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Autore: Hermes    15/04/2017    1 recensioni
Diciassette anni di giorni da spiegare e mettere a fuoco.
Un’autopsia al tempo fra la nebbia di San Francisco e la polvere del deserto, per arrivare nel presente che potrebbe essere solo una possibilità nel futuro.
Il mondo è costruito sulle nostre scelte.
[Questa storia fa parte della serie 'Steps']
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Steps'
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If we can't remember
we will never understand.
~ Edward Morgan Foster

Un nuovo mattino ed aveva ricominciato a studiare/sclerare sui suoi amati tomi.
Kurt non era una persona eccezionalmente mattiniera ma si era auto convinto di non essere ancora stanco morto, aveva scolato l’ultimo mezzo litro di succo d’arancia con uova e salsiccia e si era messo al lavoro.
La notte precedente prima di andare a dormire aveva contato i guadagni della seratina poker e si era trovato fra le mani la bellezza di duecento dollari che sarebbero finiti nel suo fondo ‘viaggio’ a breve.
Quel mattino il cielo sopra la terra ocra era plumbeo e tutto viveva come sotto un’ombra quindi, con un gran trambusto, aveva iniziato a venire giù acqua tutta insieme, allagando le buche della dissestata strada sterrata e lavando via la polvere dai vetri del villino.
Nel giro del mattino aveva smesso ma il cielo era rimasto coperto.
Era quasi mezzogiorno e aveva sotto gli occhi un articolo molto interessante sulla mitologia vista sotto la lente della psicologia quando la bassa luce spoglia della giornata si oscurò quasi di colpo.
Il ragazzo alzò gli occhi verso la vetrata per trovarci un nugolo di bagnata sabbia rossa in movimento.
Sorpreso, riportò in vita il portatile per controllare che non stesse arrivando una tempesta di vento e – a risultato negativo – abbandonò la sua postazione di studio per dare un’occhiata.
Ed eccolo qui il vecchio megalomane…
La Jaguar era spuntata lì vicino e ci avrebbe contato che il fango l’aveva tirato su l’auto grazie alla guida da rally che suo padre teneva su quella sabbia infida.
Il vecchio aveva appena finito di scaricare dall’auto la valigetta, un borsone e quella che sembravano due borse di asporto strapiene.
Kurt gli aprì la porta e Linds gli fece un cenno con sorriso sotto i Wayfahrer aviator.
“Porto cibo!” esclamò, lasciando cadere il borsone e sganciandosi gli occhiali da sole, scalzando le sneakers inzaccherate “Fame?”
“Sei tornato presto.” commentò Kurt.
Il padre aveva posato le borse sull’isola prima di girarsi verso il frigo per incastrare due cartoni di birra nel ripiano più in basso “Avevo un esame da dare stamattina, pensavo fosse più difficile ma l’ho sbrigata in meno di mezz’ora…”
“Esame…?”
“Composizione e possibili teorie sulla formazione delle rocce marziane. Tra un paio di mesi arriveranno nuovi dati dalle sonde spaziali giù al Lambda Department, ho bisogno di una laurea in Astrogeo-qualcosa per metterci le mani sopra se voglio analizzarli.”
“…”
“Lo sapevi che ad Alamo hanno aperto una nuova deli? Un profumino…e che ciambelline!”
“…” Kurt rimaneva in silenzio, mettendo mano nel cassetto delle posate per iniziare un pranzo anticipato. Il vecchio non lo stava nemmeno ascoltando, a dire il vero.
“Kurt?”
“Eh? Sì, dad?”
“Tutto ok?”
Il ragazzo a quel punto aveva fiutato qualcosa che puzzava di rancido e non stava parlando di cibo.
Suo padre che gli ‘parlava’…cos’era quell’apparente svolta?
“Sì.” risposta a monosillabo, attendendo che la trappola scattasse a vuoto.
Intanto gli occhi scuri di Linds si erano posati sui vari libri disposti a ventaglio sul tavolino e commentò con un sorriso “Ah…sei sulle nuvole, scusa se ho disturbato lo studio.”
“Nah…”
Intanto nel congelatore erano finiti sei cartoni di pizze precotte, due vaschette di gelato, quattro buste di patatine fritte e – nella giara degli snack –due chili di leccalecca e caramelle assortite, manco stessero programmando un party.
Dieta sana ed equilibrata…my ass.
Intanto avevano iniziato a dare fondo al contenuto delle vaschette di alluminio: pollo arrosto, hot dogs e alette alla paprika per quattro, tutto tirato giù con una sana dose di pepsi al limone.
“Pomeriggio di studio quindi? Devo finire un paio di relazioni, me lo lasci un angolino del divano?”
Kurt annuì, deglutendo.
“Hai già pensato dove mandare applicazioni per dopo il liceo?”
Lo sapevo che c’era qualcosa dietro…
“Perché ti interessa?” diretto e caustico, il giusto equilibrio, bravo K.
“Non mi interessa, di per sé. Sono solo curioso.” replicò suo padre con un sorrisetto.
Ancora vi chiedete perché non lo sopporto?!
“Sì, ho già iniziato a mandare applicazioni e no, non ho intenzione di seguire le tue orme e quelle della mamma.”
I’m glad.” Stavolta Linds aveva sorriso con una sincerità genuina, poi era tornato a mangiare.
Kurt lo guardò ancora per qualche momento, in silenzio, spiazzato.
Non riusciva a capire quella new leaf del padre e – sotto sotto – non era sicuro di volerlo.
O di iniziare a chiedere consigli.
O di raccontargli tutti i suoi segreti in cerca di affetto paterno.
O di trovare un fottutissimo punto d’incontro sul quale costruire qualche cazzo di rapporto.
L’idea non gli passava nemmeno per l’anticamera del cervello.
A quel punto sarebbe stato meglio smontare le tende e stare alla larga dal vecchio per qualche tempo, purtroppo l’idea non avrebbe dato frutti ora che Linds si era autoinvitato con il suo benestare.
No, quel pomeriggio gli toccava e Kurt pregava tutti i Rolling Stones di non perdere le staffe ed avere abbastanza concentrazione da assimilare almeno qualcosa di quello che avrebbe letto.

~

L'amore è solo una questione chimica
Un espediente dell'evoluzione
Un compromesso fra il dovere e la passione.
[...]
Il peggio è che ho bisogno di te, delle tue mani
Che resti e ti allontani
Di carne e di senso
Ragione e sentimento
Di te, dei tuoi silenzi e anche dei tuoi giorni stanchi.
Mina Celentano ~ A un passo da te

Si era appena seduta al bancone del coffee shop all’angolo con la palestra di Ju-Jitsu dal quale era appena uscita.
Aveva ricominciato a gareggiare dieci anni prima, più per sfizio che per desiderio di vincere e – alla fine – era diventata istruttore nei weekend.
Il suo approccio era l’uso dello ju-jitsu per pura autodifesa e quando riusciva a insegnare era sempre felice di mostrare mosse semplici ma perfette per neutralizzare un potenziale assalitore.
Almeno ho qualcosa da fare…
Aveva offerto qualcosa da bere a Giulia – la figlia di Hugo - prima di riaccompagnarla a casa.
Lei e l’adolescente avevano sviluppato un bel rapporto fin dall’inizio, Michelle non aveva mai cercato di sostituirsi alla sua vera madre e la quindicenne aveva apprezzato fin da subito.
“Non so se è l’arte marziale che più mi piace, Zia Mi. Non ho l’equilibrio necessario.”
“Hai solo iniziato e so per esperienza che la coordinazione motoria arriva dopo un po’ di allenamento e di riordino mentale.”
“Parla la campionessa!”
“Mancata.”
Una linguaccia dall’altra parte del tavolo e lei strizzò gli occhi con un sorriso mentre arrivava il cameriere con le ordinazioni.
“Hai più sentito Kurt, zia?”
“No, ho provato a chiamarlo ma ha il telefono spento.”
“Uffa…arriva l’estate ed è sempre in mezzo al deserto! Per una volta potrebbe anche tornare per la mia festa di compleanno!”
Non lo fa per suo padre. Lo fa per me.
A Michelle quella verità le rimaneva incastrata fra la gola e lo stomaco, non andava giù nemmeno con una dose di ottimo espresso, ahimè.
“Zia?”
“Mmh?”
“Che differenza c’è fra una cotta e l’amore vero, secondo te?”
Questa sì che è una bella domanda…
Una domanda che la trascinava indietro in un vortice senza capo né coda…

~ Circa diciotto anni prima in un hotel di Las Vegas
È passato quasi un anno dal nostro ritorno in pianta stabile in California.
Avevo trovato un posto a San Diego sotto l’ala di Venter e mi avevano appioppato le solite mansioni della nuova arrivata…di quel passo avrei toccato un microscopio e delle provette da lì al prossimo Natale!!!
In pratica ero diventata una portavoce di relazioni con il pubblico, in altre parole pubblicità aziendale: PowerPoint a manetta e conferenze in giro per gli stati alla ricerca di qualche consenso e beneficiario in più alla santa crociata per il totale dipanamento dei segreti del DNA.
In questo preciso momento son reduce da una convention lunga due giorni di assoluta, pura trucidazione fotonica ed in più stavo cenando con dei potenziali interessati, evento fuori programma.
Prima di partire per la capitale del gioco avevo sentito Linds e c’eravamo messi d’accordo per passare qualche giorno insieme.
Il topo era alla base e – fra trasferte e imprevisti dell’ultimo minuto – non ci eravamo più visti da quasi due mesi.
La cena non si poteva dire emozionante ma era da fare quindi stavo cercando di mantenere continua e variegata la conversazione, creando dibattito sano e conclusivo.
Ormai le portate si erano esaurite ed era rimasto solo il dessert: un piattino con tre fettine di panna cotta, sciroppo di fragola, alcuni grani di ribes e una pallina di gelato al cioccolato.
Non l’avevo toccato; il gelato si stava sciogliendo lentamente, creando una piccola pozzanghera marrone sul bianco del piatto.
In una pausa nel discorso avevo dato un’occhiata furtiva sotto il tavolo, allo schermo dello smartphone.
Ancora niente.
Dove cavolo si è cacciato stavolta?!
Ero un po’ seccata – non per il suo ritardo – ma per gli occhi con un non so che di accondiscendente che si spostavano da me al posto vuoto e il sorrisetto da schiaffi dell’assistente.
Per fortuna il mio sorriso reggeva o li avrei presi a frustate, anche se erano interessati alla ricerca per investire fondi.
Alcuni minuti dopo – quando ormai avevo perso tutte le speranze – un paio di labbra premono sul mio zigomo ed una figura dinoccolata a me ben nota s’incastra al mio fianco nel piccolo booth.
“Scusate il ritardo.”
Chiudo gli occhi e prendo un respiro profondo prima di rimettere su il sorriso plastificato “Posso presentarvi Linds Lagden? Linds, Mister Raymond.”
Si scambiano alcune strette di mani poi Linds occhieggia con evidente golosità il mio dolce intoccato “Scusami darling, ti dispiace?”
“No, affatto.” replico con un sorriso, in effetti l’avevo ordinato per lui…
Mentre i nostri altri due interlocutori ci osservano il silenzio viene rotto appena dopo che Linds infilza una delle fette di panna cotta con la forchettina.
“Ahem…mi scusi…Lagden as in il Fisico Lagden?” domanda l’assistente con quella che sembra non reverenza ma beatitudine negli occhi.
Linds ha alzato lo sguardo ed un sopracciglio platino alla sua espressione adorante “The very same…?
Il topo lancia un’occhiata veloce verso di me cercando qualche risposta ma rimango anch’io sorpresa.
Normalmente nessuno nota troppo Linds; se non per la sua zazzera di capelli che sfida le leggi di Mendel e fa a pugni con il resto dei suoi tratti genetici.
“Ho letto la sua relazione sulla teoria della relatività temporale e i vari composti chimici di cui espone le proprietà tutta d’un fiato!” esclama con fervore fanatico “I concetti, le sue idee! Groundbreaking, so che sta lavorando per privati ma mi chiedevo…”
Io e Linds incrociamo lo sguardo in una conversazione muta ed istantanea.
Lagden, sai di cosa cavolo sta parlando?
Ovvio che sì, Hervas.

Intanto il giovane va avanti ed avanti senza quasi riprendere fiato, roba da sub e Linds alza la forchetta.
“Okay…the applications of my theories are not something I shall conduce an interview on at any stage tonight.”
A quel commento asciutto ero rimasta a metà fra lanciargli una gomitata nel fianco e ridacchiare mentre gli occhi del sophomore si aprivano come due scodelle, poi arrossì sotto lo sguardo di Linds e abbassò gli occhi. “I’m…sorry.”
Oh god…Linds you’re such a killjoy…
Appena il fanboy recede Linds ritorna al suo festino di panna cotta e la conversazione riprende i propri binari.
Venti minuti e siamo già ai saluti, ho la sensazione di aver conquistato qualche benefattore in più per il nostro laboratorio e quindi inizio a rilassarmi nel booth, finendo il mio cuba libre mentre Linds si è fatto portare una doppia fetta di red velvet e la sta divorando a bocconcini golosi.
“Qualche verdurina? Un po’ di proteine?” domando ironica.
“Io vado a glucosio, Michelle. Non ho bisogno di mettere su muscoli.”
Come no…
Scuoto la testa mentre finisce il dolce, si toglie gli occhiali e stropiccia la faccia con uno sbadiglio.
Afferro la manica della giacca e tiro appena “Andiamo dai…”
Annuisce e raggiungiamo gli ascensori.
Nei quaranta secondi che ci mette il lift per scalare i dieci piani alla mia camera, lo zucchero ha fatto collisione con il metabolismo del topo e la porta della stanza non fa in tempo a richiudersi che siamo uno addosso all’altra in una lotta di mani e labbra. La lingua che esplora la cavità della bocca ritrovando il sapore di quell’ultimo bicchierino della buonanotte amaro e bruciante.
Le sue mani che si stufano della stoffa sulla mia schiena e cercano cieche la zip del vestito senza trovarla.
Dopo il fuoco e le scintille eravamo rimasti sì e no dieci minuti a parlare sommessamente con grandi sbadigli.
Scopro quindi che no, Linds non arrivava dalla base su nel deserto ma da qualche sede a me sconosciuta della NASA in quel dell’Arizona giù dopo il Lake Mead.
Si era fatto un mucchio di strada in auto solo per mantenere quella promessa: sei, sette ore da passare in una camera d’albergo insieme.
Quando sono con te, non riesco a pensare a nient’altro.” aveva borbottato sull’orlo del sonno “Che cosa ho fatto di buono per meritarmi di stare con te, Michelle?
Quella notte non gli avevo dato risposta.
[…]

“Zia?”
Gli occhi grigi della donna rimisero a fuoco il presente quasi al rallentatore e scosse la testa.
“Ho meditato un momento sul cosa risponderti…” replicò a Giulia con un sorriso.
“A me sembravi persa in un filmino di quelli coloratini, sappilo.”
Questa volta la linguaccia l’aveva tirata fuori lei.
“Per risponderti: fra le due cose c’è differenza. La cotta nel più dei casi non viene corrisposta da entrambi i lati, mentre l’amore è un qualcosa di più complesso da spiegare.
L’amore non si merita Giulia, si costruisce. Se scegli di stare insieme ad una persona lo fai perché senti qualcosa di forte con/e per essa. Qualcosa che non puoi comparare a un’altra tua relazione extrapersonale con altri.
Sei tu che elevi, ostensivamente, questa sensazione/percezione sopra ogni altra.
Se è ‘vero amore’ questa scelta succede anche dall’altra parte della barricata.
Non penso di riuscire a spiegartelo meglio.
Comunque mi pare un po’ prestino per cercare il vero amore, Giulia.”
“Scusa se te lo chiedo Zia ma…allora non eri innamorata del papà di Kurt?”
Il fischio del vapore delle macchine per l’espresso, il chiacchierio degli altri tavolini e il volto giovane della ragazzina che sbianca quando si rende conto della domanda totalmente fuori luogo che mi ha posto.
Ed io, io che ritorno di nuovo ad un passato che non ci tengo a riesumare.

~ quattordici anni prima
Era un luglio di fuoco in California e più di una foresta di sequoie stava bruciando sotto San Diego.
Quell’estate Venter mi aveva convinto a volare in Europa per la prima volta da quando ero tornata; mi voleva a tutti i costi laggiù, tanto che ero riuscita a strappargli un aumento di stipendio e che, al mio ritorno, avrei avuto diritto ad una settimana intera di ferie pagate.
Il mio problema era Kurt.
Aveva solo compiuto quattro anni quel Marzo e non c’era verso che sarei riuscita a lasciarlo a mia madre o Alice per una settimana intera senza battere ciglio.
Quindi avevo deciso di portarlo con me.
Ci eravamo spostati in treno fino a Santa Barbara, dove Raph e Mel ci avevano ospitato per un giorno prima di partire in tarda serata con un volo da Los Angeles per Madrid.
Kurt non aveva fatto una piega, lasciandosi adorare dalle hostess per poi farsi un sonno di piombo per buona parte del volo tenendosi stretto il suo pupazzo preferito di sempre: l’Incredibile Hulk.
Ero un po’ preoccupata che alla fine si sarebbe annoiato a passare ore in una conferenza di vecchi rincitrulliti ma, durante la settimana, Kurt non aveva fatto molti capricci; soprattutto se riusciva a trovare un sedile da poter usare come tavolo per disegnare con i pastelli accanto a me. Qualche buon spuntino nella borsa ed il gioco era fatto.
Avevo cercato di ricompensare quella pazienza ultraterrena bigiando un giorno del congresso e portandolo allo zoo dove avevamo passato qualche ora a guardare gli animali nelle gabbie.
“Perché sono nati in gabbia, mamma?”
Dopo la visita allo zoo eravamo tornati sui nostri passi verso il Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia.
Avevo riportato in auge il mio spagnolo mal accentato per assicurare in biglietteria che non avevamo bisogno di una guida e quindi avevamo iniziato a camminare per le grandi sale del museo d’arte mano nella mano, commentando ogni nuova tela astratta o modernista con calma.
“Perché si chiama ‘Chitarra, partitura e bicchiere’? Dov’è il bicchiere?!”
Passeggiando eravamo arrivati alla sezione che raccoglieva alcune opere di Picasso fra cui la grande tela della Guernica Y Luno che sembrava ancora più immensa nella scura saletta dedicatale; quasi illuminata da luce propria.
Kurt si era fermato con il naso rivolto all’insù in contemplazione.
La guardammo in silenzio per qualche minuto, il dinamismo del quadro che quasi si staccava dalla tela e prendeva vita come un film muto, l’occhio divino che dondolava sopra le nostre teste.
Il rumore degli zoccoli di un cavallo pazzo dal terrore che spezzavano la cassa toracica dell’uomo riverso sulla strada.
Stavo osservando ancora la fiamma della lampada – la speranza che rimpicciolisce fino a scomparire – quando mi sentii tirare per la mano.
Kurt aveva fatto un passo indietro ma nei suoi occhi neri non c’era spavento.
Aveva corrugato la fronte, cercando di vedere la tela nella sua interezza, la bocca arricciata in una smorfia del tutto identica a quella di suo padre quando era obbligato a fare qualcosa che non gli interessava minimamente.
Quell’espressione mi aveva sconvolto.
In quei pochi anni mi ero quasi dimenticata di Linds.
E lui era lì, nel volto di Kurt e nei suoi occhi innocenti ma sprezzanti e calcolatori.
Mom?
Inghiottii saliva ma la mia bocca era asciutta come un deserto “Sì?”
“Che ci fa un cavallo in una stanza?”
A quel punto la tensione accumulata se ne era andata via.
Kurt era un bambino molto intelligente ma, senza un riferimento alla storia dietro alla tela od al simbolismo delle figure, non aveva i mezzi per comprendere il significato di quel caos.
Quindi ci eravamo allontanati verso il centro della stanza per sederci su una panca e osservare il quadro ancora un po’.
Per qualche motivo ne era affascinato e anch’io mi ero ritrovata a notare cose che non avevo mai visto prima nelle varie volte che l’avevo guardata in una riproduzione o nei poster.
Alla fine, prima di uscire dal museo eravamo passati dal negozio di souvenir e gli avevo comprato un magnete di quella stessa tela come ricordo.
Gli avevo chiesto se non ne voleva qualcuno di più colorato come la famiglia degli acrobati ma Kurt era deciso, quindi acconsentii.

Tutt’ora quello stesso magnete – scolorito ed un po’ rovinato – stava appeso sulla porta del frigo.
Kurt qualche anno prima aveva fatto inquadrare un poster della Guernica e l’aveva appeso in camera sopra alla sua scrivania.
Non ho mai capito che cosa lo affascini ancora di quella visione a piene mani nel terrore ora che sa cosa rappresenta davvero.
Probabilmente non lo saprò mai.
Chiudo gli occhi mentre sento una stanchezza che non ha niente a che fare con la nostra ora di Ju-Jitsu.
“Probabilmente non era vero amore. Vivere non è facile, Giulia.”

~

Kurt non ci credeva…
Dopo il loro festino di rosticceria e salsine il vecchio non aveva più aperto bocca.
Si era seduto a gambe incrociate dall’altra parte del tavolo con una pila di dispense da un lato e un faldone dall’altro.
Notebook sul tavolino e cuffie da deejay in testa del tipo anti-rumore. Peccato che Manson si sentisse perfettamente…
Quindi non si era mosso da lì per tutto il pomeriggio un po’ digitando qualcosa un po’ leggendo.
La prima mezz’ora l’aveva tenuto sott’occhio poi – preso dai propri libri – non ci aveva fatto più caso.
Verso le sei di sera il ragazzo aveva deciso di staccare per quella giornata e si era alzato con le rotule che fecero un rumore secco.
“Kurt, se vai di là mi porti per favore il telefono? Devo averlo lasciato sul mobiletto del corridoio in carica.”
Aveva annuito e si era infilato nello stretto passaggio senza finestre che portava al bagno e alle due camere da letto, illuminato da un’applique minuscola e storta che pendeva dal muro alla sua sinistra.
Suo padre aveva lasciato il blackberry in carica nella presa d’angolo e – chinandosi – aveva notato con la coda dell’occhio che la porta della sua stanza era rimasta aperta.
Normalmente la teneva chiusa a chiave.
Con quello che distilla non mi stupirebbe se avesse un laboratorio clandestino e ne inalasse i fumi…
Aveva spinto l’uscio lentamente con un dito rivelando alla luce che filtrava dal corridoio un letto disfatto e un casino infernale.
La scrivania era sommersa di libri universitari e una vecchia tv coperta di polvere.
L’anta dell’armadio a muro spalancata rivelava una dozzina di appendini vuoti e – lì sotto – un borsone con i vestiti di suo padre.
Aveva fatto un passo dentro quella caverna, accendendo il neon, nello sfarfallio aveva notato il riflesso di un vetro vicino al letto.
Sopra al comodino c’era una cornice semplice e senza fronzoli con accanto il portafogli gonfio di Linds.
Dentro la cornice c’era un ritratto a matita di sua madre.
La carta era ingiallita e gli pareva di vedere una macchia a forma di cerchio che spuntava da un angolo come se il vecchio avesse abbozzato quelle linee fra una riunione e l’altra.
Sua madre.
Era lei, non aveva dubbi, anche se la grafia di Linds sotto il ritratto diceva Ma Belle.
Il viso ovale, il labbro inferiore più pieno rispetto al superiore piegato in un sorriso leggero, il netto arco scuro delle sopracciglia e l’attaccatura dei capelli corvini che scendevano sotto le spalle in un’onda naturale.
Gli occhi decisi sfumati con la grafite e quasi vivi a causa del neon difettoso.
Era un ritratto perfetto di una Michelle di almeno dieci - quindici anni prima, ed alcune linee del volto sembravano state tracciate con un irrefrenabile tremore alle mani.
Perché lo tiene qui se…
Era l’unico oggetto in tutta quella stanza a non essere coperto da un dito di polvere.
A Kurt venne la forte impressione che Linds – nei giorni che tornava al villino – guardasse quel disegno spesso.
Quindi si era riscosso ed aveva distolto lo sguardo da quello di sua madre su carta.
Era uscito dalla stanza quasi correndo, non aveva idea di come il padre avrebbe reagito a quella infrazione nella sua privacy e non ci teneva a saperlo.
Al suo ritorno nel salotto Linds aveva alzato lo sguardo, corrucciandosi e togliendo le cuffie.
“Ci hai messo una vita…cosa hai? Mi sembri malaticcio.”
Kurt non rispose, posando il telefono sul tavolino al suo fianco per poi raggiungere il frigo ed andare per una birra, ignorando lo sguardo del padre.
Che significa? Perché la tiene lì?
Ma più importante – se non gliene frega niente – perché l’ha disegnata!

Non gli piaceva la sensazione che risiedeva in quel momento sotto il suo sterno.
Non gli piaceva proprio.
Tolto il tappo alla birra e, scostato uno dei vetri, era uscito fuori dove una folata d’aria fredda l’aveva investito lasciandolo a rabbrividire.
Si era alzato un vento deciso sopra le loro teste che stava portando via la perturbazione e Kurt si trovò a comporre il numero di casa, d’impulso.
Il segnale di attesa mentre quasi riusciva a sentire la suoneria che risuonava per il loft a San Francisco.
“Pronto?”
Mom?” “Kurt! Ciao tesoro, come stai?”
“Beh…” Lo sapevi mamma?
“Lascia stare…ti stai annoiando da morire, lo so.”
“Veramente…mamma, volevo solo…” Cosa voglio? Questa sì che è una bella domanda…
Si era passato una mano fra i capelli “Senti…”
“C’è qualcosa che non va, Kurt?” il tono di Michelle dall’altra parte del filo aveva cambiato registro in un millisecondo da tranquillo a pronta per fare tabula rasa.
“No. È che non ho più chiamato e volevo…sapere come stavi, ecco.” Utile balla. Kurt Lagden stai sfiorando il ridicolo, sappilo.
[…]
Aveva appena chiuso la telefonata - durata solo altri due squallidi minuti - che la voce di suo padre arrivò dietro di sé.
“Tutto bene?”
“Sì.”
Nel buio Linds gli lanciò qualcosa e Kurt prese l’oggetto al volo: una felpa.
“Sono stufo di studiare, ho bisogno di sgranchirmi le gambe, vieni con me a fare un giro?”
Come…come ha fatto a scoprirmi?!
Non aveva osato rispondere e quindi l’aveva seguito a lato del villino, dove era parcheggiata la Jaguar, le frecce brillarono nell’oscurità completa.
“Voglia di guidare, Kurt?”
“Pensavo volessi camminare un po’?”
“Non mi diverto a camminare, son.” gli aveva porto le chiavi ma a quel punto le ritrasse “Okay, guido io ma quando arriviamo alla track non accetto scuse!”
Oh no…la pista no…

The present contains nothing more than the past,
and what is found in the effect was already in the cause.
~ Henry Bergson

~~~

Canzone del capitolo:
- Mina Celentano ~ Ad un passo da te.

Le note di questo capitolo sono:
- I Sophomore sono degli studenti al secondo anno in un programma di studi/college/od università;
- Il Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia è un museo di Madrid d'arte moderna e contemporanea dedicato a tutta la produzione artistica dall'inizio del '900 fino ad oggi. Venne inaugurato nel 1992 ed ospita moltissimi artisti famosi tra i quali Dalì e Picasso;
- Chitarra, partitura e bicchiere è una tela di Picasso del 1912, la potere trovare qui;
- Guernica Y Luno conosciuta anche solo come 'Guernica' è una delle più famose opere di Picasso ed ha dimensioni enormi (3.49 x 7.77m!) che commemora le vittime del bombardamento aereo dell'omonima città basca durante la guerra civile spagnola del 1937.
Come già accennato nella precedente ASTTR Michelle ha una affinità particolare con questo artista spagnolo e trovo che il dipinto si sposa bene con la confusione emotiva passato/presente del capitolo, non parliamo dell'effetto bicromatico! xD
Potete vedere l'opera a questo link;
- La famiglia degli acrobati è un dipinto di Picasso molto colorato ed allegro del 1904-1905, potete vederlo qui.

Arriva la Pasqua e ritorno pure io, magia! LoL
Giuro che sto andando avanti a scrivere (un paio d'ore la sera tipo compiti a casa!) ma non ho mai un briciolo di tempo per betare e codificare come si deve...uffi!
Spero che questo capitolo intriso di presente e passato vi sia piaciuto, nel prossimo entreremo nelle manie del topo e, come sempre, posso solo dirvi di tenervi forte al sedile della Jag...xD
Passate un buon weekend!!!
Hermes

  
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