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Autore: A_Typing_Heart    22/04/2017    1 recensioni
Tsunayoshi, Hayato e Mukuro sono tre persone del tutto diverse. Uno impacciato nella sua stessa vita, un altro un piccolo genio stordito dalla perdita di una persona cara, l'altro convinto di avere tutto quello che è desiderabile dall'esistenza; eppure senza saperlo sono tutti spinti sull'orlo del baratro dallo stesso demone chiamato Dipendenza. In un solo giorno il destino li pone di fronte a una scelta: esorcizzare il mostro o morire.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Byakuran, Enma Kozato, Hayato Gokudera, Mukuro Rokudo, Tsunayoshi Sawada
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Mukuro raggiunse uno degli angoli più isolati del cortile del centro di disintossicazione, una zona di prato con piccole aiuole di ciclamini e un imponente mandorlo. Non fu del tutto sorpreso di trovarci Gokudera, sdraiato sull'erba all'ombra dell'albero. Teneva gli occhi chiusi e la testa appoggiata sulle braccia, con il vento che gli scompigliava leggermente i capelli chiari.
Mukuro sorrise e si avvicinò, sedendo sul prato accanto a lui.
-Sei venuto veramente.-
-Non dovevo?- rispose lui, senza aprire gli occhi.
-Non ero così sicuro che ti andasse di parlare da soli in disparte.-
-Mi andava.- disse Gokudera. -Francamente, Sawada che ci fissa di continuo comincia a darmi fastidio... e non mi è chiaro nemmeno perchè ci guarda in quel modo.-
Hayato aprì gli occhi e lo guardò con aria apprensiva.
-Ci ha visto?-
-Tsunayoshi? Non credo.- disse Mukuro. -Quando sei andato via tu stava stendendo i panni e non si è girato, ne sono sicuro... quando sono andato via io c'era un ragazzo coi capelli rossi con lui... sembrava non avere occhi per nient'altro, quindi non credo ci abbia visto andar via.-
-Meglio, non voglio ritrovarmelo sempre intorno a guardarmi come se si aspettasse di vedermi tirare fuori uno spinello dalla tasca alla minima distrazione.-
Mukuro non potè trattenersi dal ridere.
-Non credo che sia questo il motivo per cui ti guarda, Gokudera.-
-E allora quale?-
-È geloso.- disse Mukuro con semplicità, sorridendo. -È geloso che tu parli con me e che scherziamo anche se Elena ci dice di darci un taglio... si sente solo e vorrebbe sentirsi più coinvolto... parte del gruppo. Si chiede probabilmente perchè socializzi con me se ti ero antipatico e non con lui, che è più tranquillo.-
-Io non socializzo, faccio stronzate per passare il tempo.-
-Parafrasando...- rise lui.
Gokudera lo guardò di nuovo con occhi verdi che sembravano brillare nel riverbero della luce e Mukuro non riuscì a evitare di pensare che erano davvero belli.
-Sei bravo a capire le persone, tu.-
-Sono bravo a capire Tsunayoshi, questo sì.- lo corresse lui. -Non mi riesce con tutti... non riesco assolutamente a capire quel poliziotto matto, e nemmeno te, Gokudera Hayato.-
-Non mi aspettavo che mi capissi. Io sono un casino persino per me stesso, e io sono un genio.-
-Modesto, soprattutto...-
Mukuro si sdraiò sul fianco poggiando la testa sull'addome di Gokudera e ne avvertì i gorgoglii sommessi. Gli venne da ridere, ma si trattenne; non voleva dirgli che sembrava avere dei leoni in lotta territoriale nella pancia.
-Ehi, mi devo preoccupare?- fece Gokudera in tono meno leggero di poco prima.
-Di cosa?-
-Di te, là sotto.-
-Non voglio appoggiare la testa sull'erba, non sopporto le formiche.- disse Mukuro seccamente. -Se mi sento una formica sulla testa poi devo farmi una doccia, e ci vuole un sacco di tempo per lavarmi e pettinarmi i capelli.-
A quanto pareva Gokudera non aveva nulla da eccepire a quella spiegazione, perchè non replicò e non protestò oltre per la sua scelta di posizione. Qualche istante dopo, Mukuro sentì delle dita delicate sfiorargli i capelli sulla testa.
-Hai dei bei capelli.-
Mukuro voltò leggermente la testa e vide che Hayato era assorto a guardare le punte della sua chioma corvina e ad arrotolarsele intorno alle dita con aria critica, come fosse un sommelier intento a valutare le qualità di un vino pregiato. E dava l'impressione che quel vino gli piacesse...
-È per il tuo lavoro che li tieni così?-
-Sì... insomma, io... ho smesso di tagliarli quando si sono separati i miei genitori.-
Hayato lo guardò con gli occhi che brillavano come quelli di un gatto. Mukuro sperò che non chiedesse altro, il solo nominare i suoi lo faceva sentire male e si era subito pentito di aver tirato fuori l'argomento.
-Continua.- gli disse invece Hayato.
Seppur riluttante a rispondere, Mukuro prese un profondo respiro. Forse era arrivato il momento di affrontare i fantasmi del suo passato, e se doveva essere, preferiva di gran lunga parlare con Gokudera piuttosto che con un terapeuta che sembrava sapere sempre già tutto...
-Quando... quando ero in prima media, i miei mi hanno mandato in una scuola prestigiosa... erano quel tipo di persone, che vogliono che il loro figlio sia... perfetto... mia madre mi tagliava i capelli con una frequenza quasi maniacale, usava il righello per essere sicura di tagliarli sempre uguali... e mio padre, invece, controllava tutti i risultati dei miei esami, era più spesso a scuola dai miei insegnanti che a casa con me.-
Se ad Hayato erano venute in mente battutine, o se avesse avuto qualche commento sgradevole da fare, decise di tenerli per sé, perchè non disse niente e continuò ad ascoltare con attenzione. Qualcuno che voleva raccontare la sua storia non avrebbe desiderato pubblico migliore.
-Poi... successe qualcosa, durante le vacanze estive... sono stato alla scuola estiva al mare, e quando sono tornato i miei genitori erano diversi.-
Mukuro guardò gli alberi mossi dal vento e si perse nei viali della memoria. Avrebbe voluto spiegarsi meglio, ma come poteva far capire a Gokudera che i suoi genitori erano cambiati in un modo che solo un figlio avrebbe percepito? Che il modo di parlare di sua madre era diverso, che suo padre sedeva più rigido quando cenavano a casa... che non si guardavano più negli occhi... come poterlo raccontare?
-Mia madre... era perennemente... distratta... mio padre quando era a casa trovava sempre qualcosa da criticare, che fosse la cena troppo salata, o la polvere sul cuscino, o anche solo che mia madre non dormiva e sembrava stanca...-
-Hai mai saputo che cosa era successo?-
Mukuro scosse la testa.
-Non me lo hanno mai detto... ma quando ho finito il primo anno, i miei si sono separati in casa... dormivano in stanze diverse, mangiavano in momenti diversi e non si rivolgevano la parola... poi un mattino, mentre mangiavo prima di andare a scuola, mio padre abbassò il giornale e mi sgridò perchè avevo i capelli troppo lunghi... credo fosse... la prima cosa che mi diceva dopo settimane di silenzio...-
-E tua madre non te li tagliava più per fargli un dispetto, o che cosa?-
-Se ne era dimenticata.- ribattè Mukuro, con una freddezza non rivolta a lui. -Non mi guardava mai, quindi non lo ha mai notato... poi, quando ha sentito mio padre urlare per questo, ha deciso di tagliarmeli di nuovo, ma io mi sono rifiutato.-
-E da allora non li tagli?-
-Quel giorno sono come impazzito... e ho urlato ai miei che non mi sarei tagliato i capelli finchè non si fossero parlati di nuovo, che era una famiglia assurda... sono scappato di casa quella sera e sono andato da un mio compagno di scuola, Kyoya... sono rimasto da lui per una settimana prima di decidere di tornare a casa...-
-Ma i tuoi non sono mai tornati insieme, vero?-
-No, non sono tornati insieme e non si parlavano... e da quella volta, ogni volta che si insultavano, parlavano di me dicendo "tuo figlio", come se non fossi più una cosa loro, come se volessero scaricarsela addosso uno con l'altro.- proseguì Mukuro, con un senso di malessere diffuso nel petto. -E sembrava che l'unica cosa che li tenesse ancora in contatto fosse il parlare di me... e io ho fatto tutto il peggio che potevo perchè parlassero di me, anche quando sono arrivati a pensare di spedirmi in un collegio non mi sono fermato... credevo che avrei potuto ricucire lo strappo tra di loro facendo così... ma poi...-
Mukuro si fermò un momento. Aveva un nodo in gola, sentiva che gli occhi gli si stavano riempiendo di lacrime. Se li nascose con il braccio, tentando con tutte le sue forze di trattenersi, non voleva piangere come un bambino...
-Va tutto bene.- disse Hayato, in un tono dolce che non gli riconosceva. -Devi piangere. Devi buttarle fuori quelle lacrime. Sono come la cacca, se la trattieni poi rilascia le scorie e ti intossica.-
Mukuro scoppiò a ridere per quell'assurdo paragone, ma gli uscirono dei singulti decisamente distorti e insieme a quelli anche delle copiose lacrime bollenti. Anche all'epoca, quando i fatti erano in corso, ricordava di aver pianto soltanto una volta, a casa di Kyoya durante la sua fuga da casa...
Restò così qualche minuto, ma Gokudera attese pazientemente finchè i mezzi singhiozzi e le lacrime non gli diedero tregua abbastanza da poter di nuovo parlare e riprendere da dove si era interrotto. La parte peggiore, quella che faceva più male, quella che Byakuran aveva intuito così bene...
-Insomma... insomma, dopo che anche quella minaccia... del collegio... non aveva cambiato niente, loro hanno... semplicemente smesso di provare...- riprese Mukuro, con voce stentata. -Hanno smesso di andare dagli insegnanti quando li chiamavano per qualcosa che avevo combinato... hanno smesso di sgridarmi per i miei voti, per i miei vestiti... non c'era più niente che li turbasse, nemmeno gli orecchini, o il piercing che mi sono fatto da solo nella lingua... assolutamente... niente...-
-Ti sei fatto un piercing da solo nella lingua?-
-Sì... un male dell'inferno, porca miseria... ma poi l'ho tolto subito, a me dava fastidio e ai miei non importava niente che lo avessi o no...-
-Tu sei proprio matto.-
-Lo ero, sì... dopo che avevo fallito con quello, sono andato da un mio professore e gli ho chiesto davanti a tutta la classe se poteva darmi un bel voto in matematica perchè mio padre non mi parlava più.-
-E lui?-
-Mi disse che se studiavo me l'avrebbe dato sicuramente, e io gli ho chiesto se poteva darmi un voto a un compito in bianco se glielo succhiavo.-
Gokudera restò interdetto per un momento, poi scoppiò a ridere a crepapelle.
-Ma che cosa... ma sei veramente pazzo! Davanti a tutta la classe, tra l'altro!-
-L'ho fatto apposta.- precisò Mukuro. -Non volevo che mi dicesse di sì, volevo che lo andasse a dire a mio padre.-
-Beh, l'avrà fatto di sicuro, no? Che cosa ha detto?-
-Mio padre ha detto che mi avrebbe ritirato da scuola e si è scusato con il professore... mi ha ritirato il giorno dopo e mi ha iscritto alla scuola più malfamata che ci fosse... è tornato a casa la sera con i miei libri di seconda mano, l'uniforme della nuova scuola e mi ha detto che lì mi potevo divertire e fare quello che volevo senza metterlo in imbarazzo.-
-Porca vacca, l'ha presa proprio male, eh?-
-Se ne è andato di casa dopo due settimane, senza nemmeno salutarmi... io... non lo vedo da allora.-
-Ma stai scherzando? L'ultima volta che hai visto tuo padre è quando ti ha scaricato in una scuola malfamata?-
-Sì, è l'ultima volta che l'ho visto... e io ho cominciato a fare quello che mi pareva, i miei si erano separati del tutto, mia madre andava via di casa per giorni e giorni, da amiche o dalla zia a Sapporo, e potevo mangiare quello che volevo, tornare anche a notte tarda... è stato in terza media che ho iniziato a frequentare i rave e a provare le droghe... mi dava sollievo non ricordare mio padre, o non pensare a cosa raccontava mia madre agli altri di me, o che bugie inventasse per nascondere che mi abbandonava da solo senza controllo...-
-Non mi stupisce che tu te ne sia andato di casa dopo il liceo e ti sia messo a fare un simile lavoro.- osservò Gokudera. -Sei cresciuto senza regole, non saresti riuscito a sottostare alle regole di un posto di lavoro normale... e dovevi anche mantenere dei vizi costosi, non potevi fare il fattorino...-
-L'uniforme della mia scuola non mi piaceva... volevo disperatamente un lavoro in cui potevo decidere di vestirmi come volevo... ho incontrato Isabella in un bar, Isabella è una drag queen che lavorava al Quarto di Luna... parlava dei miei capelli, della mia pelle... è stata lei a mettermi quest'idea in testa... e alla fine, mi ha preso... era quello che volevo fare... scegliermi i costumi... potevo cantare, potevo ballare... potevo avere le attenzioni di chiunque, lavorare quando volevo e guadagnare tanto... potevo dimenticare di essere stato Rokudo Mukuro... di essere stato un fallimento come figlio...-
-Non sei mai stato un fallimento come figlio.-
Mukuro sentì Gokudera muoversi e lo vide sollevarsi seduto, guardandolo con aria di rimprovero.
-Tu non hai fallito in niente... i tuoi genitori hanno fallito come genitori. Se un matrimonio finisce, i figli restano di entrambi, e io ne so qualcosa.- fece Hayato, molto serio. -Mia madre mi ha cresciuto da sola perchè mio padre l'ha lasciata per sposare un'altra donna... ha deciso di uscire dalla mia vita, ma ha sempre dato dei soldi a mia madre per me, mi ha telefonato ogni anno per il mio compleanno, e chiamava mia madre per sapere come andavo a scuola, e non si è mai fatto sentire per lamentarsi di me. I tuoi non dovevano darti la colpa di quello che andava male nella loro vita. Avrebbero dovuto fare di più per te, per non farti pesare la loro separazione. Loro hanno fallito, e le conseguenze le hai pagate tu.-
Mukuro non sapeva cosa dire, perchè mai nessuno nella sua vita aveva sentito quella storia e quindi non aveva mai sentito il parere di qualcuno diverso da se stesso. E lui tendeva ad addossarsi la colpa di qualsiasi cosa. Ogni risposta data ai suoi era sbagliata, ogni atteggiamento era esagerato, ogni remissione era debolezza, qualsiasi cosa nel suo passato gli sembrava un mastodontico errore... non aveva mai avuto nessuno che gli dicesse che non aveva sbagliato, che erano stati errori di qualcun altro a ripercuotersi sulla sua vita...
Si alzò di scatto dalle gambe di Hayato e sedette sull'erba dandogli la schiena, anche se sapeva benissimo che i singhiozzi che tratteneva erano ben visibili dai movimenti inconsulti delle spalle. Ma in quel momento tutti i sentimenti repressi da anni stavano distruggendo le barricate, volevano uscire tutti insieme, volevano lasciarlo per sempre, e non aveva né la forza né la volontà per fermarli.
In quel momento, in quel giardino, si ricordò di una favola in cui un drago vomitava una maledizione che lo aveva colpito, sotto forma di melma scura. Si sentiva come quel drago... aveva vomitato tutto il veleno che teneva dentro da tanti anni.
   
 
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