DISCLAIMER: Nessun personaggio qui presentato mi appartiene; solo Yana Toboso può vantare un simile onore (sigh). Questa storia è stata scritta senza alcun scopo di lucro.
Quel Fiore, nel Buio
Alla cara
Flos Ignis,
che è
presente quando splende il Sole,
e ancor di
più quando cade la Pioggia.
✴
Bath.
Alla
fine era rimasto solo il silenzio.
Nessun
grido, nessuna invocazione; tutto, dai corpi immobili alle macchine
che avevano tolto loro il sangue e la vita, fino al chiarore che
penetrava dalle vetrate, giaceva avvolto nello stesso manto di pace
che tentava
di prendersi anche il suo respiro affannoso.
Violet non riusciva
a tenere gli
occhi aperti per più di qualche istante, il dolore al
braccio così
dilaniante da dargli l’impressione
di avere una lama ardente conficcata nelle carni;
ma al contrario delle lacrime che scendevano a bruciargli le guance,
i pensieri rimanevano incastrati nella mente, fondendosi con tutte
quelle parole che non aveva mai sentito la necessità di
pronunciare.
Per
lui avevano sempre parlato le dita, sapienti nell’intrappolare
le molteplici forme del Mondo secondo i giochi della sua
immaginazione, e quegli occhi che avevano celato più di
quanto si
potesse immaginare; la gente cercava di avvinghiarlo in lunghi
discorsi, ma le loro chiacchiere gli scivolavano sulla pelle con la
stessa velocità con cui lui faceva danzare il carboncino,
imprimendo
sul candore di un ennesimo foglio l’unica
realtà che gli interessasse.
Ma
lì, in quella
music hall
che nutriva nel ventre Inganno e Orrore – gemella
o figlia della
splendente Sphere –,
il silenzio non era una benedizione o una richiesta, bensì
una
condanna; e Violet desiderò di poter gridare fino a spezzare
i muri
e il suo stesso petto, mettendo così fine all’incubo
che teneva rinchiuso dentro sé, lontano il più
possibile da loro.
Redmond,
e la tua spensieratezza...
Greenhill,
e il tuo carisma...
Bluer,
e la tua determinazione...
Non
potevo permettervi di sprofondare nel buio come me. Perdonatemi.
“Per-perdona-temi”,
cercò ancora una volta di sussurrare, la coscienza che non
voleva
cedere all’oblio. Silenzio, troppo silenzio: a
quell’immobilità,
il giovane chiese perché la Morte fosse stata rapida nel
ghermire
coloro che lo circondavano, ma verso di lui avanzasse così
lentamente.
Solamente
la voce dei suoi pensieri gli rispose.
✴
Quando
i cancelli del Weston College si erano chiusi alle loro spalle,
separandoli da quelle mura e dai propri sogni, nessuno dei quattro
aveva potuto ignorare quell’ombra,
ben più nera della Notte, che avanzava famelica per
incontrarli e
ghermirli. Non sarebbe stato possibile fuggire da Lei, la Colpa;
allora erano rimasti ad attenderla, insieme e allo stesso tempo soli,
smarriti su un sentiero privo di ritorno.
Per
le tradizioni, le regole e l’onore del Weston avevano ucciso
senza
alcun tremito nelle mani, protetti dalla reciproca lealtà e
da un
traviato senso di giustizia; ma nonostante il sangue fosse stato
lavato via, era infine tornato a bagnarli, per poi consegnarli alle
mani della consapevolezza, un boia ancora più spietato della
loro
cruda azione. E allora, le menzogne erano crollate una dopo
l’altra... così come erano caduti loro.
Il
primo era stato Bluer: aveva aperto lui le porte alla disperazione, e
il suo pianto straziante, le stille cremisi che colavano dai graffi
sul volto erano ancora una visione nitida e bruciante.
Redmond
e Greenhill lo avevano seguito quasi subito; e se il primo aveva
perso ogni interesse in ciò che accadeva intorno a lui, come
se la
sua anima
fosse volata via e ciò nonostante il corpo avesse continuato
a
vivere, il secondo era caduto in uno stato di tale confusione che
nessuno avrebbe potuto riconoscervi il grande, fiero leone della
Green House.
Quanto
a lui... con l’eco
dei singhiozzi e di una triste cantilena a rimbombargli nella mente,
aveva afferrato il carboncino e chiuso gli occhi, per poi passare
giorni interi chino sull’inseparabile
blocco.
Non
aveva mai guardato quei disegni febbricitanti; le palpebre
ostinatamente serrate, una volta compreso di averli ultimati li aveva
strappati in mille pezzi, per poi accanirsi su un nuovo foglio.
Qualunque
immagine avesse macchiato la purezza della carta, solamente un nome
avrebbe potuto accompagnarla: Inferno, scaturito dalle loro stesse
mani per tormentarli ancor prima del giudizio finale.
Così
rinchiusi nel silenzio, costretti ad addormentarsi e svegliarsi nel
terrore di sprofondare ancora, sempre più in basso, perfino
i
ricordi dei lontani giorni di quiete erano sembrati quasi
un’invenzione;
e cosa ne sarebbe stato di quei quattro fantasmi quali erano
divenuti, se un mattino non diverso dai precedenti la figura di un
giovane non avesse portato un lieve chiarore nel buio?
Era
benevolo il volto, e così il sorriso; e la sua voce era
risuonata
fresca tra le mura nere in cui si erano rinchiusi, pulita come l’aria
dopo un fortunale.
A
stento, tuttavia, avevano capito le sue parole, e nemmeno un sussurro
aveva lasciato le loro bocche; ma lo sconosciuto non ne era rimasto
offeso, e sempre sorridendo aveva promesso di ritornare.
E
così aveva fatto.
Ora
dopo ora, settimana dopo settimana, Bravat – così
aveva rivelato
di chiamarsi – aveva demolito la loro reticenza con estrema
calma;
quindi
aveva aperto un varco nel guscio che si erano costruiti per
proteggersi, li aveva tirati fuori da esso con le sue sole forze e li
aveva aiutati a riemergere dall’abisso, a fronteggiare i
demoni.
Sembrava conoscere la loro storia, eppure mai un giudizio o un
commento era uscito dalla sua bocca.
“Ognuno
di noi commette degli errori; che siano gravi o lievi, questo
è
irrilevante. Ciò che vi chiedo è se davvero
volete vivere tra le
spire del Passato, soffocando nelle vostre crisalidi di dolore... o
se siete abbastanza coraggiosi da fissare il Futuro e tentare di
ricominciare. Che cosa farete?”
Quando
la domanda era stata posta, in un pomeriggio profumato d’estate,
i suoi compagni avevano risposto senza esitazione; ma lui aveva
atteso un istante. I suoi occhi si erano posati sul viso di Bluer,
illuminato d’attesa,
e poi su quello di Redmond e Greenhill, parimenti colmi di vita; nei
loro tratti aveva letto una nuova speranza, l’esigenza
di riscattarsi.
La
Vita era là fuori, in attesa, e se avessero avuto abbastanza
forza e
coraggio, forse non avrebbero più dovuto scappare: e
aiutandosi a
vicenda, avrebbero saputo camminare di nuovo senza paura.
Possiamo
di nuovo tornare a essere sereni... fare in modo che nessuno di noi
debba soffrire ancora; in verità non lo sappiamo ancora con
certezza,
ma
dobbiamo provare. Non abbiamo più niente da perdere.
Lo
aveva appena pensato, che tutti si erano voltati nella sua direzione.
“Violet...
non hai ancora parlato. C’è
qualcosa che non va?”,
aveva chiesto Bravat, dispiaciuto per il suo silenzio.
Lui
aveva scosso la testa, e un sorriso sincero gli aveva illuminato il
volto pallido. “Voglio camminare verso il Futuro”,
aveva
sussurrato.
L’altro
aveva sorriso a sua volta, guardando ognuno di loro per un lungo
attimo.“Bene... molto, molto bene! Ci sono tante persone che
aspettano solo di vedervi risplendere!”, aveva infine
esclamato, “e
fidatevi di me... lo farete superbamente.”
Non
c’era
luogo, a Londra, che potesse vantare una così assordante
allegria
come quello che dimorava negli ambienti della Sphere
Music Hall:
l’entusiasmo
ingioiellava i vestiti e la pelle dei suoi molti frequentatori, era
il profumo che intesseva l’aria con un sentore unico, unendo
le
persone al pari delle danze più sfrenate.
Perfino
lui, che non era mai stato noto per amare la grande folla e le feste,
non era potuto rimanere completamente immune a quel clima
particolare: nobili e popolani che parlavano gli uni con gli altri,
giovani e fanciulle che ballavano con vecchie e bambini, senza
nessuna distinzione od ostacolo tra questi e quelli, nemmeno il
disprezzo o l’invidia.
Dove mai avrebbe potuto avere luogo uno spettacolo simile?
“Sorridete”,
aveva sussurrato Bravat quando li aveva condotti lì,
sorridendo nel
vederli così stupiti, “e comportatevi il
più naturalmente
possibile. E parlate con tutti, mi raccomando!”
Un
vortice di colori li aveva avvolti, senza dare loro il tempo di
rispondere; tutto era accaduto troppo in fretta per ancorarsi
perfettamente nella memoria, ma le risate – le
loro risate
– che avevano accompagnato il divenire della notte, quelle
non le
avrebbero mai dimenticate.
Per
la prima volta dopo innumerevole tempo si erano guardati negli occhi,
lasciando da parte il timore: perché il secondo errore che
avevano
compiuto, dopo quel turpe assassinio,
era stato credere di non poter affrontare il rimorso e porre rimedio
alle loro azioni, perdonando in primo luogo sé stessi. Non
sarebbe
stato semplice, né immediato; ma questo non avrebbe dovuto
significare una rinuncia completa.
“Eravamo
intossicati dalle regole del College, immaturi e ciechi”,
aveva
esordito Greenhill dopo un lungo istante di grave silenzio,
“ma
credo che sia ora di smetterla di essere vili, e affrontare la
realtà”, e a quelle parole Bluer aveva annuito.
“Bravat ci ha
offerto un’altra
possibilità, e sarebbe
vergognoso se non dovessimo coglierla.”
“Se
la pensiamo così, significa che in parte abbiamo
già vinto. E
nonostante la tempesta, siamo ancora insieme”, aveva concluso
lui.
Edmond li aveva stretti tutti in un abbraccio, per poi sorridere.
“Senti senti che belle parole ci riserva il nostro
artista”,
aveva mormorato; si era bloccato per un istante, e infine aveva
rivolto a Bluer e Greenhill uno
sguardo d’intesa e un sorriso ancora più ampio:
“Dato che è sempre un’occasione
speciale
sentire la sua voce... dite che è così
impossibile riuscire a farlo
cantare?”
L’improvviso
cambio di argomento aveva scatenato un riso sommesso in entrambi,
rilassandoli, e un brivido d’orrore in lui.
“Hmm...
sicuramente sarebbe più arduo convincerlo a
ballare.”
“Mettitelo
in testa, Bluer... io non ballerò mai e poi ma...”
“Che
bisogno c’è
di convincerlo, se basta
trascinarlo?”
Le
mani forti di Greenhill lo avevano afferrato ancor prima che potesse
fuggire e lo avevano trascinato nella folla; e a nulla erano valse le
sue proteste disperate, subito soffocate dal ritmo dei volteggi che
l’amico
gli aveva fatto subire e dalle sfrenate risate degli altri. In quel
momento, con la stessa forza di quelle giravolte, la trama sporca
della loro sorte aveva iniziato a essere sanata: lo avevano creduto,
sperato, sentito... e
in tale convinzione era già stata predisposta la trappola.
Nemmeno
la grande intelligenza di Bluer sarebbe mai riuscita a scorgere il
veleno nascosto sotto le parole di miele[1]
di
Bravat, che non aveva fatto altro che allontanarli dalla
Verità mano
a mano che venivano preparati al loro nuovo compito –
intrattenere
il pubblico della music
hall.
Inizialmente,
quando l’indovino aveva esposto i suoi progetti, ogni
pensiero
era stato occupato da continue domande: perché loro?
Avevano
sempre seguito strade e obbiettivi che a stento si conciliavano con
lo sfrenato divertimento e lo spettacolo… come avrebbero
potuto
portare a termine quello che era stato loro chiesto?
In
che modo ciò li avrebbe potuti riguardare?
Erano
bastati pochi istanti per scoprirlo, la prima volta che erano apparsi
sul palcoscenico della Sphere:
la visione dell’espressione piacevolmente colpita della
folla,
nonché della vibrante euforia che la loro voce aveva presto
scatenato in essa, erano state una risposta adeguata ai loro dubbi,
forte e tonante come la realizzazione che ne era seguita.
No,
non era stato niente di straordinario o impressionante quello che
avevano fatto: ma in cambio avevano avuto sorrisi e risate sincere,
ed era stato buon umore e serenità ciò che
avevano ispirato.
Tutta
quella gente, quotidianamente provata dalle prove della vita, da
pensieri e malinconie, tra quelle mura e grazie a qualche spettacolo
avrebbe potuto liberarsi dagli affanni e dimenticare problemi,
rabbie, tristezze, solitudine; e parimenti loro, che avevano creduto
di poter portare solo Morte, grazie alla felicità avrebbero
ripreso
a camminare nella luce.
Ecco
perché erano stati scelti: era un’occasione per
salvarsi e
salvare, per riprendersi e ridare la speranza, un viaggio che non
avrebbe privato di nulla ma curato ogni ferita...
… Questo
avevano creduto.
“Ritornate
a splendere!”, era stato il continuo incitamento di Bravat; e
lo
avevano seguito così bene da non permettere a nessuno di
poter
distinguere il sibilo dell’inganno dalla melodia che incitava
al
ballo.
Non
la fama e la notorietà presto conseguita li avevano bendati
e legati
al giogo della menzogna, bensì – finalmente
riusciva a vederlo con chiarezza
– la riconoscenza propria di coloro che vengono salvati; e
questa
era stata così forte da farli cadere nelle mani dell’indovino,
per essere mossi a suo piacimento come marionette e pedine, oggetti
più o meno preziosi da schierare su una scacchiera di Ombre.
Avevano
ripreso a sorridere, a non aver paura di condividere alcun pensiero e
paura; ma il chiarore in cui si erano crogiolati era un baluginare di
zanne pronte a dilaniarli appena la loro utilità
fosse terminata.
E
tuttavia... tuttavia, i giochi avevano deciso che uno di loro avrebbe
dovuto liberarsi dalla tela di ragno in cui erano stati avvinghiati,
così da poter fissare il volto della mostruosità.
Ed
era
vivido, chiaro tra i suoi ricordi quel pomeriggio apparentemente
normale, così come risultava ancora nitida la voce di Bravat
che,
alla fine dell’ennesima
lezione,
lo chiamava in disparte dai compagni. “Mi dispiace che debba
succedere ora, dopo tutte queste prove”, gli aveva sussurrato
l’indovino,
“ma
c’è
qualcuno che vuole vederti. Ti
vuole conoscere da tempo... te la senti di esaudire il suo desiderio
adesso?”
Lui
aveva annuito, senza sapere cosa rispondere,
e sforzandosi di nascondere la stanchezza aveva seguito il giovane
fino alle porte stellate, gli accessi che conducevano alla sala dove
avvenivano gli eventi speciali. Le avevano superate, ma con sua
sorpresa Bravat non si era fermato; bensì aveva raggiunto
una
seconda porta, situata al lato opposto dell’ambiente, e
l’aveva
aperta solo dopo essersi accertato che lui lo stesse seguendo.
Il
lungo corridoio che era apparso ai loro occhi spariva completamente
nel buio, privando della possibilità di scorgere
alcunché; lui si
era fermato dopo pochi passi, restio a proseguire, ma Bravat gli
aveva stretto il polso con decisione. “Vieni”,
aveva detto con il
tono di un ordine, quasi trascinandolo avanti, per poi bloccarsi
improvvisamente e sorridere. “Maestro
Sirius… il ragazzo è qui”, aveva
tintinnato la sua voce, e il
Nulla che stava loro innanzi era stato scosso da un movimento.
“...
Quindi è lui.”
“Esattamente.
Il più prezioso.”
“Molto
bene. Come ti chiami, fanciullo?”
“ Gre-Gregory
Violet... signore.” Un’esitazione,
solamente un tremito della lingua per rivelare il timore che lo aveva
colto quando la voce dello sconosciuto era risuonata intorno. Ed era
stata solo una sua sensazione, o il corridoio era veramente immerso
nel gelo?
“Violet.
È un bel nome... suona così bene in mezzo a
queste tenebre.”
Per
un solo istante aveva intravisto il bagliore di un sorriso; poi, una
mano aveva infranto l’oscurità,
tendendosi
verso di lui, e una morsa d’acciaio
lo aveva ghermito e spinto su qualcosa di morbido. Ancor prima che
potesse gridare il corpo era stato immobilizzato, aumentando il suo
terrore.
Che
cosa sta accadendo?
“Rimani
in silenzio; tutto finirà presto, se obbedirai. E tu sei un
bravo
ragazzo, vero?”, aveva sentito sussurrargli la voce di Bravat
prima
che il suo braccio sinistro fosse morso da un dolore violento e
intenso, che come fumo gli aveva poi invaso la testa e la gola.
“Calma,
calma. Va tutto bene.”
Le mani dell’indovino erano scivolate sulla sua fronte,
asciugandogli il sudore copioso, poi si erano fermate sul volto. “Non
agitarti o sarà peggio. Rilassati...”
Aveva
smesso di mugolare solo quando i suoi occhi avevano incontrato lo
sguardo dell’altro:
perché in quelle iridi chiare aveva letto totale assenza di
pietà,
quasi disprezzo per la sua sofferenza, e qualcosa di simile al
compiacimento del cacciatore che ha appena preso al laccio una preda.
E
non era riuscito a comprendere perché.
Perché quella tortura?
Che
cosa aveva fatto per dover subire quella sofferenza, per quale
motivo?
A
chi avrebbe giovato?
“Ferma-tevi,
vi prego”, aveva implorato, le parole mozzate dai battiti
impazziti
del cuore; era passato ancora qualche istante, quindi il dolore si
era acuito e lui aveva sentito gli occhi diventare pesanti, il corpo
separarsi dalla mente e cadere in un baratro nero e freddo, una
prigione di ghiaccio...
solo
per riaprire gli occhi molto tempo dopo, libero dalle misteriose
catene ma tremante, la gola che cercava di ingoiare quanta
più aria
possibile.
Bravat
torreggiava su di lui, le braccia conserte e lo sguardo quasi
divertito. “Sei rimasto svenuto per molto. Quel piccolo ago
ti ha
fatto così male?” aveva esordito, e ancor prima di
ascoltare la
risposta
gli aveva posato una mano sui capelli, per poi abbassare il volto sul
suo. “La
prossima volta
soffrirai di meno”, aveva soffiato nel suo orecchio,
“o almeno...
lo spero per te. E spero anche che tu rimanga un ragazzo tranquillo e
silenzioso... sarebbe molto spiacevole
il contrario.”
Da quel momento, mentre aveva
fissato Bravat andarsene senza fretta lasciandolo lì da
solo, la
nebbia davanti agli occhi aveva iniziato a dipanarsi, permettendogli
di posare la prima tessera del mosaico che avrebbe rotto l’illusione
in cui si era cullato.
E
quella non era stata che la prima volta... la meno dolorosa.
✴
Nutrito
dai
suoi ricordi, finalmente sazio di torturarlo, all’improvviso
il
dolore scemò e
scomparve.
Violet
aprì e chiuse gli occhi respirando con forza, la vista che
diventava
via via più nitida e la testa leggera,
come svuotata.
Pensi
che sia finita, vero? Che questo sia la calma che precede l’avvento
del Nulla. Ma sei veramente sicuro che tu possa andartene in pace,
senza prima aver rivelato loro la verità? Il silenzio che
hai
protetto fino ad ora sarà la tua condanna e il tuo rimorso.
Il
giovane accennò un sorriso, mentre quella
voce dentro di sé – forse quella della sua anima,
forse della sua
coscienza – non accennava a tacere.
Perché
non hai mai confidato a nessuno quello che ti facevano?
Perché
non hai condiviso questa pena con i tuoi amici? Forse ora non ti
troveresti a patteggiare
con la Morte, cercando
di rubarle più tempo possibile perché tu possa
perderti ancora nei
tuoi pensieri.
È
vero, l’incubo è cessato: quel ragazzino, Ciel, ha
portato alla
luce la verità, e ormai tutti sanno quello che è
accaduto.
Ma
anche loro lo hanno scoperto; e stanno soffrendo, proprio quello che
tu non volevi che
accadesse. Le tue azioni hanno perso ogni senso.
Violet
sospirò. “Non avrebbero potuto sopportare di
scoprire che la Morte
ci tiene stretti a sé e che, in un modo o nell’altro,
ci seguirà sempre.
La
nostra sorte è stata decisa nel sangue di Derrick, e da
allora si è
mutata in un circolo senza inizio né fine, destinata a
ripetersi
uguale a sé stessa e ad essere mossa da mani altrui.
Perché
avremmo dovuto addossarci tutti e quattro il peso di questa
consapevolezza e farci divorare di nuovo dalla disperazione, quando
la sofferenza di uno solo di noi avrebbe permesso agli altri di
vivere sereni?
E...
e non avrei mai permesso che si rattristassero per me...
perché
quando loro sorridevano, lo facevo anche io.”
E
quindi sei diventato parte della menzogna per non privarli della
luce?
Come
se tu avessi potuto resistere per sempre... i
loro sorrisi non avrebbero mai curato del tutto le tue ferite, le
avrebbero solo pulite.
“Mi
sarebbe bastato.”
Ma
chi avrebbe salvato te, Gregory? Chi mai
protegge
i protettori?
Te
l’ho
detto: il tuo sacrificio è
stato vano,
siete ormai perduti, come tu stesso hai riconosciuto. Volevi fare
l’eroe, e invece morirai da stupido.
“Ma
gli hai visti anche tu... così felici, così
lontani dal
male...”
Ma
anche tu avresti meritato di vivere
sereno.
Non avevate pagato già abbastanza? Nessun errore dovrebbe
mai
distruggere il Futuro...
“Potrei
anche sbagliarmi, comunque; se trovassero la forza per superare anche
questo...”
Tu
non sarai comunque con loro.
“Questo era il prezzo, fin dall’inizio. L’ho
sempre saputo.”
La
voce tacque, senza più disturbarlo; e il giovane
poté assaporare di
nuovo la pace, rivolgendo lo sguardo ai raggi dorati che vincevano le
nubi e penetravano dalle vetrate, illuminandolo. Non aveva mai amato
il Sole e la sua luce accecante, eppure in quell’istante
chiuse gli occhi e si beò del suo calore, ringraziandolo per
la sua
esistenza.
Nessun
addio, amici miei. Non vi saluterò perché, chi lo
sa... magari non
è davvero finita.
L’oblio
lo colse con dolcezza, facendolo cadere in un riposo tranquillo.
Il
silenzio lo vegliò, abbracciandolo e proteggendolo...
… in
attesa che giungesse chi
potesse risvegliarlo, e salvarlo da quelle stesse tenebre da cui, per
un lungo istante, aveva a sua volta salvato.
✴
NOTE
[1]
È così che nell’Odissea
viene definito il canto dolcissimo delle Sirene, capace di incantare
i naviganti e spingerli alla morte. Riferito a Bravat, si ricollega
alla sua opera ingannatrice, celata appunto dalla benevolenza e
affabilità con cui ammalia la gente.
ANGOLO
DI
QUELLA SCLERATA
DELL’AUTRICE
A
tutti voi che avete letto la storiella, grazie per aver condiviso con
me le parole che da qualche giorno ronzavano nella mia testa
incessantemente, e non c’era modo di metterle a tacere... se
non
permettendo loro di ancorarsi a un foglio di Word e volare tra le
braccia di qualcun altro.
La
mia passione
per i personaggi secondari di ogni opera possibile immaginabile si
è
sfogata, questa volta, sul mio quartetto preferito, e in particolare
su Gregory Violet, il geniale artista dagli occhioni viola; gli
ultimi capitoli hanno dato una notevole spinta alle mie malsane idee
(oltre ad avermi incrementato l’ansia, già cronica
di suo).
Inizialmente
doveva essere più corta, ma... ma siamo giunti a una one shot.
L’ennesima dimostrazione che io con le flash
fic non posso proprio andarci d’accordo.
Eeee ce ne faremo una
ragione.
Detto
questo... se volete lasciare un parere, se avete delle domande o
perplessità, oppure desiderate fare due chiacchiere farcite
di sano
fangirling, sono qui.
Alla
prossima,
Manto
:)