Anime & Manga > Daiku Maryu Gaiking
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Autore: BrizMariluna    19/04/2017    4 recensioni
Il Gaiking, il Drago Spaziale e il loro equipaggio vagamente multietnico, erano i protagonisti di un anime degli anni settanta che guardavo da ragazzina. Ho leggermente (okay, molto più che leggermente...) adattato la trama alle mie esigenze, con momenti ispirati ad alcuni episodi e altri partoriti dai miei deliri. E' una storia d'amore con incursioni nell'avventura. Una ragazza italiana entra a far parte dell'equipaggio e darà filo da torcere allo scontroso capitano Richardson, pilota del Drago Spaziale. Prendetela com'è, con tutte le incongruenze e assurdità tipiche dei robottoni, e sappiate che io amo dialoghi, aforismi, schermaglie verbali e sono romantica da fare schifo. Tra dramma, azione e commedia, mi piace anche tirarla moooolto per le lunghe. Lettore avvisato...
Il rating arancione è per stare dal canto del sicuro per alcune tematiche trattate e perché la mia protagonista è un po' colorita nell'esprimersi, ed è assolutamente meno seria di come potrebbe apparire dal prologo.
Potete leggerla tranquillamente come una storia originale :)
Con FANART: mie e di Morghana
Nel 2022/23 la storia è stata revisionata e corretta, con aggiunta di nuove fanart; il capitolo 19 è stato spezzato in due capitoli che risultano così (secondo me) più arricchiti e chiari
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Gaiking secondo me'
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~ 24 ~ 
STRANE CONQUISTE
 
 
Balthazar si trovava nell’hangar all’interno del Drago Spaziale, gli ultimi lavori finalmente conclusi.
Briz arrivò davanti al petto del suo leone accucciato, sul quale splendeva il grande diamante da cui usciva l'Onda di Ghiaccio: rilevata la sua presenza, nella parte più vicina a terra del diamante si aprirono due pannelli scorrevoli, dietro ai quali si trovava una piccola piattaforma rotonda che, scivolando verso l'alto in un cilindro trasparente, la portava direttamente in carlinga.
Briz si sedette al posto di guida ed eseguì alcuni controlli: gli ultimi aggiornamenti ai software, eseguiti nel pomeriggio da Sakon e Jamilah, apparivano perfetti. Si sentiva tranquilla e rilassata, una volta tanto; non era in servizio, tanto che non indossava nemmeno l'uniforme, ma una camicia stranamente non troppo sgargiante, di un verde petrolio sbiadito, vecchia e lisa e che le stava grande, essendo appartenuta ad Alessandro. La teneva annodata in vita, come suo solito, e a creare l'effetto pugno nell'occhio ci pensava la canotta che portava sotto, di un turchese acceso. I jeans aderenti e scoloriti erano infilati in un paio di anfibi neri decisamente poco femminili, se non fosse stato per i laccetti: quello del destro era rosa fluo, quello del sinistro dello stesso turchese accecante della canotta. Ma il suo abbigliamento – così da nostalgica Anni Ottanta, neanche li avesse vissuti realmente – non stupiva più nessuno, ormai: quella era Briz.
In quel momento il suo cellulare squillò; si decise a rispondere dopo aver sentito un tuffo al cuore, cosa ormai di routine quando si trattava di Pete, che fosse vederlo, sentirlo… o anche solo leggere il suo nome sul display del telefono.
– Hola, Cavaliere Solitario! – rispose, facendo la disinvolta.
– Buonasera anche a te! Stai ancora alla caverna?
– Sono venuta a dare la buonanotte al mio micione; sono ancora in carlinga, ma ho finito. E tu?
– Sono sulla spiaggia: dai a Balthazar il codice T-01 e riesci a vedermi.
Briz eseguì e la potentissima telecamera, che dal Faro riprendeva la riva del mare e la spiaggia circostante, le mandò sul monitor della consolle l'immagine di Pete che la salutava.
La maglia bianca a maniche lunghe che indossava si stagliava nitida nella notte, alla luce della luna: Briz riuscì a vedere che aveva anche il cappuccio che gli ricadeva sulla schiena e la scollatura a V mezza chiusa da un laccetto di cotone.
– Okay, ti vedo – esclamò allegra.
“Anche troppo bene” pensò “Ma come fai, a essere così scandalosamente bello?”
– Se hai finito, ti andrebbe di fare due passi qua in spiaggia? Si sta benissimo! – le chiese Pete all'improvviso.
Oddio, una passeggiata sulla spiaggia al chiaro di luna, con lui? Roba da dare di matto, poteva mai esserci una risposta diversa da un sì? Cioè, no! In realtà era una follia, come avrebbe potuto passarle quell’insano innamoramento, se gli avesse detto di sì?
“Ma di che ti preoccupi? È solo una passeggiata per fare due chiacchiere con un amico!” le disse una vocetta insistente nel suo cervello.
“Lascia perdere, rischi di renderti solo la vita più difficile: lo sai che lui gioca!” si fece sentire una seconda voce.
“E dai, ho solo voglia di passare un po’ di tempo con lui! Non abbiamo fatto altro che combattere e lavorare come somari, negli ultimi tempi! Che sarà mai?” intervenne lei.
“Già, che sarà mai! Poi ci stai male perché sai che non può essere l’uomo della tua vita!” le gridò una delle due vocine nelle orecchie.
“Ma vai, piccola, piantala di farti tremila paturnie, che ti frega!” la incitò l’altra.
Briz sbuffò alzando lo sguardo al cielo, esasperata: pure le voci, adesso!?
Si sentiva come quei personaggi dei cartoni animati, quando si ritrovavano con un angioletto su una spalla che suggeriva di fare una cosa, e un diavoletto sull’altra che invece consigliava esattamente il contrario. In questo caso l’angelo era il buon senso, il diavolo la stupidità totale, lo sapeva.
Guardò di nuovo il monitor, e decise: “Ma ‘fanculo, potrò ben scendere in spiaggia quando cavolo mi pare!?”
Stava per dire a Pete di aspettarla cinque minuti quando vide, alle sue spalle, un movimento improvviso. Briz urlò:
– Attento! Dietro di te!
Come dal nulla, dal buio sbucarono alcuni Uomini Uccello. Pete fu velocissimo a estrarre il fulminatore che teneva dietro la schiena, infilato nella cintura dei jeans, e ne colpì un paio che stramazzarono a terra, ma altri due lo presero alle spalle, mentre un terzo lo disarmava e gettava in mare la sua pistola. Lui non conosceva le arti marziali, ma era agile e forte, e fra calci e pugni se la sbrigava piuttosto bene: i tre alieni mutanti rimasti ebbero filo da torcere; ma… quelli volavano, porca miseria! Briz aveva già fatto suonare l'allarme, ma sulla spiaggia la situazione precipitò: la ragazza ebbe giusto il tempo per vedere sul monitor uno dei soldati alati piombare alle spalle di Pete e immobilizzarlo, mentre un altro lo colpiva in fronte col calcio di un fucile zelano.
Il “No!” che sfuggì a Briz fu un urlo disperato.
Pete crollò a terra e gli zelani lo trascinarono verso la riva: anche da quella distanza, Briz vide il rivolo di sangue che gli colava sul viso.
– Rintracciate il dottor Daimonji e il professor Gen! Hanno preso il Capitano Richardson! – urlò nel microfono – Preparate il Drago!
Poi, un pensiero la fulminò: "Ma il Drago cosa, cazzo! Dove andrà mai, senza Pete!"
Certo Sakon avrebbe potuto, in caso di emergenza, se non combattere, almeno guidare il Drago, ma ora che fosse arrivato lì e che tutto fosse stato approntato, sarebbero passati almeno altri cinque minuti. Decisamente troppi: Pete non li aveva cinque minuti!
Sulla spiaggia, nel frattempo, era apparsa un'ombra che aveva oscurato la luna: un'astronave piuttosto piccola, forse un ricognitore, valutò Briz. Dalla pancia di quest'ultima scese un largo raggio giallo che avvolse sia gli Uomini Uccello che Pete, privo di sensi: all'interno del raggio i loro corpi cominciarono a sollevarsi, attirati verso il ventre della nave.
La decisione di Briz fu presa in un lampo: attivò Balthazar, fece aprire i pannelli del Drago e infilò la rampa di lancio.
In un attimo fu fuori e raggiunse il tunnel subacqueo che conduceva all'oceano: il grande leone emerse dalle profondità marine e Briz riuscì a individuare la sagoma scura dell'astronave nemica che si allontanava. Era molto veloce, ma lei riuscì a tenerle dietro, cercando di rassicurarsi pensando che Pete fosse senz'altro ancora vivo.
Era come il rapimento di Midori, o quello di Sakon: se avessero voluto ucciderlo, lo avrebbero fatto sulla spiaggia. Avevano altri scopi, i maledetti, probabilmente i soliti: estorcergli informazioni… o assoggettarlo! Doveva, assolutamente, senza ombra di dubbio, essere così!
Respirando profondamente, Briz effettuò la connessione con il suo leone; non che fosse strettamente necessaria per pilotare e basta, ma diventando tutt'uno con il suo robot, si sentiva più forte e più sicura.
Mandò un messaggio veloce all'equipaggio del Drago Spaziale, specificando che si sarebbe rimessa in contatto con loro prima possibile per fargli avere la posizione, ma tutti sapevano che se avesse continuato a comunicare, i nemici l'avrebbero scoperta.
Chiuse i contatti e attivò il nuovo antiradar e la protezione a specchio: Balthazar sembrò scomparire nell'oscurità dello spazio, mentre inseguiva, invisibile e silenzioso, la piccola nave che aveva rapito il capitano Richardson.
Dopo un volo che le sembrò interminabile, Briz avvistò la loro destinazione: un'altra astronave molto più grande, anche se non quanto il Drago Spaziale. Sul lato si apriva l'entrata luminosa di un ponte di atterraggio dentro la quale si infilò la navetta più piccola con a bordo Pete e i suoi rapitori.
Briz rimuginò per un po', indecisa su cosa fare; fino a quel momento i nuovi marchingegni per nasconderla alla vista dei nemici avevano funzionato ottimamente, ma nel momento in cui fosse atterrata sul ponte della nave, con ogni probabilità l'avrebbero scoperta: era impensabile che non ci fosse nessuno di guardia, nell'hangar.
Una volta Pete le aveva salvato la vita… adesso stava per rendergli il favore anche se, in realtà, non sapeva se ce l'avrebbe fatta. Eppure, in qualche modo, un sistema per entrare lì dentro doveva trovarlo; e magari, dopo, anche uno per uscire di lì insieme a lui. 
 
* * *

A risvegliare Pete fu il dolore lancinante alla testa, al quale si aggiunse, subito dopo, una serie di fitte altrettanto intense ai polsi e alle braccia; e non riusciva a muovere le gambe.
Girò appena la testa e capì il perché: era sdraiato, immobilizzato su un pannello metallico, con i polsi chiusi in due bracciali d'acciaio fissati ai lati della testa; altri due ceppi identici gli serravano le caviglie. Alla sua sinistra c'era una grande consolle, con ripiani e comandi vari, scanalature e leve.
Faticosamente, riuscì a sollevare un po' la testa e a mettere a fuoco il luogo in cui si trovava: una specie di stanza delle torture, visto come lo avevano sistemato. Era una saletta semicircolare con la parete di fronte a lui disseminata di schermi, pulsanti e piccole luci. La parete curva di sinistra era formata da una grande vetrata, dalla quale si vedeva lo spazio. A destra c'era l'entrata, formata da un ampio arco nel cui vano brillavano evanescenti linee azzurrine che si intersecavano, formando un reticolato luminoso. Di lì, senza un codice, una chiave, o qualunque altra diavoleria, non si usciva; e nemmeno si entrava, se era per quello! Quella rete luminescente era sicuramente mortale per chi aveva la disgrazia di finirci contro, ma era anche l'unica via disponibile. C'era senz'altro un sistema per disattivare quella barriera letale, solo che prima avrebbe dovuto trovare un modo per liberarsi di quei bracciali d'acciaio che lo tenevano inchiodato alla tavola di metallo.
Sarebbe già stato difficile in condizioni normali; con l'occhio destro gonfio e mezzo accecato dal sangue che gli era colato dentro, a causa del sopracciglio spaccato dal calcio del fucile, e con quel dolore pulsante che non gli dava tregua, la vedeva davvero molto dura.
Oltre l'arco, al di là della barriera azzurrina, c'era una piccola stanza, occupata da alcune postazioni di ricerca dotate di computer a schermi olografici, che al momento erano vuote. Sulle pareti si aprivano un paio di porte dai pannelli scorrevoli obliqui: da quel poco che vedeva, una pareva dare su un corridoio che, a occhio e croce, avrebbe potuto essere quello da cui lo avevano trascinato fin lì e che, probabilmente, portava verso il ponte di atterraggio. Dall'altra porta si intravedeva appena una plancia di comando.
A un certo punto, al di là del reticolato, gli sembrò di vedere un movimento, come un'ombra, che dalla porta del corridoio si tuffava nella piccola stanza, rotolava silenziosa, si rialzava appena e premeva un pulsante che richiudeva l'apertura obliqua. La figura, solo una sagoma nella penombra, si fermò un secondo a guardarlo poi, rapidissima, si nascose tra una parete e una delle postazioni di ricerca: lì sarebbe stata celata alla vista di chiunque fosse entrato da ognuna delle due porte; ma lui sapeva che ora, lì, c'era qualcuno.
Pete si rendeva perfettamente conto che il baluginio azzurrino, l'occhio incrostato di sangue, il mal di testa e anche una discreta paura che si sforzava di tenere a bada, potessero giocare brutti scherzi alla mente, ma avrebbe giurato che una delle calzature indossate dalla figura misteriosa, avesse un laccetto rosa fluorescente!
Briz?! Ma non poteva essere! Come diavolo aveva fatto, quella piccola pazzoide selvatica, ad arrivare fin lì?! Forse il Drago era a poca distanza e con lei c'era Sanshiro col Gaiking… dopotutto erano lui e Balthazar ad avere i nuovi dispositivi anti-rilevamento.
O forse… aveva avuto un'allucinazione provocata dalla botta in testa, cosa che non sarebbe stata del tutto da escludere.
Non arrivò a darsi una risposta: dalla porta che dava su quella che lui aveva, giustamente, immaginato essere la sala di comando della nave, uscì una figura alta, dal portamento deciso e flessuoso, che attraversò la stanzetta semibuia e si diresse verso l'entrata della saletta semicircolare in cui si trovava lui. Si fermò al di là del reticolato e lui la vide posare una mano sulla parete, a lato della porta ad arco. Pete gettò una rapida occhiata nel punto in cui si era nascosta Briz, immaginandola mentre studiava e prendeva mentalmente nota di tutto ciò che vedeva. Sempre che, naturalmente, non l'avesse sognata…
Non sapeva se sperare che fosse davvero lei, o l’esatto contrario: non gli piaceva per niente che quella matta rischiasse la vita per lui.
Intanto la chiusura evanescente si stava disgregando e la soglia dell'arco fu varcata dal comandante della nave. Pete rimase alquanto sorpreso: una donna. No, si corresse, una Valchiria: questa tizia sembrava venuta giù direttamente dal Walhalla.
La sconosciuta avanzò verso di lui, che riuscì a vederla meglio:
portava un elmo dorato, con due corna ricurve sul davanti, che rendeva impossibile vedere di che colore fossero i capelli. Poteva avere un'età tra i trenta e i trentacinque anni, con occhi di un violetto pallido pesantemente delineati di nero e dalle ciglia lunghissime, che spiccavano sul volto color ambra; aveva le orecchie a punta, che l'elmo lasciava scoperte, il naso leggermente aquilino, non quello piatto tipico degli zelani, e le labbra di un fucsia acceso erano carnose e ben disegnate; pure troppo.
 
Zhora-con-casco
 
Nella sua stranezza, quel volto poteva apparire attraente, e il corpo non era certo da meno, ma indossava abiti tanto succinti da rasentare la volgarità: il top di pelle nera con le borchie metalliche era talmente aderente, corto e scollato da lasciare ben poco all'immaginazione. Decisamente non era molto adatto a contenere le forme prorompenti della donna sulle quali, suo malgrado, Pete non poté fare a meno di soffermarsi: come le labbra, anche questa parte del corpo della sconosciuta, aveva l'aria di non essere molto naturale. In questo modo, il giovane finì per notare lo strano pendente luccicante che portava al collo: sembrava un incrocio tra una chiavetta USB per la raccolta di dati digitali e un ankh egiziano. All’avambraccio sinistro sfoggiava un bracciale di cuoio che arrivava al gomito, e i pantaloni, anch'essi di pelle, ma marrone scuro e attillati quanto lo striminzito top, erano aperti sui lati, lungo le gambe, e i lembi erano tenuti insieme da qualche stringa di cuoio; ma fra l'una e l'altra di queste ultime, le porzioni di pelle scoperta erano più che generose.
Benché fosse bella, e senz'altro provocante, quando avvicinò una mano dalle scintillanti unghie viola per toccargli una guancia, Pete si irrigidì ed ebbe un moto di fastidio.
Il pannello su cui era immobilizzato si raddrizzò lentamente, portandolo in posizione verticale consentendogli di appoggiare i piedi a terra, e si trovò faccia a faccia con lei. La donna fece un passo indietro e, con un movimento fluido, si tolse l'elmo cornuto, lasciandosi scivolare sulle spalle una massa di lunghi capelli di un improbabile viola, scuro e lucido.
 
 
Zhora-figura-intera
 
– Io sono il comandante Zhora, e il mio compito è farti il lavaggio del cervello per estorcerti informazioni sul Drago Spaziale, visto che a quanto pare tu ne sei il pilota, capitano Richardson.
– Niente di diverso da quello che immaginavo: ormai state diventando prevedibili. Prego, comincia quando ti pare, di certo non striscerò ai tuoi piedi per supplicarti di non farlo – la sfidò Pete, sperando di riuscire a fare come Sakon, che era riuscito a non farsi condizionare pensando a Jamilah. Okay, lui non aveva un quoziente intellettivo come quello del suo amico ingegnere, ma non era nemmeno scemo.
Si rese conto di colpo che una persona di cui riempirsi la mente, per provare a resistere, ce l’aveva anche lui. Evitò di guardare nella direzione del nascondiglio di Briz, temendo di tradire la sua presenza, – sempre che ci fosse davvero – e si preparò a fissarsi la sua immagine nei pensieri, pregando che funzionasse.
– Però, però! Una volta tanto una sorpresa piacevole! – esclamò la donna con una voce tra l'ironico e il suadente, sfiorando il volto di Pete e scostandogli i capelli dagli occhi – Non avrei mai pensato che i nostri nemici fossero così belli!
– Cosa? Ma tieni giù quelle zampe! – esclamò Pete tentando, nonostante il dolore, di muovere la testa per sottrarsi a quel tocco indesiderato.
Zhora prese qualcosa da un ripiano dietro alle spalle di Pete, gli si riavvicinò e, con sua sorpresa, invece di cingergli la testa col dispositivo per il condizionamento mentale, cominciò a ripulirgli il sangue dal viso e dall'occhio con un fazzoletto umido. Lui sentì il suo profumo dolce e intenso, tanto forte e penetrante da essere quasi nauseante; niente a che vedere con l'altro profumo che invece adorava: quello fresco e delicato di biancospino di Briz.
Questa strana donna gli stava troppo vicina e a lui questa cosa dava fastidio, molto fastidio: più del sopracciglio spaccato.
– A volte gli Uomini Uccello sono un po' troppo brutali – commentò Zhora passandogli il fazzoletto sul viso – Ma per fortuna ti rimarrà solo una piccola cicatrice attraverso il sopracciglio. Sarebbe stato un peccato rovinare dei lineamenti tanto perfetti: sei davvero carino, Capitano Richardson.
– Ma cosa stai dicendo!? E poi che t’importa? Tanto hai sicuramente ricevuto ordine di eliminarmi, dopo avermi condizionato e aver ottenuto le informazioni che ti servono!
– Mmm, non è detto… mi sta venendo voglia di cambiare i programmi: un bel ragazzo come te… sarebbe davvero uno spreco ucciderti. Comincio a pensare che potrei anche tenerti… e divertirmi un po'.
– Oh, beh, se è a questo che miri, trasformarmi nel tuo toy-boy, il lavaggio del cervello ti toccherà farmelo per forza, e anche bene! So che ti sembrerà scortese ciò che sto per dirti, ma non sei esattamente il genere di donna per cui impazzisco – esclamò Pete, tirandosi il più possibile all'indietro, stupito lui stesso dell’ironia che gli era uscita spontanea.
Pessima mossa, fra l’altro: la tizia aveva l’aria di essere pure permalosa, e forse provocarla non era stata una buona idea. Ma, a quanto pareva, l’aliena aveva deciso di non demordere nella sua opera di seduzione.
L’istinto gli disse di ignorarla, e fissò lo sguardo in un punto indefinito, oltre le spalle della zelana, ostentando indifferenza alle sue poco gradite attenzioni.
 
Pete-e-Zhora

– Magari cambierai opinione – sussurrò lei, prendendogli il viso tra le mani e appoggiandosi contro di lui.
Pete sentì il seno prosperoso della donna premergli contro il petto.
– Lasciami in pace, Zhora! Non toccarmi o giuro che ti mordo! – le ringhiò sul naso.
– Questa sì, che è una cosa interessante… anche perché è l'unica che potresti fare – commentò la donna, facendogli scivolare una mano lungo il torace, verso il basso, e sollevando poi la stoffa bianca della maglia, indugiando in una carezza sensuale e sfacciata sulla pelle nuda, tesa sui muscoli addominali e sui pettorali.
Prima che lui potesse dire un'altra parola, Zhora lo baciò, stringendogli i capelli tra le dita dell'altra mano fino a fargli male; anche il bacio fu parecchio sgarbato e piuttosto violento.
Pete non si fece molti scrupoli ad affondarle i denti nel carnoso labbro inferiore, fino a sentire il sapore del sangue. Colta alla sprovvista, Zhora lo lasciò e indietreggiò.
– Non credevo che lo avresti fatto davvero! – gli sibilò, passandosi il dorso della mano sulle labbra sanguinanti, fissandolo con rancore.
– Te lo avevo detto che non sei il mio tipo! – replicò Pete.
La donna gli si avvicinò di nuovo e, accecata dall’ora, gli mollò un ceffone. Lui incassò in silenzio, mentre una manciata di stelle gli esplodeva dietro agli occhi e, sulla sua guancia, prendeva forma il segno rossastro delle cinque dita di Zhora.
– Immagino ci sia una piccola insignificante terrestre ad aspettarti da qualche parte! Bene: meglio che non trattenga il respiro in attesa del tuo ritorno! – gli sibilò.
Poi gli afferrò il davanti della maglia e avvicinò di nuovo il volto a quello del giovane per leccargli dalle labbra il proprio sangue; quindi gli chiuse la bocca con un altro bacio alquanto brutale. Infine, altrettanto bruscamente, lo lasciò, facendogli sbattere la testa contro il pannello di acciaio.
– Io e te faremo i conti più tardi, bel Capitano, e non sarà divertente! Per te, sia chiaro! – lo minacciò, prima di uscire e richiudere la barriera azzurrina dall'esterno con gesti rabbiosi, lasciandolo lì, immobilizzato al pannello metallico in posizione verticale, scomodo e dolorante.
A passo di carica, Zhora riattraversò il piccolo atrio semibuio e sparì in plancia di comando, mentre la porta obliqua si richiudeva alle sue spalle. Pete rimase solo e riuscì a sfregarsi le labbra contro la spalla, per togliersi di bocca il sapore del sangue e dei baci di Zhora che, per quanto provocante, lui riusciva solo a trovare repellente.
Non perché fosse aliena: si era convinto da tempo, ormai, che c'erano donne zelane che non avevano nulla da invidiare a quelle terrestri. Ma questa… questa era una creatura assoggettata al volere dell'Orrore Nero, e ciò bastava per farne un mostro esattamente come Darius e i suoi quattro orrendi tirapiedi.
E adesso? Lui non era assolutamente in grado di liberarsi da quei ceppi di acciaio e, nell’improbabile caso in cui ci fosse riuscito, sarebbe stato comunque disarmato: come avrebbe mai potuto raggiungere l’hangar, e magari rubare una navetta, senza finire ammazzato almeno una decina di volte? Sospirò, appoggiando la testa all’indietro contro il pannello, girandola appena, affinché il freddo della superficie d’acciaio desse un po’ di sollievo al lato destro del viso contuso; stavolta si era proprio infilato in un bel casino, l’eventualità di uscirne vivo gli sembrava sempre più lontana e irraggiungibile: forse era davvero arrivato al Game Over.  
Briz, ancora nascosta nel suo anfratto, non riusciva a credere a ciò cui aveva appena assistito: la comandante zelana che tentava di concupire il bel capitano nemico?! Ma Santo Cielo, adesso le aveva davvero viste tutte! Pete era stato forte, se l'era cavata con dignità e ironia, andava detto: se la situazione non fosse stata drammatica, le sarebbe quasi scappato da ridere!
Decise che fosse ora di tentare qualcosa: uscì dal nascondiglio, dirigendosi verso il dispositivo di apertura del reticolato azzurro, situato al di qua dell'arco, e cominciò ad osservarlo attentamente, per scoprirne il funzionamento. Pete era oltre la barriera, ma a pochi metri da lei.
– Briz…? Allora sei davvero tu… – disse lui a bassa voce, agitandosi come se volesse liberarsi, ottenendo solo di scorticarsi i polsi.
– Preferivi la diavolessa con gli ormoni in subbuglio? Certo che tu riesci proprio a fare le conquiste più assurde: non ti bastavano le ragazzine quindicenni salvate dagli incendi, adesso anche le tardone aliene arrapate. Qualcosa di più equilibrato, no? – lo prese in giro la ragazza altrettanto piano, senza guardarlo, continuando a studiare il meccanismo e cercando di non pensare al frangente in cui si erano cacciati.
– Oh, taci, ti prego! Cosa diavolo ci fai qui?
– Sono venuta in gita. Ma secondo te? Provo a salvarti, mio bel terrestre – disse, regalandogli una rapida occhiata e un sorriso nervoso.
– Cosa? Se sai sì e no badare a te stessa! Poi chi viene a salvare te? – la provocò Pete, continuando a parlare con la voce più bassa possibile.
– Divertente! Domanda interessante, però: per inseguire te, non ho avuto modo di mandare al Drago le nostre coordinate, altrimenti mi avrebbero intercettata – poi cambiò argomento – Questo coso è uno scanner digitale per impronte, simile a quello delle nostre stanze a Omaezaki: si apre solo con la mano di Zhora la vampira. Se gli sparo semplicemente, ho paura di bloccare tutto e far scattare un allarme. Non puoi aiutarmi ad elaborare un sistema per uscire di qui insieme?
– Che succede, il piano A non ha funzionato? – ironizzò Pete.
– Ah, ah! Quale piano A? Direi che possiamo passare direttamente al B o al C! Anzi, arrivare alla Z e farci da capo: mi sembra già un miracolo che io sia arrivata fin qui.
– Strepitoso – fu l'unico commento di Pete a quella risposta.
A dire il vero, doveva ancora decidere se fosse felice di vederla, o disperato all'idea che probabilmente sarebbe morta anche lei nel tentativo di salvarlo. Non indossava nemmeno l'uniforme, era evidente che fosse partita così, a rotta di collo, non appena si era resa conto di cosa stesse accadendo… e probabilmente era pure da ringraziare, per questo.
Di colpo, la porta obliqua del corridoio si aprì e un paio di Uomini Uccello piombarono nella saletta, accendendo le luci e accorgendosi immediatamente dell'intrusa. Briz sparò una raffica col suo fulminatore: un uomo alato cadde a terra colpito in pieno, il secondo lasciò cadere il fucile, raggiunto alla mano dal laser, ma non prima di aver fatto fuoco a sua volta.
Briz non sapeva cosa diavolo sparassero quelle dannate armi zelane, ma non erano raggi laser, che ferivano bruciando e cauterizzando: sul suo avambraccio si aprì un doloroso taglio, che cominciò a sanguinare e le fece mollare la pistola.
L'uomo alato, a sua volta ferito e disarmato, le si gettò contro all’improvviso attaccando brutalmente, e fu veloce, dannatamente veloce: la ragazza non vide nemmeno il pugno che la colpì sullo zigomo destro. Il dolore fu lancinante e lei finì a sbattere violentemente la schiena contro la parete.
Pete si agitò, sopraffatto dal bisogno di correre ad aiutare l’amica, ma naturalmente non poté far altro che rimanere inchiodato al pannello di acciaio, ferendosi più a fondo i polsi.
Il soldato si fiondò di nuovo addosso a Briz ma lei, dopo il primo attimo di smarrimento, non si fece più prendere in contropiede e si gettò di lato, rotolando sul pavimento. Si risollevò di scatto, alzò la guardia e prese posizione, concentrandosi come le aveva insegnato Fan Lee.
– Avanti, piccione troppo cresciuto, fatti sotto – lo incitò, spavalda.
L’alieno raccolse l’invito, ma Briz scattò, stavolta molto più rapida del suo nemico: un calcio alla pancia lo fece piegare in due. Gli afferrò la testa e gli sbatté la faccia contro il proprio ginocchio sollevandolo di scatto e, per buona misura, gli assestò un colpo col taglio della mano tra capo e collo che lo fece crollare, inerte.
Al di là dell'altra porta chiusa, in plancia, il passo veloce e pesante della comandante si fece sentire: chiaramente, il rumore della colluttazione aveva richiamato la sua attenzione. Briz recuperò la sua pistola e, incurante del braccio ferito e del doloroso livido che prendeva forma sul suo viso, richiuse la porta del corridoio e si addossò con le spalle alla parete, di fianco all'altro passaggio obliquo che si aprì di scatto lasciando passare Zhora.
Già arrabbiata di suo per il rifiuto di Pete, ora la donna era decisamente inferocita.
– Che sta succedendo, qui? – gridò con la pistola in pugno.
Vide i corpi dei due soldati alati riversi a terra, ma non arrivò a vedere Fabrizia che, alle sue spalle, non perse tempo: la attaccò da dietro con un calcio alla mano che la disarmò, poi le passò il braccio sinistro intorno al collo stringendo il più possibile e le ficcò la canna del fulminatore laser dentro l'orecchio appuntito.
– Frena i bollori, diavolessa! O ti rimando all’inferno da cui sei scappata!
 
> Continua…
 
Il disegno del Capitano Richardson in balia della zelana in vena di conquiste, l'ho fatto nel 2017… Gli altri due disegni di Zhora sono del 2023, fatti con affetto e simpatia,
 io non so se gli piaceranno, e sono dedicati di cuore a The Blue Devil, che ha un debole per questo personaggio.
 
  
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