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Autore: Wolverine00    20/04/2017    0 recensioni
TRADUZIONE! Fanfiction di: ChloeRhiannonX
In un futuro dove i robot vengono utilizzati come domestici solo una ragazza non riesce a sopportarli. Courtney odia i robot per il modo in cui le hanno rovinato la vita. Tuttavia, intenzionata a rivivere una vita come quella di prima, incontra un nuovo ragazzo a scuola, il quale custodisce il più oscuro e profondo segreto.
Presa da: Fanfiction.net
Genere: Drammatico, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, B, Bridgette, Courtney, Duncan, Geoff | Coppie: Bridgette/Geoff, Duncan/Courtney
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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Non ne potevo più di quella giornata. Bridgette se ne accorse, ma non potevo dirle la verità. Mi vergognavo, me ne vergognavo ed ero spaventata. Era normale che lo fossi ricordando quello che è successo l’ultima volta che sono rimasta sola con un ragazzo. L’ultima volta fu quella dell’incidente…
“Court, a volte mi fai davvero preoccupare.” Mi disse bridgette preoccupata mettendomi le mani sulle spalle. “Hai avuto un terribile…” Ma non finì la frase. Quelle parole non uscivano mai dalla bocca di nessuno. Nessuno osava dire quelle parole ad alta voce e io non ne capivo il perché. Io non ne parlavo perché parlarne rendeva tutto così reale, ma nessun’altro aveva questa scusa. Solo io. La sfortunata sopravvisuta.
“Bridgette, lo so.” La abbracciai per rassicurarla. “So che è difficile da credere, ma sto bene, mi sto riprendendo. E so anche che a volte ho la testa altrove e che altre devo correre in bagno per sfogarmi, ma tutto questo svanirà con il tempo. Te lo prometto.” Avrebbe dovuto farmelo lei questo discorso, ma noi non funzioniamo così. Lei è quella sensibile e io sono quella forte. Ho sempre cercato di esserlo, per tutte e due.
A fine giornata, sorprendentemente, respiravo ancora. Bridgette mi prese a braccetto e uscimmo dalla classe passando per gli armadietti e infine arrivammo alla fermata. Per un attimo tutto questo mi fece pensare a Duncan e alla sua auto. Il solo pensiero mi fece venire la nausea.
“Courtney, sei sbiancata. Non vuoi prendere l’autobus? Ti accompagno a casa a piedi se vuoi.”  Bridgette è sempre al mio fianco quando ne ho bisogno, sa sempre come aiutarmi e quando farlo. Se non avessi voluto prendere l’autobus Bridgette mi avrebbe accompagnato senza pensarci due volte, nonostante abitassi a miglia di distanza. Bridgette è fatta così.
“No, non c’è problema, è tutto ok.” Le risposi cercando di sembrare più convincente possibile. Salimmo sulla trappola mortale gialla e ci sedemmo. Più l’autobus si avvicinava a casa mia e più cominciavo a innervosirmi. Sapevo che Bridgette aveva capito che qualcosa non andava dall’espressione preoccupata sul suo viso, ma non mi andava di parlarne perché dopo sarei andata troppo nel dettaglio e non mi parve una saggia decisione dirle che Duncan Langielas stava venendo a casa mia o per lo meno non sapevo come dirglielo senza che suonasse imbarazzante.
Il tragitto fatto sembrò fin troppo corto. Avranno accorciato il percorso? Abbracciai Bridgette e mi incamminai lasciando i commentini dei miei compagni dietro di me.
Giorgio mi aprì la porta e appena entrai fui accolta da una sorpresa inaspettata.
“D-Duncan.” Alzò lo sguardo. L’ultima cosa che mi sarei aspettata era di trovarlo qui, sul mio divano impegnato a leggere gli appunti di storia.
“L’autobus è davvero così lento?” Mi chiese. Probabilmente aspettava da quindici minuti buoni. Giorgio deve averlo fatto entrare. Dovrò dire due paroline a quella macchina senza cervello. Come aveva osato far entrare un estraneo in casa?
“Non so… Ho solo-“
“Mi hai detto tu di venire a casa tua dopo scuola.” Si, l’ho detto, ma trovarmelo sul divano appena tornata a casa non era decisamente tra i miei piani. Ha davvero preso questo lavoro così seriamente? Persino io non l’ho fatto. Anche se qualcuno penserebbe al contrario…
[“Sei sempre sui libri, Court” Sorrisi appena il mio fidanzato-peso piuma si buttò di schiena sul letto. Non potevo dargli torto, avevo passato più di quattro ore a studiare.
“Ammettilo che non vuoi farmi passare l’esame” Mi girai con la sedia per vedere Trent il quale aveva un’espressione indecifrabile sul viso. Non era la prima volta che entrava in camera mia e non sarebbe stata nemmeno l’ultima.
“Tu? Che non passi un esame?” Mi chise palesemente divertito. “Non è possible. Non è nella tua natura. Anche se non studiassi per un anno intero passeresti quell’esame.” Scoppiai a ridere e ancora prima di accorgermene ero nel letto insieme a lu-]
“Penso sia meglio cominciare.” Mormorai scacciando il pensiero dalla mente. Non era programmato che mi ricordassi di certi momenti, ma solo il fatto di essere da sola con un ragazzo mi faceva sentire in colpa, come se fosse sbagliato.
Mi sedetti nel divano di fronte a quello di Duncan e presi i libri dalla cartella. Mi guardò con un velo di diffidenza mentre sfogliavo gli appunti di storia, ma non fu detta una parola. Rimanemmo così per un po’, in silenzio, a fissare gli appunti fino a quando non parlò . “Forse dovremmo mettere insieme gli appunti per creare almeno una bozza del nostro lavoro.” Annuii, pensando alla A che avrei preso grazie al progetto.
Iniziammo a lavorare insieme e a dare forma al progetto creando una scaletta. Duncan si offrì di scrivere tutto a computer e a quella proposta non rifiutai. Non riuscivo a usare il computer, i miei social network erano programmati per saltare fuori dal nulla e io non ero pronta.
“Hai un robot.” Mi disse volgendo lo sguardo verso Giorgio dall’altra parte della stanza.
“Si, tutti ne hanno uno. Tu no?” Chiesi. Robot? Voleva parlare di robot?
“Più di uno.”
“Più di uno? Sei ricco o cosa?” Un solo robot era abbastanza costoso, ma più di uno era semplicemente troppo.
“Qualcosa del genere.”
“Qualcosa del genere?” Era come se comunicasse a indovinelli. All’improvviso si avvicinò come se fossi sorda e non sentissi.
“Qualcosa del tipo: estremamente ricco.” Ora ci capivo già di più. Era strano parlare con lui così e realizzai che io di lui non sapevo praticamente niente. Nonostante fossimo compagni da due settimane.
Ero affascinata da come appariva e da come semplicemente era. Il suo aspetto da ribelle. Cresta verde. Collare per cani. Vestiti strappati. Non c’era nulla di troppo particolare nel suo aspetto, tranne gli occhi. Quegli occhi celesti. Sembravano così innocenti. Sembrava un bambino curioso di scoprire il mondo. La stessa curiosità con cui lo stavo guardando io adesso, mentre mi parlava della sua storia.
“Mio padre guadagna progettando robot, quindi di conseguenza ne abbiamo parecchi in giro per casa.” Chinai la testa mettendo insieme i pezzi del puzzle. “Non sono tutti operativi, ci sono ancora cose da sistemare quindi… ecco.” Il tuo tono di voce calò facendo repentinamente alzare il mio.
“Mi stai dicendo che Paul Langiela è tuo padre. Cioè… QUEL Paul Langielas?”
“Lo hai capito adesso?” E un sorriso apparì sul suo viso, contagiandomi con quegli occhi così penetranti. “E io che pensavo fossi sveglia. Come hai fatt-“
“Zitto.” Squitti, arrossendo palesemente. L’unica somiglianza che aveva con suo padre era il cognome. Avevo visto centinaia di foto e video sul professor Langielas e Duncan non gli assomigliava per niente. Paul Langielas era il padre di tutti i robot. A soli diciassette anni aveva creato il suo primo robot e a vent’anni aveva fondato la Langielas Robot  Inc. Cominciò a crearne ancora di più e a venderli alle forze di polizia e ai vigili del fuoco. Quindici anni dopo i robot cominciarono a venire utilizzati anche in casa e ora a sessantanove anni è un’uomo di successo. Tutti conoscono il suo nome e tutti sanno quello che ha fatto. Viveva nella parte alta della città insieme a molte altre persone, nessuno lo infastidiva fatta eccezione per qualche paparazzo. E’ anziano ormai, non si preoccupa troppo nemmeno della sua azienda.
“Iu-hu” Mi ero incantata. “C’è nessuno?” Sbattei le palpebre per un secondo tornando alla realtà, Duncan stava sventolando la mano davanti alla mia faccia cercando di riportarmi sul pianeta terra. Io, intanto, stavo provando a immagazinare il fatto che il figlio dell’uomo più ricco del mondo era seduto sul mio divano.
“N-non sapevo che Paul Langielas avesse un figlio.” Era il meglio che potessi dire? Davvero?  Questa domanda stupida era la prova palese del mio shock.
“Ne ha due.” Rise, chiaramente divertito. “Io e mio fratello Antoin.”
“Antoin?” Il nome uscì dalla mia bocca ancora prima di realizzarlo. Ma era così strano. Duncan e Antoin? Non erano molto in sintonia come nomi.
“Un amico di mio padre morì prima… che mio fratello nascesse” Non capivo se avesse un nodo alla gola o se fosse insicuro delle sue stesse parole. “Il suo nome era Antoin Bartolini e mio padre, in suo onore, chiamò mio fratello così.” Duncan ruppe il contatto visivo. Non battè ciglio e probabilmente nemmeno io. Solo dopo mi accorsi che eravamo pericolosamente vicini, riuscivo a vedere l’alzarzi e l’abbassarsi del suo petto. I suoi occhi innocenti tornarono a guardarmi e il mio cuore si fermò. Non c’era bisogno che mi riprendessi dallo shock per capire che si stava avvicinando sempre di più verso di me. Avrei voluto fare lo stesso, ma finii per allontanarmi.
“Credo sia meglio che tu te ne vada.” Dissi, senza suonare fredda, ma piuttosto abbattuta.
   
 
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