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Autore: _NimRod_    17/04/2017    1 recensioni
In piedi nello stretto corridoio centrale del treno, il ragazzo guardò il sedile accanto a sé. La tizia con il taglio alla Semola e gli anfibi si esaminava le unghie smaltate di rosso scuro. Era quasi certo ci fosse un girone speciale dell’Inferno riservato unicamente a coloro che nell’ora di punta occupavano la seduta di fianco alla propria con giacca e borsa, costretti per l’eternità a rimanere scalzi, in piedi su braci ardenti, impossibilitati a sedersi per via delle giacche e delle borse inamovibili che ricoprivano ogni superficie rialzata del girone. Aveva un quarto d’ora scarso di treno davanti, era mattina presto e si moriva di caldo: non aveva per niente voglia di mettersi a sindacare e probabilmente dover discutere per uno stupido sedile per una questione di principio.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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Valerio ascoltò con attenzione ogni singola parola del racconto di Valentino, senza tuttavia riuscire minimamente a empatizzare con lui. Non avendo mai vissuto nulla del genere gli era impossibile sentirsi coinvolto emotivamente e non era da escludersi che nella parte più oscura, putrida ed egoista del proprio cuore, in fondo in fondo, un po’ ci godesse.

“Mi dispiace”, mentì Valerio.

Fetta!” rispose Valentino con il primo sorrisetto dopo giorni, meno amaro di quanto Valerio si sarebbe aspettato. Alzò gli occhi verso le scritte luminose arancioni del tabellone della fermata dell’autobus e, dopo aver tirato su con il naso, aggiunse: “Ancora tre minuti.”

La pioggia era così fine e leggera da essere in balia dell’aria: fregandosene della forza di gravità, l’acqua quasi nebulizzata cadeva orizzontalmente, rendendo di conseguenza inutile la copertura in acciaio e plastica trasparente sotto la quale si trovavano i due ragazzi, un’anziana signora infreddolita e una madre sudamericana con un passeggino.

“Vederti giù di morale non mi rende felice. Mi infastidisce parecchio, anzi.”

“Passerà. Alla fine dei conti, passa sempre tutto.”

Il viso di Valentino era magro, dai lineamenti affilati: il naso dritto e le sopracciglia naturalmente sottili erano intonati all’insieme. Erano invece fuori dal coro i suoi occhi castani e il sorriso, dolci e morbidi come la sua voce, come il suo modo di parlare calmo e pacato.

“Scusami, in questi ultimi giorni sono stato una merda. Mi sono sentito come se si mi fosse salito soltanto ora il male di una botta presa mesi fa, avevo voglia di medicarmi la ferita da solo rendendo però le persone che mi stanno intorno ben consce della mia sofferenza. I miei modi di elemosinare le attenzioni altrui sono sempre molto stupidi.”

Salire sull’autobus nei giorni di pioggia era come tentare di infilare un libro nello scaffale già pieno della libreria, eppure l’avere la guarnizione dell’uscita dell’autobus che si apriva e chiudeva a un centimetro dal naso di Valerio era uno scotto degno di essere pagato. Perfino l’odioso riscaldamento a manetta unito al calore del motore in coda all’autobus era reso più sopportabile grazie alla sensazione del corpo di Valentino premuto contro al proprio. Dal canto suo, Valentino avrebbe voluto scusarsi per la vicinanza obbligata, ma era consapevole che per Valerio il contatto era tutt’altro che causa di fastidio. E alla fin fine, anche a lui non dispiaceva. Avrebbe dovuto comunque scusarsi, fingendo di non rendersene conto, in modo da non creare situazioni imbarazzanti? Oppure starsene zitto e lasciare che la condizione di tensione omertosa si acuisse ancora di più? Nel suo ruolo di Regina di Cuori infranti, qualsiasi azione o non-azione avesse compiuto nei confronti di Valerio sarebbe stata sbagliata o comunque fraintendibile. Ignorare l’interesse palese di Valerio significava prenderlo in giro. Intraprendere qualcosa a livello fisico significava usarlo per necessità fisiologiche. Lasciare uno spiraglio per un eventuale percorso sentimentale non sarebbe sembrato credibile e sarebbe stato interpretato come una necessità fisiologica camuffata. Una bella situazione del cavolo. Valentino sospirò, cercando inutilmente di sistemarsi i capelli umidi con la mano che non stava stringendo la sbarra di ferro del bus. Era frustrante. Avrebbe fatto meglio a sorvolare su tutto quanto, a evitare la sceneggiata dell’anima in pena, a non confidarsi. Magari adesso Valerio provava compassione e pena nei suoi confronti. Con Michele era sempre stato tutto molto semplice, lui di problemi non se ne faceva mai: se ne fregava di tutto e tutto andava bene, non c’era ostacolo che non potesse essere superato con un’alzata di spalle. Era il suo maggior pregio ma anche il suo più grande difetto. Aveva reso l’inizio della loro storia una vera passeggiata, ma la stessa leggerezza nell’affrontare l’epilogo era stata fuori luogo. Aveva alzato le spalle e detto “Ok”.

Michele era stata la soluzione più comoda, l’unica a portata di bicicletta. L’amore era stata la conseguenza, non il punto di partenza. Michele non era uno stronzo insensibile, era soltanto rimasto più lucido, evitando di cadere in una iper-idealizzazione nobilitante del loro rapporto. Al contrario di Valentino.

Le luci delle auto, dei lampioni, si rifrangevano attraverso le gocce che scorrevano sulle lastre di plexiglass dei finestrini, scomponendosi in puntini luminosi nell’oscurità. Le giornate stavano diventando troppo corte. Il traffico congestionato dalla pioggia aveva allungato i tempi della corsa dell’autobus, ma i ragazzi avevano comunque un buon anticipo sull’orario di partenza dei rispettivi treni. Valerio sospirò. Il fatto che Valentino non tentasse minimamente di spostarsi lo stava mettendo in agitazione. Probabilmente voleva soltanto mantenere una posizione vantaggiosa per potersi sistemare i capelli con il riflesso del finestrino. Era appena uscito da una storia importante, inutile farsi strane idee o sperare di essere nei suoi pensieri, aveva sicuramente altre vicissitudini da gestire, approfittare della sua fragilità sarebbe stato da infami. A meno che non fosse lo stesso Valentino a volerlo, in tal caso sarebbe stato Valerio a essere sfruttato per sopperire a qualche mancanza. Non sarebbe nemmeno stato spiacevole sotto un certo punto di vista, ma per il resto… Non era esattamente ciò che stava cercando. Per quello c’erano le App attraverso le quali aveva da tempo sperato di trovare altro rispetto a quello che realmente offrivano, senza ottenere alcun risultato.

Le porte dell’autobus si aprirono con uno sbuffo sommesso davanti all’ingresso della stazione, Valerio smise di massacrarsi il labbro inferiore con i denti e scese con un piccolo balzo, sistemandosi la fascia della tracolla sulla spalla.

Arrivati sulla piattaforma che separava i binari con direzioni opposte, Valentino si accese una sigaretta: il treno di Valerio era già arrivato e attendeva di inglobare gli ultimi passeggeri prima della partenza.

“Vado. Ci vediamo lunedì”, sorrise Valerio.

Valentino si avvicinò alla porta del treno che aveva appena attraversato Valerio: “Domani sera suono all’Arci **** che c’è vicino alla nostra sede. Se vuoi venire, l’Eugenia mi ha detto che se non va da suo papà lei c’è. Immagino che di conseguenza si materializzerà anche Paolo.”

“Se riesco a convincere qualche mio amico, volentieri. Non vorrei tenere il lumino tutto il tempo”, rispose l’altro, consapevole che sarebbe andato da solo e che la presenza di Paolo e dell’Eugenia, soli o in coppia, era tutt’altro che importante.

Valentino divenne improvvisamente euforico, anche i capelli disastrosi sembravano aver cessato di essere motivo di tedio: “C’è anche una mia amica, non sarai comunque da solo. Allora spero di vederti domani. Ciao, Vale!”

“Ciao, Tino.” Valerio cercò di mantenere la cordialità senza lasciarsi sopraffare dall’entusiasmo. Quando la porta si richiuse automaticamente tra di loro, non poté evitare di sorridere inebetito. Nemmeno i taglietti che gli torturavano le labbra erano un problema.

   
 
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