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Autore: Rose Wilson    15/04/2017    1 recensioni
Ormai da tempo, la City ha conquistato l'America, distruggendo le insulse città e metropoli e devastando la vegetazione. Il motivo? Il Progresso, ovvio.
L'America è adesso priva di regioni o stati; ricoperta totalmente di cemento, è diventata un'unica enorme città, la City, che ora si appresta a invadere il resto del mondo e a portare il Progresso ovunque.
Col tempo però, un gruppo di ribelli terroristi ha fondato la Lega Anti-Progresso, votata a ostacolare i nobili progetti del Sindaco, la massima autorità della City.
Non si conosce l'identità del capo della Lega, ma senz'altro si conosce il suo agente migliore: l'esperimento 929, una ragazza con un passato ancor più oscuro del mantello che indossa…
Ora, è nelle mani della City. Ma nessuno, neppure lei, sa che le cose stanno per cambiare per sempre.
Genere: Angst, Dark, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Raven, Red X, Slade, Terra, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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~CITY~


CAPITOLO 9
IL SUO NOME


 
L'odore salmastro della salsedine e il dolce infrangersi delle onde sulla costa furono le prime cose che Tara notò del suo sogno. Era seduta a qualche metro dall'oceano, su un'enorme distesa di sabbia candida e soffice. Il cielo sopra di lei era sereno, con un paio di nuvole che lo attraversavano pigramente.

La tranquillità e la serenità di quel paesaggio così pacifico, tutto il contrario dei corridoi metallici e dei cieli cupi cui il sonno l'aveva abituata la invasero dolcemente, lasciandole un senso di calma mai provato fino ad allora.

Si rese conto solo in un secondo momento che, accanto a lei, vi era qualcuno seduto a gambe incrociate. All'apparenza appariva come un bambino, con una maschera bianca posta sul viso. Stava chino su sè stesso e disegnava ghirigori sulla sabbia umida servendosi di un bastoncino, senza degnare di uno sguardo lei o ciò che lo circondava.

Tara non riusciva a vederlo bene, per quanto si sforzasse. Era sfocato, con i tratti quasi indistinguibili. Non sarebbe stata in grado nemmeno di affermare che fosse maschio o femmina.

Ma dopotutto si trovava solo in un sogno.

«Ciao» disse quasi senza accorgersene. Il bambino sollevò appena lo sguardo da terra, senza smettere di disegnare.

«Ciao» le rispose, e lei ebbe come l'impressione che la stesse guardando negli occhi attraverso la maschera, sondandole l'anima. Neppure la voce la aiutò a stabilire se il suo interlocutore fosse un ragazzino o una ragazzina.

Dopo pochi secondi chiese: «Come ti chiami?»

«Tu lo sai già» mormorò la misteriosa figura con una sfumatura di malinconia nella voce.

Era vero. In effetti,
conosceva quella figura, e conosceva pure il suo nome. Eppure non se lo ricordava.

«Anch'io so il tuo nome» continuò. «L'ho saputo tempo fa e lo so di nuovo adesso. Ma non mi ricordo di te»

Un'improvvisa tristezza invase quel sogno, e con esso anche Tara. Avrebbe tanto voluto ricordarsi di quel ragazzino (o ragazzina, a seconda), anche solo per dirgli che non l'aveva dimenticato. Ma per quanto si sforzasse non ci riusciva.

«Non serve che ti tormenti. Non mi rammenteresti in ogni caso» sospirò la figura. Si alzò in piedi, lasciando cadere il bastoncino e fissando dritto l'orizzonte, senza guardarla in viso.

«Mi dispiace» si scusò la bionda, amareggiata. L'altro scrollò le spalle, indifferente, gesto che, se fossero stati nella realtà, probabilmente avrebbe ferito entrambi.

«Ora non ha importanza. Il passato è passato, e tale deve rimanere»

Tara si accorse che si stava per svegliare. I contorni del sogno stavano svanendo con rapidità e lentezza assieme, e la figura del ragazzino tremolava.

«
Ricordati di me quando verrà il momento, Tara Markov»

 
~~~
 
La ragazza si svegliò più dolcemente di quanto avrebbe potuto immaginare. Solitamente, ogni volta che si risvegliava nel cuore della notte era per il solito incubo e non erano risvegli piacevoli, tutt'altro.

Si tirò su a sedere, sbadigliò e si stropicciò le palpebre. Tre movimenti che il suo corpo aveva svolto con movimenti fluidi e rapidissimi, tanto che rimase qualche secondo imbambolata a chiedersi dove diavolo fosse finita la sua solita goffaggine.

Scosse la testa, perplessa, e si guardò attorno. Nonostante le tenebre fossero talmente fitte da apparire come nere pareti, per qualche motivo a lei ignoto, i suoi occhi riuscivano a sondarle con una velocità impressionante, e con una facilità assurda.

Tara sbattè le palpebre una seconda volta, sempre più stranita.

Si trovava presumibilmente in un'infermeria, o quantomeno in una sala esperimenti ben camuffata. Lei si trovava in fondo accanto al muro opposto alla porta d'ingresso, perfettemente nel mezzo e con la parete alle spalle. Accanto a lei sostavano parecchi macchinari che non seppe riconoscere, sui quali erano adagiati vari utensili, quali siringhe e bisturi. Tutto era bianco e ordinato, e nell'aria aleggiava un nauseante odore di antibiotico.

Arricciò il naso. C'era qualcosa che non quadrava. Sentiva la divisa estremamente ruvida contro la pelle e aveva un lieve ma nitidissimo sapore di sangue in bocca.

Le dolevano i muscoli e aveva mal di testa. Non ricordava praticamente nulla: si era per caso ferita mentre lavorava nella Zona Recupero? Difficile da credere: lei non era tipo da impegnarsi talmente tanto in un lavoro da non restarne illesa.

Decisamente strano. E a tratti inquietante se pensava che non aveva idea di dove fosse. Decisa a sciogliere il più presto possibile il nodo che le si era creato alla bocca dello stomaco, si alzò in piedi, leggermente barcollante per il troppo tempo passato sdraiata e si avviò verso la porta d'uscita.

Questa si spalancò docilmente non appena la sfiorò con le dita della mano, mostrandole un corridoio immerso nell'oscurità. Varie lampade ad olio - erano ad olio, giusto? Non era mai stata brava a ricordarsi di certi dettagli, specie se non la interessavano -  pendevano spente dal soffitto.

Anche stavolta i suoi occhi misero a fuoco immediatamente l'ambiente che la circondava. Preferì, almeno per il momento, non porsi domande in merito, perchè non aveva idea di cosa la sua fin troppo fervida fantasia avrebbe potuto fornirle come spiegazione.

In fondo si trovava una seconda porta metallica, che scivolò di lato quando ancora si trovava a un metro di distanza.

Sbucò in una stanza enorme, e come la vide la sua mente non potè fare a meno di ricondurla  alle miriadi di immagini olografiche di aereonavi che aveva visto e segretamente - ma neanche tanto - ammirato. Non c'erano dubbi, quella era una sala comandi! Di cosa non ne aveva idea.

Certo, era decisamente spoglia per essere la sala comandi di un'aereonave, ma non vi erano dubbi che servisse, a tutti gli effetti, per pilotare e controllare un veicolo di grandi dimensioni.

In fondo una gigantesca vetrata occupava tutta la parete, ma Tara non riusciva bene a capire cosa ci fosse dietro di essa. Sembrava come se le tenebre laggiù si fossero condensate in un qualcosa di impenetrabile e inaccessibile agli occhi umani. Sicuramente non sembrava un semplice cielo notturno.

Dentro di lei albergavano emozioni e sentimenti contrastanti. Da una parte si sentiva confusa e non poco spaventata: dove diavolo era finita? Come aveva fatto ad arrivare lì? E perchè non si ricordava assolutamente nulla delle ultime ore?

D'altro canto, sentiva nascere dentro di sè delle sensazioni familiari e sconosciute.
La sua curiosità. immancabile compagna delle sue disavventure.
Adrenalina pura, che le impediva di restar ferma.
Potere. Una misteriosissima, insensata e meravigliosa sensazione di potere.

Per forse la prima volta della sua vita qualcosa scattò dentro Tara.
Per la prima volta, per chissà quale motivo, si sentiva forte.
In grado di fare qualunque cosa.

Stava riflettendo proprio su quelle strane e misteriose percezioni quando un'odore nuovo le si insinuò nelle narici, e una voce la riportò alla realtà.

«Tara? Sei tu?»

Lei sussultò e si voltò di colpo. Davanti alla porta - non quella che aveva utilizzato lei per entrare, ma una seconda che non doveva aver notato - sostava l'esile figura di una ragazza, vestita di nero da capo a piedi e con un lungo mantello scuro sulle spalle. L'odore proveniva da lei: ricordava la pioggia d'inverno, e di qualcos'altro che non era in grado di definire. Di certo non era sgradevole.

Nonostate il buio Tara riuscì a distinguere perfettamente il viso perlaceo, i lineamenti duri e affilati, le labbra sottili. Ma ciò che più la colpì furono gli occhi: due enormi occhi viola, profondi e freddi che brillavano nell'oscurità. Notò solo in un secondo momento l'orrido sfregio che divideva in due il volto della misteriosa fanciulla.

Per un istante si ritrovò a pensare a quanto le apparisse familiare e distante quel viso. Scacciò quasi subito dalla mente quelle insensate idiozie.

«Chi sei? E come conosci il mio nome?»

Le parole le abbandonarono le labbra prima ancora che potesse ponderarle, e le uscirono decisamente più dure di quanto avesse voluto. Se la ragazza ne fu turbata non lo diede a vedere.

«Il mio nome è Rachel» disse, portandosi con naturalezza una mano al petto. «Rachel Roth. E il tuo nome me lo ha rilevato il tuo amico, Luke Atwood»

Il cuore di Tara perse un battito. Luke era , assieme a lei? Ciò bastò a rassicurarla nell'immediato e almeno buona parte dell'ansia svanì. Restava da capire dove diavolo fosse quel .

Ma un momento: Rachel Roth? Dov'era che aveva già udito quel nome?

«Ti trovi all'interno di una Megattera. Un sottomarino» si spiegò quella notando l'espressione interrogativa della bionda.

«Un sottomarino? E perché? Cos'è successo? Dov'è Luke? E non mi hai ancora detto chi sei» la interruppe Tara, di colpo nuovamente ansiosa.

Rachel alzò le mani davanti a sè, con i palmi rivolti verso la bionda. Questa comprese all'istante, tramite il linguaggio del corpo, che stava cercando di tranquillizzarla. «Rifletti con calma Tara. Ricordi cos'è successo all'incirca qualche ora fa?»

La ragazza si bloccò. Se lo ricordava? A dire il vero non le pareva fosse successo chissà cosa. Dunque... si era alzata troppo presto per i suoi gusti - come tutte le mattine - ed era andata al lavoro... Giusto?

Sì, rimembrava persino il settore: Zona Recupero, assieme a dei Meccanici che odoravano di zolfo e carburante. Però, uhm, cos'era successo dopo? Quello proprio non se lo ricordava.

«Luke è nella cabina che gli abbiamo assegnato. Era esausto» interruppe il corso dei suoi pensieri Rachel, aggirando - notò Tara - astutamente le prime scomode domande della bionda.

«Ci stiamo dirigendo a est, verso l'Europa. In un posto sicuro. Almeno per il momento» terminò la frase incupendosi, come se il suo viso cercasse di smentire le sue stesse parole. Al sicuro? Al sicuro da cosa? Che voleva dire.

Tara però non fece in tempo a dire nulla che uno schianto improvviso colpì la Megattera, con una violenza tale da mandarle entrambe a gambe all'aria.

Un'imprecazione non esattamente elegante le sfuggì dalle labbra quando il suo gomito cozzò contro il pavimento duro. Si tirò su a sedere, mugugnando e massaggiandosi il fianco, anch'esso rimasto tutt'altro che illeso.

Con una certa inquietudine si rese conto di avere il cuore a mille, nel senso letterale del termine: era come se, al posto dei battiti, vi fossero i più fragorosi tuoni generati dalla più distruttiva delle tempeste. Le milioni di vene che aveva in corpo apparivano come miriadi di cascate sanguinanti, rapidissime e pulsanti.

Percepiva distintamente ogni parte del suo corpo dolorante per quella che era solo una piccola caduta, come se d'improvviso tutti i suoi sensi si fossero amplificati per stabilire dove si fosse veramente fatta male e dove no.

Scacciò quegli allarmanti pensieri dalla mente, poi alzò gli occhi verso l'altra ragazza. Quella si era già rialzata, e si trovava davanti alla console più grande e più vicina alla parete di fondo. Era accigliata, ma sembrava più seccata e infastidita che preoccupata.

«Pirati» ringhiò, mentre sulla console appariva il piano olografico di un radar, che mostrava in scala ridotta la Megattera e un secondo sottomarino, grande meno di un terzo della Megalodon, che si aggirava in cerchi sempre più stretti attorno a loro, come un avvoltoio.

Tara deglutì: «E-Ehi aspetta! Che vuoi dire con "pirati"?»

«Pirata: uomo o donna di mare che conduce azioni dannose e violente al fine di arricchirsi devastando navi, coste e talvolta intere città marittime»

Stavolta la ragazza non riuscì a trattenere un urlo soffocato, voltando il capo di scatto verso l'origine di quella voce metallica. Un piccolo androide a forma di pipistrello la fissava appollaiato su una sedia a una decina di metri da lei, il capo in acciaio inclinato a sinistra a far intendere curiosità. Come diavolo aveva fatto a non accorgersi di lui?

«Vi ho spaventato? O preferite una definizione più generica sulla pirateria del trentunesimo secolo?» le chiese con un'ingenuità tale da poter essere comparata a quella umana il robottino.

«Non mi pare questo il momento, Ares» lo richiamò Rachel. A un suo cenno, il pipistrello metallico sbattè le ali e si alzò in volo, per poi sistemarsi sulla spalla della ragazza, il tutto sotto gli occhi sempre più sbarrati di Tara.

«... Per Rorek, mai che si possa star tranquilli su questa insulsa bagnarola! Uno non può chiudere gli occhi un secondo che subito viene scaraventato giù dal letto da non so cosa...»

Tara si rialzò, e nel farlo incrociò lo sguardo di Amalia, ferma sulla soglia e con un'aria parecchio irritata, vestita unicamente con una vestaglia nera lunga fino ai ginocchi che, fossero state tutte in un'altra situazione, probabilmente sarebbe risultata decisamente comica.

Nel vederla, Amalia si battè una mano in fronte.

«E lo scricciolo si è pure svegliato. Che altro? Forza, non mi stupisco più ora»

«A-Amalia?» balbettò paralizzata la poveretta, che adesso non ci capiva davvero più nulla. Quella che molto probabilmente non era un'Apprendista storse il naso: «Sì, quello è il mio nome. Qualcosa in contrario?»

«Komand'r» la richiamò Rachel. «Ti spiacerebbe comportarti per cinque minuti da adulta e chiamare Wildebeest? No, sai, penso potrebbe ritornare utile visto che stiamo per combattere contro dei pirati»

L'interpellata sbuffò di fronte alle tonnellate di sarcasmo che quella frase conteneva.

«Stai velatamente cercando di dirmi qualcosa, Rae cara?»

«Komand'r»

«Sei carina quando sei esasperata»

Un rumoroso sospiro sfuggì dalle labbra di Rachel, che senza una parola di più mollò la console e si diresse verso l'uscita, seguita a ruota da una ghignante Amalia.

Tara rimase da sola nella sala comandi. Il suo mal di testa era andato ad amplificarsi e il suo cuore stava pian piano cedendo al sentimento del panico. Per la prima volta desiderò davvero di risvegliarsi nel suo letto, nel dormitorio degli Apprendisti, dove almeno sapeva cosa accadeva e sapeva come comportarsi.

«Tara?»

La ragazza sollevò il capo da terra, incrociando gli occhi dell'unica persona al mondo di cui si fidava ciecamente, più di sè stessa. Luke le si avvicinò, timoroso, quasi temesse di ritrovarsi davanti una mera illusione e che, una volta sfiorata, lei sarebbe svanita per non comparire mai più.

«Sei sveglia» mormorò con la voce rotta quando pochi centimetri li separavano. Entrambi avevano gli occhi lucidi.

Senza esitare un secondo di più, Tara gli gettò le braccia al collo, soffocando il viso nel petto muscoloso e reprimendo a stento un singhiozzo. Il ragazzo vacillò per un attimo, poi ricambiò l'abbraccio cercando di trattenere le lacrime che minacciavano di uscire.

Inutilmente.

 
~~~
 
«Ehm, sì, non vorrei intromettermi mentre fate cose, ma ci sarebbero dei simpaticoni che vorrebbero tanto tagliarci la gola. E credo che abbracciarsi teneramente non renderebbe tanto difficile il loro lavoro, eh» osservò Amalia con un sopracciglio alzato, ora vestita con un top nero e una gonna, accompagnati da varie placche metalliche su braccia, gambe e addome.

«Non sapete combattere. Sarebbe meglio per voi rifugiarvi in cabina» proferì atona Rachel. Alla cintura portava appeso un fodero di cuoio, da cui estrasse con eleganza una spada completamente nera come fatta in ossidiana.

Era la lama più fine e bella che Luke avesse mai visto. Lunga e sottile, tanto da poter infilarsi tra le scaglie di un'armatura, e affilata, in grado, probabilmente, di lacerare senza troppe difficoltà una cotta di maglia. Sotto certi aspetti ricordava la stessa Rachel: esile e oscura, fredda e mortale.

Sciolto l'abbraccio con l'amica si erano entrambi diretti senza parlare nella direzione indicata.

Oramai il ragazzo non provava neppure più a sperare di poter far ritorno alla sua vecchia vita, nella City. Non dopo quello che avevano fatto a Tara. Ma al tempo stesso aveva paura. Un conto era abbandonare la City. Un conto era combatterla.

Aveva riflettuto a proposito della cosa, ma non era venuto a capo di nulla. Se non entravano a far parte della Lega, Tara sarebbe stata condannata. Questo almeno secondo Rachel, e se non avesse visto con i suoi occhi il "Risveglio" della bionda, con tutta probabilità non avrebbe creduto a una parola della ragazza in nero. E tutt'ora sentiva di camminare in un campo minato.

Ma diventare agenti? Non era di certo una scelta meno rischiosa.

La porta si richiuse dietro di loro.

 
~~~
 
Sala comandi.

Rachel stringeva tra le dita l'elsa della lama color della notte, senza che un'emozione le attraversasse il volto. Amalia reggeva tra le braccia il suo fidato fucile come se stesse tenendo in braccio un bambino o un tenero cucciolo, e pareva immersa nei suoi pensieri. Wildebeest si assicurava che i suoi guanti neri ricoperti di affilatissime borchie, che rendevano mortale ogni suo pugno, fossero ben allacciati alle braccia.

Uno schianto violento.

«Siamo appena stati abbordati»

I tre agenti si scambiarono un'occhiata d'intesa. Da qualche parte vicino a loro udivano rumori di passi pesanti che si avvicinavano misti a grida feroci.

«Come ai tempi dell'addestramento, eh Rae?»

Una pausa. I rumori si intensificarono.

«Come ai tempi dell'addestramento, Komand'r»

E il massacro iniziò.

 
~~~
 
Luke stava seduto col capo chino sul letto della non molto grande cabina. I capelli neri come il carbone gli ricadevano davanti agli occhi in ciocche scomposte. Rivoli di sudore gli rendevano la schiena appiccicosa. Pensò distrattamente di avere il disperato bisogno di fare una doccia.

Tara era distesa a pancia sopra nel letto di fronte al suo, le mani intrecciate in grembo e le gambe sollevate in una delle sue strambe posizioni che, a detta sua, la aiutavano a rilassarsi.

La fronte era corrugata e lo sguardo celeste perso a rimirare il soffitto, probabilmente a inseguire un guizzante pensiero della sua mente fantasiosa.

In realtà il ragazzo era stupito non poco che non gli fosse stata ancora posta alcuna domanda da parte della bionda, o che comunque, a parta lo sfogo di pochissimo prima, la ragazza sembrasse tutt'altro che spaventata dai tre agenti che li avevano sequestrati, o perlomeno dalla contorta situazione in cui si trovavano.

C'erano volte in cui Luke avrebbe seriamente dato qualunque cosa pur di sapere cosa ronzasse nella testa della sua amica.

 
~~~
 
Rachel Roth.

Dove aveva già sentito quel nome? Era sicura, anzi era più che certa di averlo già udito da qualche parte nella City.
Uhm. Di cosa parlavano solitamente gli Ingegneri con cui aveva a che fare ogni giorno? Era possibile che Ainsworth le avesse raccontato qualcosa in merito nelle rare volte che le urlava addosso?

Era abbastanza sicura che nessuno degli Apprendisti portasse quel nome, anche perchè non era un nome tipico dell'Area Rifornimenti.

Bè, a ben pensarci neppure il mio è un nome tipico dell'Area da cui provengo pensò con una punta di rammarico.

Buffo come in quel momento si sentisse perfettamente calma e lucida, nonostante non avesse la più pallida idea di cosa stesse succedendo. Forse era un modo del suo subconscio per distrarla e impedire che impazzisse. O forse era già impazzita.

Era immersa in questi pensieri quando lo sentì. Un odore ferroso e pungente, appartenente a qualcosa di caldo e rosso.

Un odore terribilmente invitante.

Sentì improvvisamente l'acquolina in bocca e un brontolìo provenire dal suo stomaco. Si accorse di avere fame.

Ogni emozione sparì dal suo volto. Gli occhi rimasero aperti, sgranati e freddi, spenti.

Doveva nutrirsi.

Con immane lentezza, si mise seduta. Poi ruotò la testa verso sinistra, in direzione del suo pasto.

«Luke» mormorò.

«Ho fame»















Ehi. Buonsalve.

C'è qualcuno? Se la risposta è sì: avete una pazienza invidiabile. Se la risporta è no: come avete fatto a rispondermi se non ci siete?

Telepatia?

Okay, scherzi a parte. Vi chiedo sinceramente scusa per l'immane ritardo. Non mi aspettavo di metterci così tanto, davvero. Ma vedete, per quanto mi piacerebbe non vivo su EFP. E, bè, sono piuttosto incasinata in questo periodo.

Non che io abbia poi chissà cosa da dirvi in queste note autore. Semplicemente, scusate e spero vivamente di riuscire a riprendere un certo ritmo nel pubblicare.

Cambiando argomento: che ne pensate di Terra? Non è la psicopatica da film horror di serie B più adorabile che esista?

No? Peccato.

Sembra comunque che il brutto vizio di interrompere i capitoli sul più bello non sia mutato in questi due mesi. Me ne farò una ragione. Voi probabilmente no ;).


Alla prossima gente.

Rose

 
   
 
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