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Autore: LordPando    20/04/2017    0 recensioni
Chi siamo noi per dire che cosa succede dopo la morte o per giudicare i peccati commessi in vita, poi creare un ipotetico paradiso, inferno o altro e piazzare lì delle persone che credevano in quello che facevano? O forse non lo facevano... chi sono io, come chi siete tutti voi per deciderlo? Nulla. E davvero esiste qualcuno che ne ha le competenze, le capacità? Ne dubito. Ma questa è la storia di qualcuno, un terzetto, che aveva proprio questo compito. Erano i Giudici. Ognuno con una storia alle spalle, ma tutti che l'avevano dimenticata. E fin qui, per quanto sovrannaturale, nulla di strano. Ma chi ha detto che i Giudici debbano essere per forza umani?
Genere: Dark, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: Incompiuta
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–Ed ecco che ne arriva un altro...– Nibi si girò lentamente verso i suoi compagni felini e con aria annoiata chiese:–Questo dove lo mandiamo?

–Non lo so e non mi interessa– Quello che aveva parlato era Hebi, l’accompagnatore delle Anime in Pena. –Visualizzane la volontà,– Fece Hi, il terzo nella stanza –E vediamo a chi tocca stavolta.

–Un imprenditore senza scrupoli, i suoi unici ricordi riguardano i soldi. Questo tocca a te, Hebi.– Hebi sbuffò e con un tacito segno di accordo uscì dalla stanza.

Quest’ultimo, con rapidi passi felpati, raggiunse la sala d’accoglienza per gli spiriti. Il compito suo e dei suoi amici era di preservare gli spiriti dei morti. Tutti, da vivi hanno dei desideri che il proprio spirito cerca di realizzare da morto. A seconda del tipo di volontà venivano guidati da un gatto diverso, e subivano diversa sorte. Hebi era un gatto grigio scuro, baffi lunghi, occhi gialli. Era magro, svelto e la sua coda ondeggiava mentre camminava.

Il nuovo venuto aveva la forma dei suoi ricordi più vivi quando era in vita. Non essendo la sua volontà molto forte i contorni gli tremolavano e i colori erano piuttosto sbiaditi, ma si riconoscevano con facilità un abbigliamento da playboy, dei baffi e dei capelli biondi e un naso aquilino alla cui vista un’espressione disgustata si dipinse sul volto di Hebi.

Lo spirito che era andato a prendere gli si fece accanto con una faccia triste ed insieme attraversarono l’enorme salone di pietra decorato da affreschi di uccisioni. E di fantasmi, insieme ai gatti.

Ovviamente dietro ad ognuno di quegli affreschi c’era una storia ed i tre gatti erano stati i protagonisti di tutte. La prima storia li riguardava in prima persona e non a tutti loro piaceva ricordarla. E non per tutti loro era stata una storia felice. Ma si rassegnavano e ogni volta che ci pensavano sospiravano. Mentre Hebi ricordava la sua vita passata erano arrivati alla Porta delle anime in pena, una porta di Quercia Oscura con al posto del battente un teschio che guardava ghignante il nuovo arrivato. Ad un cenno di zampa del gatto la porta si aprì ed il fantasma vi entrò. Lì i suoi ricordi si fecero per un attimo più forti, poi il fantasma si ritrovò nel cimitero dove il suo corpo era stato sepolto. Sarebbe rimasto lì per il resto dell’eternità a piangere ed a cercare di esaudire i suoi desideri da vivo. Senza riuscirci.

Spesso (ma non poi così tanto spesso) a Hebi spiaceva dare una simile sorte ai morti, ma non ci pensava così tanto. Lui e gli altri due erano stati reincarnati nei tre gatti del destino solo a quello scopo. Anche i normali gatti avevano un discreto ascendente sui morti rispetto alle altre creature viventi, ma non lo stesso che avevano loro tre: erano infatti soltanto in grado di vederli, ed i più anziani di parlargli. Nessuno sapeva da cosa dipendesse tale capacità dato che nessuno ne conosceva l’esistenza tranne i gatti stessi. Ma i tre del ricordo erano qualcosa di fantastico: da secoli ormai scortavano gli spiriti e si consideravano i Supremi ed Incontrastati giudici dell’aldilà, e ne andavano abbastanza fieri.

A volte, ma non sempre, rimpiangevano il proprio passato in forma umana e maledicevano sé stessi per aver accettato dai loro tre predecessori quell’incarico, ed avergli concesso il riposo loro dovuto.

Ma tutti erano consapevoli di avere un grande potere, dato che la gioia eterna, la reincarnazione o la disperazione di centinaia di migliaia di anime dipendeva solo ed unicamente da loro. Di solito arrivavano da loro due o tre spiriti al giorno, e se li dividevano facilmente: Nibi era l’addetto al riposo eterno; conduceva le anime nel paradiso celeste tramite il Terzo Portale, cosa che purtroppo ultimamente accadeva meno spesso che negli altri secoli.

Hi, del Secondo portale, concedeva la reincarnazione alle anime, di solito sotto forma di animali. A volte, i fantasmi del ricordo più potenti si reincarnavano addirittura come umani. Ma solo i migliori, come erano stati loro tre, ricevevano il trattamento migliore: sostituire un membro del trio del destino.

Hebi, invece, era il Punitore, il Grigio gatto del Primo portale: tutte le anime indegne ed il cui spirito erano legati a cattive azioni o a valori sbagliati, ricevevano il trattamento peggiore, la Punizione divina, la Dannazione eterna: vagavano sulla terra come anime in pena, a rimpiangere il loro destino senza mai potersi allontanare troppo dal proprio cadavere. A volte tale Punizione divina colpiva anche i cari del vivo, tanto la magia ne era potente.

I tre dell’eternità sapevano che non gli restava molto tempo in quei corpi, ma non lo rimpiangevano. Temevano soltanto di non trovare lo spirito adatto a sostituirli: ed erano ormai due generazioni che ne cercavano uno. Gli passava davanti il lungo periodo trascorso nella Casa dei Tre Portali. Ma, seppur glorioso, tale tempo pareva scialbo, insignificante, in confronto alla loro vita sotto forma umana. I loro predecessori gli avevano spiegato che quando è la tua vita a scorrerti davanti, è tempo di andarsene per sempre.

E Nibi vedeva scorrere davanti ai suoi occhi la propria esistenza, al cui confronto i secoli da Giudice parevano una dannazione. Perché ricordava. Ma non ricordava la sua vita. No, quella era cosa passata.

Lui era uno strano gatto: il suo pelo era blu, aveva gli occhi di colori diversi: uno, il suo occhio destro, verde che faceva pensare al mare. E l’altro, giallo, che faceva pensare al sole.

Quasi nessuno sapeva da cosa ciò fosse determinato, tranne Nibi stesso. E proprio in quel momento ci stava pensando:
!

[Nibi ricorda e racconta] Ero stato da poco reincarnato nella mia forma attuale, ed il giorno prima ero stato nominato “Nibi”. Voi due non c’eravate, dato che successe prima della vostra nomina. Il mio predecessore aveva molto insistito perché venissi scelto io, ma la cosa non aggradava agli altri due, dunque una sera particolarmente piena di morti, sia io che il Punitore (che allora si chiamava Gamabu) andammo a portare via i rispettivi fantasmi.

Ma poi, quando arrivammo nella Sala Grande, Gamabu mi guardò con un’aria strana e mi disse:– Tu... Tu non sei degno di Shikabu. Non hai il suo potenziale esteriore né alcun tipo di forza interiore. Ed è per questo che ti sfido a duello, un duello di spettri: ognuno di noi avrà come esercito i morti di questa sera. Lo scopo di ognuno sarà di dannare l’altro per sempre. In questo modo troveremo un sostituto migliore di te.

–Accetto, allora!– E subito entrambi evocammo i rispettivi spettri.
Quando i miei fantasmi comparvero seppi che aveva scelto una serata positiva per entrambi: io

avevo un esercito di samurai che avevano difeso la loro valle a costo della loro vita, lui una ciurma di pirati che erano colati a picco dopo una vita di scorrerie e furti. La battaglia era aspra, i fantasmi crollavano, e noi due ci mordevamo. Entrambi eravamo ricoperti di sangue. Io ero più agile, ma lui più esperto. Lo ferii mortalmente al collo, e già mi preparavo a mandare il suo spirito nel Primo Portale, ma quando lanciai la mia maledizione, anche lui lanciò la sua: sarei stato orbo all’occhio giallo finché lui non fosse ricomparso. Sorpreso da ciò non riuscii a completare la mia maledizione.

«da allora giace dannato, sì, ma in questo luogo. E sta preparando un esercito di anime dannate per affrontarci. Ed oggi, per la prima volta, l’occhio giallo vede. E vede il suo antico giuramento di vendetta. Preparatevi, amici miei, per l’ultima battaglia. E per quello che forse sarà il nostro ultimo giudizio.

!

A queste parole i membri del trio del destino iniziarono a disegnare a terra un cerchio di strani simboli, tutti corrispondenti ad un incantesimo. Nibi e Hi iniziarono ad evocare fantasmi dei ricordi pronti alla battaglia, e di tutte le epoche: samurai, guardie inglesi, guerrieri medioevali, soldati barbari, guerrieri romani e partigiani felici di seguire chi permetteva loro di essere di nuovo vivi.

E animali reincarnati: tigri, leoni, aquile, serpenti, orsi, tutti al loro servizio. Hebi, invece, preparava i sigilli di confinamento che avrebbero chiuso il loro avversario nella tomba perfetta. Per sigillarla usò le anime di sciamani celtici e di carcerieri americani.

E poi... arrivò lui. L’anima di Gamabu aveva preso la forma di orso ed aveva portato con sé le peggiori anime dannate. Tutte anime di persone che avevano vissuto e che odiava il trio del destino per la condanna ricevuta. E tutti pronti a servire il loro padrone. Erano tanti, arrabbiati, pronti ad uccidere di nuovo, da morti come avevano fatto da vivi.

Ed i due eserciti si affrontarono.
Le urla della battaglia erano selvagge, spiriti scomparivano e ricomparivano, andavano ad aiutare 
Hebi con il sigillo se venivano sconfitti. Tutti i presenti erano agguerriti, certi che dovevano vincere e che la loro causa era quella giusta. O almeno, così pensavano. Machi, veramenta, aveva ragione? Il dubbio, lentament, stava attaccando i Giudici e Gamabu. Era davvero giusto sfruttare per una battaglia in aprte personale anime che si erano condannate? Ed era stato giusto condannarle?
All'improvviso, però, si udì (o meglio, non si udì) qualcosa. C'era un silenzio mortale, nel vero senso della parola. Le anime avevano lottato e combattuto  fino a che non ne era rimasto nessuno. Tutti scomparsi. Una seconda volta.

La desolazione e l’odore di morte aleggiavano in quella stanza, nessuno era più in grado di combattere, né c’erano altri spiriti rimasti.

I gatti e l’orso, che era tornato ad essere un gatto giacevano stremati a terra. Avrebbero potuto sigillare Gamabu, ma non lo fecero.

Dannarlo, ma non lo fecero.

In parte perché non ne avevano la forza, in parte perché avevano tutti capito qualcosa. Non sapevano come avevano fatto a capirlo, lo sapevano e basta. Forse era perché stavano per andarsene. Forse.
Fu Nibi a rompere il silenzio:–E così... questa è la fine.

–Così sembra.– osservò Gamabu. Avrebbe dovuto essere triste, ma non ci riusciva. Si preparava al riposo eterno.

–Finalmente,– fece Nibi –posso lasciare questo mondo in pace.
–Non abbiamo scelto dei successori... Ma non importa.– Fece notare Hebi.
–Già. I nostri giudizi erano... non oso dire sbagliati, ma non erano certo giusti.
–Ci detestavano... li avevamo dannati, e desideravano vendetta più di ogni altra cosa.
–Ma il mondo può avere di nuovo bisogno dei gatti del destino.
–No. Nessuno può esprimere un giudizio sui morti, nemmeno noi. Il destino deve fare il suo corso,
ed il mondo che verrà dovrà fare a meno di noi.
E scomparvero. 

   
 
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