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Autore: Sophja99    15/04/2017    5 recensioni
Sono ormai passati milioni di anni dal Ragnarok, la terribile sciagura che ha provocato la morte di quasi tutti gli dei e le specie viventi e la distruzione del mondo, seguita dalla sua rinascita. Grazie all'unica coppia di superstiti, Lìf e Lìfprasil, la razza umana ha ripreso a popolare la nuova terra. L'umanità ha proseguito nella sua evoluzione e nelle sue scoperte senza l'intercessione dei pochi dei scampati alla catastrofe, da quando questi decisero di tagliare ogni contatto con gli umani e vivere pacificamente ad Asgard. Con il trascorrerere del tempo gli dei, il Ragnarok e tutto ciò ad essi collegato divennero leggenda e furono quasi dimenticati. Villaggi vennero costruiti, regni fondati e gli uomini continuarono il loro cammino nell'abbandono totale.
È in questo mondo ostile e feroce che cresce e lotta per la sopravvivenza Silye Dahl, abile e indipendente ladra. A diciassette anni ha già perso entrambi i genitori e la speranza di avere una vita meno dura e solitaria della sua. Eppure, basta un giorno e un brusco incontro per mettere in discussione ogni sua certezza e farle credere che forse il suo ruolo nel mondo non è solo quello di una semplice ladruncola.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Capitolo ventotto

Fiducia e rispetto


Silye scese da sola da Sleipnir, facendo attenzione a non posizionare male il piede sulla staffa per non rompersi anche una gamba, oltre al braccio.

Il cavallo li aveva condotti all'estremità settentrionale del bosco di Hoddmímir, proprio nel punto, non troppo lontano dalla sua casa, dove gli alberi della foresta incontravano i piedi delle montagne Hlekker, una lunga e immensa catena montuosa che faceva da scudo all'intero regno di Midgardr, del tutto chiuso dall'esterno, oltre che dai monti, dalle mura a est e ovest e dal mare a sud.

Da quando erano risbucati nel bosco Vidar non la aveva degnata di una parola e nemmeno di uno sguardo. Era sceso dal cavallo ed era andato da Baldr, che aveva attraversato il vortice insieme a loro. Si erano allontanati da lei, parlando animatamente, come con la precisa intenzione di estrainarla e non lasciarle ascoltare le loro conversazioni.

Da lontano, dopo che la ladra era finalmente riuscita nell'impresa di toccare terra senza rompersi alcun osso, Vidar le lanciò un'occhiata, interrompendo la discussione con il fratello, dicendole: «Occupati te di riportare indietro Sleipnir.» Quindi, seguì Baldr, svanendo nel fitto della boscaglia.

Dopo pochi istanti, in cui Silye rimase immobile e in silenzio, come a cercare di interpretare il suo atteggiamento, la ragazza si decise a distogliere lo sguardo dal punto in cui aveva visto per l'ultima volta il dio, per volgerli al suolo. Vide una manciata di sassolini innocui e cercò di sfogare la rabbia calciandoli e scagliandoli lontano. «Non sono la tua servetta, diamine!» gridò, rivolta a Vidar, ormai troppo distante per riuscire a sentirla.

Si girò verso Sleipnir, che per tutto il tempo se ne era stato tranquillo a brucare l'erba e scuotere la nuca nel vano tentativo di allontanare un manipolo di moscerini che lo stavano infastidendo, ma invano, poiché quelli si riavventavano subito su di lui. «A quanto pare siamo in due a non riuscire a liberarci di ospiti indesiderati» disse, accarezzandogli il collo e prendendo le briglie per trasportarlo di nuovo nella sua capanna.

L'orizzonte di montagne, tanto grandi da arrivare fin sopra alle nuvole, venne coperto dagli alti alberi della foresta. Silye inspirò a pieni polmoni l'aria fresca della sua terra: le era mancato Hoddmímir. Gli inferi e le vicende vissute là le avevano lasciato un senso di spaesamento e profonda inquietudine, che, tuttavia, si stavano iniziando ad acquietare una volta tornata nel bosco. La vista di quel paesaggio così familiare e calmo era riuscito anche ad attenuare il dolore al braccio, a cui stava iniziando ad abituarsi. Rimaneva indicibilmente forte, ma ormai le fitte stavano diventando regolari e abbastanza sopportabili. Era un po' come Vidar: all'inizio era, -e continuava ad essere-, fastidioso e irritante, ma con il tempo stava iniziando ad imparare a conviverci, anche se con immensa difficoltà.

Ora che poteva vederla alla luce del sole, si accorse delle reali e pessime condizioni della ferita. Si fermò per strappare la manica ormai del tutto lacerata per vederla meglio. La pelle intorno ad essa era arrossata, tanto da darle un fastidioso prurito, e ricoperta da piccole striscette rosse intorno ai lembi. Reprimendo il disgusto, si soffermò a osservare l'interno e si accorse che, mischiato al sangue, vi era un liquido giallastro. Doveva sbrigarsi a rientrare e curarsi la ferita, perché questa si era infettata dopo tutto il tempo passato all'aperto e nel fango delle segrete dell'Éljúðnir.

«Forza, Sleipnir» incitò il cavallo, riprendendo a camminare, ma a passo più spedito.

Impiegò solo una manciata di minuti per raggiungere la sua casa, che ritrovò uguale a prima. Come si fece vicina all'edificio, sentì dei passi rapidi correre verso di lei. Silye lasciò la presa sulle briglie di Sleipnir e si preparò ad accogliere tra le braccia Úlfur. «Cucciolo, sono tornata!» Il cagnolino era attivo e felice come mai lo aveva visto prima: forse perché non era mai stata via così a lungo e il più delle volte tendeva a portarlo con sé, quando andava nei villaggi solo per comprare i viveri e non per rubare. «Ti sono mancata, minn stjarna¹?» affermò, grattando il muso di Úlfur, perfettamente conscia di quale fosse la risposta alla sua domanda retorica.

Quando Silye gli si accovacciò accanto e il cane si appoggiò a lei, Úlfur fu attirato dalla sua ferita e si avvicinò a odorarla, ritaendosi subito dopo. «Non ho una bella cera, vero?» disse. «Vieni, devo andare a preparare qualche unguento per rimediare all'infiammazione e lenire il dolore.»

Si rialzò e fece per entrare in casa, quando trovò la porta socchiusa e delle voci alte provenire dall'interno. Erano di Vidar e Baldr. Si accostò ad essa, origliando. Era sbagliato, ma voleva sapere cosa le stava nascondendo il dio e forse sarebbe riuscita a sentirlo nella loro conversazione.

«...ti ho detto che so quello che faccio» stava dicendo Vidar con fermezza.

«Non mi pare, dato che, se io non fossi intervenuto, a quest'ora saresti ancora rinchiuso nelle prigioni di Hel» ribatté il fratellastro, il tono severo e duro come la roccia.

«E allora? Avrei trovato un altro modo per uscire. Ti ricordo che anch'io sono il figlio di Odino.»

«Sì, lo so benissimo, ma tirare continuamente in ballo nostro padre non ti salverà sempre. Anzi, spesso, come è accaduto da Hel, non otterrai altro che metterti nei guai fino al collo.»

«Ti ripeto che avevo tutto sotto controllo.»

«Davvero? Come lo hai avuto anni fa con Váli?»

«Non metterlo in mezzo in queste questioni, Baldr!» Vidar alzò la voce. Silye si chiese perché mai il solo nominare quell'individuo, -Váli-, lo avesse fatto infuriare tanto. «Basta parlarne.»

«È per lui che lo stai facendo? Per quello che è successo?»

«No» ribatté Vidar. «Ti ho già detto che lo sto facendo per aiutare gli umani.»

«Credi davvero che meritino le tue sofferenze? Sin da prima del Ragnarok non sono stati altro che individui egoisti e privi di scrupoli. Perché pensi che sia cambiato qualcosa?»

«Sbagli. Non sono tutti così. Sono certo del fatto che non meritano la morte e la distruzione che porterebbe Nidhöggr semmai dovesse risorgere.»

Baldr tacque. «E che mi dici della ragazza?» continuò, cambiando argomento.

Il cuore di Silye perse un battito quando sentì il dio parlare di lei.

«Possiamo fidarci di lei. O, almeno, questa è l'impressione che mi ha dato nei giorni che ho passato con lei.»

«Vidar, sei troppo ingenuo. Non è come le völve di un tempo. È cresciuta come un'umana, una ladra. Ammetto che abbia un aspetto gradevole, ma non farti strane illusioni con lei. Non è interessata alla salvezza di Midgardr, glielo posso leggere in faccia. Come ogni ladro, mira solo al denaro e ai suoi scopi egoistici. Se vuoi divertirti con lei, fai pure; ma che rimanga solo puro svago.»

Vidar non rispose. Silye non poteva vederlo, ma immaginò che avesse annuito, dando ragione al fratello, il che non fece altro che acuire la rabbia che già il dio le aveva provocato pochi minuti prima.

«Forse sono stato troppo duro con te, Vidar, e me ne dispiaccio, ma sei ancora giovane. Devi sapere come funziona il mondo qua fuori o, dio o meno, ne rimarrai schiacciato.»

Silye fu colta da un'improvvisa fitta alla ferita, le cui condizioni andavano peggiorando di secondo in secondo, e, andando a toccarsi il braccio, la mano le andò a sbattere contro la porta, che si aprì di qualche centimetro, cigolando.

Baldr, che aveva ripreso a parlare, si interruppe subito e Silye capì di essere stata scoperta. A questo punto non poteva fare altro che mostrarsi, nella possibilità che potessero pensare che fosse arrivata solo in quel momento. «Sc-scusate» esordì, maledicendosi per essersi fatta sfuggire quel balbettio. «Devo curare la ferita... ecco, si è infettata.»

Baldr la guardò e nel suo sguardo Silye colse un sentimento molto simile alla disapprovazione; sicuramente credeva che avesse origliato la loro conversazione. La ladra cercò ad ogni costo di evitare di posare gli occhi su Vidar. «Io ho qualcosa che potrebbe aiutarti.»

Tirò fuori da una piccola sacca che teneva legata alla cintura una boccetta, che passò a Silye. «È un rimedio naturale elfico, capace di lenire qualsiasi ferita e dolore. Puoi anche prenderlo tutto, nell'eventualità che possa riservirti in futuro.»

La ragazza si stupì della sua improvvisa gentilezza, sebbene sapesse che dietro l'apparenza il dio nascondeva quasi vero e proprio disprezzo nei suoi confronti. Perché gli dei devono sempre essere così arroganti? si chiese, accettando la boccetta e sforzandosi di restituirgli uno sguardo di riconoscenza, anche se in verità non vedeva l'ora che se ne andasse dalla sua casa. L'ostilità che il dio ostentava nei suoi confronti la feceva sentire a disagio, soprattutto perché Silye era ben conscia della sua netta superiorità in un eventuale scontro. Era pur sempre un ultramillenario con innumerevole esperienza alle spalle e una semplice ladra come lei non avrebbe potuto nulla contro di lui, semmai Baldr avesse iniziato a considerarla come un nemico.

Rilasciò un leggerissimo sospiro di sollievo quando il dio le diede le spalle e andò da Vidar, abbracciandolo. Guardandoli, Silye si rese conto di quanto fossero uniti, come fossero una vera famiglia, sebbene condividessero solo il padre. Dovette distogliere lo sguardo, perchè in qualche modo i due fratelli le ricordavano l'amore paterno che troppo presto e con violenza le era stato negato.

Baldr sussurrò piano qualcosa a Vidar, forse appositamente per evitare che lei li sentisse, ma Silye riuscì ugualmente a captare qualcosa di simile a un Stai attento. Quindi il dio prese la sua ascia e uscì dalla casupola, facendo sbattere la porta dietro di sé.



Dopo la partenza di Baldr, nella stanza era calato un innaturale e opprimente silenzio. Era come se, dopo i turbinosi eventi vissuti all'Helheimr, non riuscissero più ad abituarsi alla calma.

Silye si avvicinò al tavolo e vi pose la boccetta datale da Baldr. «Non ci sono più scorte» esordì la ragazza.

«Va' a comprarle» ribatté Vidar, con voce atona e fredda.

«Non ne ho alcuna intenzione. L'ultima volta ci sono andata io; ora tocca a te.»

Non le giunse nessuna risposta da Vidar, che le dava le spalle e sembrava avere lo sguardo perso sul pavimento.

«Devi iniziare a darti da fare anche tu» continuò Silye.

«Non faccio abbastanza? Ti ho protetta ben due volte, durante l'attacco degli schiavi di Hel e delle viverne, e non mi hai nemmeno ringraziato» disse all'improvviso, girandosi verso di lei. «Se non fosse stato per me, ora quelle viverne starebbero banchettando con la tua carne.»

Silye deglutì al ricordo delle belve e del dolore che una di esse le aveva procurato. «E come mi sarei potuta difendere? Ti ricordo che è la prima volta che mi sono ritrovata ad affrontare delle creature simili.»

«Già, ed è proprio per questo che non dovresti affatto lamentarti. Credimi, ho fatto fin troppo per te e dovresti solo ripagarmi con qualcosa di concreto.» Il suo volto si dipinse di una sfumatura severa e quasi rabbiosa.

«Ti ho già detto miliardi di volte che ci sto provando» ribadì. Sapeva che avrebbe dovuto dirgli della visione strappata da Hel, ma in quel momento voleva che Vidar si rendesse conto della fatica che stava facendo e dei pericoli che aveva affrontato per lui. Voleva rispetto.

«E io ti ho ribadito altrettante volte che voglio risultati. Siamo andati da Hel e cosa abbiamo trovato? Niente» il dio scalciò la sedia mandandola a sbattere contro la parete. Silye sussultò davanti a quell'improvviso scatto di rabbia. «Mi aspetto molto più di qualche stupida e falsa visione, völva.»

Non l'aveva mai chiamata in quel modo, con tanta freddezza e scostanza, come se tutto a un tratto fossero diventati due completi estranei.

«Non basta ordinare per ottenere ciò che vuoi. Devi anche dimostrare di meritartelo» affermò Silye, con lo stesso disprezzo che le stava mostrando Vidar.

«Ne sei certa? Credi davvero che con la violenza non si possa ottenere nulla?» disse il dio, avvicinandosi a lei. Silye cercò di indietreggiare, ma dovette fermarsi quando sentì il tavolo dietro di lei. Era bloccata e ormai il viso di Vidar era a un passo dal suo. Sentì i battiti del cuore aumentare, ma non per la vicinanza di Vidar, bensì perché l'espressione ostile e aggressiva sul volto del dio le dava un senso di disagio.

«Cosa c'è? Ora hai paura? Non mentirmi, perché posso leggerlo nei tuoi occhi. È forse perché ti sei finalmente resa conto che la tua stolta determinazione non può nulla contro la forza fisica di un dio? Temi forse che io possa farti del male?» Con l'indice il dio seguì il contorno del suo viso, lasciandole leggeri brividi. «O forse è il problema opposto: hai paura che qualcuno possa volerti bene. O, peggio, amarti. Non è questo il motivo per cui hai allontanato tutti e ti sei isolata in questo bosco? Sono certo che in questo momento tu sia più spaventata al pensiero che io possa baciarti, anziché ferirti.» Vidar accorciò ancora di più le distanze, tanto che ora Silye poteva sentire il suo respiro solleticarle le labbra. Il suo volto era una maschera di derisione e malizia. «Allora dimmi: di cosa hai davvero paura? Se è per il secondo motivo, non hai nulla da temere, perché non c'è alcuna possibilità che mi possa piacere una ragazzina come te.»

Vidar aveva davvero superato il limite. Silye ne aveva abbastanza: del dover sempre sopportare le battute insolenti e beffarde del dio, ma soprattutto di dover convivere con un individuo che aveva una così bassa considerazione nei suoi confronti. Non si sarebbe tirata indietro, né avrebbe lasciato cadere nel vuoto passivamente quell'affronto: non quella volta. Si mosse così velocemente che Vidar non fece in tempo a spostarsi o deviarlo: gli tirò uno schiaffo. Il dio indietreggiò, stordito, mentre si andava definendo un vistoso segno rosso sulla sua pelle. Poi, come fosse stato un riflesso naturale per lui, le prese il polso ancora alzato dopo l'atto e la bloccò per impedirle qualsiasi altro movimento.

«Lasciami» ringhiò Silye, ignorando le fitte al braccio stretto con troppa forza. Vidar si guardò la mano, come se si fosse accorto solo in quel momento di averle afferrato il polso con troppa forza, e lo lasciò andare.

«Ascoltami bene, dio dei miei stivali» sibilò la ladra. «Non sono una servizioevole schiava da comandare. Sarò anche una ladra, ma prima di tutto sono un essere umano, e pretendo lo stesso rispetto che riserveresti ad un tuo qualunque altro simile.»

Il dio non rispose, ma si allontanò da lei senza distogliere lo sguardo dalla mano che pochi attimi prima le aveva cinto il polso.

«Vuoi sempre avere e avere, senza dare mai nulla in cambio» continuò la ladra. «Sei convinto che tutti debbano stare ai tuoi piedi, ubbidirti e riverirti, solo perché sei un dio. Già, sei un dio e tu non fai altro che ripeterlo vantandotene, ma questo tuo titolo non vale nulla se non riesci ad essere all'altezza del tuo nome e a fare ciò che davvero ci si aspetta da te.»

Vidar, senza neanche rivolgerle un'occhiata, uscì dalla casupola, lasciando Silye in un turbine di rabbia, confusione e mille altri pensieri sconnessi.



¹ Espressione norrena significante “Mia stella”.

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Angolo autrice:

Stavolta Vidar ha proprio esagerato e si è meritato lo schiaffo di Silye. Nella prima bozza di questo capitolo, in realtà, Vidar diceva anche di peggio, ma ho pensato che dopo Silye non si sarebbe fermata a un solo schiaffo: conoscendola, l'avrebbe proprio riempito di botte e non gli avrebbe più rivolto la parola.XD Fate però attenzione all'atteggiamento del dio alla fine del capitolo, così come alla conversazione con Baldr, perché prelude un dettaglio del suo passato, di cui si saprà di più in seguito.

Comunque, perdonatemi per il ritardo, ma, tra Via Crucis e pranzi e cene varie, non ho proprio trovato il tempo di revisionare il capitolo e pubblicarlo! Ringrazio comunque tutti i lettori! A presto.^^

Sophja99

   
 
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