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Autore: Koa__    19/04/2017    10 recensioni
John Watson, un medico reduce di guerra finito nelle Indie Occidentali, cerca di sopravvivere a una vita di solitudine e senza un briciolo di avventura. Un giorno, John fa però un incontro straordinario e del tutto inaspettato. Nella sua monotona esistenza, entrano così Sherlock Holmes, pirata della peggior specie, e la sua stramba ciurma.
Genere: Angst, Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes, Victor Trevor
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Let's Pirate!'
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L’inseguimento
 


 
Quando capitan Holmes scese dalla balaustra dove era rimasto per un lungo lasso di tempo, già la sera era calata e il cielo tinto d’azzurro, aveva lasciato spazio a un buio violaceo. Qualche stella la si poteva scorgere, nascosta in buona parte da sprazzi di luce del giorno che ancora persistevano. Sherlock tornò sul cassero, concedendo a chi già vi stava, l’onore di poterlo osservare nella guizzante agilità con cui si muoveva. Era saltato giù con un balzello, grazie all’agilità di un qualcuno che pareva non fare sforzo alcuno nel praticare attività fisica. John si ritrovò segretamente ad ammirarne le doti, oltre che la muscolatura, maschile ma non eccessiva, che faceva capolino da sotto la camicia. Anzi, quasi un accenno d’invidia parve voler nascere dalla bocca dello stomaco, subito ricacciato indietro da una stoica determinazione. Non era affatto il momento ideale per lasciarsi andare a cose del genere e con buona parte dei pirati de la Norbury sul ponte principale, non poteva permettere alla propria segreta ammirazione di sbucare a quel modo. Pertanto riprese il controllo, o almeno ci provò, concedendo unicamente una qualche occhiata fugace a Victor Trevor, il quale non si preoccupava di nascondere la propria fascinazione nei confronti di Sherlock. Un prete malizioso come di consueto e che ora teneva lo sguardo puntato in direzione di John, fissandolo con un’espressione a metà tra la curiosità e lo studio approfondito. A un certo momento gli strizzò addirittura l’occhio, accennando al corpo perfetto del capitano con un qualche abile movimento della mano, che tutto aveva tranne che del decente.
«Sai, dolcezza, che cosa rende immondo l’uomo?» gli chiese a un certo momento, sussurrandogli all’orecchio con un fare appena un poco lascivo mentre già si era spalmato contro e ora gli stringeva il braccio in un gesto invasivo, ma che aveva un qualcosa di fraterno. Non nascose d’essere stupito dalla domanda, assai strana e certamente inaspettata, ma d’altronde se c’era una cosa che aveva capito era che l’imprevedibilità era una delle caratteristiche di Victor. Era impossibile comprendere che cosa gli passasse per la testa, se il suo parlare fosse serio oppure scherzoso. Delle volte sembrava che l’ironia non fosse altro che un velo dietro al quale celava una drastica serietà, una sorta di malessere che fuoriusciva raramente dallo sguardo, come lampi di un temporale. Ma il tutto avveniva rapidamente e fin troppo repentini erano i suoi cambi di umore perché si potesse avere certezza di una qualche cosa, quel che era sicuro, era che un qualcosa in Victor Trevor sfuggiva alla vista disattenta di chi lo guardava. Per certi versi aveva fin tante somiglianze con Sherlock Holmes, c’era un intento simile nel nascondersi agli altri. Era soltanto opposta la maniera di atteggiarsi.
«Omicidi» riprese dopo un attimo di silenzio «propositi malvagi, furti, fornicazione e bestemmie rendono l’uomo bieco e malvagio. Ma poiché alcune di queste azioni spesso provengono dal cuore allora io ti dico di seguire il tuo cuore, John Watson e non lo dico soltanto io, lo dice l’evangelista Matteo. A lui non potrai certo dire di no, sarebbe blasfemia!» *
«A parte che non penso proprio che il vangelo spinga gli uomini a fornicare fra loro, ma non sono sicuro di aver capito che cosa vuoi che faccia.»
«D’accordo giochiamo a carte scoperte» gli disse, scivolandogli di fronte e parandosi a meno di un palmo dal suo naso. Sebbene non ne fosse spaventato e nutrisse per quel prete una sorta di interesse, non poté dire di sentirsi tranquillo o a proprio agio. Non in quei frangenti e non con gli occhi di Victor puntati addosso, che lo studiavano con una fastidiosa furbizia.
«Sherlock ti piace, non negarlo o credi forse che non abbia notato i sorrisi, le occhiate e i sospiri? Hai tutto un corredo di espressioni che dedichi al capitano e l’ho notato fin da ieri. Quindi le cose sono due: o ti decidi una volta e per tutte a innamorartene perdutamente (e tra le opzioni ti suggerisco di cogliere questa), oppure soffochi quel che provi ed eviti di fargli gli occhioni.»
«Io non» abbozzò, subito smorzando un chissà quale discorso che soffocò grazie a una risata nervosa. «Non voglio c… è forse una minaccia?» domandò infine, ancora confuso e imbarazzato, incrociando le braccia al petto con un fare baldanzoso che però non possedeva affatto e che lo faceva apparire quasi ridicolo.
«Certo che lo è, bellezza. Vediamo di capirci bene, l’amore che provo per il capitano supera ciò che tu ora puoi permetterti di comprendere, lui è più di tutto quello che chiunque altro sia mai stato per me e farò l’impossibile per proteggerlo. Perciò voglio, anzi pretendo che tu sia sincero. Perché se va a finire se lui si innamora di te e poi tu gli spezzi il cuore, io giuro su Dio che di John Watson non ne rimarrà che un vago ricordo tra quei figli di puttana che chiami compagni d’arme.»
«Ehi, io» iniziò balbettando, fermandosi immediatamente dopo. Si sentiva in trappola e catturato e torturato senza alcuna pietà da quello sguardo mai tanto sincero. La verità era che aveva torto marcio e che Victor aveva ragione. Non aveva le idee chiare riguardo a quanto stava succedendo e probabilmente mai le avrebbe avute. Era sempre stato attratto dalla leggenda del pirata bianco e prima ancora di infatuarsi di lui si era innamorato delle storie che lo riguardavano, poi lo aveva incontrato e anche se in un primo momento poco aveva riflettuto, ora si ritrovava a dover fronteggiare la realtà. Quel giorno alla piazza si era lasciato trasportare, seguendo l’istinto e ora si ritrovava su una nave battente bandiera nera e con l’idea di Sherlock Holmes piantata nella mente e già radicata nel cuore. Aveva capito quanto diverso fosse da come veniva ritratto in certe storie, molti esageravano aggiungendo dettagli o particolari di loro invenzione. Tutte cose tremendamente affascinanti, ma non poi così vere. Tuttavia e nonostante la realtà fosse parzialmente diversa, conoscerlo e starci a fianco non era stata una delusione. Al contrario era una continua e dolce scoperta e non si trattava unicamente della bellezza sfacciata del corpo, ma era soprattutto l’intelletto ad affascinarlo. L’ammirazione che c’era nello sguardo dei suoi uomini, ma anche il modo in cui ne spiegavano la filosofia di vita, per non parlare del violino, delle carte sparpagliate nella cabina, del cane o persino dell’eleganza che dimostrava d’avere in gesti e portamento, ne facevano il quadro di un pirata istruito e interessante. Ora e portando lo sguardo a quella figura slanciata che si stagliava ancora sopra le loro teste, John si rese conto che quel giovane uomo aveva già preso il suo cuore. 
«Senti» riprese dopo un qualche attimo di indecisione «l’ultima cosa che voglio è far soffrire lui o voi, perché siete stati così gentili con me e… ma è successo tutto così in fretta e la mia vita è cambiata nel giro di una giornata e lo so che sono stato io a venirvi dietro e a cercarvi, è che sono un po’ stordito. Però hai ragione, devo fare chiarezza perché quello che hai detto prima è dannatamente vero.»  
«Dolcezza, calmati, io non voglio una tua dichiarazione d’amore e sono certo delle tue buone intenzioni, ma Cristo santo, con te servono le maniere forti! Sai che c’è? Io e te faremo una bella chiacchierata, il prima possibile perché qui siamo sulle spine, fratello caro. È strettamente necessario che qualcuno dalla poderosa mascolinità gli faccia invocare Dio e tutti i santi del paradiso mentre fa della buona e sana fornicazione e io spero tanto che quel “qualcuno” sia tu.» A sentir le sue parole, di certo di scherno e affatto serie (perché non poteva pensarlo davvero), John involontariamente sorrise. Il tentativo di non dar troppo a vedere il proprio divertimento finì miseramente quando Lestrade si frappose tra loro, intento a spezzare il loro inopportuno gioco. Ci riuscì nel giro di un istante e quello strano e insolito discorso morì immediatamente. Poco dopo, il capitano prese a parlare e tutti tacquero.

Così com’era buon costume tra i pirati, ogni persona a bordo di un vascello sapeva che la parola del comandante equivaleva alla legge e che finché non toccavano terra, la vita della ciurma dipendeva dalle decisioni che prendeva. Se un qualcuno avesse badato unicamente all’aspetto esteriore, e senza preoccuparsi di conoscerne la nomea, avrebbe detto che Sherlock Holmes era niente di più se non un giovanotto che aveva troppi grilli per la testa. L’aspetto fanciullesco e il viso sbarbato, la capigliatura ribelle e indomita o ancora le mani curate come i marinai non erano soliti fare, davano l’impressione di un nobile annoiato, di un principe i cui passatempi fatti di dame e svaghi non erano più sufficienti a sedare la noia e che, per burla, aveva quindi deciso di fare il pirata. Sherlock era giovane, questo era fuori da ogni dubbio ed era anche bello. La pelle lattea come quella dei nobili e la postura della schiena non davano indicazione che avesse mai lavorato in vita propria. Non aveva segni evidenti di sforzi compiuti per un periodo prolungato, né che il suo fisico si andasse rovinando. Probabilmente sapeva navigare perché lo aveva letto in un libro e considerata l’intelligenza, John decise che l’ipotesi non era poi da scartare. Eppure, in quel momento, sul cassero di poppa di un galeone spagnolo rubato a chi aveva avuto i favori del Re di Spagna, Sherlock Holmes era tutt’altra persona rispetto a quella che appariva. A osservarlo per bene non si potevano non notare le espressioni dure e serie, il cipiglio tirato e ruvido, sporcato da un accenno di timore appena percettibile e che ne rovinava la stoica postura. L’implacabile pirata bianco, era quel ragazzino lì in piedi. Lo stesso uomo che ancora stringeva le dita di una mano attorno a un cannocchiale di nobile fattura e con quegl’intarsi d’oro che ne facevano un oggetto principesco.

«Moriarty ci insegue» enunciò con una punta di solennità nel tono di voce. Già tutti sapevano quel che andava accadendo, ovviamente, ma la maniera che ebbe di pronunciare quel nome riuscì a far rabbrividire qualunque individuo presente sul ponte. C’era terrore negli sguardi dei pirati de la Norbury, forse persino una leggera ombra di sfiducia. Il che era perfettamente comprensibile, John stesso stava cominciando a temere per la sua stessa vita. Sherlock, contrariamente a molti, aveva un qualcosa di differente. Si poteva notare con facilità uno scintillio negli occhi, una punta di divertimento mescolata a un qualcosa che forse c’entrava con l’eccitazione. Moriarty lo si poteva considerare al pari di una sciagura, per una nave di filibustieri. Era forte, intelligente e aveva un esercito dalla propria. Eppure sembrava che a capitan Holmes non importasse e mentre il suo sorriso si accendeva per il brivido della sfida, dalle sue parole traboccava una sfacciata allegria.
«E non è venuto solo, quel figlio di un cane di Moran gli sta a babordo» intervenne Lestrade, guardando anch’egli da un altro binocolo che aveva appena estratto dalla tasca della propria giacca. Per loro fortuna c’era ancora sufficiente luce, altrimenti non avrebbero potuto sfruttare nemmeno uno dei vantaggi che avevano.
«Chi è Moran?» domandò invece John, con curiosità. «Voglio dire, non sembra essere un vascello militare» aggiunse poi, mentre assottigliava lo sguardo nella direzione in cui si potevano già vedere entrambe le navi. Anche per un non esperto era piuttosto chiaro che la seconda delle due, posizionata un po’ più arretrata rispetto alla Queen Elisabeth non apparteneva strettamente alla marina britannica, sempre riconoscibile dalle bandiere. La nave di Moran era imponente, di costruzione inglese, aveva vele bianche e sebbene mostrasse una struttura massiccia era relativamente piccola, molto più de la Norbury. Doveva essere un veliero di terza o quarta classe, niente di eccezionale e anche relativamente lento. John non riusciva a scrutare perfettamente l’orizzonte, ma aveva la sensazione che entrambi gli inseguitori li stessero raggiungendo e che la Norbury diminuisse di velocità. Fu allora che ogni dubbio, titubanza e timore avuto nei confronti di quei pirati andò svanendo, perdendosi tra miriade di sciocche considerazioni fatte, preda della sua solita mancanza di fiducia. Era nelle mani di una banda di bucanieri che vivevano di ruberie e commercio illegale e semmai Moriarty li avesse arrembati, sarebbe stato impiccato con l’accusa di pirateria. Nessuno avrebbe creduto al suo essere un rispettabile cittadino. Anche se forse l’averli seguiti e l’aver fatto affari con Sherlock lo aveva marchiato per il resto dell’esistenza. John si era scelto quella vita, aveva fatto male? Si domandò, probabilmente perché dominato da una paura non razionale che gli stringeva lo stomaco. La risposta giunse allora, dopo che il suo sguardo si fu posato su un capitano che era, oh, bellissimo. Notò che gli stava sorridendo, niente di plateale o sguaiato, aveva quel suo consueto modo di porsi elegante e trattenuto, ciononostante il lieve stirarsi delle labbra tanto bastava a far trapelare parte del divertimento che provava. Di che cosa, precisamente stava gioendo? Era l’eccitazione per la sfida con un nemico giurato o magari c’entrava il brivido che l’avvicinarsi della morte spesso scatenava negli uomini? John sapeva di che cosa si trattava perché lo spirito d’avventura e l’avvicinarsi del pericolo (e la speranza di ritrovare entrambi) erano quelle due cose che per mesi gli avevano permesso di vivere nella triste e monotona Antigua. O magari, il capitano si stava più semplicemente beando dell’osservazione fatta da John stesso poco prima; ma se così era stava quindi ammirando la sua intelligenza? A nessuno era dato saperlo e forse nemmeno a Victor, che così tanto intimamente lo conosceva. Non avrebbe dovuto indugiare in certi pensieri e per sua fortuna riuscì a non arrossire e a non alimentare un pizzico di speranza, la stessa che del tutto incoerentemente andò a scaldargli il cuore e che gli fece impazzire i sensi. Piaceva a Sherlock? Si chiese mentre il battito prendeva a galoppare. Magari la sua era soltanto una vaga simpatia? Non era la prima volta che notava da parte sua dei sorrisi e delle occhiate e di sicuro non pareva essere un modo di fare che aveva di solito, ma quelle espressioni avevano sempre riguardato un’osservazione fatta a proposito di questo o quello; che fosse quindi incuriosito dalle cose che diceva? Ma magari erano tutte fantasie e nulla di tutto quello dimorava nei pensieri di Sherlock, d’altronde John non si era mai considerato un uomo eccezionalmente talentuoso. Aveva fatto studi che gli permettevano di saper leggere e scrivere, di poter ragionare in un determinato modo e senza venir fatto preda delle superstizioni, ma era ben lontano dall’avere un intelletto sviluppato. Cosa avrebbe mai potuto trovare un genio come il pirata bianco, in un qualcuno di tanto ordinario? Non poteva davvero essere che Sherlock si fosse invaghito di lui e mai sarebbe successa una cosa simile, nonostante ciò che diceva Victor. La situazione era piuttosto semplice in fin dei conti, era felice di trovarsi dove stava e avrebbe sputato in faccia a Moriarty se avesse osato metter in dubbio la sua fedeltà nei confronti di quei pirati, ma tutto finiva lì. Purtroppo e per quanto la ragione lo indirizzasse a seguire una determinata via, pareva che il suo cuore fosse fin troppo ribelle si rifiutasse di dargli retta. Non avrebbe dovuto, eppure le sue speranze crebbero e l’idea di non esser disprezzato dal capitan Holmes diventava sempre più concreta. John Watson era un uomo fondamentalmente pratico e spiccio, ma soprattutto era coerente con se stesso e l’idea che uno sconosciuto avesse da un attimo all’altro spazzato via tutto quello, era meravigliosamente spaventosa.

«Colonnello Sebastian Moran» esordì Greg, facendosi più vicino e rivolgendosi direttamente a John che si ritrovò a sussultare violentemente. Preso com’era stato dalle proprie riflessioni, aveva del tutto dimenticato di aver posto una domanda o di trovarsi su una nave. O di essere vivo. «Ha fatto una buona carriera nella fanteria arrivando a esser capitano, prima di venir arruolato nella New Model Army ** dove ha raggiunto il grado di colonnello. Poi ha disertato e si è dato alla pirateria. È stato catturato diverso tempo fa e condannato a morte, ma prima di impiccarlo gli hanno proposto un patto: morire o diventare un corsaro e depredare navi nemiche, dandone una parte all’impero. Possiamo dire che si sia trasformato nell’assassino personale di James Moriarty, dato che esegue tutti i suoi ordini, anche quelli più biechi.» La voce di Lestrade si era incrinata a quel punto e il suo discorso era caduto in un silenzio teso. Il Grigio era preoccupato ed era chiaro persino dall’espressione che aveva in volto, non c’era più serenità e quegli occhi grandi e profondi sempre dolci e sereni, erano adesso carichi di apprensione. Ciò che catturò l’attenzione di John fu però la maniera in cui Greg stava guardando Sherlock, l’ammirazione totale che nutriva era più che palese e andava a creare uno straordinario connubio con timore e rispetto. Gli parve ovvio, mentre studiava il primo ufficiale, che capitan Holmes aveva un rapporto complesso e di difficile interpretazione con ognuno di loro. Non si trattava soltanto di Victor e dell’ambigua maniera con cui interagiva con Sherlock, ma riguardava tutti quanti. John si domandò fin dove si sarebbero spinti per il proprio capitano. Avrebbero ucciso? Sarebbero morti, sacrificandosi? E lui? John Watson, il nuovo arrivato con una mappa tatuata sul petto, che cosa avrebbe concretamente potuto fare per il pirata bianco? Era come sosteneva padre Trevor, semplicemente doveva accettare i fatti? Ammettere di esserne innamorato? Era un po’ troppo presto per parlare di amore, o forse no. In fondo si conoscevano da appena due giorni, eppure sapeva già tanto di lui. Troppe domande e tanti dubbi presero a tormentarlo, ma nessuna risposta concreta parve arrivare. Tutto ciò che sapeva, e a cui voleva credere, era in Sherlock Holmes e in quel cuore che accelerava ogni qual volta che i loro sguardi s’incrociavano, nel respiro che si spezzava e nella prepotente e dannata voglia di baciarlo. Per il resto avrebbe avuto tempo. Se fossero sopravvissuti, naturalmente.

«Capitano!» Greg parlò a voce alta e decisa, uscendosene dopo un qualche istante di tentennamenti. «Che cosa facciamo?» Sherlock si mosse allora, abbassando lo sguardo in direzione del proprio primo ufficiale, quel sorriso furbo che fino a poco prima stava rivolgendo altrove, si era allargato in un ghigno più ampio. Era evidente quanto tutto quello lo stesse divertendo e fino a quale punto la situazione gli stesse piacendo. Anche se era da pazzi. Anche se era folle la sola idea che un rispettabile inglese potesse trovar spassoso il venir inseguito da un nemico. Ciononostante, il mite Watson si ritrovò a sorridere in rimando, assolutamente e completamente affascinato da un uomo che invece che affrettarsi a spiegare il proprio piano, ancora taceva. E chiudeva gli occhi lasciandosi cadere appena all’indietro, come a volersi far cullare dalla brezza leggera che spirava da nord e che lo accarezzava al pari di un’amante voluttuosa. Quando parlò, poco più tardi, teneva sempre gli occhi chiusi e la sua voce sembrava ancor più bassa e suadente del consueto.
«Occorrerà tutta la vostra abilità» disse in un’enigmatica risposta, rivolgendosi alla ciurma. Ognuno aveva smesso il proprio mestiere e da dove stava gli volgeva lo sguardo in quella che aveva l’impressione di essere un’attesa trepidante. Il silenzio era irreale e al tempo stesso assurdamente vero e palpabile, tanto che persino Victor, il monaco dalla parlantina mai doma, se ne stava zitto. Angelo fermo sulla porta che conduceva ai ponti inferiori, braccia incrociate al petto, sguardo feroce e con quell’unico occhio buono a fissare il proprio capitano con un ghigno maldestro in viso, come se già sapesse che avrebbe di lì a poco ordinato di fare un qualcosa d’incredibile. Mastro Stamford aveva appena raggiunto il timone, guidato dalle salde mani di Fortebraccio mentre Bill Wiggins e un gruppetto di uomini s’erano arrampicati sul Bompresso e ora tenevano lo sguardo puntato verso il basso. C’era persino Donovan, a prua, in piedi a fianco di un uomo alto e magro, dagli occhi piccoli, con una barba irsuta e in viso una strana espressione come di sfida. Lei dal fare baldanzoso e strafottente e con un coltello stretto tra i denti, intenta forse a regolare la lunghezza di una corda, teneva le mani a mezz’aria e il volto girato di tre quarti in direzione della poppa. Anche Sally sembrava esser preda di quel silenzio agitato.
«James Moriarty ci sta inseguendo e Moran il corsaro è con lui, e ci raggiungeranno perché per quanto la Norbury sia veloce, quel bastardo possiede la miglior imbarcazione della flotta inglese. Un veliero di prima classe con centinaia e centinaia di uomini. Una volta che si sarà fatto sotto, con due navi a disposizione e il doppio delle bocche da fuoco, non avremo scampo. Abbiamo una sola possibilità e la dovremo sfruttare al meglio. Dovrete essere veloci e precisi, non saranno ammessi errori o tentennamenti perché al primo sbaglio saremo morti tutti.»
«Cosa ordini?» domandò dita di ferro, col suo forte accento straniero e facendosi avanti di un passo quasi a voler dimostrare d’esser pronto a tutto.
«Ammainate le vele di trinchetto» urlò e sì, stupì tutti quanti.

Capitan Holmes aveva gridato in direzione degli uomini del ponte i quali, al contrario di quanto ci si sarebbe aspettato, lo guardarono con sorpresa. Rimasero immobili per interi istanti, tanto che John ebbe quasi la sensazione che a stento respirassero. Si domandò anche la ragione di un simile silenzio, finché non si accorse che stavano indugiando e che sembravano incerti sul da farsi. Si guardavano l’un l’altro, come se cercassero una qualche risposta negli occhi di chi gli stava a fianco. Qualcuno invece aveva osato oltre, addirittura rivolgendo gli sguardi al primo ufficiale, quasi volessero tentar di capire da lui in quale maniera avrebbero dovuto comportarsi.
«Così facendo e con gli alisei a questa forza, ci saranno addosso prima di subito.» ***
«Mi basta che ci raggiunga soltanto uno dei due, Mastro Stamford» ghignò furbescamente mentre con un balzo saltava sulla ringhiera del cassero e a uno a uno prendeva a fissare tutti coloro che si trovavano sul ponte. Che stesse cercando di convincerli o che facesse più semplicemente valere la propria autorità, parve funzionare. John a quel punto avrebbe obbedito a qualsiasi cosa. «Tenetevi pronti a spiegare tutte le vele, anche quelle di Bompresso appena ve ne darò l’ordine.»
«Che vuoi fare?»
«La faremo girare, Lestrade» urlò, festoso mentre un’espressione che poteva dire di non aver mai visto prima d’allora iniziava ad allargarsi sul volto di Sherlock. Occhi grandi e accesi di determinazione, bocca aperta in un grido piratesco che contagiò tutti i filibustieri, i quali presero a urlare quel “Yo ho” nel quale spesso si esibivano. Rimase così preso, John Watson, che si unì lui stesso al coro, inneggiando al contempo al capitano e alla sua grandezza. «Prodi bucanieri» riprese questi poco più tardi. «Pronti a calare le ancore di tribordo e lì ci voglio il doppio degli uomini perché dovrete essere svelti a ritirarle.» Dopo si mosse di nuovo e a gradi passi corse in direzione del timone, che raggiunse in un attimo. «Mio caro Fortebraccio, siamo nelle tue abili mani. Al mio segnale, tutta a babordo.»
«Lo sai che rischiamo di rovesciarci o spaccarci a metà? Ti prego, dimmi che lo sai» lo pregò Greg con preoccupazione sempre più crescente. Tuttavia quelle accorate parole caddero nel vuoto. Sherlock Holmes già stava alla più lontana estremità della poppa e col suo fidato cannocchiale, scrutava un orizzonte tinto della sera. Moriarty sembrava sempre più vicino.
 


 
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John non era certo di sapere che cosa stesse realmente succedendo, né aveva capito quale diavoleria stessero progettando, ma di qualsiasi cosa si trattasse preoccupava i pirati de la Norbury oltre ogni dire. Persino Victor Trevor aveva smesso di sorridere o di insinuargli in testa l’idea di dover andare a letto col capitano. Dal canto suo e con modi inaspettatamente gentili, quel prete si era limitato a una pacca sulla spalla e a qualche buon consiglio, borbottato a bassa voce.
«Reggiti, dolcezza» gli aveva detto mentre spariva dalla sua vista e si andava a nascondere in chissà quale posto strategico. Fu quasi tentato di seguirlo e tempestarlo di domande su quanto stavano per fare e sul perché tutti fossero così in ansia, ma proprio quando fu sul punto di muovere un primo passo, rinunciò ai propri intenti. Non era il caso di essere invadenti e poi qualcosa la comprendeva anche da sé. Rischiavano di morire, questo era chiaro e la fuga di Victor a gambe levate non aveva migliorato la situazione. Lo stomaco iniziò a protestare e la paura prese a strizzargli le interiora. Più il tempo passava e meno tranquillo si sentiva, specialmente perché le vele erano state ammainate e solo il terzo albero, posizionato a poppa, le teneva spiegate. Così facendo Moriarty si sarebbe avvicinato davvero e a quel punto che fine avrebbero fatto? Aveva ragione Lestrade era una pazzia che rischiava di rompere in due la Norbury? Pareva impossibile che un vascello di una simile stazza potesse fare una fine tanto tragica, era pur sempre un galeone gigantesco e di una portata massiccia di carico perfettamente stipato, possibile che fosse tanto fragile? Non ne aveva idea e ben presto si rese conto che l’osservazione fatta da Mike era corretta, poiché occorse poco tempo perché la nave di Moriarty si facesse sotto. Ancora un qualche sforzo e li avrebbe arrembati. Moran navigava invece più arretrato, indietro di molte leghe e fuori dalla portata di tiro dei cannoni, probabilmente per questa ragione nessuno considerò il corsaro come un pericolo imminente e non badarono a lui. Certamente era uno di meno con cui combattere e Sherlock doveva averlo previsto, il guaio era che John non si sentiva affatto sollevato.

Quando la Queen Elisabeth li ebbe raggiunti, gli sprazzi di luce del giorno erano stati inghiottiti dalle tenebre lasciando spazio a una notte senza stelle. Considerata la situazione di emergenza e l’impiego massiccio dell’equipaggio su ancore e vele, ben poche lanterne erano state accese e questo non permetteva di poter vedere chiaramente. Sherlock tuttavia era ben visibile, aveva levato la giacca e raggiunto il timone, ora stava a fianco di quell’imponente marinaio e da lì impartiva gli ordini. John non poté negare che fosse attraente, quel suo comandare stoico e determinato, oltre che la maniera che aveva anche solo di corrucciare lo sguardo e… beh, era indiscutibilmente bello. Purtroppo la sua segreta opera di ammirazione, che per una manciata di minuti ebbe lo straordinario potere di fargli passare la paura, svanì nel nulla. Il tutto successe in meno di pochi di istanti e fu dannatamente orribile. John non riuscì onestamente a ricordare di essersi mai sentito così male in vita propria, neanche il giorno in cui era finito a terra con una pallottola conficcata nella spalla e sotto il tiro dei cannoni nemici, aveva avuto lo stomaco così rivoltato. Successe, in pratica, che gli uomini a prua calarono l’ancora di tribordo così come gli era stato ordinato e quando la nave si fu bloccata sul davanti, fermandosi con un colpo improvviso, Fortebraccio fece roteare il timone nella direzione opposta, girandolo tutto a sinistra. Quasi fosse stata risucchiata da un mulinello grande quanto uno dei mostri marini di cui gli narrava il vecchio Joe, la Norbury vorticò su se stessa. Grazie all’ancora che la teneva saldamente a prua, soltanto il corpo della nave prese a roteare mentre la poppa venne sbatacchiata come un fuscello in bàlia di una corrente troppo forte. John non ebbe reale coscienza di quanto fosse capitato al proprio corpo, si rese conto a stento del fatto che la ringhiera alla quale s’era aggrappato stava diventando meno solida e quando il legno si fu spezzato, perse la presa. Dopo di allora faticò addirittura a tenere gli occhi aperti, ma cadde all’indietro, questo lo ricordava. E dopo un qualche istante batté violentemente la schiena contro la balaustra di babordo, rischiando di finire in mare. Se così fosse stato, sarebbe senz’altro morto annegato perché risucchiato dalla scia de la Norbury. Ma fu a quel punto, grazie a Dio, che un paio di mani solide lo afferrarono per la vita e che John si sentì prendere e sollevare, e quindi portar via quasi fosse un peso morto. Pareva che Angelo era venuto ad aiutarlo.

«Mi hai salvato, grazie» borbottò, imbarazzato, mentre si stirava la camicia sgualcita.
«Il capitano non mi avrebbe perdonato se ti avessi lasciato morire» rise, ammiccando appena.
«Tirate su l’ancora e issate tutte le vele» urlò quindi Sherlock, sovrastando con la sola voce il frastuono che il mare aveva preso a fare. Una volta che la nave si fu stabilizzata nella posizione originaria, John comprese che cos’avevano realmente fatto, oltre che alla ragione di tanta ansia. L’onda che quel movimento improvviso era andata causando, aveva investito per intero la nave di Moriarty, la quale ora stava in bilico sullo scafo, pericolosamente sul punto di girarsi su un fianco. Si sentivano grida in lontananza e richieste di aiuto, ma prima che ci si potesse prestare una reale e sincera attenzione, già Sherlock aveva ordinato di andarsene.
«Via il più velocemente possibile, Mastro Stamford. Direzione sud, sud-est» disse. «Poi, Sherlock Holmes balzò giù dal cassero. E senza preoccuparsi dell’altezza o badare ad altro, scomparve oltre la porta. L’ultima cosa che di lui si sentì fu una risata soddisfatta e l’eco del nome di Moriarty di cui si stava facendo beffe.

«Voi siete tutti pazzi» commentò John, respirando a stento mentre tentava di tirarsi in piedi, sebbene malamente. Fu Lestrade ad aiutarlo, allungando un braccio in sua direzione e a sorridergli forse di compatimento.
«Parola mia, dottore, questa è la prima volta che facciamo una cosa del genere e spero sia anche l’ultima» protestò bonariamente Angelo, incrociando le braccia al petto.
«Dolcezza, non posso che darti ragione» aggiunse invece Victor, sbucato da chissà dove. Era riapparso dal nulla, senza annunciarsi se non con quelle poche parole. Lo videro giungere da prora e aveva a fatica salito le scale, dato che zoppicava vistosamente. Doveva essersi ferito e doveva anche fargli molto male, dato che una continua smorfia di dolore gli deformava i lineamenti perfetti del viso. Avrebbe dovuto offrire servizi medici a chi ne aveva bisogno? Non ci aveva nemmeno pensato e subito accantonò l’idea, non indugiando oltre in quelle riflessioni. Victor Trevor sembrava essere il primo (e l’unico) ad avere simili necessità.
«Non è che per caso senti il bisogno di fare l’amore con qualcuno, dolcezza?» aggiunse, ammiccando in direzione delle cabine e mentre Lestrade sospirava esasperato, in rimando, John sorrise. Neanche volendo avrebbe potuto essere arrabbiato per tanta sfrontatezza e perciò si lasciò andare a una risata sinceramente divertita.
«No, adesso ho solo voglia vomitare, se non ti spiace.»
«Prima di dare di stomaco non è che mi daresti un’occhiata? Credo di essermi ferito a una gamba e...» Fu quasi pronto a fare dell’ironia e a ribattere con uno scherzo altrettanto pungente, ma quanto accadde poco dopo fece scemare immediatamente tanta allegria. Victor si accasciò a terra, tremando e dolosamente invalidato da una ferita sanguinolenta che già gli imbrattava i vestiti.
«John? Sai, credo di aver bisogno di te» mormorò, prima di svenire tra le sue braccia.
 


 
Continua





*Frase estrapolata dal vangelo secondo Matteo, 15:19. “Questo rende immondo l'uomo. Dal cuore, infatti, provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adulteri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie.” L’interpretazione che ne dà Victor è assolutamente amorale, oltre che sbagliata. E non è condivisa dalla sottoscritta.
**New Model Army: branca dell’esercito inglese fondata da Oliver Cromwell, politico realmente esistito. Si distingueva dalla comune fanteria per molti aspetti. Addestramento e stipendio dei soldati (la paga era di gran lunga maggiore a quella in uso nell’esercito e in più veniva dato un premio in denaro a chi si arruolava), ma diventò famoso anche per l’uso di tattiche di guerra all’avanguardia.
***Alisei: venti tropicali.
 

Scrivere questo capitolo è stato un parto e questo perché non so scrivere scene di azione (il che è anche il motivo per cui sto scrivendo questa storia ovvero imparare a farlo!). Ci metto il doppio del tempo, su una sola frase resto a pensarci per minuti interi e non ho mai una stesura fluida e al punto che devo fare sforzi disumani per dare continuità al testo, che altrimenti non ne avrebbe e che spero sia comprensibile nella seconda parte. Questo per dire che se ho fatto in tempo è per una specie di miracolo e perché vedervi sempre così numerosi mi spinge a rispettare i tempi. Grazie a tutti.

Ah, una cosa su Victor. Ricordatevi sempre (sempre, sempre, sempre) che è un figlio di buona donna. Questo perché non ve lo dico ciò che gli è successo, ma è un dettaglio da tenere a mente quando si tratta di lui.
   
 
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