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Autore: crazy lion    20/04/2017    4 recensioni
Attenzione! Spoiler per la presenza nella storia di fatti raccontati nel libro di Dianna De La Garza "Falling With Wings: A Mother's Story", non ancora tradotto in italiano.
Mancano diversi mesi alla pubblicazione dell’album “Confident” e Demi dovrebbe concentrarsi per dare il meglio di sé, ma sono altri i pensieri che le riempiono la mente: vuole avere un bambino. Scopre, però, di non poter avere figli. Disperata, sgomenta, prende tempo per accettare la sua infertilità e decidere cosa fare. Mesi dopo, l'amica Selena Gomez le ricorda che ci sono altri modi per avere un figlio. Demi intraprenderà così la difficile e lunga strada dell'adozione, supportata dalla famiglia e in particolare da Andrew, amico d'infanzia. Dopo molto tempo, le cose per lei sembrano andare per il verso giusto. Riuscirà a fare la mamma? Che succederà quando le cose si complicheranno e la vita sarà crudele con lei e con coloro che ama? Demi lotterà o si arrenderà?
Disclaimer: con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, né offenderla in alcun modo. Saranno presenti familiari e amici di Demi. Anche per loro vale questo avviso.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demi Lovato, Joe Jonas, Nuovo personaggio, Selena Gomez
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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Salve gente!
Come va?
Innanzitutto volevo scusarmi con voi per il ritardo, ma non sto molto bene ultimamente. Inoltre qualche giorno fa mi si era cancellato il file! Per fortuna poi sono riuscita a recuperarne uno da una mail che avevo spedito ad una mia amica circa un mese fa, ma appunto non ci sono le ultime modifiche, quindi sto riscrivendo alcune pagine. Ne mancheranno circa nove. Farò del mio meglio per continuare ad aggiornare ogni settimana, comunque, promesso.
Volevo anche dirvi che ho fatto alcune modifiche riguardo la situazione di Andrew negli scorsi capitoli: la manovra laterale di sicurezza, ho scoperto, non si può praticare se il paziente ha una sospetta frattura del cranio, quindi a Demi non l'ho fatta fare e inoltre ho aggiunto altri dettagli sul trauma cranico. Ringrazio le mie amiche Niky_94 e Ciuffettina per l'aiuto che mi hanno dato a
riguardo.
Sono piccolezze, in ogni caso, quindi la storia resta quella e non è necessario che chi ha già letto quei capitoli lo rifaccia. Detto questo, ecco il nuovo, lungo capitolo!
Non ho molto da dire, credo che tutto si spieghi da solo. Per favore leggete la nota in fondo: è lunga, ma per me importante.
 
 
 
 
 
 
79. COME AIUTARE MACKENZIE
 
Mackenzie si svegliò dopo un paio d'ore, ma quando aprì gli occhi la prima cosa alla quale pensò fu:
Ho dormito pochissimo!
Si sentiva, se possibile, ancora più stanca di prima. Sì, aveva decisamente qualcosa che non andava, si disse mentre si alzava dal letto. Si tolse il pigiama e si infilò una tuta e un paio di calzini, poi si mise le ciabatte. Le usava sempre quand'era in casa, così come faceva la mamma. Forse a molti sarebbe sembrata una cosa stupida, ma il solo fatto di vestirsi comoda, soprattutto quand'era a casa, le dava un minimo di sollievo, facendola sentire più rilassata, se non altro dal punto di vista fisico. Rifece il letto, anche se doveva ammettere di non essere molto brava. Infatti, ben presto si accorse che, da una parte, il lenzuolo arrivava per terra. Sbuffò e rifece tutto, mettendoci più cura e attenzione e, dopo qualche minuto e un po' di fatica, ci riuscì abbastanza bene. Avrebbe voluto aprire i balconi e le finestre per far entrare aria e luce, ma erano alti, per lei. Eppure, in quel momento sentì di doverlo fare. Stava dando tante preoccupazioni ai genitori e, se almeno qualche volta le era possibile aiutarli in alcuni lavori di casa, l'avrebbe fatto volentieri. Si avvicinò alla scrivania e, dopo essere salita su una delle due sedie lì accanto, riuscì a portare a termine quanto si era prefissata. Un'ondata di luce invase la stanza, mentre una folata di vento le scompigliò i capelli ricci. Benché quella fosse aria di città, a Mackenzie non sembrava soffocante. Anzi, in quel momento il vento stava portando con sé un buonissimo profumo. Il cielo si stava annuvolando e l'aria, rispetto a quella mattina, si era raffreddata.
Sta per piovere pensò la bambina.
Le era sempre piaciuta la pioggia; e poi a breve sarebbe iniziato l'autunno, una delle stagioni che preferiva. Inspirò ed espirò più volte, poi chiuse la finestra e tirò la tenda.
Aveva sperato che stare un po' sola l'avrebbe calmata, ma purtroppo non fu così. Il cuore le batteva molto velocemente e il suo respiro era affannoso.
Prega.
Fu un pensiero che la sorprese. Un paio di settimane prima il Parroco le aveva insegnato alcune preghiere. L'aveva fatto anche Demi, tempo addietro e la bambina le aveva ascoltate spesso in Chiesa, ma non era ancora brava a recitarle. Per non sbagliare a ricordare le parole, decise di accendere lo stereo che aveva sulla scrivania. Sapeva che c'era una stazione in cui venivano trasmessi messe, rosari e molti altri programmi dedicati a Dio. Prima di arrivare a quel canale radiofonico, però, qualcosa la bloccò. Non sapeva che stazione fosse quella, ma non poté far altro che fermarsi e ascoltarla. Una donna stava dicendo:
"Proseguiamo quindi con la musica. Questa è "Love Song Over Me" delle Cimorelli, un gruppo di sei sorelle in attività dal 2007. Si chiamano Katherine, Amy, Lauren, Lisa, Danielle che preferisce essere chiamata Dani) e Christina."
Ci fu un secondo di pausa, poi Mackenzie udì una chitarra che veniva suonata pianissimo, con molta dolcezza. Poco dopo,le voci delle ragazze, unite alla musica, crearono un'armonia perfetta.
I don't have much to give you, Lord
I'm afraid and insecure
I wish my eyes could see my heart the way you do
 
So I hide behind the walls,
Of all my shame and all my faults
Please come break them down and carry me back home
Please come break them down and carry me back home
 
Sing your love song over me
Sing your love song over me
I am broken, I am weak
Sing your love song over me,
Over me
 
Calm the storm inside my heart,
Come hand the winds and waves apart
Hold me safe inside the palm of your great hand
 
You are peace when I'm at war,
I am safe and I'm secure
You hold me deep inside the palm of your great hand
You hold me deep inside the palm of your great hand […]
Quando la canzone finì, Mackenzie era ancora a bocca aperta e guardava in alto, con gli occhi sbarrati. Il testo e le voci meravigliose di quelle cantanti l'avevano catturata fin dal primo istante. Le ragazze avevano messo, la bambina ne era sicura, tutte loro stesse in quel pezzo; e soprattutto, l'avevano cantato con così tanta espressività, che al solo ripensarci Mackenzie cominciò a piangere. Calde lacrime iniziarono a scenderle lungo le guance. Non le fermò, non le asciugò come aveva fatto tante altre volte. Lasciò che le bagnassero il viso e che poi scendessero a inzupparle la maglia. Quella canzone era una preghiera, una richiesta d'aiuto a Dio. Inoltre parlava del fatto che quell'io che la cantava diceva di nascondersi dietro i muri della sua vergogna e delle proprie colpe. Ecco, quella parola colpì in particolare Mac: "colpe".
Solo tu sai quanto io mi sento in colpa, Gesù pensò, poi si inginocchiò e,  con le mani giunte, pensò qualche preghiera. Il fatto di non poterne recitare nessuna a voce la faceva stare male, ma d'altronde era sicura che Gesù, Dio e gli angeli l'avrebbero sentita e capita lo stesso. Chissà, forse sarebbero anche riusciti ad aiutarla.
Decise che era il momento di scendere. Si asciugò gli occhi con le mani e poi andò in bagno a sciacquarsi il viso per cancellare, almeno così sperava, ogni traccia di pianto, poi iniziò a scendere lentamente le scale.
 
 
 
"Forse dovrei andare a svegliarla" stava intanto dicendo Demi.
Era seduta sul tappeto del salotto con Andrew e Hope, la quale stava continuando a costruire e poi a distruggere una torre con i Lego. Era una bambina che, Demi l'aveva notato già da qualche tempo, giocava volentieri anche da sola. Era sempre stata molto buona e tranquilla, però quando con lei c'era Mackenzie era diversa. Il suo visino si illuminava e vederle giocare insieme era, per la loro mamma, la cosa più bella.
"Sì, forse è il caso" convenne Andrew. "Tra poco sarà ora di pranzo."
In quel momento sentirono qualcuno scendere le scale.
"Mackenzie!" esclamò Andrew, andandole incontro e abbracciandola.
Era stato un gesto automatico, spontaneo, che però non diede nessun fastidio alla bambina,né la spaventò. Ormai sapeva di potersi fidare di lui e si lasciava coccolare e toccare senza problemi.
"Come ti senti, amore?" le chiese la mamma.
Sto meglio, grazie rispose, sorridendo più ampiamente di quanto avrebbe voluto.
"Demi, vuoi che prepari io il pranzo?" si offrì Andrew.
"Stai già facendo così tanto per noi, non voglio che ti scomodi" ribatté.
"Non mi costa nulla."
"Okay, grazie! In frigo ho alcuni hamburger e un po' di patate lesse che ho preparato ieri. Potremmo mangiare quelli e fare un po' di minestra per Hope."
"Hai detto patate lesse?"
"Sì, perché?"
Il volto di Andrew si illuminò.
"Ho un'idea! Lascia fare a me."
L'uomo corse in cucina e cominciò a preparare il pranzo. In realtà, uno dei motivi per i quali si era offerto era che desiderava che Demi, Mackenzie e Hope passassero un po' di tempo insieme in tranquillità. Ora Mac sembrava stare meglio e, forse, sarebbe riuscita a giocare un po' con loro e a  rilassarsi, aiutando quindi la mamma e la sorella a farlo. C'era così tanta tensione in quella casa! Tutti sembravano delle pentole a pressione pronte ad esplodere da un momento all'altro. Mentre in cucina l'uomo lavorava con passione e senza sosta, in salotto la situazione non era certo delle migliori.
 
 

Demi, Hope e Mackenzie erano sedute sul divano, l'una accanto all'altra. La mamma aveva cominciato a far sedere la piccola sul divano, stando comunque sempre attenta che non cadesse e sostenendola con alcuni cuscini. Quando Hope avrebbe compiuto due anni, a Demi sarebbe piaciuto togliere alla piccola la tavoletta del seggiolone in modo che si sedesse più vicino alla tavola, per farla passare poi, più avanti, alla sedia normale. Inoltre avrebbe anche voluto insegnarle a mangiare da sola. Hope a volte ci provava già (del resto era una bambina intraprendente, ormai era chiaro), ma continuava a sbrodolarsi. Mentre la ragazza era immersa in quei pensieri, le due sorelline si guardavano negli occhi senza fiatare. La più piccola sorrideva, mentre l'altra rimaneva seria. Demi non l'aveva mai vista così. Sapeva di averlo pensato diverse volte in quegli ultimi giorni, ma spesso si sentiva sgomenta di fronte al fatto che Mackenzie era davvero cambiata da quando aveva cominciato a stare male. Sembrava ancora più grande e riflessiva, quando non urlava o non aveva incubi era così tranquilla che quasi non si avvertiva la sua presenza e poi giocava sempre meno; e, ovviamente tutto questo, viste la situazione e l'età di Mac, non era affatto positivo.
Tutte cose che dovrò riferire alla pediatra e anche allo psicologo, pensò.
Andrew non ne aveva parlato, ma era sicura che anche lui l'avesse notato.
Hope cominciò ad agitare le gambette e, prima che la madre potesse aiutarla, era riuscita a scendere dal divano e a mettersi in piedi senza barcollare; e ce l'aveva fatta da sola. Prima non l'aveva mai fatto, aveva sempre avuto bisogno che qualcuno la tenesse per mano.
"Brava!" esclamò Demi battendo le mani.
Riferì ad Andrew quanto era appena accaduto e lui commentò:
"Wow, è bellissimo!"
Era felice, ma in quel momento era troppo preso dai fornelli per correre in salotto e abbracciare Hope. Anche se l'avrebbe tanto voluto, temeva che un attimo di distrazione avrebbe fatto bruciare il cibo.
Sedutasi sul tappeto, Hope cominciò a giocare con una bambola e Mackenzie le si mise accanto, iniziando ad osservarla. Poco dopo sospirò, ma fu una cosa che durò un attimo, quindi Demetria non se ne rese conto. Hope sì, invece, perché smise di tirare i capelli alla bambola e la guardò perplessa.
"Mac Mac tliste" disse.
"Si dice "triste", tesoro" la corresse la mamma. "Mackenzie, che cos'hai? Sei agitata per oggi?"
Non lo so, mamma. Hope ha ragione: sono triste; e non ho voglia di fare o dire niente.
La mamma le si avvicinò, la strinse a sé e le baciò i capelli, poi sussurrò:
"Andrà tutto bene."
Certo rispose la bimba, poco convinta.
Demi si accorse del fatto che sua figlia non credeva alle parole che le aveva appena rivolto, ma decise di non insistere. Conosceva abbastanza bene Mackenzie per sapere che farlo, con lei, il più  delle volte era controproducente. Si sarebbe chiusa ancora di più in se stessa e Demi non voleva questo, quindi, nonostante vederla così le facesse un male tremendo  e anche se si sentiva in colpa per tutto ciò, con un grande sforzo represse il suo dolore, ricacciò indietro le lacrime che minacciavano di uscire e la accarezzò, per darle
coraggio.
Dopo qualche minuto, Andrew le chiamò esclamando:
"Ragazze, a tavola!"
Hope si alzò e si mise a correre, arrivando per prima.
"Abbiamo fame, eh?" commentò l'uomo, sorridendo e mettendola nel seggiolone.
"Che hai cucinato?" chiese Demi entrando, con Mackenzie che la seguiva.
Non c'erano gli hamburger. Vedeva una pentola di pasta sul fornello e, sul tavolo apparecchiato, una tazza dentro la quale c'era un sugo che non aveva mai visto prima e che aveva un profumo meraviglioso e molto invitante.
"Ho fatto un sughetto che mi ha insegnato a preparare Carlie. È semplicissimo: si mescolano il pesto e la panna da cucina e poi si aggiungono le patate lesse, ovviamente senza buccia, tagliate a pezzettini piccolissimi. Si emulsiona di nuovo tutto e il gioco è fatto!"
Demi cucinava spesso la pasta, quindi non si stupì nel vedere che Andrew l'aveva preparata. Sapeva che la maggior parte delle famiglie americane non la mangiava, oppure lo faceva solo al ristorante, ma Dianna aveva cresciuto le sue figlie preparando loro cose più sane del cibo da fast-food e preferendo cucinare anziché comprare piatti già pronti. La pasta era una delle cose che ancora adesso lei preparava più spesso. Anni prima aveva fatto un viaggio in Italia con Eddie e, tra le mille cose che aveva imparato, c'era anche stata quella di non cuocere troppo quella pietanza. Demi aveva voluto imparare e, spesso, cucinava quella a pranzo e qualcosa di secondo a cena, o il contrario.
"Questo sugo è fenomenale!" esclamò, quando assaggiò il primo boccone.
"Grazie; me l'ha insegnato mia sorella l'ultima volta che è tornata dal Madagascar. Non so dove l'abbia imparato.!
Per un momento, nella cucina calò il silenzio più totale. Tutti smisero di mangiare e Demi e Mackenzie guardarono Andrew, restando immobili e sentendo un improvviso gelo attraversare ogni fibra dei propri corpi, fino a toccare la loro anima.
"Tranquille, è tutto a posto" le rassicurò lui. "Mi fa male parlare di mia sorella" continuò,, mentre la sua voce si incrinava e provava una sensazione forse peggiore della loro, "ma credo sia giusto che io lo faccia, a volte e se ne sento il bisogno."
"Hai ragione" convenne Demi.
Il pranzo continuò senza problemi.
Hope, per la quale Andrew aveva cucinato un tipo di pasta molto più piccola, sembrava apprezzare il sugo. Era lui a darle da mangiare, quel giorno, quindi mentre lei mandava giù, l'uomo mangiava un po' del suo pranzo e poi ricominciava ad imboccare la piccola. Mackenzie, nonostante non avesse molta fame, si ritrovò a divorare letteralmente quel piatto favoloso.
Almeno mangia, è un buon segno pensarono in contemporanea Andrew e Demi
Gli adulti iniziarono a parlare del più e del meno e le piccole restarono per la maggior parte del tempo in silenzio, ascoltando le loro conversazioni. Mackenzie si sentiva più tranquilla, ora,, ma era convinta, come lo erano i genitori, che purtroppo quella serenità sarebbe durata poco. Era solo una sensazione, quindi avrebbero potuto anche sbagliarsi. Demi ed Andrew lo speravano con tutto il cuore, eppure c'era una vocina, da qualche parte, che diceva loro che non sarebbe stato
così.
Quel pomeriggio, dopo aver lasciato Hope dalla nonna, i genitori e Mackenzie andarono dalla pediatra. Dovettero aspettare un po' prima di essere ricevuti, ma per fortuna i pazienti erano pochi e fecero presto. Lo studio della pediatra era proprio come Mackenzie lo ricordava: grande e illuminato da due vetrate enormi che davano su un grande giardino.
"Accomodatevi pure" disse loro la donna, sorridendo. "Ciao, Mackenzie!" esclamò poi.
La bambina le sorrise e i tre si sedettero su alcune sedie, abbastanza scomode per la verità. Davanti a loro si trovava una scrivania sulla quale c'erano un computer e un telefono.
"Come stai, Mac?" chiese la signora Smith.
La bimba non disse nulla, ma era tranquilla. Le piaceva quella donna. Era di mezza età e aveva un sorriso e una voce molto dolci e rassicuranti, che le trasmettevano un gran senso di calma.
Demi ed Andrew spiegarono ad Angela Smith la situazione. La donna era già a conoscenza dei problemi dei quali la bambina soffriva, ma i due la misero al corrente di tutti gli ultimi avvenimenti.
"Perché non l'avete portata subito da una psicologa?" chiese.
"Le assistenti sociali mi avevano detto di aspettare che l'adozione fosse finalizzata e questo è stato fatto all'inizio di marzo. Mackenzie non aveva più avuto crisi, così ho aspettato" spiegò Demi.
Si disse che aveva sbagliato e che, se avesse portato prima la figlia da una psicologa, forse non avrebbe nemmeno avuto quelle crisi. D'altro canto, a cosa serviva colpevolizzarsi, ormai?
A niente pensò, poi la voce di Andrew la riportò alla realtà.
"Dopo poco mia sorella è morta e io ho passato un bruttissimo periodo nel quale sono stato anche in ospedale. Dopo un po' mi sono sentito meglio. Le cose avevano cominciato a sistemarsi per tutti, ma da circa una settimana Mackenzie ha cominciato a stare male e siamo preoccupati."
"Capisco. Non ha mai parlato, nemmeno una volta in tutti questi mesi?"
"No" rispose Demi. "Qualche volta, però, ha riso."
La signora Smith chiese gentilmente alla bambina di avvicinarsi a lei.
Mackenzie si alzò in piedi e fece qualche passo in avanti, ma la donna la raggiunse e le prese una mano. Mac si sentì rassicurata da quel contatto. La mano di Angela era calda e la stringeva con delicatezza.
"Mackenzie, sai dirmi il tuo nome?" le chiese, sorridendo.
Sapeva che non ci sarebbe riuscita, ma voleva comunque fare un tentativo.
La bambina non rispose.
"Sai pronunciare il tuo cognome?"
Di nuovo, non disse nulla. La guardò soltanto con gli occhi pieni di lacrime.
"Vorresti ricominciare a parlare, vero?"
Fece un timido sì.
"Troveremo una soluzione insieme, okay?"
Mackenzie sorrise appena, felice che Angela volesse aiutarla.
Quest'ultima si rivolse ancora a lei:
"Mac, hai un animale?"
Sì, ho un cane di nome Batman e mio papà ha due gatti: Jack e Chloe. Gioco molto con tutti e tre e voglio loro tanto bene.
Per un breve, singolo istante, il volto di Mackenzie cambiò completamente, assumendo un'espressione che i genitori non le vedevano da un po' di tempo. Si illuminò, dopo aver scritto che giocava con gli animali. Anche la pediatra lo notò, ma non disse nulla perché, pochi secondi dopo, il volto della piccola tornò serio e triste.
"Come ha reagito quando la sorellina ha cominciato a parlare?" chiese Angela a Demetria.
"Non ha avuto reazioni particolari. Quando lei parla Mackenzie la guarda e sorride."
Sì, ma vorrei riuscirci tanto anch'io! scrisse la piccola, mentre tratteneva a stento le lacrime.
"Lo so, Mackenzie e ti prometto che assieme ai tuoi genitori ti aiuterò, va bene? Cercheremo di risolvere tutto, ma tu ora devi cercare di stare tranquilla. Sei una bambina coraggiosa, stai facendo tutto quello che puoi per stare meglio" le rispose Angela, con la sua solita dolcezza.
Non lo so pensò l'altra ed è la millesima volta che penso che non sono più sicura di niente.
"Signori, vi va se ci vediamo domani da soli, per parlare un altro po'?"
"Sì, va bene" dissero entrambi.
"Prendete un appuntamento con la mia segretaria. Domani avrò la giornata piena, ma vi potrò ricevere comunque."
"Perfetto, grazie!" esclamò Demi.
Mentre uscivano, chiese ad Andrew come mai non avrebbe lavorato il giorno seguente. In fondo era venerdì e negli Stati Uniti non si lavorava di sabato. Demi, però, a volte lo faceva e immaginava che anche altre persone famose si comportassero allo stesso modo.
"Non è necessario che io stia in ufficio, domani. Lavorerò da casa, quindi davvero, ho tempo; e poi, anche se non l'avessi, in qualche modo lo troverei. Non voglio lasciare le mie tre donne da sole, soprattutto in questo momento difficile."
La ragazza gli sorrise, grata.
Il pomeriggio successivo Demi lasciò le bambine da Dianna e tornò nell'ambulatorio della pediatra. Andrew la raggiunse poco dopo.
Si sedettero in sala d'aspetto. Le mamme ei bambini che erano lì li guardarono con occhi interrogativi, chiedendosi come mai fossero venuti soli, ma i due non se ne preoccuparono. C'erano altre nove persone davanti a loro, così entrambi aspettarono pazientemente, sfogliando qualche rivista.
"Demi?" le chiese lui ad un tratto.
"Mmm?"
"Come mai non dici niente?"
"Sono preoccupata e non saprei cosa dire" gli rispose, mentre la sua voce tremolava.
"Io provo lo stesso."
Entrambi sorrisero amaramente.
Quando il loro turno arrivò, Demetria ed Andrew si accomodarono nell'ambulatorio come avevano fatto il giorno precedente, ma avendo uno sguardo preoccupato e il respiro irregolare.
"Provate a non agitarvi così" disse loro la donna. "Come ho promesso ieri a vostra figlia, ora cercheremo di risolvere la situazione insieme."
"Okay, ci scusi" disse Andrew.
"Non mi dovete chiedere scusa! Se non foste preoccupati per vostra figlia non sarebbe una cosa normale! Il caso della vostra bambina non è semplice. Ha subito un trauma terribile e ne risente molto, soprattutto nell'ultimo periodo con le sue crisi che si sono fatte più frequenti. Piange molto di notte?"
"Sì, tantissimo e fa fatica a dormire" rispose Demi.
"Inoltre ha molti incubi e qualche volta urla" aggiunse Andrew.
"Urla? Ieri mi avevate detto che non parlava e ogni tanto rideva!"
"Beh, è da un po' che non ride più, per la verità" cominciò Demetria. "Per quanto riguarda le urla, non sono parole, ma semplici esclamazioni, come:
"Aaaaaaah!"
nient'altro."
"Okay. Io eviterei di darle dei calmanti, dato che è ancora così piccola, ma credo che in un caso come questo la psicoterapia sia la cosa migliore. Sono sicura che voi, come genitori, fate tutto il possibile, ma ritengo che Mackenzie abbia bisogno di un aiuto in più. Che ne pensate?"
"Vedere mia figlia così mi strazia il cuore e sono disposta a fare di tutto affinché lei si senta meglio. Se l'aiuto di uno psicologo, secondo lei, potrebbe darle una mano, allora sono d'accordo" disse la ragazza.
"Infatti eravamo venuti qui anche per chiedere un suo parere a riguardo. Pensavamo di portare Mackenzie da uno psicologo in ogni caso, ma abbiamo preferito sentire un altro parere" proseguì Andrew e poi chiese: "Ne ha qualcuno da consigliarci?"
"Sì, ne conosco alcuni che sono molto bravi. Immagino che Mackenzie si troverebbe meglio con una donna, quindi ora vi darò il numero di Catherine Chambers. È giovane, poco più grande di lei, Demi, ma molto competente. Fa la psicologa e lavora soprattutto con i bambini."
A Demetria quella donna era sembrata simpatica e alla quale piacevano molto i bambini. L'aveva incontrata solo due volte, ma sentiva già che avrebbe potuto fidarsi di lei. La pediatra le diede il suo numero e l'indirizzo. Demi ed Andrew la ringraziarono moltissimo, la salutarono e
uscirono.
"Perché non ho pensato prima di rivolgermi a lei, Andrew? Infondo sapevo che faceva la psicologa!"
"Non colpevolizzarti anche per questo, Demi. Volevi sentire il parere della pediatra e così hai fatto; è stata la scelta giusta, te lo assicuro! Inoltre, è una meravigliosa coincidenza che ci abbia dato proprio il numero di Catherine, non trovi?"
"Sì, in effetti è vero. Vieni a salutare le bambine?"
"Certo! Ti seguo con l'auto."
Una volta in macchina, Demetria chiamò subito catherine e la donna le rispose dopo soli tre squilli.
"Pronto?" chiese, con la sua solita voce allegra.
"Pronto, parlo con Catherine Chambers?"
"Sì, sono io. Ciao Demi!"
L'aveva riconosciuta! Era incredibile, pensò la ragazza. Lei non avrebbe saputo riconoscere, al telefono, la voce di una persona con la quale aveva parlato solo un paio di volte.
"Ciao, come stai?"
"Bene; e tu?"
"Sono molto preoccupata. Ho avuto il tuo numero dalla pediatra che segue le mie bambine. Ho bisogno del tuo aiuto, Catherine. Si tratta di Mackenzie."
"Okay," disse, con tono più serio, "puoi venire nel mio studio domani alle 16:00?"
"Certo."
"Perfetto, allora vieni, anche con Andrew se vuoi, visto che so che è molto legato alle bambine, così potremo parlare tra adulti, intanto. Mi spiegherete che le succede e decideremo cosa fare, d'accordo? Sta' tranquilla, vedrai che troveremo una soluzione."
La voce di Catherine era dolce. La donna sembrava positiva, sicura che alla fine, tutto sarebbe andato per il meglio e questo confortò Demi.
"Grazie, lo spero."
"Demi, cerca di non agitarti troppo. So che è difficile e che ti è ovviamente impossibile estraniarti da questa situazione, perché non sarebbe nemmeno umano da parte tua farlo, ma devi provare a mantenere la calma, altrimenti tua figlia ne risentirà e potrebbe stare peggio. Non voglio farti sentire in colpa dicendoti questo, né farti la predica o cose simili, non mi permetterei mai, sto solo cercando di aiutarti."
"Lo so, tranquilla. Ci proverò. A domani."
"Sì, a domani."
Arrivati davanti alla casa di Dianna, Demi ed Andrew suonarono il campanello. Poco dopoaprì loro Eddie.
Hope stava giocando sul tappeto del salotto con Dianna, mentre Mackenzie guardava i cartoni animati.
"Com'è andata?" chiese loro la donna, mentre il sorriso spariva dal suo volto e si faceva improvvisamente seria e preoccupata.
I fidanzati riferirono a lei e a Eddi ogni cosa, poi Demetria parlò della conversazione avuta con Catherine poco prima.
"Davvero?" le domandò Eddie. "Mi stai dicendo che Catherine è la psicologa alla quale ti sei rivolta?"
"Esatto e sembra molto competente. Non abbiamo ancora parlato di Mackenzie, ma mi è parso di capire che sia sicura che riusciremo ad aiutarla."
"Terremo noi le bambine, Demi, non preoccuparti" la rassicurò la mamma.
"Vi ringrazio! Non so come farei senza il vostro aiuto."
Era sincera. Sapeva di essere una brava mamma, ma la famiglia e ciò che le dava era per lei molto importante.
"Comunque" aggiunse Eddie, "è bello che abbiate trovato qualcuno che sembra così positivo e ottimista."
Entrambi furono d'accordo, poi, sussurrando, Demi disse ai genitori che aveva paura. Eddie la accarezzò e fu Dianna a parlare.
"Lo immagino, Demi, ma forse è solo un momento di crisi che passerà presto. Tu ed Andrew siete stati bravi a cercare tempestivamente aiuto. Abbi fede."
Lei aveva fede. Ne aveva sempre avuta, ma a volte nemmeno credere bastava ad infondere speranza nel cuore, lei lo sapeva bene. Mackenzie era peggiorata pian piano, ma in modo abbastanza inaspettato, per cui quell'improvviso cambiamento di comportamento metteva Demi in allarme. Sapeva che la bambina aveva qualcosa che la turbava, che la faceva soffrire; e ciò che distruggeva Demetria, era che nonostante il suo amore e la propria pazienza, la bambina non riusciva a parlare di ciò che provava, o, se ce la faceva, non diceva mai tutto. Sicuramente era ancora traumatizzata dalla morte dei suoi veri genitori e in quel periodo stava cercando di esprimere il suo disagio e il dolore che provava, che era ancora presente e molto forte. La bambina fino a poco prima sorrideva, era felice, ma era stata ferita e questo le faceva male. Mackenzie soffriva in silenzio, non dicendo quasi niente, ma facendolo capire con gli strilli e quel comportamento così insolito per lei. Demi aveva già fatto questi pensieri più di una volta negli ultimi
tempi.
Dopo poco, Demi chiamò le bambine, poi salutò calorosamente i genitori e uscì con Andrew.
"Vuoi che venga con te?" le chiese il fidanzato.
"No, grazie ma preferisco andarci da sola. Non ti voglio escludere, ti prego non pensarlo neanche per un momento. Il fatto è che, non so come mai, ma sento che è una cosa che devo fare da sola."
"Come vuoi, amore" le rispose e non se la prese affatto.
Demi strinse Andrew tra le braccia e lo baciò. Fu un bacio lungo, profondo e splendido, che tolse ad entrambi il fiato.
"Hai delle labbra morbidissime" le sussurrò lui, dandole un altro bacio.
"Anche tu! Non immagini quanto ti amo!"
"Oh no, lo immagino, invece, perché io ti amo di più."
"No no, io di più!"
Continuarono così per un po', baciandosi, coccolandosi e facendosi il solletico, poi sialiroo ognuno nella propria macchina e partirono.
Quella sera, dopo aver messo le figlie a letto, Demi si preparò una tisana rilassante e cercò di fare ciò che la pediatra e la psicologa le avevano raccomandato: stare calma. Provò anche a pensare positivo e, dopo aver bevuto la tisana ed essersi guardata un po' di televisione ci riuscì. Aveva preso una saggia decisione: se avesse aspettato ancora, sua figlia non avrebbe fatto altro che peggiorare e, come ogni madre del mondo, lei non voleva questo. Le sue bambine, come tutti i bimbi sulla Terra, meritavano di essere felici.
La notte, nel suo letto, Demi pregò, come faceva spesso, perché il Signore aiutasse tutte loro, sperando che presto Mackenzie sarebbe stata meglio. Tuttavia non riuscì a prendere sonno quella notte; e, nonostante si ripetesse in continuazione che avrebbe potuto farcela da sola, non poteva negare di avere paura e che avere Andrew accanto l'avrebbe fatta sentire più sicura. Il giorno dopo, appena si alzò, lo chiamò subito dicendogli che si era resa conto che avrebbe avuto bisogno di lui.
"Ci sarò, amore" le rispose Andrew, rassicurante.
Poche ore dopo, entrambi si trovavano nello studio della Dottoressa Chambers. Ad entrambi sembrava strano sentirla chiamare così (e non per nome) dai pazienti, ma del resto lei era quello, per loro. Nella sala d'aspetto c'erano dei genitori con i loro bambini, alcuni dei quali erano molto tristi. Demi riconobbe nei loro occhi la stessa espressione stanca e abbattuta di Mackenzie.
"La signorina Chambers è molto brava" stava dicendo una donna rivolta ad un'altra.
Accanto a lei sedeva un bambino che avrà avuto più o meno nove anni.
"Segue solo i bambini e gli adolescenti?" chiese questa, per curiosità.
"Sì, è laureata in psicologia dello sviluppo."
I bimbi non parlavano quasi. Al massimo bisbigliavano qualcosa tra loro, ma a voce talmente bassa che né Demi né Andrew potevano udire le loro parole.
Poco dopo Catherine uscì, tenendo per mano un bambino di circa sei anni. Un uomo e una donna si avvicinarono loro. Lei disse qualcosa ai due e li congedò, poi fece passare un'altra persona e fece sapere a Demetria e ad Andrew che, dopo, li avrebbe fatti entrare.
Passarono altri 45 minuti prima che quella ragazzina uscisse e alcuni pazienti, intanto, erano andati a fare una passeggiata in attesa del loro appuntamento. Erano venuti tutti lì nella speranza che il loro turno sarebbe stato anticipato, ma Catherine non faceva spesso cose del genere. La psicoterapia a volte era davvero molto difficile e richiedeva tempo e pazienza. Se uno psicologo andava di fretta, o era un paziente a farlo, ciascuno dei due commetteva un grosso errore e, anziché guarire, il soggetto tendeva a peggiorare.
"Venite pure, signori" li invitò la ragazza.
Dava loro del lei per una mera questione professionale.
"Grazie" disse Demi alzandosi e seguendola, mentre Andrew andava con loro, tenendo la sua ragazza per mano.
Demetria era così concentrata su quello che stava per fare, che non guardò nemmeno la stanza nella quale entrarono e neanche la sedia sulla quale si accomodò.
Poco dopo sentì la voce di Catherine:
"La situazione di Mackenzie è molto complicata."
La ragazza guardava Demi negli occhi ed erano sedute l'una di fronte all'altra; Andrew era accanto alla fidanzata. Una scrivania, sulla quale c'erano un computer, un quaderno e delle penne, li separava.
"Mi sarei dovuta accorgere prima di come stava, ho sbagliato" sospirò Demi.
"Non è facile accorgersi del dolore dei bambini e in generale dei figli, ma se sei qui significa che te ne sei resa conto e questo è l'importante. Prima non vi ho dato del tu perché mi trovavo di fronte ad altri pazienti e non volevo che pensassero che faccio favoritismi, ma qui dentro possiamo evitare le formalità. Raccontatemi di Mackenzie. Spiegatemi meglio la sua situazione."
Demetria e Andrew iniziarono a parlare e, un po' per ciascuno, le dissero tutto ciò che sapevano sulla sua storia, le parlarono delle crisi della figlia e di come stava ultimamente, del fatto che a volte urlava e che aveva smesso di ridere, che a volte non aveva fame o mangiava controvoglia e che diceva di essere triste e giocava pochissimo. Catherine li ascoltò, concentrata, poi quando il racconto terminò si mise la testa fra le mani e rimase in silenzio per alcuni minuti, mentre i due la guardavano interrogativi.
"Ora vi dirò ciò che ho pensato, poi ne discuteremo insieme. Credo che Mackenzie potrebbe soffrire di stress post-traumatico. A volte le persone (adulti, giovani e bambini) ne soffrono anche dopo molto tempo da quando hanno subito un trauma, per cui sarà necessario che voi andiate da un medico che la sottoporrà a degli esami."
"Come mai la pediatra non ci ha parlato di questo, ieri?" chiese Andrew.
"Probabilmente non voleva rischiare di dire qualcosa di sbagliato e ha preferito che fossi io a parlarvene. Comunque rivolgetevi a lei e sottoponete Mackenzie agli esami che vi dirà. Non è necessario che io abbia i risultati subito. Credo sarebbe opportuno aspettare che Mac inizi la scuola. Andare con lei in ospedale ora e dirle che potrebbe soffrire di stress post-traumatico potrebbe stressarla ulteriormente e spaventarla e non mi sembra il caso."
"Quindi posso portarla a fare gli esami dopo l'inizio della scuola?" chiese Demi.
"Esatto. Volevo anche dire che è positivo che ogni tanto Mackenzie urli, perché anche se sta male, almeno riesce ad esprimere con la voce le proprie emozioni."
I due fidanzati si scambiarono uno sguardo fugace: quella era una cosa alla quale non avevano mai pensato.
Andrew fece a Catherine una domanda:
"Quando Mac ha detto che non ricorda tutto quello che è successo la notte in cui i suoi genitori sono stati uccisi, mi è venuto in mente che una volta ho sentito parlare di "amnesia retrograda". Lei potrebbe soffrirne?"
Demi stava per chiedere di cosa si trattava, ma la psicologa la anticipò, spiegando:
"No, non penso proprio sia il suo caso. L'amnesia retrograda si ha quando una persona non ricorda alcuni momenti della sua vita oppure proprio niente che risalga prima di ciò che è stato la causa del disturbo, ma penso che vostra figlia non ne soffra perché non ha subito traumi alla testa, né ha avuto incidenti che potrebbero averle fatto perdere la memoria. Più semplicemente, ritengo che abbia inconsciamente messo in atto quello che Freud definiva "meccanismo di difesa". Io non sono una psicoanalista, ma come psicologa posso assicurarvi che questo disturbo è molto comune nei pazienti affetti da  stress post-traumatico. Il tipo di meccanismo di difesa che Mackenzie utilizza è detto "rimozione", nel quale una persona vuole proteggersi da un evento traumatizzante che per lei è troppo grande o doloroso e per farlo lo rimuove dalla propria mente. Posto che dimenticare è impossibile, penso che i ricordi di Mackenzie siano lì, nascosti da qualche parte e che bisogni solo scovarli." Catherine aveva cercato di spiegare tutto ciò a Demi ed Andrew nel modo più semplice possibile, ma per sicurezza chiese ad entrambi se avevano capito o se avrebbero voluto chiederle qualcosa. Risposero di no. Il concetto era chiarissimo. La psicologa continuò: "Quando il dottore avrà saputo se Mackenzie soffre o meno del disturbu post-traumatico da stress, valuterà, consultandosi con la pediatra, se dare alla bambina dei farmaci  o no, anche se non credo sarà necessario, più che altro perché lei è ancora molto piccola. Saputo tutto questo, io avrò un quadro ancor più chiaro della situazione. Ovviamente prima lo saprò meglio sarà, ma ripeto, aspettiamo pure qualche settimana. Non voglio mettere troppa ansia nella bambina. Parliamo ora della terapia: l'obiettivo è ricostruire i suoi ricordi, capire cosa rammenta e cosa no e rimettere tutto al proprio posto. Vorrei iniziare in modo giocoso, facendole fare dei disegni. Le farò disegnare ciò che  vuole e poi cercherò di lavorare con lei su questo. In base alle sue reazioni, vedrò cosa fare. Una volta al mese parlerò con voi di ciò che stiamo facendo, delle sue difficoltà o dei suoi progressi, d'accordo?"
"Non ho quasi mai visto Mackenzie disegnare da  quando è a casa. Non credo che le piaccia molto, ma…" cominciò Demi, che fu interrotta subito da Catherine.
"Allora facciamo così: dille di portare i giocattoli che le piacciono di più. Lavoreremo con quelli."
"D'accordo."
"Tenetemi entrambi informata se Mac farà altri disegni della sua casa o di qualcosa che potrebbe ricordarle ciò che le è successo. Inoltre, se vorrà e quando si sentirà pronta, potrà portare qui il medaglione, se penserà che potrebbe esserle d'aiuto. Le parlerò di questo non appena la vedrò."
"Okay" disse Andrew.
"Quindi posso portarla da te anche prima di averle fatto fare quegli esami?"
"Sì, mi piacerebbe vederla già domani, tanto per iniziare a conoscerci."
Demi annuì, poi Andrew domandò:
"Se, comunque, qui volesse fare dei disegni, secondo te potrebbero essere collegati a quanto le è successo?"
"Dipende. Potrebbe avere reazioni differenti in base a come si sente. Mi spiego meglio: se in quel momento sta pensando ai suoi genitori allora sì, potrebbe riportare nel disegno ciò che si sta figurando nella mente. Io, allora, partirò da quello e inizierò a parlarne con lei. Se, invece, disegnerà un'altra cosa, cercherò di far arrivare Mackenzie, pian piano, senza fretta, a parlare dei suoi genitori. I bambini hanno reazioni diverse quando vengono qui. Alcuni sono tranquilli, altri spaventatissimi e piangono. Come psicologa devo tenere conto di tutte queste reazioni, per rapportarmi con loro al meglio."
"Certo, lo immagino. Per quanto riguarda i giocattoli, invece? Come hai intenzione di lavorare quando porterà quelli?" chiese Demi.
"Sinceramente ancora non lo so con sicurezza. Forse le farò mettere in scena un piccolo gioco tra loro, come se gli animali fossero veri. Vedrò quello che lei farà fare loro e lavorerò di conseguenza."
"Quanto credi ci vorrà perché lei si senta meglio?" domandò ancora la ragazza. "Non fraintendermi, io non ho fretta, anzi, chi va piano va lontano, si dice. La mia è solo una domanda."
"Questo non te lo so dire. Si tratta di qualcosa di molto soggettivo. Ci sono bambini che stanno meglio in breve tempo, nel giro di mesi. Per altri, invece, ce ne vuole di più, ma credo che per Mackenzie non sarà semplice. Ci vorranno alcuni mesi, se non anni."
Infine, Demi le chiese quanti soldi avrebbe dovuto pagare. Catherine le disse che chiedeva 45 dollari al mese per quattro lezioni.
Fissarono un appuntamento per il pomeriggio successivo e, dopo averli salutati, la psicologa li lasciò andare.
"Grazie per esserci stato anche oggi" disse Demetria al fidanzato, una volta usciti.
"Te lo ripeto: l'ho fatto volentieri. Che impressione ti ha fatto?"
"Molto positiva; credo che Mackenzie si troverà bene con lei."
"Sì, lo penso anch'io."
Era tardi e tutti e due erano molto stanchi, così si salutarono con un bacio e tornarono ognuno a casa propria.
 
 
 
credits:
Cimorelli, Love Song Over Me
 
 
 
 
NOTA:
credo sia giusto precisare un po' di cose.
Negli Stati Uniti non esiste il concetto di "sanità pubblica". Le cure costano, soprattutto se ci si rivolge ad ambulatori (che comunque non sono molto in uso) o a cliniche private. Gli ospedali pubblici sono spesso sovraffollati e questo è un problema che aumenta sempre più di proporzioni. All'ospedale pubblico si rivolgono tutte quelle persone che non possono pagare e che non hanno, quindi, l'assicurazione sanitaria, come per esempio i senzatetto, i tossicodipendenti e a volte gli immigrati. Da alcune statistiche che ho trovato su un sito (www.justlanded.com), il 15% della popolazione statunitense non possiede un'assicurazione. In questi casi, a meno che la vita del paziente non sia in serio pericolo, la persona in questione non viene aiutata. Il Paese non fa nulla per chi non può pagarsi le spese mediche. Queste persone di solito sono poverissime, oppure in alcuni casi anche disabili.
Negli USA esistono comunque i medici di base, chiamati FP (Family Practitioners). Il termine General Practitioners, o GP, è infatti poco usato al giorno d'oggi. Di frequente ognuno di essi è specializzato in due branche della medicina (pediatria, ginecologia ecc.) ed esercita in un ambulatorio o in una clinica privata. Le cure di questo medico non sono gratis. E' proprio il Family Practitioner che, eventualmente, indirizza i pazienti in ospedale, da uno
specialista.
Per quanto riguarda Andrew e Demi, ho immaginato che ovviamente abbiano il loro medico di base, così come un'assicurazione. Ho pensato però che Demetria, per quegli esami che aveva fatto e che le avevano poi rivelato di essere sterile, si fosse direttamente rivolta ad un ospedale. Ovviamente poi ha portato gli esami al suo medico di base, cosa che comunque io non ho detto perché, in ogni caso, questo dottore non avrebbe potuto fare niente per lei. Il suo fidanzato, dopo essere uscito dall'ospedale , ha messo al corrente il suo medico di quanto successo e gli ha portato tutti gli esami eseguiti.
Non ho mai specificato se gli ospedali in questione fossero pubblici o privati perché per il proseguimento della storia non aveva importanza.
Quindi, anche Mackenzie è andata nell'ambulatorio della pediatra, perché appunto ne ha una ed è per questo che Demi non l'ha portata subito in
ospedale.
Ci tenevo a precisare queste cose solo per spiegare un po' la situazione statunitense a riguardo e inserire ancora di più voi lettori nel contesto.
   
 
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