Serie TV > Elisa di Rivombrosa
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Autore: wolfymozart    19/04/2017    3 recensioni
Sullo sfondo delle prime rivolte contadine antifeudali, si snoda la vicenda che ha per protagonisti Anna e Antonio. Come i rivoltosi si ribellano alle ingiustizie della società del tempo, allo stesso i due protagonisti, sono alle prese con una personale rivolta contro i propri destini segnati dagli errori, dalle incomprensioni e dalle scelte avventate del passato. La giustizia riuscirà a trionfare o prevarrà l'arroganza della sorte?
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Anna Ristori, Antonio Ceppi, Elisa Scalzi, Emilia Radicati
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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-Che te ne pare, Antonio? Non è forse una bella festa? Gente allegra, canti, balli…Ti sembriamo forse dei delinquenti senza scrupoli? -

Accompagnati da violini, flauti e tamburelli a sonagli, alla luce dei falò che sorgevano qua e là per la campagna, uomini, donne, giovani, vecchi, bambini si davano a ballare e cantare, rischiarando con le loro voci allegre la notte settembrina. 

Elisa si allontanò dalla luce del falò per sedersi accanto ad Antonio sull’erba fresca di rugiada. – Allora, che ti sembra? Emilia si sta divertendo un mondo. – riprese. Antonio stava seduto al buio in disparte, silenzioso. Non prendeva parte al clima di euforia collettiva che aveva invaso gli animi di tutti in quei giorni di vendemmia. Aveva uno sguardo assente, perso in chissà quali pensieri, si limitava a sorvegliare Emilia che cantava e danzava insieme agli altri, sorridendo di tanto in tanto contagiato dal buonumore della bambina.

- Ho forse mai pensato questo di voi? – le rispose laconico, seguitando a giocherellare con un filo d’erba che teneva fra le dita. Riprese poi voltandosi verso di lei: -Elisa, lo so bene per cosa state lottando. Conosco molto bene le leggi ingiuste a cui dovete sottostare. Non c’è bisogno che tu mi convinca di questo. –

- Fra una settimana la vendemmia sarà conclusa. Il marchese manderà i suoi emissari a riscuotere la parte che pretende che gli sia dovuta, quello sbruffone! Ma non consegneranno nulla a lui. E nemmeno le decime al convento. Nulla. Questo sarà il segnale della rivolta. –

- Siete sicuri di quello che state facendo? Siete sicuri della buona riuscita di tutto questo? Una volta innescata la protesta, non sarà facile ritornare indietro. –

- Sicurissimi. Ce la faremo, andremo fino in fondo. E faremo valere i nostri diritti. –

- Nessuno al mondo deve più essere sfruttato, avete ragione. – concluse riportando lo sguardo a terra.

- E allora che cos’è che non ti convince? –

- Ne abbiamo già parlato. –

- No, non ne hai voluto parlare. Del vero motivo. Di Anna –

- Che vuoi che ti dica? Non c’è nulla da dire.  –

- Oh sì, Antonio. Un po’ ti conosco, so che i tuoi pensieri sono tutti per lei in questi giorni. Ti ho osservato. –

- E chi ti fa credere…Oh via, basta così. Non ne parliamo. –  

-Chi me lo fa credere? Bè, ho visto come la guardavi, con che premura la trattavi quella notte in cui siete fuggiti. Non era certo l’atteggiamento che si ha nei confronti di una vecchia conoscenza. Anche se tu non dici niente, è tutto abbastanza chiaro. Solo non capisco perché tu non voglia ammetterlo. –

-  E me lo chiedi anche? Anna è la marchesa Radicati, moglie del marchese Alvise Radicati da Magliano. E infatti se n’è tornata con lui a Rivombrosa, volente o nolente, non ha potuto fare diversamente. Quello che è successo l’altra notte l’avrà catalogato come uno sbaglio, un cedimento. Si sarà già pentita. Mentre io non riesco a dimenticare: non passa istante in cui lei non sia nei miei pensieri. Anche se mi amasse, credi che questa storia potrebbe mai avere un futuro? Credi che sarebbe disposta a lasciare il marito tra lo sdegno di tutta la nobiltà della regione? E per chi? Per me? Ormai è tutto segnato, non si può cambiare il passato. Ho commesso un errore, anni fa, di cui non smetterò mai di pentirmi. –

Elisa sorrise compiaciuta: aveva avuto la giusta intuizione ma, del resto, non ci sarebbe voluto chissà quale grande acume per capire che tra quei due, al di là dell’indifferenza simulata di Antonio e del disprezzo manifesto di Anna, c’era un legame profondo, mai spezzato. Tuttavia non volle indagare su quanto fosse successo quella notte, come accennato da Antonio, e si limitò ad incoraggiare l’amico.

- Antonio! Io proprio non capisco queste tue remore. Ma ti rendi conto che stai parlando del marchese Alvise Radicati, l’uomo più spregevole e ripugnante che io conosca? E tu credi che Anna – scusa, la marchesa – non sarebbe disposta a liberarsi di un marito che la tratta in modo irrispettoso e disonora in continuazione lei e la famiglia Ristori? O credi che non lo farebbe per te, perché non ti può perdonare…? -

- Io stesso non mi posso perdonare. Per molte cose. Per aver causato la morte di mia moglie, per esempio. –

- Questo non è vero. E lo sai. Non puoi fartene una colpa. Hai fatto tutto il possibile per lei. Non è dipeso da te. –

- Forse sì, forse è vero. Ma ora, ora non riesco a esserle fedele. L’ho tradita, capisci? E lei forse già aveva capito che sarei arrivato a questo. –

- Che vuoi dire? –

- Che avevi ragione tu, che aveva ragione lei. Amo Anna. E non riesco a fare a meno di amarla, anche se questo mi fa sentire terribilmente e doppiamente in colpa. Non voglio riaprire vecchie ferite del passato. Non voglio essere la causa della sua disgrazia agli occhi del suo mondo. Non voglio nemmeno che resti coinvolta in questa sommossa, perché lei non ha colpe nella cattiva amministrazione del marito, non c’entra nulla con la sua arroganza. Anzi, è lei stessa una vittima di quel farabutto. Che devo fare, Elisa? -

- Devi andare da lei, dirle tutto e farla fuggire prima che inizi il finimondo. Se ti ama, come ho motivo di credere, ti ascolterà. E devi smetterla con questi sensi di colpa: non ti faranno riavere indietro Lucia, né ti permetteranno di riconquistare Anna. –

- Io non so…non lo so se son degno del suo amore, dopo quello che le ho fatto passare anni fa. Come posso pretendere che mi dia ascolto? –

- Basta con le scuse, Antonio. Tu hai paura, hai una tremenda paura di essere rifiutato, ma non devi. Lei ti ama, ne sono certa perché al solo sentire il tuo nome ha delle reazioni incontrollate, non riesce a dominarsi come suo solito. Hai un grande potere su di lei, che tu ignori. Solo tu puoi convincerla a scappare in tempo dalla rivolta, ma soprattutto dalle rappresaglie del marchese. –

- Ma è impossibile parlarle. Il marchese l’ha segregata nella sua stanza, lo hai detto tu stessa! -

- Bianca. Lei potrebbe introdurti nel palazzo. Alla sera, durante quegli squallidi ricevimenti del marchese. In qualche modo ce la farai, basta che tu lo voglia. -

- Già - asserì, non troppo convinto.

- Promettimi che ci proverai. Anche per Emilia. -

- Ci proverò, Elisa, ci proverò. Se soltanto questo servisse a ridarle la felicità che le ho tolto…-

Antonio sospirò amaramente. Tacquero entrambi. Intorno soltanto i suoni e le voci ovattate in lontananza e il frinire dei grilli nella notte di fine estate.

 

Alvise finalmente se n’era andato. Se n’era andato nello stesso modo in cui era arrivato: barcollando goffamente verso la porta come un maiale satollo, sputando parole oscene e insulti a mezza voce, richiudendo a chiave con altrettanta stizza la porta alle sue spalle. Ma questa volta fu un sollievo per Anna il suono metallico della chiave nella toppa che la separava dal resto della casa, non una condanna. Il disgusto che provava per Alvise cresceva ogni giorno di più, si sentiva sporca, contaminata anche lei da quell’individuo tanto immondo quanto insulso. Si era dovuta concedere a lui, non era riuscita ad opporsi alla sua foia e in quel momento si sentiva in colpa per questo, per non essere riuscita in quell’occasione a difendere la sua dignità. Si alzò dal letto scomposto, aprì la finestra e lasciò che il vento fresco della notte spazzasse via quell’aria viziata perché respirata da quell’uomo sordido che si ritrovava per marito: le faceva ribrezzo anche soltanto l’idea di respirare la sua stessa aria.

La notte profumava dell’odore dolciastro di fine estate, l’odore dei fiori tardivi, dell’uva matura. L’aria era mite, il cielo baluginava di stelle, la luna stava per sorgere a oriente, qua e là nella campagna tralucevano i fuochi del falò, frinivano i grilli, le civette facevano risuonare i loro lugubri richiami. Tutto sembrava perfettamente al proprio posto, in armonia con il resto del creato. Come si discostavano i suoi pensieri da quel paesaggio placido! Quanto avrebbe preferito in quel momento la cupa e sconsolata rassegnazione che l’aveva accompagnata per anni, al tormento che l’aveva presa dopo quella notte, quell’indecifrabile notte passata alla casa di Antonio. Sì, pensava, meglio sarebbe stato se non fosse successo, se quei momenti di dolce abbandono non fossero mai esistiti, se non avesse avuto ancora una volta la conferma dell’effetto che lo sguardo, i baci, le parole di Antonio avevano su di lei. Ora che aveva assaporato, anche solo per qualche fugace istante, la grazia di fondersi anima e corpo con lui, non poteva più fare a meno di quel suo sguardo limpido, puro, della delicatezza delle sue mani, del calore delle sue braccia. Ma questo non era possibile. Se non ad un prezzo che poteva costare molto caro ad entrambi e non solo. Si domandava poi che ne fosse stato di lui in quegli ultimi giorni. Si era imposta di non pensarci, di stornare dalla mente ogni pensiero che lo riguardasse, perché temeva il peggio. Come l’avevano ridotto le guardie di Alvise? L’avevano denunciato per aver appoggiato i sovversivi? Tante ansiose domande a cui non poteva dare una risposta. In tutto questo non poteva non pensare anche ad Emilia, la cui sorte era ormai legata a doppio filo con quella di Elisa e di Antonio stesso che la stava nascondendo. Non aveva saputo più nulla nemmeno di lei e non osava chiedere di nascosto a Bianca, o a chi per lei, se ne avessero notizie: temeva che giungesse qualche sentore alle orecchie di suo marito, in uno dei suoi rari momenti di lucidità. No, si disse, non poteva cercare Antonio, doveva imporsi di non chiedere nulla di lui. Allontanarne l’immagine dalla mente, cancellarne il ricordo dal cuore.  Non poteva rischiare di mettere in pericolo con la sua apprensione la vita delle persone a lei più care, sua figlia e l’uomo che da sempre amava. Ma quanto sarebbe durato questo stato di incertezza? Quanto avrebbe potuto ancora resistere? Ma soprattutto, che cosa sarebbe successo a tutti loro se Alvise avesse scoperto il nascondiglio di Emilia?

La luna era ormai sorta e si stagliava luminosa nel cielo sereno, il vento proseguiva la sua corsa piegando le chiome degli alberi. Un ultimo dubbio le si affacciò alla mente, prima di accingersi a chiudere le imposte: Antonio stava pensando a lei? Ci aveva mai pensato in quei giorni intercorsi? O forse la sua era stata un’illusione, un miraggio nel deserto desolato della sua rassegnata esistenza?

 

Quest’ultimo dubbio, più che mai infondato, era sorto in un’anima provata, stremata dalle difficoltà della vita, resa diffidente nei confronti del più piccolo spiraglio di speranza che cercava di insinuarsi nel buio. In quello stesso momento, infatti, poco distante da lei, abbandonati i canti, la musica, il vociare allegro dei contadini e la conversazione con Elisa, Antonio respirava l’aria della notte, osservando i profili delle colline che si stagliavano, i boschi argentati dalla luce lunare. Acuì lo sguardo scrutando l’oscurità dalla parte opposta alla ricerca di una luce, del brillare di un lume ad una particolare finestra. Sforzò la vista più che poté per distinguere le minuscole luci lontane. E la vide, quella luce nel buio. E fu sicuro che Anna era lì, dietro a quella finestra ad osservare lo stesso paesaggio. In quel momento i suoi pensieri erano quanto mai ingarbugliati, sperava che l’aria fresca della notte lo aiutasse a districarli. Sapeva lui qual era la cosa giusta da fare? No, non lo sapeva. Qualsiasi azione avesse intrapreso sarebbe stata un salto nel buio. L’unica cosa di cui era più che mai sicuro era il fatto che doveva assolutamente rivedere Anna. E al più presto. L’amava, non faceva altro che pensare a lei ad ogni istante. Non poteva più restare in quel limbo, senza sapere che ne fosse stato di lei, nelle mani di quel ribaldo vigliacco di Alvise. Elisa aveva ragione: doveva smetterla di tormentarsi con i pensieri inutili, con i se e con i ma, con i sensi di colpa. Piuttosto avrebbe dovuto agire, prima che fosse troppo tardi, prima che Alvise le facesse del male, prima di perderla un’altra volta.

Non era facile per lui ammettere di essersi sbagliato nella sua scelta di sedici anni prima. Nonostante la sua mitezza, il suo animo dolce e pacifico, non era tipo da accettare compromessi di alcun genere, non era tipo da piegarsi alle convenzioni sociali per rispettabilità o convenienza. La sua era stata una scelta integrale, un cambio radicale di vita, abitudini, condizioni: non poteva rinnegarla senza rinnegare se stesso. Aveva amato Lucia e l’avrebbe amata sempre perché gli aveva donato la libertà, il pretesto per fuggire dal suo mondo, gli aveva dato la vita, una nuova vita come l’aveva sempre desiderata, senza compromessi, senza finzioni. Ma questa illusione si era infranta con quel suo gesto disperato che violentemente l’aveva riportato alla fredda realtà. Nemmeno di fronte a questa tragedia, la più devastante della sua vita, aveva avuto il coraggio di abbandonare i suoi ideali: era andato avanti ostinatamente con la sua vita di escluso, nel ricordo della moglie. Le voleva in questo modo restare fedele e nello stesso tempo restare fedele a se stesso.

Poi ecco Anna. Il suo grande amore mai del tutto scordato. Che rimette tutto in discussione. Che fa riaffiorare i sogni giovanili, sogni non ancora sciupati dalla dura realtà del mondo. Che lo induce a mettere nuovamente in gioco la sua identità. In fondo, chi era lui? Era, indiscutibilmente, per tradizione di sangue, un nobile. Ma non aveva mai voluto esserlo ed era riuscito a lavar via da sé, come una colpa, ogni traccia di privilegi di classe. Era un puro. Ma pur sempre diviso a metà tra le sue origini e la via scelta. E Anna era lì, e lo era sempre stata, per ricordarglielo: per rimarcare ogni volta la scissione mai ricomposta tra quello che era e quello che aveva voluto essere. Amare Anna avrebbe significato ai tempi accettare la sua condizione di nobile, convivere per tutta la vita con la vergogna di privilegi, titoli, possedimenti, con il disagio di guardare dall’alto in basso i propri servi, con l’imbarazzo di essere riveriti da loro come padroni. Amare Anna avrebbe significato in quel momento ammettere a lei, ma soprattutto a se stesso, che si era sbagliato, illuso, che il mondo non si può cambiare nemmeno sacrificando le cose più preziose. Anna aveva sempre messo alla prova la sua identità ed era anche per questo che sedici anni prima l’aveva voluta fuggire.

Ma, guardando quella luce tremula, che rischiava od ogni istante di essere spenta dal vento, capì. Provò una stretta al cuore immaginando quello che doveva passare Anna chiusa in quella stanza, le angherie di Alvise, lo spettacolo pietoso delle sue amanti, di quei sordidi festini. Per un istante si annullò, rinunciò alle riflessioni sulla sua identità, rinunciò a se stesso: perché senza di lei, lui non era nulla, in fondo. L’unica cosa che avrebbe dovuto e voluto fare in quel momento era correre da lei, stringerla di nuovo tra le braccia, confessarle quanto l’avesse sempre amata e, soprattutto, portarla via con sé, prima che fosse troppo tardi.

 

   
 
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