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Autore: ilmareamezzanotte    19/04/2017    0 recensioni
Il terminal era il posto dove tutto si fermava.
O iniziava: beh, dipende da dove eri diretto.
Il terminal era la stazione dei pullman, tutti i pullman della città fermavano lì la loro corsa, o la iniziavano: come ho detto, dipende dai punti di vista.
Per quanto riguardava me, il terminal era stato da sempre il punto di arrivo: abitavo in un paese fuori città e perciò ogni mattina prendevo uno di quei pullman pieno di ragazzi urlanti e-puff-dopo appena 20 minuti di viaggio il pullman si fermava al terminal.
Non era un posto bello, non aveva nulla di magico o attraente, era solo un posto dove le persone non si fermavano, un posto necessario, un continuo via-vai di gente, come una qualsiasi stazione.
Il terminal era sempre stato il mio punto di arrivo, non avrei mai potuto immaginare che si sarebbe trasformato nel punto di inizio e che mi avrebbe permesso di conoscere il mio punto di riferimento.
Genere: Romantico, Slice of life, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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7.GINNASTICA NO!

Da piccolino ero complicato,
considerato uno sfigato,
tu ben inserito,
il favorito
a ginnastica ero un impedito,
tu un mito,
io sgualcito
tu ben vestito,
io tentavo di copiare
tu "Maestra ho finito!"
io solo canzoni nelle orecchie
"Suo figlio non s'impegna ma potrebbe"
e l'unico sette è nella condotta,
tu pa
gella bella,
io cartella rotta
(Nato Sbagliato
-Articolo31)

Passarono i giorni, poi le settimane.
La scuola era sempre lo stesso grandissimo inferno.
La Martini continuava ad essere la stessa insopportabile stronza.
Angie ed io eravamo ancora costantemente e irrimediabilmente in ritardo.
Non era, peró, del tutto colpa nostra: a fine quadrimestre, i nostri ritmi erano diventati impossibili: verifiche, interrogazioni ed esami di recupero ci lasciavano a malapena il tempo di respirare, dormire, spiluccare qualcosina e farci una doccia di dieci minuti cronometrati.
Io e la mia amica stavamo lentamente affogando in un mare di impegni scolastici e l'unica ancora di salvezza in quei giorni era diventata la casa di Mattia.
La bella casetta gialla poco fuori dal centro della città assisteva spesso a serate entusiasmanti tanto quanto quelle dei vecchietti della Casa di Riposo all'angolo. Anzi, sospetto che in quel periodo anche i vecchietti fossero più festaioli di noi.
Io ed Angie suonavamo al campanello vestite direttamente con il pigiama sotto alla giacca e, appena il rosso apriva la porta, ci fiondavamo sul suo divano blu mangiando popcorn e vedendo qualche puntata di Game of Thrones fino a quando le palpebre non si abbassavano concedendoci finalmente il tanto agognato riposo.
Mattia scuoteva la testa: ci conosceva da troppo tempo per stupirsi ancora del nostro comportamento bizzarro.
E Giorgio, dite?
Sparito.
Volatilizzato.
Nei rari momenti di quei giorni in cui lo studio non mi perseguitava, un pensiero volava a lui e a quell'attimo tanto strano e intenso che avevamo vissuto.
Era uno stronzo e avevo capito sin da subito che non era proprio una persona facile nè affabile, sembrava nascondere mille cose non dette dietro le sue iridi verdi, aveva pochi amici e stava spesso sulla difensiva, eppure non mi era proprio andata giù che dopo quel che era successo mi avesse ignorata così, per settimane.
E stava continuando a farlo!
Ok, ammetto che in effetti non è che mi stesse proprio ignorando volontariamente: diciamo che, siccome io ed Angie non uscivamo praticamente più a causa dello studio, a meno che non si fosse presentato a casa di Mattia con una scusa improbabile, le occasioni in cui avremmo potuto vederci sfioravano lo zero.
D'altronde, era la fine del quadrimestre anche per lui e poi non era il mio ragazzo, anzi, non era assolutamente nulla per me: molto meglio fare finta che quella sera al Silver non fosse mai accaduta e smettere di pensare a quell'idiota presuntuoso.
Anzi, era ora di pensare a tutti i preparativi per Natale: le vacanze, piano piano, si stavano avvicinando. Ancora una settimana di soffocanti verifiche e poi... libertà, riposo e regali!
Non vedevo l'ora: adoravo il clima natalizio.
Quell'ultimo Mercoledì mattina, mentre mi trascinavo con Angie fino al portone del Vittorio Emanuele, non potevo fare altro che pensare a quei tre lunghissimi, infiniti giorni schifosi.
"Ancora tre giorni e poi sarai libera, Miranda, ancora tre giorni e poi fanculo la scuola, almeno fino al prossimo anno!"
Cercavo di farmi forza, insomma.
Eppure era difficile rimanere positivi quando alle otto del mattino di Mercoledì avevi due ore con quella pazza della prof di Ginnastica! 
Ma quella una camomilla non se la prendeva mai?!
"Giuro che se ci fa correre ancora un giro, le rovescio tutta la confezione di Xanax nel caffè!" mi sussurró all'orecchio Angie col fiatone.
Accennai un sorriso: ridere di gusto come avrei voluto fare avrebbe causato il collasso dei miei poveri polmoni. E dire che io e Angie eravamo abituate a correre per prendere il pullman!
Scrutai dietro di me i miei compagni: le ragazze erano davvero sfinite, anche Sonia, la più sportiva, mentre i ragazzi cercavano di darsi un contegno, ma anche loro mostravano i primi segni della fatica fisica.
Finalmente la prof. Lucilli ci ordinó, al pari di un generale con le sue truppe, di fermarci e di fare stretching.
Seguirono parecchi esercizi di resistenza e, dopo un'oretta, un'altra classe arrivó in palestra: la nostra scuola, infatti, aveva una palestra parecchio grande e non era raro che altre classi di altre scuole in città, che magari non avevano una palestra così attrezzata, venissero da noi ad allenarsi nella loro ora di Ginnastica.
Di solito erano le classi dell'Ungaretti, del Bernini e del D'Annunzio.
Ecco, era una classe del D'Annunzio, il liceo linguistico: ormai riconoscevo le prof di Ginnastica e sapevo associarle all'esatta scuola di provenienza.
Stavo passando la palla ad Angie, nel tentativo di riuscire a fare almeno un esercizio di riscaldamento dei mille che la Lucilli ci aveva assegnato, quando la palla sbatté malamente sulla spalla della mia amica.
"Ahia! Miri!!"
Angie si giró di scatto con un'occhiata di fuoco.
Alzai le braccia in segno di resa: "Potevi almeno fare un po' di attenzione. Che guardavi?"
Angie inclinó la testa, indicandomi la prof e la classe del D'Annunzio, poi alzó le spalle: "Stavo guardando la prof, speravo fosse una classe dell'Ungaretti."
L'Ungaretti era la scuola di Mattia, uno degli istituti tecnici per geometri più validi della città.
Scossi la testa, confermando i dubbi della mia amica: "No, quelli dell'Ungaretti hanno quella con i capelli corti di mezza età, quella lì con quegli orribili calzettoni fucsia è sicuramente quella mezza matta che urla sempre del D'Annunzio."
Angie annuì e mi rilanciò la palla.
Andammo avanti così per un po', non curandoci dell'altra classe e nemmeno della nostra in realtà: era mattina, stavamo facendo "sport" e nessuno aveva voglia di parlare, giustamente oserei dire.
Poi, all'improvviso, la prof ebbe questa strana, assurda idea: ci fece fermare e ritirare tutti i palloni e le attrezzature venti minuti prima della fine della lezione; noi già invocavamo tutti i santi, convinti che per una volta quella sottospecie di generale di trincea della Lucilli mostrasse un po' di cuore e ci lasciasse tornare in classe prima, ma lei, invece, se ne uscì con: "Ho parlato con la professoressa Alpini del liceo linguistico D'Annunzio e abbiamo deciso che, siccome c'è solo un anno di differenza tra voi e la sua classe e ci sembrate abbastanza equilibrati, possiamo provare a organizzare una sfida di pallavolo in questi ultimi venti minuti. Siete contenti? Non fatemi fare brutta figura eh!"
" 'NON-FATEMI-FARE-BRUTTA-FIGURA'?! L'HA DETTO SUL SERIO??!"
Ero davvero furiosa. Ma perché avremmo dovuto fare questa cosa?
'A ognuno il suo spazio', era questo il patto non scritto nella nostra palestra: no alle interazioni con le altre scuole, perché ognuno era già troppo impegnato a far schifo per conto proprio.
Perché ora la Lucilli e la sua amica idiota con i calzettoni fluo si permettevano di rivoluzionare tutto?!
Una sfida contro un'altra scuola e un'umiliazione pubblica? Non se ne parlava proprio.
Angie, il mio insopportabile angelo custode, era però già pronta a sussurrarmi all'orecchio: "Anche a me non va, Miri, ma ci serve anche il voto della Lucilli per superare il primo quadrimestre. Fai uno sforzo."
Facile a dirsi per lei, era un asso a pallavolo!
Fu Sonia a formare la squadra, ovviamente.
Scelse prima i due ragazzi più atletici, cioè Simone e Michele, poi Angie e Samanta. Sí, proprio la mia ex-migliore amica -che gioia averla in classe dopo che mi aveva soffiato da sotto il naso il mio ormai ex-ragazzo Federico, voi non potete capire- che, per quanto mi scocci ammetterlo, era veramente brava in ricezione a pallavolo.
A Sonia mancava ancora un membro, ma io mi stavo già avvicinando lentamente alla panchina, convinta che sarebbe stato il mio posto sicuro per tutti quegli infernali venti minuti.
Ma improvvisamente...
"Miranda."
Angie impallidì, mentre io mi bloccai con il sedere a tre centimetri dal freddo ferro della panchina balbettando: "C-cosa?!"
"Sei brava col palleggio. Stai sottorete."
Sonia lo disse come se fosse la cosa più naturale del mondo, la prof annuí e io quasi collassai per l'incredulità.
Ma uffa!! Avrebbe potuto scegliere chiunque!
Mascherai malamente uno sbuffo e mi posizionai sottorete, non smettendo mai di guardare Sonia con tutto l'odio che avevo in corpo, sperando di incenerirla seduta stante o almeno di convincerla a scegliere qualcun altro al mio posto. Ma Sonia, incurante delle mie occhiate malevole, aveva già preso posizione alla battuta.
Ok, dato che ormai eravamo in campo, tanto valeva giocare.
Feci un bel respiro, mi girai verso le rete e...
"Buongiorno, principessa."
Oh mio Dio, quel ghigno lo conoscevo fin troppo bene!
Alzai gli occhi e due iridi verdi si specchiarono nelle mie.
-PALLAAAA!" urlò Sonia da fondo campo.
Il ghigno non spariva dalla faccia di Giorgio e io finalmente mi ripresi dalla sorpresa: quella partita cominciava a farsi interessante.
"Ti farò a pezzi." Sussurrai assottigliando gli occhi.
"Provaci, se ci riesci." Il suo ghigno si aprì in un sorriso mozzafiato.
Poi Giorgio spostò i suoi occhi da me, Sonia lanciò la palla e il mio inferno personale ebbe inizio.
   
 
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