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Autore: Mary P_Stark    19/04/2017    1 recensioni
Inghilterra - 1823
Elizabeth Kathleen Spencer, figlia di Christofer e Kathleen Spencer, si appresta ad affrontare la sua prima Stagione a Londra e se, per lei, questa è un'avventura in piena regola, per il padre appare come un incubo a occhi aperti.
Lizzie - come Elizabeth viene affettuosamente chiamata in famiglia - è ben decisa a divertirsi nella caotica Londra, in compagnia della sua adorata amica Charlotte, e non ha certo in mente di trovarsi subito un marito.
Al pari suo, Alexander Chadwick, secondogenito del duca Maxwell Chadwick, non ha interesse ad accontentare le mire paterne, che lo vorrebbero accasato e con figli, al pari del primogenito.
Per Alexander, le damigelle londinesi non hanno alcuna attrattiva, troppo impegnate a mostrarsi come oggetti di scena, per capire quanto poco, a lui, interessino simili comportamenti.
L'atteggiamento anticonformista di Elizabeth, quindi, lo coglie di sorpresa, attirandolo verso di lei in una spirale sempre più veloce, che li vedrà avvicinarsi fino a sfiorarsi, sotto un cielo di stelle, mentre il Fato sembra cospirare contro di loro. - Seguito di UNA PENNELLATA DI FELICITA'
Genere: Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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- Questa storia fa parte della serie 'Serie Legacy'
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14.
 
 
 
 
Accoccolata sul divanetto della biblioteca mentre Andrew se ne stava appoggiato contro il camino spento, Elizabeth stava osservando con il dubbio negli occhi i loro genitori.

Julianne e Wendell non avevano aperto bocca, durante il viaggio di ritorno a Grosvenor Square e, dopo esservi giunti, si erano ritirati nelle loro stanze.

I loro genitori, invece, li avevano pregati di seguirli al piano superiore e, dopo aver chiuso la porta della biblioteca alle loro spalle, si erano accomodati sul divano.

Da quel momento, erano passati almeno dieci minuti, minuti in cui nessuno aveva aperto bocca, gonfiando quel silenzio di tremenda aspettativa.

Quando, infine, Kathleen parlò, Elizabeth sobbalzò sul divanetto, stringendo le mani ancora inguantate sul grembo teso dall’ansia.

“Voi due sapete bene che io e vostro padre ci amiamo molto…”

I due gemelli assentirono e, a quel punto, Christofer prese la parola per aggiungere: “… ciò che, però, nessuno vi ha mai detto è come si è arrivati a questo.”

“Mamma ha sempre detto che ti amava anche prima di… di…” tentennò Elizabeth, recitando meccanicamente ciò che aveva sempre saputo dall’infanzia.

Sospirando, la donna sorrise mesta alla figlia, ammettendo: “E’ vero. Ho sempre amato tuo padre, ma sono successe molte cose, nel mezzo, … tra la vostra nascita e … beh, il resto.”

“Sapete già di avere un fratellino nato morto…” mormorò Christofer, passandosi una mano tra i capelli leggermente striati di grigio. “… e che lui nacque quando io e vostro zio Andrew eravamo in guerra.”

I due giovani assentirono muti e, ancora, loro padre sospirò.

Era così difficile tornare a quel periodo, ma era assurdo non raccontare loro la verità, visto che il dubbio era stato sollevato.

“Rimasi incinta poco tempo dopo il nostro matrimonio, combinato dai nostri genitori per obbligare vostro padre a dare un figlio al casato” aggiunse Kathleen, stringendo maggiormente la mano del marito. “Vostro zio Kenneth e sua moglie non vi erano fin lì riusciti, e l’altro fratello maggiore di vostro padre era morto per una brutta malattia, perciò…”

“Perciò, papà si sposò con te. Ma andava bene, no?” mormorò Elizabeth, timorosa di sapere il resto.

“Fummo gettati nella mischia senza che nessuno dei due volesse realmente quel legame, tesoro…” sussurrò la madre, cercando di essere il più delicata possibile. “… e i risultati non furono dei migliori, all’inizio. Non andavamo molto d’accordo, per svariati motivi.”

Andrew si scostò dal camino per avvicinarsi alla sorella e, dopo averle poggiato le mani sulle spalle, strinse un poco e domandò torvo: “E’ un eufemismo per dire che papà non fu un campione di virtù?”

Christofer non cedette di fronte allo sguardo livido del figlio e, anzi, assentì alle sue parole e ammise: “Esatto, figliolo. Ciò che vostra madre sta tentando di non dire, è che io non fui un bravo marito, all’inizio del nostro travagliato rapporto.”

Elizabeth inspirò con forza e si aggrappò a una delle mani del fratello per farsi coraggio e, di colpo, le parole di zia Bridget le tornarono alla mente con forza.

Chiedi ai tuoi genitori. Solo loro possono dirti la verità su quel periodo.

Volgendo lo sguardo verso la madre, ora al colmo della paura, Lizzie esalò: “Quella ferita… alla spalla… chi te la fece, realmente?”

Kathleen sgranò gli occhi di fronte alla domanda inespressa della figlia e, levandosi in piedi con un gesto improvviso, si pose dinanzi al marito e disse seccamente: “Non vi venisse mai più in mente di pensare questo di vostro padre. Commise un errore, certo, perché è umano come qualsiasi altra persona. Ebbe un’infanzia difficile e un padre orribile, oltre a dei fratelli maggiori davvero terribili. Tutte cose che possono inaridire anche il cuore più gentile.”

“Katie, ti prego…” la richiamò dolcemente Christofer.

“No, tesoro. Non voglio che pensino male di te, anche se hai commesso i tuoi errori in passato. Sei più che redento, e mi hai salvato la vita in tutti i modi possibili, perciò è giusto che sappiano… ma che non ti giudichino prima di aver saputo tutto” replicò con veemenza Kathleen, fissandolo da sopra la spalla.

Rivolgendosi poi ai figli, la donna aggiunse: “La ferita fu causata da un uomo di nome Peter Chappell… il fratello minore di Gregory, per intenderci.”

Sia Elizabeth che Andrew sospirarono di sorpresa, non avendo mai neppure saputo che il loro vicino di tenuta avesse avuto un fratello.

Kathleen tornò a sedersi con un sospiro e, poco alla volta, riaffondò in quel lontano passato, raccontando del loro matrimonio, di come entrambi avessero odiato quell’imposizione.

Christofer parlò un poco della guerra e di Andrew, intervallando il racconto con quello di Kathleen.

Proseguirono per quasi un’ora, parlando alternativamente senza che dai figli venisse un fiato e, quando ebbero terminato, le loro mani erano ancora intrecciate. Salde.

Le mani di Andrew, invece, erano strette a pugno sulle ginocchia, mentre quelle di Elizabeth erano poggiate sulla bocca socchiusa, a trattenere un ansito strozzato.

“Forse, lord Chadwick ha peccato di ingenuità, parlandoti di noi, ma non ha raccontato menzogne. Non sull’inizio del nostro rapporto, per lo meno” sorrise contrito Christofer, fissando spiacente la figlia.

Lei assentì brevemente, non riuscendo ancora a parlare e il padre, con un sospiro, si lasciò andare contro lo schienale del divano, aggiungendo: “Capirò se, per un po’, non vorrete parlarmi, ma vorrei capiste che sono solo un essere umano, e posso sbagliare. Non ho avuto ottimi consiglieri, in gioventù, ma un padre che amava la sferza più della parola. Per questo, con voi, non ho mai voluto levare mano, anche quando, forse, sarebbe stato necessario.”

Ciò detto, l’uomo lanciò un’occhiata significativa al primogenito, il quale reclinò colpevole il capo, sapendo bene a cosa si stesse riferendo.

Certo, il tutto era accaduto quando lui e Lizzie avevano avuto poco più di sei anni, ma Andrew avrebbe portato il peso di quell’incidente per tutta la vita.

Pur se lui non aveva voluto coscientemente fare del male alla gemella.

Giocare sulle scale come avevano fatto, e farla ruzzolare come era poi successo, era stato uno sciocco errore che, solo per pura fortuna, non si era tramutato in una tragedia.

Con tutta probabilità, l’istinto di protezione così radicato in Andrew, era nato da quel grossolano – e solo per caso non fatale – errore di valutazione dei rischi.

Anche Elizabeth comprese cosa volessero dire le parole del padre e, sorridendo al gemello, poggiò una mano su uno dei suoi pugni, facendolo rilassare col suo tocco.

Deglutendo a fatica, perciò, Andrew mormorò: “Cosa… cosa avrebbe fatto, tuo padre, di fronte a una cosa del genere?”

Con un mesto sorriso, Christofer si limitò a levarsi in piedi e, dopo aver tolto la giacca con l’aiuto della moglie, sfilò dai calzoni la camicia di seta.

Slegato il laccio sotto il collo, la sfilò dalla testa e, in silenzio, volse le spalle ai figli, limitandosi a mostrare la schiena.

Elizabeth ansò sconvolta e Andrew, mordendosi il labbro inferiore, trattenne a stento un’imprecazione quando scorse vecchie e bianche cicatrici delineate sul corpo del padre.

Erano di diversa fattura, come se fossero state incise nella carne con oggetti di varia forma, ma erano tutte profonde, ricoperte di candido tessuto cicatriziale.

Rimanendo voltato verso il fondo della biblioteca, Christofer mormorò roco: “Quella sulla spalla destra me la fece Kenneth, con il frustino da equitazione. Il suo cavallo aveva perso un ferro mentre ero con lui durante una passeggiata, e ne diede a me la colpa. Quando rientrammo, poi, malmenò il mastro ferraio, riducendolo in fin di vita.”

Kathleen sospirò, scuotendo il capo, ma lui proseguì.

“Quella slabbrata, poco sotto la scapola destra, la fece mio padre con un alare… non ricordo neppure quale, in effetti. Avevo gettato un ceppo nel fuoco e una scintilla era caduta fuori, rovinando un poco il tappeto. Quella sera, se non ricordo male, aveva bevuto” scrollò le spalle Christofer. “Sulle prime, penso volesse battere Wendell, giusto per divertirsi, ma poi preferì usare me. Mamma avrebbe dato di matto, se avesse toccato Wendell visto che, all’epoca, aveva solo un anno.”

Rimettendosi la camicia, il padre tornò a sedersi e, fissando turbato i figli, aggiunse: “Non voglio accampare scuse, ma spiegarvi con i fatti come una persona possa inaridire dentro, finendo con il commettere degli errori anche terribili.”

Andrew ed Elizabeth assentirono gravi e Kathleen, per chiudere la questione, aggiunse a sua volta: “Io finii con il non fidarmi più di nessuno, a causa del comportamento di mio padre, mio zio e mio suocero, ma vostro padre fu così paziente da restituirmi, giorno per giorno, la speranza che mi era stata strappata via a forza. Fu per questo che mi gettai dinanzi a lui per salvarlo, quel giorno. Per un uomo del genere, ne sarebbe valsa la pena. E lui fece lo stesso per me, in mille modi diversi, finché non si trovò a lottare come un indemoniato contro un uomo grande il doppio di lui, pur di salvarmi da un rapimento.”

“Perché ne valeva la pena, per te” le sorrise a quel punto Christofer, ritrovando un colorito più salubre.

“C’è altro che volete sapere?” domandò a quel punto Kathleen, accennando un sorriso ai figli.

“Per questo… per questo vi occupate degli orfani?” sussurrò Elizabeth, senza sorprendersi più di tanto, nel sentire la sua voce molto simile a un gracidio.

“Per quanto ci è possibile, desideriamo alleviare le loro pene, visto che non hanno nessuno che possa intervenire in loro difesa” assentì Kathleen. “Io e Christofer ci siamo aiutati vicendevolmente, e avevamo i mezzi per poter tramutare una cosa brutta in una bella, stupenda per l’esattezza. Ma loro?”

“Abbiamo voluto che voi foste uniti e solidali, poiché noi abbiamo dovuto subire – pur se in modi diversi – le crudeltà più variegate dalle nostre famiglie. Anche per questo, non abbiamo mai voluto mettervi al corrente del nostro passato, ma forse è stato sciocco tacere proprio su tutto. Ci avete idealizzato, immaginandoci perfetti e questo è sbagliato per più di un motivo. Tutti possono commettere errori, ma bisogna dare a ognuno la possibilità di redimersi.”

Elizabeth ansò all’improvviso, coprendosi la bocca con le mani e tutti i presenti, preoccupati da quella reazione, si volsero verso di lei per comprendere cosa fosse successo.

Quando la ragazza trovò il coraggio di parlare, esalò sconvolta: “E io ho dato del supponente pressapochista a lord Chadwick, per questo! Oh, cielo!”

Per Andrew fu troppo.

Tutte le emozioni fin lì trattenute esplosero in una colossale risata, corollata anche da leggere lacrime liberatorie e, nel guardare il volto scioccato della gemella, celiò: “Beh, se volevi colpirlo, l’hai fatto di sicuro!”

Elizabeth si volse verso di lui con un diavolo per capello, gli diede dell’idiota e si sollevò furente dal divano per andarsene sdegnata.

Già sulla porta, però, tornò indietro di corsa, abbracciò il padre al collo, lo baciò su una guancia e sussurrò: “Ti voglio bene comunque, papà… anche se hai fatto degli errori.”

Ciò detto, passò alla madre, l’abbracciò stretta e infine, fissando con cipiglio il gemello, ringhiò: “A te niente baci, antipatico che non sei altro. Fare dell’ironia su un evento così grave!”

Con un’andatura che avrebbe fatto invidia a tutte le regine del mondo, Lizzie se ne andò poi dalla biblioteca sbattendo la porta e Andrew, con un sospiro, crollò contro il divano, senza forze.

Imbronciato, poi, mugugnò: “Gli piace, vero?”

“Molto probabile” assentì contrariato Christofer.

“Piagnoni che non siete altro” li rabberciò bonariamente Kathleen, prima di sorridere al figlio e aggiungere: “Tutto bene, tesoro?”

Il giovane attese un attimo per rispondere, comprendendo bene quanto fosse profonda quella semplice domanda e, con un cenno solenne del capo, asserì: “Papà non è perfetto. Va bene. Però, ti ha restituito ciò che ti avevano tolto, no? Pareggia i conti e, forse, li fa finire persino in attivo.”

“Sicuramente. Mi ha dato voi” sorrise Kathleen, allungandosi per battergli una mano sul ginocchio.

“Oh, beh, se la metti su questo piano, vince di sicuro” celiò Andrew, levandosi in piedi per poi porsi dinanzi al padre.

Allungata una mano verso di lui, poi, mormorò: “Buonanotte, papà.”

“Buonanotte a te, figliolo” sussurrò Christofer, levandosi in piedi per abbracciarlo.

Il giovane si strinse con forza a lui, digerì anche l’ultimo residuo di risentimento e accettò il fatto che suo padre aveva sbagliato, ma aveva fatto il tutto e per tutto – riuscendoci – per redimersi.

Forse, dopotutto, c’era speranza per tutti. Anche per lui.

Con quel pensiero, abbandonò infine la biblioteca, dirigendosi verso le proprie stanze con passo tranquillo.
 
***

Probabilmente, la carrozza aveva fatto il quarto giro intorno all’isolato, ma poco importava.

La sola idea di rientrare a casa e affrontare il malcontento dei suoi genitori era impensabile, soprattutto perché sapeva benissimo che avrebbero avuto ragione da vendere.

Wilford, seduto dinanzi a lui assieme a Clarisse, lo stava osservando silenzioso, indeciso su cosa dire al fratello minore.

Non aveva la più pallida idea di cosa fosse successo, durante la cena di gala da Almack’s, soprattutto in considerazione del fatto che, sulle prime, tutto era parso andare bene.

Alexander aveva danzato – divinamente, almeno a suo dire – con la fanciulla che tanto sembrava interessargli e, a tavola, si erano ritrovati seduti accanto.

Qualcosa, a quel punto, doveva essere andato storto. Ma cosa?

“Alexander, caro… ne vuoi parlare?” intervenne a quel punto Clarisse, salvandolo da un terzo grado che non aveva intenzione di mettere in piedi.

Già loro padre glielo avrebbe fatto, e Wilford tremava al solo pensiero.

Ricordava bene quando, all’epoca, aveva subito il fuoco incrociato dei genitori.

Un colpo di carronata sarebbe stato preferibile, a ben vedere.

Alexander scelse quel momento per risollevare il suo viso pallido e abbattuto, puntando i suoi mogi occhi blu sulla cognata.

“Temo di aver commesso un errore plateale, carissima, e posso dare la colpa interamente a me stesso, …e alla mia lingua lunga, ovviamente.”

Clarisse fece tanto d’occhi, a quelle parole, ed esalò: “Tu… che pecchi nel parlare? E quando mai succede, caro?”

“Stasera, per l’esattezza, e con l’unica donna con cui non avrei mai voluto commettere un simile passo falso. Ho il terrore di essermi giocato la mia unica occasione, con lei, poiché ho sollevato un argomento a lei molto caro, e che ci ha visti totalmente contrapposti” le spiegò Alexander, battendo poi contro la parete della carrozza per indicare al guidatore in cassetta di procedere verso casa.

Era inutile cincischiare in giro per Londra. Doveva affrontare i coniugi Chadwick in tutta la loro adamantina furia.

Wilford tossicchiò e disse: “Che argomento può avervi visto scontrarvi in modo così acceso? Non penso tu l’abbia insultata in merito al suo abito. Era assai elegante, per quanto ne posso capire io di abiti.”

Clarisse assentì, ma Alexander borbottò: “Fosse stato questo! Probabilmente, ne avremmo riso fino a sfinirci, poiché miss Elizabeth ama ridere di se stessa – e degli altri – se la controparte sa essere altrettanto scherzosa. Ma no, il mio errore è stato enorme. Irrisolvibile.”

I coniugi non seppero che dire, di fronte al suo patimento e, quando infine la carrozza penetrò nel cortile della villa, seppero di non poter fare nulla per lui.

Maxwell Chadwick attendeva ritto e cupo sulla porta del cortile, le nerborute braccia intrecciate sull’ampio torace.

“Temo che qui si dividano le nostre strade, fratello. Neppure io ho il coraggio di mettermi contro papà, quando ha uno sguardo simile” sospirò Wilford, subito raggelato da un’occhiata disgustata della moglie.

“Non preoccuparti, Clarisse. Va bene così. Inoltre, non voglio che Wilford finisca nel mezzo di una discussione in cui non ha colpa alcuna” mormorò Alexander, rabbonendo la cognata.

“Sarà… ma, grande e grosso com’è, dovrebbe essere un tantino più coraggioso” brontolò per contro la donna, aiutata da un paggio a scendere dalla carrozza.

“Non si tratta di coraggio, ma di sopravvivenza” sostenne serio Wilford, discendendo a sua volta prima di salutare frettolosamente il padre ed entrare in casa.

Maxwell lo degnò a malapena di uno sguardo, troppo impegnato a fissare il secondogenito per dire qualcosa al suo erede.

Tipo, di non darsela a gambe troppo frettolosamente, col rischio di sopravanzare la moglie nella fuga.

Ma avrebbe avuto tempo in seguito per quel commento sarcastico; ora, doveva occuparsi di Alexander, e capire cosa fosse successo da Almack’s.

Aveva plaudito le manovre del figlio, si era compiaciuto nel vedere la coppia parlare con espressione così coinvolta e, una volta a cena, tutto gli era parso andare per il meglio.

Ma poi, di colpo, l’atmosfera gli era parsa raggelarsi intorno a loro.

La distanza gli aveva impedito di capire quale fesseria avesse detto il figlio e, quando era tornato con la moglie in carrozza, aveva scoperto che i due figli avevano cincischiato fuori da palazzo, ritardando il rientro.

Madaleine l’aveva pregato di lasciar perdere al mattino seguente, poiché non voleva che angustiasse il figlio, ma Maxwell l’aveva pensata diversamente.

Voleva sapere e, nel caso, risolvere subito l’annoso problema, a costo di trascinare il figlio per un orecchio fino a Grosvenor Square per scusarsi.

Indipendentemente da come avrebbe potuto proseguire il rapporto con miss Elizabeth, non voleva avere dissapori di nessun tipo con la famiglia Spencer.

Gli piacevano troppo, perché vi fossero incomprensioni pendenti.

Quando, perciò, Alexander gli si parò dinanzi, il viso contrito e afflitto, Maxwell gli fece cenno di seguirlo in casa e, dopo essersi chiuso la porta alle spalle, decise che strategia utilizzare per l’interrogatorio.

Non sarebbe stato violento – dopotutto, era pur sempre suo figlio – ma, di sicuro, entro l’alba avrebbe conosciuto ogni sporco segreto di quella serata danzante.

A costo di cavargli la verità con le pinze da fabbro.







Note: La verità è stata sviscerata in ogni suo punto - anche su cose che non sapevate, come le cicatrici sulla schiena di Christofer - e ora i figli sanno ogni cosa. Sanno che il padre ha commesso degli errori passato, ma che è riuscito non solo a farsi perdonare, ma a creare una famiglia unita e dove l'amore è la prima parola a essere usata.
Quanto al povero Alexander, sa già che il rientro a casa coinciderà con una bastonatura - verbale - da parte del padre, poiché lui si è reso conto che qualcosa è andato storto e, sicuramente, vorrà andare in fondo alla cosa.
Credete che Maxwell arriverà a usare la pinza, per cavargli le parole? ;-)
  
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