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Autore: pierjc    21/04/2017    0 recensioni
Lorem Ipsum racconta una storia. Non come le altre. Un individuo che, in un giorno d'estate, s'imbatte in qualcosa di diverso dalla sua consuetudine. Egli intreccia la sua vita con quelle di altre persone del suo paese. Persone che hanno problemi di cuore, persone che, semplicemente, vorrebbero qualcuno con cui parlare. Il tutto amalgamato in un viaggio introspettivo nei pensieri profondi dell'autore. Non è un romanzo. Questa storia è semplicemente la descrizione di ciò che lo scrittore si è trovato ad osservare con un taccuino tra le mani. Perché non c'è nulla di più affascinante della realtà.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il lento procedere dell’individuo lo aveva quasi portato vicino casa, ne riusciva a vedere la struttura familiare.
Della sua anziana donna non aveva voluto conservare nemmeno una foto. L’unico modo di ricordarsi di qualcuno non era dare uno sguardo saltuario a qualche immagine impressa su una carta senz’anima. L’unico modo di portare veramente qualcuno sempre con sé è imprimerlo a fondo nella memoria. Cercare di ricordarne ogni minimo particolare, ogni singolo giorno. Così come con minuzia dei particolari un pittore dipinge un paesaggio, un ritratto, un’emozione. Si può dipingere un’emozione? O già l’atto di dipingere è esso stesso un’emozione?
 
Quando doni il tuo cuore a qualcuno, lo fai per sempre.
 
È a casa. È seduto sulla sua poltrona.
La gamba sinistra gli duole.
La colpa era solo sua. Quella bambina esigeva più d’un gelato adesso. Anzi, gli sembrava quasi che esigesse l’intera gelateria. L’individuo chiude lentamente gli occhi e intraprende il lungo viaggio, consuetudine dei suoi giorni.
Consuetudine di sempre.
Dapprima una diramazione di soffici capelli castani si materializza nella sua mente. Da essa prendono vita due cascate sincrone, speculari, ai due lati. L’individuo cercava di dipingere quel quadro con un’attenzione maniacale.
Al centro di quello scrosciare si intromette un volto. Senza fattezze. Di color salmone. Anzi no. Sorride l’individuo. Che colore bizzarro per un volto.
Prova a concentrarsi di più. Cerca di non perdere quell’abbozzo giunto alla sua mente. Ci riprova. Quel volto stavolta ha un colore più chiaro di prima. Più delicato. Come se, toccandolo, si avesse la sensazione di avere sotto i polpastrelli la cosa più dolce che potesse esistere in questo mondo. Un’amabile e vellutata pelle. Ed è proprio così. Pelle. Chiara pelle. Su di essa cominciano a prendere forma due gabbiani. Due gabbiani in volo. Forse no. Sarebbe più appropriato due corvi. Non è mai stato un appassionato di ornitologia. Ma adesso non importava. Quei due corvi dal piumaggio stranamente castano sono in volo, verso una meta lontana. Ognuno ne ha una propria.
La meta sono due pianeti scuri. Due pianeti rocciosi circondati da un mare immacolato. Due pianeti castani, anch’essi, come i corvi.
Il cuore dell’individuo comincia ad accelerare il battito. Il viaggio stava proseguendo bene. Fosse stato per lui avrebbe prenotato quanti più biglietti gli fosse possibile pur di intraprenderlo esattamente come era ora, più volte possibile. Ma sapeva fin troppo bene che proprio quel viaggio avrebbe cominciato ad avere degli intoppi in futuro. Non è il momento di pensarci, ora.
L’individuo si impone di tornare a quella tela.
Doveva tornare a quella tela.
Voleva tornare a quella tela.
Quei due occhi. Lo fissavano. Erano occhi felici. Ma, stranamente, quella felicità lo riempiva di tristezza. Era una felicità che non poteva più toccare.
Forse l’individuo doveva fermarsi. Evitare di farsi tutto quel male. Ma non ci riusciva. Come una droga.
Si impone di andare avanti.
Doveva andare avanti.
Voleva andare avanti.
Una delicata linea comincia a prendere vita su quel volto, poco al di sotto dei due pianeti. Un naso. Quel naso che adorava accarezzare. E che ora era tangibile solo in quel ritrovato ricordo. Poi, l’individuo, immagina il punto che vorrebbe tanto poter baciare un’ultima volta. Non ne era mai stato sazio, e mai ne sarebbe stato. Ma la vita lo aveva obbligato ad un digiuno eterno. Labbra. Rosee. Ah, quanto vorrei poterti baciare. Poterti toccare. Poterti guardare. Poter assaporare l’essenza della tua anima fusa con la mia.
A questo punto, consuetudine dei suoi giorni, l’individuo si ferma. E comincia a piangere. Nessuno può sentirlo. È un pianto silenzioso, colmo di dolore. È perfino più straziante di quella bambina ribelle. Questo perché quello non è un dolore fisico, al quale può cercare di opporsi con tutto sé stesso. Quello è un dolore interiore. Impossibile da debellare.
Solo il tempo. Quel tempo che molti maledicono ma che, quell’individuo, benedice giorno dopo giorno. Si piega a metà. Il dolore è troppo forte. Infine estrae un fazzoletto dalla sua tasca e si asciuga la tempesta di lacrime che ha inondato il suo viso. Consuetudine dei suoi giorni. Non dovrebbe.
Non vorrebbe.
Ma è infinitamente liberatorio.
   
 
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