzoli alla moda. Si vociferava che le ragazze prese come apprendiste fossero rinomate per la loro bellezza e, tra le molteplici maldicenze, di non aver fama d'essere particolarmente virtuose. Mi attardai a riflettere su quel particolare così fastidiosamente futile; una donna, a cui la provvidenza ha fatto dono della bellezza, sarà irrimediabilmente destinata a perdere l'onestà e darsi al vizio?

“Hai intenzione di rimanere fuori tutta la notte?”
la voce di André, così come la sua mano che mi invitava ad entrare, mi riportarono all'afosa notte parigina.
Varcai la soglia e studiai il nuovo ambiente, che mi si mostrò da subito per quel che era; uno stanzone spoglio che, con molta probabilità, comprendeva l'intera planimetria dell'appartamento. Non vi era divisione tra quello che avrebbe dovuto essere il salotto e la cucina, riconoscibili soltanto dal mobilio differente che ne caratterizzava la funzione e, oltre la sola apertura che era priva però dei battenti d'una porta, azzardai vi fosse una camera da letto.
Malgrado la sistemazione di fortuna ringrazia il cielo d'avere un tetto sopra la testa, ma neppure quello riuscì a placare l'apprensione che mi agitava le mani.
La preoccupazione virò ai soldati della guardia, ai dodici uomini che erano ancora rinchiusi nella prigione per una scelta che, seppure presa in piena coscienza, mi pesava sul cuore come un macigno.
Non ero morta, e non sarebbero morti neppure loro poiché avrei fatto qualsiasi cosa per salvarli.
Girai i tacchi e calpestai alla rovescia i passi che avevo compiuto poco prima, pronta a lasciare quella casa per fare ciò che andava fatto.

“Oscar, dove stai andando?”
lo stupore e la stanchezza, li riconobbi già quando gli sentii articolare il mio nome.

“Devo parlare con Bernard, sono sicura che lui potrà fare qualcosa per salvare i miei soldati...”
rivelai con una determinazione tale d'essere riuscita a convincere anche me stessa.

“Domani, ci andrai domani. Forse non te ne sei accorta, ma la mezza è passata da un pezzo e sarebbe indelicato presentarsi a quest'ora alla porta di un uomo sposato.”
André aveva la capacità di smorzare qualsivoglia entusiasmo, con la delicatezza d'un pachiderma. Ma indubbiamente aveva ragione, il momento sarebbe stato inopportuno.
Non mi voltai subito, di proposito scelsi di mostrargli le spalle, perché mi terrorizzava il pensiero di vedere sul suo volto il velo del rammarico.
Bernard, che ti è così similare nelle fattezze, colui che ti ha privato della luce di un'iride, ha abbracciato l'amore ed ora può dirsi, nel bene e nel male, d'essere un uomo sposato.
E tu, vorresti la stessa cosa? È quello che vorresti per noi?
Nel pronunciare quel Noi, nel segreto della mia mente, percepii le guance ardere con prepotenza.
Trassi un respiro profondo e mi obbligai ad affrontare il suo sguardo, augurandomi che il rossore delle gote si fosse dissolto, anche se il calore al di sotto della pelle era ancora vivo.

“Credi che potrebbe esserci qualcosa da mangiare?”
chiesi per togliermi da un imbarazzo che soltanto io sapevo esistere, con un accenno di disagio per quella richiesta che mi parve fastidiosa. Vi erano questioni di vitale importanza da risolvere, come l'ira di mio padre, il destino dei miei soldati, o il fardello del tradimento Reale, ed io stavo mettendo al di sopra di ogni cosa i richiami del mio stomaco. Mi domandai con quale forza la povera gente riusciva a seguitare a vivere, ogni dannato giorno creato dal signore, con i morsi della fame.
Avrei voluto piangere, non per me stessa, ma per la disumana condizione che stava prosciugando la mia amata Parigi, ma ricacciai indietro le lacrime e tallonai André, già all'opera nella vana ricerca di viveri.
Intraprese una comica caccia al tesoro rovistando nei cassetti e nelle ante della credenza, e perfino nel comò in quella che avevo giustamente immaginato fosse la stanza da letto, ma non trovò nulla di commestibile, neppure un tozzo di pane raffermo. Scovò invece, sul fondo d'un cassone, una fornitissima riserva di vino, di mediocre qualità.

“Non è pane e formaggio, ma ci riempirà lo stomaco ugualmente.”
sentenziò André, e così dicendo afferrò una bottiglia, prese un paio di bicchieri dalla dispensa e, poggiati sul tavolo, li riempì fino all'orlo.
Si sedette su una delle sole due sedie che vi erano ai capi opposti del piccolo tavolo, invitandomi a favorire di quell'insolito desinare, spingendo il calice nella mia direzione.
Quella di ingurgitare del vino scadente a stomaco vuoto fu una pessima idea, ma l'appetito si stava facendo insopportabile e, al diavolo, persino la ragione reclamava un po' di stordimento.
Da principio ne bevvi a piccoli sorsi, per permettere alla bocca di abituarsi ad un gusto nuovo, non cattivo, quello no, ma differente. Con una punta di acredine che tanto somigliava a quella nuova vita.

“Dunque, di chi è questo appartamento?”
gli chiesi, rimanendo in piedi, addossata alla vecchia credenza praticamente vuota.

“Si potrebbe definire un appartamento d'appoggio, per quei soldati che non hanno una casa. Lo si può affittare per pochi soldi.”
rispose atono, gingillandosi col tappo di sughero della bottiglia, che correva avanti e indietro, tra le sue dita.

“E tu non ce l'hai una casa, André?”
si vestirono col presagio del dubbio, le mie parole. Temevo la verità ma nel contempo ero impaziente di conoscerla.

“Ci sono stati molti cambiamenti nella mia vita. Ed uno di questi è che non mi sento più a casa, a Palazzo Jarjayes.”
così dicendo sollevò il volto dal proprio gioco e mi guardò, come non aveva più fatto da anni. E nel suo unico occhio sano lessi qualcosa che mi straziò il cuore. E dovetti abbassare le palpebre per nascondere la vergogna.




(1) La leggenda sembra derivare da un racconto incluso nei "Dits moraux" scritto da Baudoin de Condé. Essa narra di tre giovani cavalieri durante una partita di caccia che scoprirono tre cadaveri. Essi sono atterriti da questo "specchio..", che risulta però benefico, in quanto i tre morti ammoniscono sulla vanità dei piaceri terreni. Alcune varianti aggiungono che i tre morti si rivolgono a turno ai tre cavalieri dicendo : "Io fui Papa", dice il primo ; "Io fui Cardinale", dice il secondo ; "Io fui Notaio apostolico", dice il terzo : E poi, tutti assieme :"Voi sarete come noi : potere, onore, ricchezza sono vani". I cavalieri fuggono via ma, poco dopo, essendo loro apparsa una croce, si rendono conto di aver avuto un avviso dal cielo. Spesso, nella versione italiana del soggetto, all'apparizione dei tre morti è presente anche il monaco Macario, che reca in mano un cartiglio in cui è scritto l'ammonimento "Voi sarete quel che noi siamo".
La figurazione del Camposanto di Pisa è tra le prime manifestazioni del tema nella grande arte, mentre le sculture del portale della chiesa degli Innocenti a Parigi, con il medesimo soggetto, fatte eseguire nel 1408 dal Duca di Berry, e che andarono perdute nel Seicento con la demolizione del portico, furono la rappresentazione più popolare che il Medioevo avesse avuto della Morte.
  
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