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Autore: Emily Kingston    16/04/2017    1 recensioni
A Lily piaceva la primavera.
Le piacevano un po’ tutte le stagioni, in verità, perché era una persona contraddittoria.
In particolare, la primavera le piaceva perché tornava il sole e quindi poteva andare al mare a vedere il tramonto senza congelare.
Ma le piaceva anche perché le ricordava le canzoni di James Bay – o erano le canzoni di James Bay a ricordarle la primavera?
Comunque, James Bay le piaceva.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le onde erano tante, perché c’era qualcosa che ti mancava sempre
 
~ Quando eri triste ~
mi portavi a contare le onde
e le onde erano tante
perché c’era qualcosa che
ti mancava sempre.
 
Avevi vent’anni
e mi sarei schiantato volentieri
sui tuoi scogli
ma c’erano spiagge segrete
che non mi rivelavi
nemmeno quando le dita
si cercavano nel buio
come piccole navi.
 
Dicevi
la mia felicità sta sempre
in un altro porto
e piangevi perché
quel porto
non riuscivi a trovarlo
e piangevo perché
quel porto
non ero io.1
 
 
…è in arrivo al binario nove, attenzione, allontanarsi dalla linea gialla.”.
A Lily piaceva la primavera.
Le piacevano un po’ tutte le stagioni, in verità, perché era una persona contraddittoria.
In particolare, la primavera le piaceva perché tornava il sole e quindi poteva andare al mare a vedere il tramonto senza congelare.
Ma le piaceva anche perché le ricordava le canzoni di James Bay – o erano le canzoni di James Bay a ricordarle la primavera?
Comunque, James Bay le piaceva.
A Lily piaceva la primavera e le piaceva vestirsi in modo primaverile. Ma forse questa era una novità.
Fatto sta che si trovava lì, dietro alla linea gialla, con un vestito a fiori che svolazzava, mosso dal vento caldo, e un giacchetto di jeans.
Quel giacchetto di jeans aveva un che di speciale.
Per tanti anni l’aveva desiderato, di quell’esatto colore e di quell’esatta forma, ma non era mai riuscita a trovare nulla che le piacesse abbastanza. Era sempre troppo corto, troppo scuro, troppo attillato, con troppe tasche, troppo strappato. Troppo tutto. Poi, un giorno, lasciando una città che sentiva estranea e inospitale, l’aveva trovato in un negozio del posto, esattamente uguale a come se l’era sempre immaginato.
Adesso erano inseparabili.
Infilò le mani nelle tasche, muovendo i piedi nervosamente come faceva sempre.
Un ragazzo, una volta, si era innamorato di lei per quella sua mania di non stare mai ferma. Sorrise ripensandoci, era una storia buffa.
In lontananza, il treno fece capolino all’orizzonte, avvicinandosi sempre di più.
Non lo sapeva dove stava andando.
Si era svegliata, quella mattina, con uno strano senso d’inquietudine – quella che di tanto in tanto tornava sempre a trovarla senza un perché – e si era sentita stanca.
Stanca dei pensieri opprimenti che le riempivano il petto.
Stanca delle giornate monotone in cui fingeva che andasse bene così.
Stanca delle lacrime all’improvviso e del fatto che fosse sempre tutto difficile.
Perché non poteva essere facile, almeno una volta?
Se l’era chiesto quella mattina, come se lo chiedeva sempre, solo che stavolta aveva deciso. Doveva andare via.
Da qualche parte. Ovunque.
L’importante era andare lontano.
A Lily piaceva scappare.
Le piaceva sparire.  
Era brava a nascondersi, perché aveva paura di tutto e di tutti e quando il dolore faceva capolino, ammiccando dal vicolo buio in lontananza, lei iniziava a indietreggiare.
L’aveva scoperto a nove anni questo suo talento, quando un gatto randagio era entrato nella sua casa al mare ed era diventato suo amico. Un giorno, aveva capito che non avrebbe potuto portarlo con sé in città, perciò aveva fatto quello che Lily fa sempre: l’aveva allontanato, perché più lui fosse rimasto, più lei avrebbe sofferto al momento della separazione. Meglio affrontare il dolore prima che faccia troppo male. Meglio non provare niente.
Il treno si fermò davanti a lei, stridendo a contatto coi binari. Ci fu un momento di calma, poi le porte si aprirono e una marea di gente cominciò a scontrarsi per entrare e uscire, senza nessuno che desse la precedenza all’altro, creando così dei gomitoli di persone di fronte alle entrate.
Lily rimase in disparte, in attesa che la matassa si disfacesse da sola.
Non sapeva quanto sarebbe stata via.
Aveva bisogno di una pausa da tutto ciò che le appesantiva il respiro.
E aveva bisogno di capire cosa fosse.
Afferrata la piccola valigia di pelle marrone (un piccolo peccato vintage che si era concessa), si avviò verso l’ingresso più vicino. Sorrise alla signora anziana a cui dette la precedenza e poi entrò, addentrandosi tra i corridoi del vecchio treno regionale dai sedili sgualciti, che però sembravano essere stati rifoderati di recente.
Andò a sedersi in un posto singolo, uno di quelli che a volte stanno in fondo alla carrozza, perché a Lily piaceva la solitudine. Le piaceva e al contempo al soffriva.
Contraddittoria, appunto.
Mise la valigia sotto al sedile, tirò fuori le cuffie dalla tasca e le attaccò al telefono, accavallando le gambe.
Appena il treno partì, iniziò subito a guardare fuori, per godersi il panorama. Era la sua attività preferita quando viaggiava, insieme all’origliare le conversazioni dei turisti inglesi.
Mano a mano che la stazione si allontanava, facendosi più piccola, lei si sentiva più leggera.
Il dolore si rintanava nel suo vicolo buio, indispettito, e, non appena fu abbastanza lontana, Lily si mise a correre.
La stazione era sparita alla vista.
Il viale era lungo, soleggiato, pieno di gente che parlava e svolgeva le attività quotidiane, e il vicolo era lontano alle sue spalle, ormai invisibile. Era al sicuro.

 
 
Poesia di Edoardo de Martinis 

 
   
 
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