14. Josephine
Parigi, 24 marzo 1787
Cara Oscar,
Non ho ancora ricevuto tue notizie, né alcuna lettera da nostro padre. Comincio a preoccuparmi. Talvolta penso che possiate esservi incontrati e che debba essere successo qualcosa di terribile.
So che le lettere più velocemente di così non possono viaggiare, e che probabilmente le nostre si incroceranno (o almeno lo spero, vorrei davvero che tu mi avessi scritto), eppure mi piacerebbe sperare che tutto si stia risolvendo per il meglio.
Io qui conduco la mia solita vita, tra piccoli tè pomeridiani, alcune serate da ballo (anche se la stagione va verso la conclusione), e, ormai, anche alcune riunioni presso il Salotto di Madame Ligniville Helvétius. Contrariamente a quanto temessi, mi trovo bene, e ho smesso (perlomeno, ho quasi cessato, non ancora del tutto) di sentirmi una papera tra le aquile. Certo, mi rendo ancora perfettamente conto delle lacune culturali che mostro rispetto agli uomini e ad alcune delle donne presenti, eppure nessuno vuole metterle in evidenza. Anzi, se qualcosa non mi è chiaro, mi viene spiegato senza alcun atteggiamento di condiscendenza.
Tuttavia, la sensazione di inadeguatezza aleggia ancora sul mio animo e questo ha fatto sì che riprendessi in mano alcuni classici per rispolverarli, e (lo avresti mai detto) persino alcune letture proibite che nostro padre disapproverebbe in una maniera assoluta.
Monsieur Roucher sta pensando di tradurre un libro di un certo Adam Smith, La Richesse des Nations, e spesso me ne illustra alcune parti. Talvolta fatico a comprendere, ed occorre che passi attraverso esempi semplici, eppure sono affascinata da questa analisi del motivo per cui alcuni paesi stiano godendo di una recente e diffusa prosperità, come l’Inghilterra e l’Olanda.
Trascorro molto tempo, come ti dicevo nella lettera passata, con Monsieur Roucher. Si tratta di un lento avvicinamento, più che di un corteggiamento.
Parliamo, passeggiamo, beviamo un tè.
Il giorno successivo parliamo, passeggiamo, beviamo un tè.
E poi, ancora, parliamo, passeggiamo, beviamo un tè.
Ripetiamo i gesti con una quotidianità calma e pacifica. Quasi come due vecchi coniugi.
Eppure, non mi mancano gli assalti passionali, le grandi dichiarazioni sentimentali, la foga che richiede di esser contraccambiata sotto minaccia di togliersi la vita.
Per la prima volta, dopo molto tempo, sto bene con qualcuno, senza chiedere di più.
Monsieur Roucher mi ricorda molto le tazze di tè che beviamo insieme. Caldo, rasserenante, ristoratore, eppure rinvigorisce l’intelletto.
Chissà cosa penserai di queste mie parole. Che sono la solita, vuota ed egoista sorella. Quella che si infila in storie sentimentali senza alcun senno.
Probabilmente avresti ragione, ma è il solo modo che conosco per provare a riportare questa esistenza sul sentiero giusto.
Non ti chiedo consigli, attendo tue notizie e ti abbraccio forte.
Josephine de Liancourt.