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Autore: mgrandier    20/04/2017    15 recensioni
"Se in quell’istante avessi avuto il coraggio di abbassare lo sguardo,
evitando quegli occhi trasparenti come cristallo e taglienti come il filo di una lama,
allora, forse, avrei avuto la libertà.
La libertà di obbedire."
Genere: Introspettivo, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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La Florentia
 
Un battito di ciglia.
Quello fu il tempo in cui tutto parve ruotare attorno a loro, insieme alla taverna e alla sua confusa e animosa folla di avventori, eppure fu sufficiente perché il tutto assumesse una dimensione completamente nuova, tesa e vibrante.
André riuscì appena ad intuire il gesto rapido e istintivo con cui Oscar, agile e sottile, parve svanire tra la seduta e la tavola, scivolando di sotto per poi ricomparire acquattata a terra, sul lato opposto a quello a cui era sistemata fino ad un attimo prima. Improvvisamente, l’aria della taverna gli parve divenire insostenibile, viziata e pesante, resa insopportabile dal denso fetore di sudore, di vizio e di alcool scadente …
Senza riflettere, si sollevò dalla panca e Girodel, giusto di fronte a lui, fece lo stesso, mentre si allungava ad abbracciare le spalle di un uomo corpulento e barcollante che si trovava a passare giusto accanto a loro, facendosi largo tra altri uomini, per poi trattenerne un secondo con una presa sul braccio.
- Amici! – li salutò Girodel, quasi li conoscesse da sempre, chinandosi a parlare all’altezza dei loro orecchi color vinaccia – Dove credete di andare? – gli chiese poi, mentre quello a cui aveva stretto le spalle socchiudeva gli occhi arrossati in due fessure, nel tentativo di mettere a fuoco chi l’avesse chiamato.
André ebbe la prontezza di seguire la farsa di Girodel, trattenendo un terzo uomo dall’aria alticcia piazzato giusto sul suo lato del tavolo, malfermo sulle gambe ed evidentemente perso tra la calca; fu lesto a voltarsi per pararsi di fronte a quest’ultimo.
- Certo! – gridò a sua volta, con fare cameratesco – Unitevi a noi! – e già aveva afferrato un bicchiere dal tavolo, per allungarlo a Girodel che, mollata la presa sui due ignari ospiti, aveva sollevato la bottiglia per riempirlo. Gli fu immediatamente chiaro che non vi fosse alcuna necessità di scendere nei dettagli di quell’improvvisato festeggiamento, perché agli occhi lucidi dei tre amici appena uniti alla loro mensa la vista dei bicchieri che si riempivano l’uno dopo l’altro tra le mani generose di Girodel fu più che sufficiente; quelli si dondolarono appena un poco, strizzando gli occhi annebbiati, forse nell’estremo, inutile, tentativo di riconoscersi vicendevolmente, ma poi si accasciarono sulle panche, quasi uno sull’altro, con tre tonfi indistinguibili, agitando le braccia a mollare pacche riconoscenti sulla schiena di Girodel e gorgheggiando parole senza senso, con l’unico scopo di mostrare compiacimento e partecipazione.
André ebbe la prontezza di dare un’occhiata distratta alla sala, per individuare l’uomo con il bastone da passeggio ancora imbrigliato nel disordine degli avventori assiepati all’ingresso dalla sala, e poi poggiò i palmi aperti sul tavolo, protendendosi sopra i propri ospiti e dondolandosi compiaciuto.
– Comunque … una sola bottiglia non può certo bastare per fare festa tra amici! – osservò, suscitando l’assenso e l’ilarità dei soci, mentre avvertiva, contro il ginocchio, al di sotto del tavolo, uno strano movimento. Arretrò appena il necessario per scorgere la schiena di Oscar che, rimasta nascosta sotto fino a quel momento, stava giusto approfittando della distrazione dei nuovi arrivati per scivolare oltre la tavola, muovendosi china a terra fino a infilarsi tra gli uomini che chiudevano la visuale attorno al bancone, in attesa di essere serviti. Intuendo lo spostamento di Oscar, anche Girodel gli si mise a fianco, sostenendo il suo gioco.
- Esatto amico! – esclamò Girodel stringendo la mano sulla sua spalla – Andiamo a ordinare dell’altro vino, perché la festa possa continuare ancor a lungo! –
Gli uomini al tavolo, ciondolando pure da seduti, sollevarono i bicchieri in un brindisi opaco e accolsero la proposta con un certo alcoolico entusiasmo, mentre André si affrettava a infilarsi tra gli uomini diretti al bancone, nascondendosi tra loro, e Girodel lo seguiva coprendo la sua schiena.
 
Raggiunto il retro della taverna, nel buio polveroso e umido della stalla, trovarono Oscar nascosta tra la paglia, oltre lo stallo dove Cesar e Alexander erano ancora ricoverati. André si affrettò chinarsi al suo fianco, scrutando preoccupato oltre la pace apparentemente silenziosa di quella baracca e poi ritrovandosi addosso il suo sguardo cupo e interrogativo.
- Quei tre sono rimasti al nostro tavolo: nessuno noterà la nostra fuga dalla sala. – la rassicurò – Ma ora dobbiamo andarcene subito di qui … -
Girodel puntò un ginocchio a terra, giusto di fronte a loro – Hai ragione. – convenne, rivolto ad André – Dobbiamo muoverci e raggiungere il molo al più presto: raccogliete i vostri bagagli; seguiremo la via alle spalle della taverna e ci infileremo nei cortili fino … -
Oscar parve scuotere il capo, la fronte corrugata e lo sguardo ancor più scuro – Ma … loro? – chiese interrompendo Girodel, indicando con un cenno i cavalli – Non possiamo lasciarli qui! –
- Dobbiamo. – insistette André serio, posando il palmo su un suo braccio, cercando di rassicurarla – Forse … forse potremo recuperarli prima della partenza! –
Girodel si era già sollevato da terra e, rapido, aveva controllato il cortile retrostante sporgendosi un poco dalla porta sgangherata della stalla – Mi occuperò io di loro. – affermò risoluto – Prima della partenza, avrete i vostri cavalli. –
 
André saltò più in alto che poté, aggrappandosi a mani nude alla sommità del muro che delimitava il cortile della locanda, fino quasi ad affondare le unghie nella polvere, sentendo i frammenti di malta e pietra conficcarsi sotto pelle. Puntò i piedi sulla superficie verticale, facendo leva sulle sporgenze irregolari per sollevare il proprio peso fino a issarsi a cavalcioni in cima alla recinzione, facendo la massima attenzione a mantenersi in equilibrio, perché la sacca che portava sulle spalle fosse ben salda e non rischiasse di cadere. Si sporse un poco ad osservare il vicolo alle spalle della taverna, verificando che non vi fossero presenze sospette, e poi si volse al cortile, allungando un braccio ad Oscar per aiutarla a raggiungere la propria posizione. Lei strinse forte le dita attorno al suo polso e poi lasciò che lui la sorreggesse, agile e svelta, ma docile alla sua presa.
Giù, nel cortile, Girodel si stava avvicinando camminando a ritroso, procedendo con estrema attenzione, assicurandosi che nessuno li seguisse e che l’uomo giunto alla taverna non fosse riuscito a mettersi sulle loro tracce; non ancora, per lo meno. Giunto in prossimità del muro, rassicurò André con un cenno del capo e poi si accinse a sua volta a superarlo, mentre loro si lasciavano scivolare a terra, nel vicolo.
Ritrovatisi insieme, si scambiarono una rapida occhiata: André poté notare l’espressione concentrata di Girodel, così come quella determinata di Oscar. Ebbe un fremito realizzando quale azzardo stessero facendo e quanto, soprattutto, stesse rischiando il Capitano della Guardia Reale aiutandoli in quella fuga; ricordò quello che aveva creduto fosse il loro congedo, quell’incontro rapido avvenuto a Versailles, in cui Girodel gli aveva rivelato, con estrema franchezza, la propria stima, e quel pensiero ebbe il potere di rinfrancargli l’animo, consegnandogli quella sottile e preziosa certezza che era la presenza rassicurante di un vero amico.
Non ebbe tempo per altri pensieri: Oscar portò la mano alla sua spalla, cercando il suo sguardo, e poi strinse le dita con forza, quasi richiamandolo e infondendogli fiducia; a quello sguardo fermo, non poté che reagire, superando anche l’ultima esitazione e prendendo a muoversi lungo il vicolo, certo che tutto si sarebbe concluso per il meglio.
 
Avevano attraversato  isolati protetti dall’ombra della sera e dall’incombere delle costruzioni del quartiere, inoltrandosi in un dedalo di vicoli indistinguibili, guidati solo dall’istinto e, di tanto in tanto, dall’eco dei rumori del porto, da quel canto sommesso e cupo che gli scafi intonavano dondolando sull’acqua con un lamento di legno. Guadagnando attimi di silenzio, strappando una apparente calma da quella fuga senza regole precise, a turno avevano levato il naso al cielo, cercando di leggere tra le sagome scure delle case sui cui fronti i graticci di legno disegnavano espressioni inquietanti, nel tentativo di orientarsi per giungere a percorrere una sorta di arco alle spalle del porto, secondo un percorso irregolare e ambiguo che potesse confondere eventuali inseguitori, fino a condurli sul lato settentrionale, al molo da cui sarebbero partiti l’indomani mattina.
Più e più volte si erano fermati, nascondendosi sotto un portico o appiattendosi nell’imbotte di un portone chiuso, seguendo l’istinto di ciascuno e mettendosi in attesa, per verificare che nessuno li avesse seguiti, e nonostante le strade non fossero deserte e molti degli uomini scorti lungo la via avessero destato più di un sospetto, tuttavia non avevano poi riscontrato elementi concreti che potessero ricondurli ad un vero inseguimento. E se nei primi minuti dal momento in cui avevano lasciato il cortile della taverna non avevano fatto altro che correre e saltare recinzioni e muretti, progressivamente si erano fatti più cauti, finendo per muoversi con una certa naturalezza, sebbene con estrema attenzione.
Arrivarono al porto attraverso un vicolo tortuoso e la visuale di uno scorcio lucente di mare apparve stretto tra i profili alti dei caseggiati prospicienti la piazza, subito dopo aver superato una svolta a gomito, aggirando una bottega chiusa per la notte.
Allora la brezza fresca proveniente dal mare lo investì togliendogli il fiato e poi regalando la piacevole sensazione che dona il soffio salvifico a chi sente di non aver più fiato. Andrè si guardò un po’ attorno, spingendo lo sguardo oltre il limite degli edifici, percorrendo curioso e guardingo la spianata con cui la città accoglieva il mare in una sorta di abbraccio. Venne colpito dall’immagine placida di quel luogo che ricordava animato della vita del giorno e dalle voci del mercato e che, al contrario, in quel momento pareva assopito nel brusio dell’attività sommessa della notte ormai prossima. Si sforzò di scrutare oltre i moli, fin sui ponti delle navi ormeggiate, una a fianco all’altra: su una di esse riuscì a cogliere il minuto movimento di un uomo di guardia, il suo percorrere lento tutta la lunghezza dell’imbarcazione, gettando occhiate distratte verso terra; poco oltre, un uomo si arrampicava agilmente su per l’intreccio di cordame, fino a raggiungere quelli che dovevano essere i sostegni delle vele.
Intuì al proprio fianco la presenza di Oscar, il respiro leggero che sibilava nel buio, le labbra socchiuse in un accenno di sorriso e lo sguardo sottile puntato in una direzione precisa, verso l’ultimo molo del porto. Seguì il suo sguardo, avvertendo un fremito lungo la schiena, consapevole di ciò che avrebbe visto.
Laggiù, oltre una piccola imbarcazione che gli si mostrò deserta, cullata dal moto leggero delle onde, la Florentia appariva come una immensa ombra scura; bizzarra, per essere un’ombra, a causa della sua imponente chiglia dalla forma solida, la nave si ergeva di parecchi metri sopra il pelo dell’acqua, con un castello elegante e slanciato, e un lungo scafo del quale a fatica riusciva a intravedere l’estremità di prua.
 
Cauti, avevano attirato l’attenzione dell’uomo posto di guardia sul ponte per la notte e questi, un personaggio curiosamente minuto, per essere un uomo di mare, vestito in modo povero, ma piuttosto dignitoso, li aveva fatti attendere a terra, mentre si era affrettato a chiamare il capitano della Florentia che, a quanto pareva, doveva essere ritirato nella propria cabina a preparare l’imminente partenza. Comparso il Capitano Marval, era stato loro concesso di salire a bordo, sotto lo sguardo curioso dell’ometto che, al giungere del capitano, era tornato alla sua ronda di guardia, pur mantenendosi attento a ogni loro movimento. Girodel, dal canto suo, si era limitato ad un cenno di saluto e poi, affidatoli al capitano, silenzioso e concentrato si era allontanato con il preciso intento di controllare personalmente il molo e  tutta la zona circostante ad esso.
- Come ho già anticipato al vostro uomo, - esordì André per presentarsi al Capitano, osservandone rapido la figura corpulenta e massiccia, che infondeva una certa sensazione di sicurezza  – io sono Gilles Sottevast  e questa è mia moglie Marie Louise. - soggiunse, indicando Oscar con un leggero movimento del braccio, mentre lei si limitava a chinare gentilmente il capo, in una singolare imitazione di una dama convenzionale.
- Abbiamo preso accordo per un passaggio sulla vostra nave fino a Goteborg … - precisò poi, quando già Oscar traeva dalla tasca i documenti di viaggio, per mostrarli al Capitano - … e, pur comprendendo che questo non è certo l’orario adatto per presentarci al vostro cospetto, ci siamo permessi di disturbarvi perché avremmo necessità di un ricovero per la notte. –
Attento alle parole di André, il Capitano non riuscì tuttavia ad evitarsi di lanciare qualche occhiata in direzione di Oscar; accortosene, André si affrettò a chiudere i convenevoli, chiarendo al meglio le proprie esigenze – Auspicavamo che fosse possibile sistemarci fin d’ora sulla vostra nave, non necessariamente in una cabina, sia chiaro, ma anche solo sotto coperta ... –
Il Capitano Marval, prima compito e piuttosto formale nell’accogliere i nuovi ospiti, parve distendersi un poco e le sue spalle, rigide e squadrate, si rilassarono visibilmente sotto il decoro dorato, retaggio di una strana sorta di uniforme dall’aria vagamente militare, mentre le sue dita si stringevano sulla carta dei documenti di viaggio e lo sguardo scorreva rapidamente il contenuto delle lettere.
- Quindi, è il Conte di Fersen a garantire per voi, Monsieur? – chiese allora, quasi senza alcun nesso con le richieste avanzate da André che, pur sorpreso, si affrettò a confermare.
- Sì, certo, Capitano. Il Conte di Fersen … - provò a spiegare, ma subito, evidentemente rassicurato dal nome del Conte, il Capitano parve passare oltre quella questione formale.
- Avete avuto fortuna, Monsieur Sottevast. – commentò allora, tornando senza preamboli alla sua precedente richiesta. Sollevò le sopracciglia folte in due archi scuri sopra gli occhi che, illuminati dal bagliore notturno, André riuscì a vedere, limpidi e chiarissimi – Di questi tempi, non è facile trovare un imbarco che possa garantire una cabina da destinare ai passeggeri; tuttavia, uno dei miei secondi è fermo a terra, impegnato per alcune settimane nella gestione di un affare, perciò potrete utilizzare la sua cabina, se riuscirete a farvi bastare il suo letto! -
Non ebbe dubbi, in merito, e si accorse che anche Oscar, al suo fianco, si era illuminata in volto per poi cercarlo con lo sguardo, le dita già strette attorno al laccio della sacca e un accenno di sorriso teso a rendere le labbra sottili, pronta a trovare finalmente un riparo.
 
Marval li aveva condotti ad una cabina stretta e lunga, il cui puzzo di chiuso lo indusse ad arricciare il naso in una smorfia. Notò che il lato corto era occupato da una specie di cuccetta squadrata sulla quale Oscar si affrettò a sedersi, per poi allungarvisi, quasi a volerne valutare la dimensione; d’istinto, anche lui raddrizzò la schiena, guardando sopra di sé e notando che il soffitto si trovava a poco più di una spanna dal suo capo.
- Sarà più che sufficiente. – commentò André, notando come, distesa su quella sorta di giaciglio, Oscar sfiorasse con il capo e con i piedi le pareti della cabina – E’ più di quello che avrei immaginato … -
- Evidentemente hai poca immaginazione! – gli rispose lei sarcastica, sbuffando appena, per stemperare la tensione, ma poi il suo tono mutò, facendosi più dolce – Ad ogni modo, mi sarei adeguata a qualunque tipo di sistemazione. E comunque, - soggiunse poi – saremo insieme e questo è ciò che conta. –
Riuscì a sorriderle, rincuorato dalle sue parole e dal fatto di averla finalmente percepita sollevata, dopo la silenziosa tensione con cui si era mossa attraverso la città, fino a raggiungere il porto. Sistemò la lampada a olio che Marval aveva consegnato loro su un sostegno fissato alla parete e si chinò verso Oscar, puntando il capo sul ripiano che chiudeva la parte superiore della cuccetta allungando un braccio, per lasciarle una carezza gentile sulla guancia, sfiorandole appena il volto con le dita.
- Staremo bene, Marie Louise. – le disse a labbra strette e lei non fece altro che annuire, con le labbra tese e gli occhi socchiusi in due fessure lucide.
 Attese qualche istante, gustando il dondolio lieve dello scafo sull’acqua, così come il sapore dolce di quella tenace speranza, e poi si sollevò da lei, voltandosi verso la cabina e muovendosi cauto, quasi intendesse esplorala. Mosse qualche passo a ginocchia sollevate, facendosi largo tra la cianfrusaglia lasciata a bordo dall’usuale occupante, urtando con uno stinco contro una piccola cassa lasciata a terra e poi dandosi da fare per superarne delle altre, accatastate sotto quella che pareva proprio una piccola finestra. Posò la propria sacca su un piccolo barilotto sistemato all’estremità della cabina opposta alla cuccetta; sfilò la propria giacca e la ripose sopra le casse, lasciando una carezza sulla tasca rigonfia che custodiva i documenti di viaggio, e poi rivolse la propria attenzione all’apertura. Armeggiò con il meccanismo di chiusura, fino a riuscire a sbloccarlo, per poi aprire il battente, permettendo all’aria del porto di entrare in cabina recando, nonostante l’odore pungente del mare e il ricordo denso del mercato e del pesce, un poco di sollievo. Incuriosito, cercò di scrutare all’esterno, per curiosare in quel piccolo scorcio sul porto.
Pur senza sporgersi, comprese di essere ancora qualche metro al di sopra del livello dell’acqua e riuscì a spingere lo sguardo fino al molo sottostante, quello da cui avevano avuto accesso alla Florentia e sul quale aveva lasciato Girodel alle sue perlustrazioni. Lo cercò fino in fondo al molo e poi tentò di ampliare la propria vista sul piazzale, ma l’apertura era tanto piccola da non permettergli di vedere oltre il punto in cui la banchina si ricongiungeva al terrazzo del porto.
- E’ tutto tranquillo, là fuori? – gli chiese Oscar.
Sbuffò, un poco deluso, scuotendo il capo, e si volse di lei, ora seduta sulla cuccetta, intenta a rovistare dentro il proprio bagaglio.
- Riesco a vedere solo il molo più vicino e poco altro. – ammise.
Oscar si scurì in viso, senza levare l’attenzione e le mani dalla sacca - Direi che sia il caso di tornare sul ponte, in modo da tenere d’occhio il porto e,  magari, riuscire a scambiare qualche parola con Girodel. – ipotizzò restando pensierosa – Cosa ne pensi? – gli chiese infine, cercandolo apertamente con lo sguardo e spingendo la bisaccia in un angolo.
André la fissò per un istante, bloccato ad osservare la sua figura snella incastonata nella cuccetta, china su se stessa, e pure ferma ad attendere la sua risposta; rimase assorto, in ascolto del ritmico russare che, da oltre la paratia che separava la loro cabina da quella del Capitano, giungeva a suggerire quanto Marval avesse necessità di riposo e, soprattutto, la invidiabile capacità di abbandonarsi al sonno non appena ne avesse l’opportunità. Sollevò appena le spalle, convinto che, tutto sommato, non vi fosse altra soluzione che quella da lei formulata.
– Dovremo prestare attenzione, mantenerci nascosti; ma anche io mi sentirei più tranquillo, se potessimo tenere sotto controllo il movimento attorno alla nave. –
 
Risalendo lungo la rampa che conduceva al ponte, il cielo parve aprirsi sopra di loro, limpido e immobile, al di sopra dell’intrico delle strutture e delle travi sospese agli alberi possenti della nave. Avvertì la stretta delle dita di Oscar farsi più intensa sulla propria mano, prima che il tocco scivolasse oltre il palmo, fino a svanire, proprio mentre raggiungevano il ponte e la brezza fresca tornò a investire il suo volto.
Lo sciabordio delle onde giunse come una melodia continua e piacevole, confusa con il sommesso vociare provenente dal porto, e per la prima volta si accorse dello strano effetto che quel rumore gli facesse, ora che, sommato al leggero dondolio della nave, gli sembrava di poter pregustare il piacere della partenza e del viaggio che li avrebbe condotti lontano, alla libertà.
- Fermiamoci qui. – sussurrò Oscar, e André si volse, trovandola china, mentre si sistemava a terra in un angolo buio e riparato, per poi poggiare la schiena alla parete del castello di poppa. Sedette a terra al suo fianco, con le ginocchia sollevate e i gomiti piegati, lasciando che anche lì, accovacciati a terra, i loro corpi potessero sfiorarsi, in un dialogo silenzioso di pelle e stoffa, mentre lo sguardo vagava lungo il ponte, annotando ogni minimo dettaglio di quelle forme rigide e squadrate che immobili, ne movimentavano il profilo. Riusciva a riconoscere il soffio leggero del suo respiro anche in quel finto silenzio, dove nessuna voce copriva le altre e tutti i sussurri si mischiavano in un'unica curiosa sinfonia. La sentiva; Oscar sembrava calma, ma non del tutto rilassata: le sue gambe si muovevano appena, tremando quasi in un vibrare continuo; le sue braccia posate sulle ginocchia non avevano il profilo morbido del riposo ma, piuttosto, quello teso della veglia attenta. Lui stesso era pervaso dalla stessa inquietudine che, nonostante la stanchezza, non lasciava spazio al sonno, infondendo in ogni fibra del suo corpo una insolita tensione.
André individuò presto la sagoma curva del marinaio che il Capitano aveva messo di guardia, una figura lenta che si muoveva stancamente lungo il ponte, percorrendolo da un lato all’altro con passo tranquillo; prese a seguirlo nel suo stanco procedere e ispezionare la nave, fino a ritrovarselo a pochi passi. Allora, accortosi che quello li aveva notati e pareva fissarli con aria accigliata, si affrettò a fargli un cenno di saluto, chinando il capo in un gesto cordiale per poi tornare a mostrarsi rilassato, reclinando il capo all’indietro, fino a sostenersi alla parete di legno. Il marinaio, probabilmente soddisfatto rispose al cenno con un saluto gemello, e poi volse loro le spalle, proseguendo nel proprio compito.
 
- L’uomo che era di guardia? – chiese lei in un soffio, rivelando la propria preoccupazione.
- Probabilmente sta perlustrando con maggiore attenzione la prua della nave, o forse … - rispose allora André, che d’istinto aveva preso a scrutare la parte del ponte opposta a quella in cui si trovavano – … avrà avuto necessità di appartarsi per un istante. –
Percepì il moto nervoso di Oscar che scosse il capo – Ha fatto al giro precedente, sporgendosi oltre il parapetto. – gli spiegò, muovendo il polso e sollevando un indice verso il mare aperto – No. Dovrebbe essere già rientrato da un pezzo, ormai … -
André tese le labbra, annuendo. Oscar aveva perfettamente ragione: si trovavano sul ponte ormai da parecchio tempo, tanto che persino le voci provenienti dalle taverne affacciate sul porto parevano essersi assopite in un solido torpore, e avevano potuto seguire più e più volte la ronda del marinaio che si era ripetuta, fin dal loro arrivo, con una sorprendente regolarità fino al controllo precedente. In quest’ultimo, invece, l’uomo si era inoltrato nell’ombra a prua, ma pareva essersi attardato in modo inconsueto.
Rimasero in silenzio, il respiro bloccato e lo sguardo fisso nel buio oltre le sagome impettite degli alberi; André socchiuse gli occhi in due fessure, quasi potesse arrivare a insinuarsi oltre ciò che era riuscito a scorgere fino a quel momento; allora, gli parve di scorgere un leggero movimento e poi un’ombra scura emergere oltre il nero. Ne seguì il vagare lento, che svaniva tra le casse ancora sparse sul ponte, per poi ricomparire oltre. Spostò la mano sul ginocchio di Oscar, proprio mentre anche lei, pur rimanendo seduta, si raddrizzava un poco, all’erta.
Allora l’ombra parve avanzare, scivolando al centro del ponte, lontano dai parapetti lungo i quali il marinaio aveva sempre eseguito i suoi controlli, fino a prendere forma di un uomo massiccio e di colore cupo di una blusa malconcia. Allertato da quella vista, André si mosse per sollevarsi, pronto all’incontro con il nuovo venuto, teso nello sforzo di comprendere di chi potesse trattarsi, se di un marinaio giunto a sostituire il precedente nel turno di guardia, oppure …
Un colpo violento lo schiacciò a terra, sotto il peso di un corpo possente saltatogli addosso forse dal parapetto del ponte superiore al castello di comando. Rimase senza fiato per qualche istante, mentre il grido di Oscar gli giungeva distinto.
- André! – lo aveva chiamato, ma subito l’ombra emersa dal ponte si era avventata su di lei e anche la sua voce si era smorzata, tramutandosi in un gemito soffocato.


Angolo dell'autrice: capitolo-fiume... mi rendo conto, ma spezzarlo diversamente mi risultava difficile. Se siete giunte fin qui... complimenti a voi. Spero che possa bastare per un po', visto che all'orizzonte si prospettano due fine settimana di vacanza!
Io vi lascio un grande abbraccio e ringrazio come sempre chi legge, segue, preferisce, ricorda e mi lascia il suo commento. Un bacio a tutte... e a presto!
  
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