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Autore: kyonnyuchan    15/04/2017    1 recensioni
Kiriko Kirishima, una cinica, disincatata studentessa diciassettenne di Tokyo si troverà suo malgrado (e molto controvoglia) catapultata, assieme ai suoi "amici" in un mondo in completamente diverso dal suo. Un mondo di eroi, demoni, castelli, magia e spade, tale da sfidare il suo senso comune e la sua logica inattaccabile. Ce la farà a farsi strada in questo universo fantasy o ne verrà divorata?
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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You sure bein' a princess is cool, baby?

 

 

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Plargis era inizialmente composta da una serie di piccoli marchesati, baronie e contee, col tempo i borghi più grandi si erano resi autonomi dal dominio dei propri signori feudali, creando una rete di ricchissime città-stato commerciali di medie dimensioni, poi riunitesi in una blanda (e internamente litigiosa) lega di mutua difesa. Per uno strano scherzo del destino, quella regione era l'incrocio della maggior parte delle vie marittime e terrestri del commercio internazionale.

 

Ma si sa, quanto più un territorio è ricco, tanto più è desiderato. Moltissimi grandi regni si erano distrutti in guerre lunghissime per ottenerne il possesso. Ma più i vicini si massacravano, più i banchieri di Plargis (prestando soldi ad usura ai re di questa o quella nazione, affannati a spenderli per creare possenti eserciti) prosperavano. Per le grandi potenze che la bramavano, era una sorta di frutto irraggiungibile e maledetto.

 

Mentre epiche battaglie si svolgevano, però, gli apparentemente insignificanti e deboli duchi di Afalia, saltando con ottimo tempismo sul carro del vincitore all'ultimo in questo o quel conflitto, si ingrandivano senza sprecare troppi soldi e troppi soldati, sino a confinare con la terra di Plargis. Ovviamente anch'essi vennero contagiati dal desiderio di possederla, ma sapevano che se avessero ingaggiato battaglia per quei territori non avrebbero avuto scampo, attirando su di sé uno stuolo di nemici in grado di ingoiare il ducato per intero.

 

Per questo motivo affrontarono la sfida nell'unico modo per loro possibile: sfornando principi e principesse di sangue blu e offrendoli sull'altare sacrific-ahem, matrimoniale a tutti i signori, grandi possidenti, ricchi mercanti della regione di Plargis. Dopo un centinaio di anni di questa politica, annettere al proprio dominio quella sorta di gallina dalle uova d'oro era stata pura formalità.

 

A quel punto, ai grandi regni limitrofi cadde di colpo il velo dagli occhi. Dopo essersele date di santa ragione per generazioni, erano rimasti con un pugno di mosche in mano. Fecero per allearsi contro i duchi di Afalia, ma ormai questi, con i soldi dei tributi riscossi, potevano pagarsi un esercito mercenario di prima qualità, tanto da rendersi intoccabili. Del resto, potevano anche permettersi di mettere sul proprio libro paga persino gli stessi re che volevano attaccarli, ponendoli gli uni contro gli altri. L'unica cosa che ai signori di Afalia ancora mancava (e che desideravano ardentemente) era il titolo regio.

Per ottenerlo c'erano due modi:

 

Il primo era cercare di farsi amico e alleato l'imperatore di Gaulonia, l'unico con l'autorità per elevare un ducato a regno. E di solito, 'farsi amico' l'imperatore significava riempirlo d'oro e dargli qualche principessa da far sposare ai suoi orrendi figli.

Il secondo era infinitamente più rapido e sbrigativo: conquistarsi la corona sconfiggendo qualcuno che re lo era già. Cosa che sino a quel momento i duchi di Afalia avevano sempre evitato accuratamente di fare.

Due detti molto diffusi nel vicino regno di Bavis descrivevano con un buon grado di esattezza lo spirito afaliano:

Se Afalia ti fa guerra, allora vuol dire che stavi già da prima con un piede nella fossa.”

Afalia non finisce mai una guerra dalla stessa parte con cui l'ha cominciata.”

 

Il duca ereditario Stjepan era stato educato in un'università bavense, per cui provava un intimo senso di vergogna per la fama di codardia di cui godeva il suo stato. Per lui era giunto il momento in cui Afalia dovesse dimostrare sul campo di battaglia di essere una grande potenza.

Il vecchio Tvrtko, suo padre, al contrario, era convinto che fosse perfettamente inutile rischiare la pelle cercando delle eroiche conquiste nello stile dei poemi cavallereschi. Oltre a giudicare la cosa del tutto estranea allo spirito afaliano, riteneva anche che fosse del tutto irrazionale e controproducente. Per tale motivo non smetteva di rimproverare il figlio, ripetendogli continuamente: Meglio un codardo ricco che un eroe morto di fame. Anzi, meglio ancora un codardo vivo che un eroe morto.

 

Stjepan era stato benedetto dalla nascita di una bambina, che, secondo le migliori tradizioni della famiglia, una volta giunta in età da marito sarebbe stata una delle più ricche e appetibili ereditiere del continente. Il nome di questa adorabile fanciulla era Mirìs Jelena Kosaca Kotromanica Varigan, del casato dei Gryalme. Per nascita duchessa ereditaria di Afalia, marchesa di Grialmia e margravia di Plargis.

Ciò che il suo amorevole genitore non sapeva, era che nel corpo di sua figlia stava lo spirito di una persona che rispondeva ad un altro nome: Hinata Himamiya.

 

Quando aveva realizzato di essere stata catapultata in un mondo molto simile a quello che si poteva vedere in quegli anime fantasy che piacevano tanto a quegli sfigati come Kimura e compari, inizialmente aveva passato un buon mese a recitare mentalmente tutte le bestemmie che poteva formulare a tutte le divinità che conosceva. Non era mai stata particolarmente credente, per cui non è che fossero molte, ma la cosa non rappresentava un particolare problema per la sua rabbia repressa.

 

Poi, però, qualcosa era cambiato. Lentamente aveva cominciato a comprendere una cosa molto importante. Aveva una stanza quasi più grande del suo intero appartamento in Giappone, e non si poteva dire esattamente che provenisse da una famiglia povera. Se si affacciava alla finestra poteva vedere un'intera città dall'alto di una torre. C'era uno stuolo di domestiche a sua disposizione. Senza parlare di cuochi personali, precettori privati...

 

Per tutti i kami, ho fatto jackpot! Sono una principessa!

 

Per una ragazza cui piacevano i soldi e la bella vita in misura tale da dedicarsi con costanza, impegno e dedizione alla nobile arte dell' Enjo Kousai, o, come preferiva denominarlo Kiriko, 'troieggiare come se non ci fosse un domani', era come finire nel paese dei balocchi. Certo, l'idea di doversi lavare poco era piuttosto avvilente, per una giapponese come lei, così come la quasi completa mancanza dal menu di piatti a base di riso o suoi succedanei... Ma nel complesso erano dettagli su cui poteva soprassedere.

Fosse perché il suo corpo aveva solo quattordici anni o perché, in fondo, anche nella sua vita originale l'aveva visto come mero mezzo per giungere ad un fine, nemmeno la mancanza temporanea di vita sessuale la deprimeva più di quel tanto.

 

***

 

“Miris!”

 

“Sì, padre, cosa desiderate?”

 

“Figlia mia, come già ti ho detto, domani terremo un banchetto ufficiale in onore degli ospiti giunti da Averia. Mi raccomando, reca onore alla nostra casa, come si conviene ad una principessa del tuo rango!”

 

“Ma certo padre, non temete!”

 

Disse lei, accennando un leggero inchino e sfoggiando un luminoso sorriso.

 

Stjepan a quella vista non riuscì a trattenersi e abbracciò intensamente la sua 'bambina', senza rendersi conto di come, da ormai diverso tempo non poteva più considerarsi tale (Se mai lo fosse stata davvero).

 

Resisti, resisti... Pensa che questo vecchio di merda è la tua gallina dalle uova d'oro...

 

Completamente ignaro dei cinici pensieri della sua adorata figliola, fece per uscire dalla sua stanza. All'improvviso, tuttavia si bloccò e aggiunse:

 

“Ah, so che ti piacciono i romanzi cavallereschi... Domani sera ti mostrerò qualcosa che ti piacerà moltissimo, bimba mia!”

 

“Attenderò con ansia il momento, padre mio!” Replicò prontamente lei, senza smettere di sfoggiare l'espressione più solare e ingenua di cui era capace.

 

Hinata era ormai talmente abituata a recitare una parte che il comportarsi a quel modo le veniva fin troppo semplice. Indossava una maschera da talmente tanto tempo da non ricordarsi nemmeno quale fosse, il suo vero volto. Ultimamente però, qualcosa dentro di lei non quadrava. Sentiva uno strano senso di oppressione al petto, una perenne insoddisfazione...Cosa diavolo le stava capitando.

 

Forse – e ripeto, forse – Così è tutto troppo facile... Avere tutto senza nemmeno piegarsi a novanta una volta? Fa talmente strano... No, aspetta un attimo, Hinata, cosa stai pensando? Che non desideri fare vita da principessa? No, no, ehi, non scherziamo...

Nah, calmiamoci... Ho questi pensieri solo per il fatto che senza sesso, alcolici e sigarette la vita qua dentro inizia a diventare una palla atomica.

 

La sera seguente, come era ampiamente pronosticabile, al banchetto era presente tutta la corte al gran completo. Al centro della grande tavolata, su un trono di legno scolpito che probabilmente era stato commissionato per l'occasione, stava il duca Tvrtko, con un'espressione solenne e grave scolpita sul volto.

 

Non me la dai a bere nonnino... E' tutta una scusa per guardare nella scollatura di lady Jelena Ostoja e di lady Katarina Dabisa...

 

Cercando di non far scivolare i suoi pensieri sulla nefasta possibilità che nel suo attuale corredo genetico non vi fosse particolare propensione per l'abbondanza di proporzioni, la sua mente si concentrò sulla decifrazione delle espressioni di suo nonno. Quel vecchietto in fondo le piaceva. Era pratico, freddamente cinico e razionale, ma allo stesso tempo fedelmente coerente con le sue voglie carnali. Un po' come lei... La lei originale...

Al contrario di quel fallito di suo padre (seduto alla destra su un trono igneo di poco più basso) che le dava tutta l'aria di essere un idealista senza speranza.

 

“Ricorda Stjepan, di solito quello che da' sprone al cavallo e parte lancia in resta per difendere i propri ideali, è il primo che crepa. Ho già una mezza idea di quello che hai intenzione di dire dopo lo spettacolo... E ho tre quarti di idea che sia una cazzata”.

 

Quando udì quelle parole, dette a suo padre da suo nonno Hinata avrebbe voluto, pur non comprendendo le circostanze, applaudire e aggiungere un sonoro 'parole sante!', ma le toccò fare la faccina tutta contrita per salvare le apparenze. In quella occasione, tuttavia, ebbe l'impressione che il vecchio Tvrtko l'avesse guardata più intensamente del solito, quasi come se avesse capito la sua vera indole.

 

Del resto, quella non era la prima di tante situazioni in cui, mentre rampognava il figlio, guardava la nipote, come per cercare una muta intesa con lei.

 

Intenta a dubitare se ridere o piangere di ciò, il suono di tromba dell'araldo la prese di sorpresa e le indusse un lieve sobbalzo. Stjepan le sorrise teneramente, poi si alzò in piedi e gridò con voce stentorea:

 

“Entrate, oh miei messaggeri!”

 

Quelli dei club di teatro della nostra scuola dovrebbero prendere un paio di lezioni...

 

Alle parole dell'anfitrione, le porte del salone dei ricevimenti si spalancarono e entrò un elefante, accompagnato da due palafrenieri e con in groppa una bionda dama con indosso una candida veste e un diadema con simboli lunari sul capo.

 

Miris per poco non sputò l'acqua che stava bevendo.

 

Eh? Ma che cazzo...

 

Il padre le sorrise di nuovo, felice dell'effetto sorpresa che aveva causato nella figlia, quindi, di nuovo, con voce possente, fece, rivolto alla strana comitiva:

 

“Che notizie portate, dunque, dal lontano sud?”

 

A quel punto, la dama iniziò con voce teatralmente sospirosa a esporre, in forma di poesia, i suoi tormenti.

 

Per farla breve e eliminata tutta l'enfasi dal discorso, la bianca dama rappresentava una città. Miris/Hinata non aveva capito molto bene, ma doveva essere estremamente famosa, antica e grande. Veltemyn l'avevano chiamata?

Ebbene, questa sottospecie di pantomima era per dire che la città che era stata culla della civiltà del continente e sede del primo grande impero, ora era in pericolo di essere conquistata da barbari senza Dio pronti a stuprarla e renderla schiava.

 

Alle parole 'stuprare' e 'rendere schiavo', Hinata vide gli occhi di suo padre illuminarsi di eroico sdegno per la triste storia della pulzella, mentre quelli di suo nonno si erano illuminati di... Pensieri impuri? Sì, aveva visto diversi uomini con quel tipico sguardo:

il 'vorrei ma non posso, sono una persona rispettabile. Forse.'

A difesa del suo caro nonnino si doveva dire che effettivamente quel vestito di lino bianco aveva una lieve, ancorché lasciva trasparenza...

 

Terminato il discorso della avvenente damigella in pericolo, Stjepan giunse al tanto sospirato pezzo forte:

 

“Ebbene, io qui dinnanzi a voi e di fronte al mio nobile padre e signore, giuro, alzando al cielo, verso la nostra amata Dea lassù, questa piuma d'aquila (Da dove l'ha tirata fuori? Fu il pensiero improvviso di Hinata), che non avrò riposo sino a che quella nobile landa sarà liberata dalla minaccia delle orde infedeli che la affliggono! Dichiaro che partirò alla volta di Veltemyn, assieme a chi lo desidererà, per una guerra santa contro i Teumig!”

 

A quelle parole, molti giovani cavalieri si alzarono in piedi e alzarono anche loro le proprie piume per prestare anche loro giuramento.

 

Ah, questa era la cazzata che diceva il nonnino, allora! In effetti...

 

Per concludere, un giovane cavaliere si staccò dal seguito dell'elefante e mostrò a tutti un pezzo di carta, urlando:

 

“Guardate! Guardate cosa gli infedeli vogliono fare delle giovani fanciulle di Veltemyn, invocando ignobili demoni tentacolari dagli abissi della terra!”

 

Anche Hinata, senza troppo entusiasmo, gettò un occhio su quella specie di rappresentazione artistica dell'inferno.

Ne rimase molto, molto, molto più stupita di quanto non avesse potuto supporre.

 

   
 
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