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Autore: Lanonimoscrittore93    22/04/2017    0 recensioni
Questa storia parla di un ragazzo transessuale alla quale restano pochi mesi di vita. Tutto questo non lo sa nessuno, solo il suo medico di fiducia e suo padre. Proviene da una famiglia molto ricca, fondatrice di una scuola prestigiosa e ambita da tutti. Un giorno un incontro le travolgerà l'esistenza. Cosa accadrà?
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai, Yuri, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: Gender Bender, Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Due settimane erano passate e di lui nessuna notizia. Non era più venuto a scuola o entrato di nascosto nella mia stanza dalla finestra. Era come se non fosse mai esistito. Mi mancava. Sapevo che era arrabbiato, ma anch'io lo ero, eccome se lo ero. Mi aveva tenuto nascosto che gli restavano pochi mesi di vita, come aveva potuto? Gli potevo perdonare il fatto di avermi nascosto che in realtà fosse una ragazza, dopotutto non tutti riescono a capire, anche se, credevo che si fidasse di me e che avesse una migliore considerazione di me.
Dopo che ero uscita da quella grande villa, andai alla ricerca dell'autista di Sam, sapevo che lui mi avrebbe dato un passaggio, così fece. A malincuore andai da papà, non volevo stare con mamma, così rimasi con lui per qualche giorno ma la permanenza con quell'oca era fin troppo insopportabile per me, così alla fine tornai a casa. Le volte che mamma era a casa voleva parlare con me ma io non volevo, ce l'avevo troppo con lei, non avrebbe dovuto fare quello che aveva fatto, che ci aveva fatto.
Ancora non potevo credere che Sam fosse il figlio del preside, adesso si spiegavano molte cose; come si fosse procurato la mia taglia per le divise, il perché fosse sempre promosso e del perché i professori gli facessero fare tutto quello che voleva. Tutto aveva un senso adesso, lui era il padrone della scuola.
Queste due settimane erano state strazianti per me, non solo perché mi mancava terribilmente Sam ma anche per la situazione a scuola. Quella ragazza, notando l'assenza di Sam, era tornata all'attacco, lei e la sua combriccola per la precisione. Mi davano il tormento di continuo, mi umiliavano davanti a tutti e nessuno faceva nulla. Nessuno veniva a salvarmi.
Quando tornai a casa in autobus, trovai mamma. Cosa ci faceva a casa, non doveva essere in ospedale? Decisi di ignorarla e salire in camera mia per cambiarmi. Quando scesi la trovai nello stesso punto dove l'avevo lasciata prima, sempre seduta sul divano con le braccia conserte in attesa di qualcosa da me. Cosa voleva?
"Se devi dirmi qualcosa è fatica sprecata, sappilo".
"Usciamo". Cosa? Era convinta che volessi uscire con lei? Era fuori di testa se pensava questo, dopo quello che mi aveva fatto poi.
"No", sbottai.
Si alzò dal divano lanciandomi un'occhiata furente ma sostenni il suo sguardo. "Tu esci invece!".

Fui trascinata a forza nel parco dalla mia cosiddetta madre, per fare cosa, un picnic. Patetico e stupido. Fuori si gelava e il ciele era grigio come il mio umore, non poteva andare peggio di così. La cosa strana era che non si era portata nulla per fare il suo stupidissimo picnic. Arrivati al parco, mi prese per un braccio trascinandomi con sé, nel caso tentassi una fuga, sfortuna voleva che mi sarei dispersa se fossi fuggita a gambe levate. Mentre camminavamo mi accorsi che ci stavamo avvicinando a due persone sedute su una coperta. Da lontano potevo vedere che erano un uomo e l'altro credevo fosse un ragazzo, non sapevo dirlo con certezza perché era con il capo chino sulle ginocchia e il cappuccio tirato sulla testa. Non so il perché ma avevo una strana sensazione. No, non poteva essere... Erano il preside e Sam.
"Mamma... non puoi farmi questo".
"Sì, che posso".
"No, invece". La guardai allarmata.
"Sì, io e Richard dobbiamo rimediare". Aveva uno sguardo serio. Quando ci avvicinamo ai due, il signor Edwards ci salutò con tono gentile, invece Sam non fece una piega. Chissà, forse dormiva.
"Scusa il ritardo, Richard". Che voce civettuola che hai mamma.
"Non c'è problema, siamo arrivati da poco".
Ci accomodammo e calò il silenzio. Stare in sua presenza mi suscitava più emozioni che si contrastavano. Primo: mi era mancato terribilmente e avevo voglia di gettarmi tra le sue braccia. Secondo: ero arrabbiata con lui per avermi nascosto che stava morendo, avevo voglia di picchiarlo. Terzo: avevo voglia di piangere. Non potevo realizzare e accettare che stesse per morire, era così giovane. Mamma era un eccellente cardiochirurgo, non poteva fare niente per lui, era senza speranze? No, non potevo accettarlo, non volevo perderlo. Come avrei fatto a sopravvivere senza di lui? Queste due settimane senza di lui erano state un agonia per me, non osavo pensare ad una vita senza di lui. Le lacrime iniziarono a scendere con insistenza e a rigarmi il viso. Non ce la facevo più a sopportare tutto questo.
Mi alzai dalla tovaglia, dicendo: "Non ce la faccio...", e fuggii via, lontano da loro e da lui, non m'importava se mi fossi persa.
Corsi fino a quando non mi bruciarono i polmoni per lo sforzo, aveva anche incominciato a piovere ma non m'importava. Mi appoggiai al tronco dell'albero vicino a me prendendo fiato. Avevo fatto una bella corsa, non era da me. Continuai a piangere, piangere per lui, perché il destino era stato fin troppo crudele nei suoi confronti. Sua madre era morta quando era piccolo, anche suo nonno era morto. Non aveva mai avuto degli amici ed era solo e si definiva vuoto. Era nato nel corpo sbagliato. E in fine, era malato e stava morendo. Perché il destino sapeva essere così crudele? Perché?!
"Sapevo che ti avrei trovata qui", sentii dire alle mie spalle, e sapevo chi era.
Mi voltai guardandolo dritto nei suoi bei occhi blu che tanto adoravo e che mi erano mancati. "Vattene", lo intimai mentre continuavo a piangere.
"Nonostante tu abbia un inesistente senso dell'orientamento", continuò, "riesci sempre a trovare questo posto".
"Due settimane...".
"Lo so...".
"Credevo che ti fidassi di me, io non sapevo niente". Come aveva potuto.
"Mi dispiace...", fu l'unica cosa che riuscì a dire, ma a me non bastava.
Arrabbiata, presi e me ne andai spingendolo di lato per passare ma mi afferrò per un polso attirandomi a sé. Sentii il suo caldo corpo che mi scaldava dalla pioggia dandomi conforto e le sue labbra sulle mie. Mi stava baciando. Fui frastornata dal suo bacio, non sentivo più la pioggia, nemmeno il suolo sotto i piedi, c'eravamo solo noi due. Mi baciava con passione ma anche con qualcosa di più che non riuscii a decifrare. Sapevo solo che ero persa in lui e in quel magnifico momento che avevo tanto atteso. Ci staccammo per riprendere fiato guardandoci negli occhi come solo noi due sapevamo fare, con intensità. Perché mi aveva baciata, ma soprattutto, perché proprio adesso?
Sentii chiamare il mio nome in lontananza da mia madre che mi fece distogliere lo sguardo da lui. Dovevo riprendere la lucidità perduta, anche se mi aveva baciata ero ancora arrabbiata con lui, non gliela avrei data vinta, poco ma sicuro. Mi allontanai da lui per raggiungere mia madre. Che strano però, non avevo sentito il sapore della cioccolata.

L'indomani mattina, lo trovai ad aspettarmi davanti alla fermata dell'autobus, come sempre era poggiato sulla sua auto costosa. Se sperava di accompagnarmi a scuola aveva sperato male. Deliberatamente lo ignorai ed aspettai l'arrivo dell'autobus, lui semplicemente si mise a guardarmi. Poi si avvicinò a me in silenzio. Era una mia impressione o stava aspettando l'autobus? Gli lanciai un occhiataccia e lui semplicemente mi mostrò un biglietto dell'autobus.
Fantastico.
Arrivò l'autobus e sperai tanto che non salisse, ma non fu così. Mi misi in un angolo affollato il più lontano possibile da lui. Lo osservai di nascosto: cercava di non farsi toccare dagli altri, impresa piuttosto difficile, vista la confusione. Cercava di stare in equilibrio, visto che non voleva reggersi da nessuna parte. Temeva i germi degli altri per caso? Era buffo vederlo in equilibrio precario e a disagio in mezzo alla gente, si notava che non era abituato a certe cose, ci avrei scommesso che in vita sua non aveva mai preso un mezzo pubblico.
Ero così presa da lui da non essermi accorta che mi stava fissando. Mi faceva sentire a disagio, mi guardava in modo intenso, chissà a cosa stesse pensando, o semplicemente mi stava solo fissando. Distolsi lo sguardo da lui non reggendo più quella situazione, e lì mi accorsi che un gruppo di ragazze provenienti da un'altra scuola se lo stavano mangiando con gli occhi e la cosa mi infastidii parecchio. Poi accade qualcosa che non mi sarei mai immaginata e aspettata, Sam si avvicinò alle ragazze in modo amichevole. Cosa stava combinando? Voleva farmi ingelosire per caso? Be', ci stava riuscendo purtroppo per me. Era così odioso quando voleva. Notai che ero arrivata alla mia fermata, così scesi lasciandolo sull'autobus con quelle. Se voleva giocare sporco non ci sarebbe riuscito con me, io avrei giocato più sporco di lui.
Sam arrivò con quindici minuti di ritardo, così imparava a parlare con le altre per farmi ingelosire. Quando entrò nessuno si aspettava il suo arrivo, e da qui in fondo riuscii a vedere l'espressione scocciata della ragazza che mi dava il tormento. Almeno il ritardo di Sam era servito a qualcosa.
Quando si sedette nel banco accanto al mio mi lanciò un occhiata torva. "Perché non mi hai detto che eravamo arrivati?", mi chiese infastidito, io semplicemente lo ignorai. "Sono sceso almeno tre fermate dopo prima che mi accorgessi che eri scesa. Ho dovuto aspettare al freddo l'arrivo del mio autista, fuori si gela". Continuai ad ignorarlo, lui si limitò a sbuffare.
Per le lezioni che seguirono continuai ad ignorarlo e sapevo benissimo che la cosa lo infastidiva parecchio. Purtroppo per me, per l'ora di pranzo mi seguì fino alla biblioteca. Durante le due settimane della sua assenza, per l'ora di pranzo mi rifugiavo qui. Mi rifugiai in un posto lontano e ben nascosto alla vista, lui semplicemente si limitò a sedersi nella sedia accanto alla mia.
"Va' via", lo intimai, mi ero stufata del suo comportamento.
"No".
Sbuffai infastidita. "Va' via!", ripetei.
"No".
"Perché no!".
Mi guardò per qualche attimo prima di parlare: "Ho bisogno di parlare con te".
"Io no invece". Non avevo voglia di ascoltare ciò che aveva da dirmi.
"Bene... posso chiederti una cosa allora?".
"No", sbottai.
Diede un pugno sul tavolo che mi fece sobbalzare. "Accidenti, si può avere una conversazione con te o no!". Era la seconda volta che lo vedevo così arrabbiato, forse avevo un po' esagerato.
"Cosa vuoi?".
"Bene. Devo sapere una cosa".
"Cosa?".
"Ti è piaciuto il bacio che ci siamo dati ieri?". Cosa? Fra tante cose mi doveva chiedere proprio questo?
"Non sono affari tuoi". Non glielo avrei mai detto.
"Ho bisogno di saperlo", mi disse esasperato.
"Perché ci tieni così tanto?".
Guardò un punto del tavolo come se ci fosse qualcosa di interessante. "Perché adesso sai di me".
"Cosa fra le tante cose per l'esattezza? Mi hai nascosto tante di quelle cose...".
"Il fatto che non sono un ragazzo", questa volta mi parlò guardandomi, i suoi occhi erano così tristi.
"È stato il mio primo bacio", dissi semplicemente abbassando lo sguardo.
"Anche il mio... aspettavo la pioggia...".
Lo guardai non capendo. "Aspettavi la pioggia?".
"Per darti il nostro primo bacio. Lo so che qui piove praticamente sempre, ma non mi andava di trascinarti sotto la pioggia per darti un bacio, insomma, doveva accadere per caso, no?". Ma così facendo non mi avrebbe baciata mai, ma chissà il perché lo aveva fatto e per puro caso tra l'altro.
"È assurdo...".
"Lo so...".
"Avevi un piano b spero".
Gli spuntò un sorriso. "Chi lo sa".
"Chissà per quanto mi avresti fatto aspettare".
Inclinò la testa di lato guardandomi. "Non per molto".
"Cioè?".
Tornò a fissare il tavolo. "Avevo qualcosa in mente per il nostro primo mese insieme". Che era già passato.
"Ah sì?".
"Ma oramai è passato...", disse fra se.
"Mi dirai mai cosa avevi in mente?".
Mi guardò dritto negli occhi. "Non saprei".
"Me lo dici", insistetti.
Fece un sorriso sghembo che mi mozzo il fiato. "No".
"Cattivo", piagnucolai e lui sorrise.
Sospirò. "Ti lascio in pace, e poi non hai ancora mangiato niente". Questo perché non avevo niente con me da mangiare. Mamma pensava che mangiassi alla mensa ma per mia sfortuna non mi potevo avvicinare lì per via dei miei persecutori e quindi non mangiavo nulla morendo di fame.
"Ehm... al contrario di te, gli altri mangiano alla mensa".
"E tu non ci vai?".
"No, preferisco restare qui".
"Quindi ti porti qualcosa da casa?".
"No". Mi guardò con espressione confusa.
"Perché no?".
"Perché mia madre è convinta che mangi a scuola, e poi fa un inventario di tutto a casa e si accorgerebbe se mancasse qualcosa e lei non vuole che mangi fuori i pasti", dissi tutto d'un fiato.
"Copisco...". Era pensieroso. "Ti andrebbe di pranzare insieme a me?".
"Solo perché ho fame", acconsentii.
"Vieni con me allora", mi fece l'occhiolino, non prometteva niente di buono.
Mentre lo seguivo mi accorsi che non mi stava portando nel solito posto. Che fosse un nuovo posto?
Dopo un po' che camminavamo, si fermò davanti ad una porta.
Si voltò per guardarmi e sembrava a disagio. "Non ti dispiace se pranziamo con mio padre?". Cosa?
"Come, scusa?".
"Be', ecco, gli avevo promesso che avrei pranzato con lui e sicuramente mi starà aspettando, non ti dispiace, vero?". Che sarà mai, avrei pranzato con il preside che era il padre del ragazzo che mi aveva fatto perdere la testa ed era anche un amico di mia madre e forse aveva anche una relazione segreta con lei o qualcosa del genere, che sarà mai, una passeggiata sui carboni ardenti.
"No, niente affatto", mentii.
"Bene, divideremo il pranzo allora".
"Va bene".
Aprì la porta ed entrò, e io semplicemente lo seguii. Ero un tantino a disagio e in imbarazzo. L'ufficio del preside era grande e sofisticato, ma soprattutto mostrava che era un uomo colto. Dietro alla sua scrivania, appese alla parete, sfoggiava le sue lauree. La stanza era anche piena di libri e in un angolo c'era un camino acceso con un fuoco scoppiettante.
"Sam, vedo che sei in compagnia". Come ben ricordavo, il padre di Sam era un bell'uomo e il figlio aveva preso quegli splendidi occhi da lui. Si alzò dalla sua scrivania per avvicinarsi a noi con una camminata elegante. "È bello rivederti Eleonora, ogni giorno che passa sei sempre più bella", mi disse mentre mi baciava il dorso della mano. Quell'uomo aveva la straordinaria capacità di imbarazzarmi e mettermi a disagio.
"Papà!", lo riproverò Sam.
L'uomo si volse verso al figlio con aria confusa. "Cosa c'è?".
"Tieniti i complimenti per te e le mani a posto". Sbaglio o qualcuno era geloso?
Il signor Edwards rise alzando le braccia. "Chiedo scusa".
"Allora, pranziamo o no?". Qui qualcuno era un tantino infastidito.
Ci accomodammo tutti intorno alla scrivania a mangiare, io divisi il pranzo insieme a Sam, con la sua insistenza, dopo che suo padre aveva proposto di dividere il suo con me.
Il resto della giornata passò tranquillamente, con me che ignorava di proposito Sam e lui che sbuffava sonoramente, la cosa iniziava a divertirmi, e poi mi erano mancati questi momenti con lui, ma soprattutto, mi era mancato lui.
Come aveva fatto stamattina, Sam prese l'autobus con me. Era la mia persecuzione, ma in fondo non mi dispiaceva, forse alla fine potevo perdonarlo, non subito però, prima doveva penare ancora un po'.
Nonostante la confusione, trovò un posto libero dove si sedette. La solita fortuna l'aveva solo lui. Mi guardò con un sorrisetto compiaciuto, così mi voltai per dargli le spalle. Dopo un po' sentii qualcuno che mi picchiettava sulla spalla, mi voltai ed era lui. Che altro voleva?
"Cosa vuoi?", gli chiesi seccata ed irritata allo stesso tempo.
"Siediti con me".
"No". Feci per girarmi ma lui mi prese per un braccio trascinandomi con sé.
Mi trascinò nel posto dov'era seduto prima, che era occupato dal suo zaino per non farlo occupare da qualcun'altro, come sempre era ingegnoso. Tolse lo zaino per sedersi sulla sedia, per poi guardandomi con un sorrisetto. A che gioco stava giocando?
"Secondo te dove dovrei sedermi, per terra?".
"Sulle mie gambe", mi disse questo facendomi l'occhiolino.
"Tu sei pazzo". Mi tirò a sé facendomi cadere sulle sue gambe. "Contento?". Incrociai le braccia per la frustrazione.
"Si può avere di meglio". Lo guardai allarmata, cos'aveva in mente adesso?
"Scordatelo, qualunque cosa sia".
"Come siamo acide".
"È quel che ti meriti".
"Lo so... non avrei dovuto mentirti", sospirò.
"Ecco, appunto".
"Ho solo avuto paura di perderti...". Sembrava sinceramente dispiaciuto.
"Sam...". Mi zittii poggiando due dita sulle mie labbra.
"Sono sempre stato restio a rivelare il mio segreto per come mi guardano gli altri...". Stava soffrendo. "Non volevo essere guardato così da te, non lo sopporterei...".
"È questo quello che temi, che ti ha fatto allontanare da me per ben due settimane?".
"Sì".
Mi avvicinai a lui e poggiai le mie labbra sulle sue in un bacio casto. "A me vai bene così, sei e resterai comunque il mio psicopatico", gli sussurrai quando mi allontanai dalle sue labbra.
"Mi dispiace".
"Però sono ancora arrabbiata con te". Lo guardai dritto negli occhi. "Perché non mi hai detto che stai per morire?". Sentii gli occhi pizzicarmi segno che stavo per piangere da un momento all'altro.
"Non volevo che mi guardassi come un morto che cammina".
"Non lo farei mai...".
"Sei solo arrabbiata per questo?".
"Principalmente per questo, e poi sei sparito per due settimane, e tra l'altro pensavo che ti fidassi di me".
"Ok, ho un po' esagerato, lo ammetto".
"È già qualcosa".
"Quindi, mi perdoni?".
"Chi lo sa". Gli spuntò un sorriso sghembo. Lanciai un occhiata al finestrino e mi resi conto che avevo perso la mia fermata e forse da un bel po'. "Oh no".
Mi guardò con aria confusa. "Oh no, cosa?".
"Ho perso la mia fermata".
"Ah...". Estrasse il suo telefono dalla tasca dei pantaloni.
"Cosa stai facendo?", gli chiesi non capendo.
"Sto mandando un messaggio al mio autista per venirci a prendere", mi spiegò.
Quando mi accompagnò decise di restare a casa mia contro la mia volontà dicendo che voleva stare con me e pranzare insieme. Con malavoglia cucinai per due mentre lui mi spiegava diligentemente cosa poteva mangiare. Dopo pranzo studiamo insieme e gli feci recuperare ciò che si era perso in queste due settimane, dopotutto ero ancora la sua tutor, anche se era più intelligente di me e aveva imparato tutto e svolto gli esercizi persi in sole due ore.

"Sam, dovresti andare, tra un po' tornerà mia madre", gli feci notare mostrandogli l'ora nel mio telefono, non mi andava di essere sgridata da mamma.
"Tranquilla, so come gestirla". Gestirla!
"È di mia madre che stiamo parlando, lei non può essere gestita", esclamai.
Scoppiò a ridere. "A quanto pare non la conosci così bene".
"Cosa intendi dire?". Non capivo.
"Tua madre può essere gestita, eccome se lo può essere".
"Allora sentiamo un po' come può esserlo".
Si avvicinò pericolosamente al mio viso facendo mancare un battito al mio cuore. "Il punto è, da chi", sussurrò.
"Da chi?".
"Da mio padre, ovvio. Non ti sei accorta di niente?".
"Sì, ho notato quei due, ma tuo padre non è qui", gli feci notare. Teneva ancora il viso vicino al mio, potevo sentire il suo alito caldo su di me ma non sapeva di cioccolata.
"Posso sempre farlo venire qui, mi basta una telefonata".
"Quindi, in sostanza, vuoi risparmiarmi un rimprovero?".
"No".
"E allora cosa?".
"Devo dirle una cosa ed ho decisamente bisogno dell'aiuto di mio padre, se voglio fare le cose a modo tuo, ovviamente". Ero confusa.
"Cosa le devi dire? E poi cosa vuol dire: a modo mio?".
"Quante domande. A modo tuo sarebbe in maniera gentile ed educata".
"E cosa le devi dire?", ripetei.
"Lo saprai a tempo debito. Allora, si fa a modo mio o tuo?".
"Decisamente mio".
"Bene". Mi guardò in un modo che non riuscii a decifrare. "Questa volta voglio chiederti il permesso".
"Permesso per cosa?".
"Di baciarti". Diceva sul serio o mi stava prendendo in giro? "Allora?", incalzò.
Decisi di fare io la prima mossa e lo baciai. Mi persi in quel bacio e in lui. Senza smettere di baciarmi, mi tirò a sé sulle sue gambe per farmi mettere comoda ed avere più contatto. Sentivo decisamente caldo. Lui in risposta al mio bacio gemette. Fece vagare una mano sotto la mia maglietta facendola salire in una carezza che mi fece rabbrividire e gemetti a mia volta. Stavo decisamente perdendo il controllo di me.
Sentimmo la porta d'ingresso aprirsi, che annunciò l'arrivo di mia madre. Tempismo perfetto. Di malavoglia ci staccammo riprendendo fiato.
"Tu resta qui e non combinare guai", gli intimai dopo che fui scesa dalle sue gambe.
"Non garantisco nulla", mi disse mentre rideva.
Alzai gli occhi al cielo per l'esasperazione, per poi uscire dalla mia stanza e raggiungere mamma.
"Ti sono mancata?", mi chiese appena mi vide scendere le scale. La guardai in malo modo incrociando le braccia. "Su, non fare quella faccia, Richard mi ha detto che hai fatto pace con Sam, mi fa piacere". Fantastico, quei due si dicevano proprio tutto a quanto pareva.
"Quindi non ti dispiace se adesso è nella mia stanza, vero?". Adesso le avrei tolto quel sorrisetto dalla faccia.
"Cosa?". La sua faccia era sconvolta. "Sai come la penso al riguardo".
"Certo, ma con lui non vale questa regala, dico bene?". Non sapeva cosa dire. Un punto per me. Notai che stava guardando dietro di me, così mi voltai e mi trovai daventi Sam, che aveva un sorrisetto stampato in faccia. Avrei voluto prenderlo a schiaffi, gli avevo detto di restarsene in camera e lui che faceva? Scendeva comunque.
"Salve". Che faccia da schiaffi.
"Sam, cosa ci fai qui?", gli chiede mia madre.
Lo guardai attentamente e in risposta mi lanciò un sorrisetto prima di risponderle. "Stavamo studiando".
"Solo studiando?", gli chiese sospettosa. Ma che domanda era, cosa credeva che stessimo facendo? Ora che ci pensavo... non stavamo decisamente studiando qualche minuto fa. Il solo pensiero mi fece accaldare.
Lui rise. "Mi ha categoricamente proibito di fare quella cosa mesi fa, le rammento". Cosa? La situazione si stava facendo alquanto imbarazzante. "E poi in caso potessi farlo", proseguì, "non corriamo nessun rischio, sa cosa intendo". Ma io lo uccido. Cosa andava dicendo, aveva bevuto per caso?
Prima che qualcuno potesse dire qualcosa, sentimmo il campanello suonare. Chi poteva mai essere?
"Vado a vedere chi è e poi ne riparliamo giovanotto", lo additò contrariata dal suo comportamento per poi andare ad aprire la porta.
Lanciai a Sam un occhiataccia e lui in cambio mi fece l'occhiolino. "Tu sei un folle".
"Richard!", sentii esclamare mia madre. Oh no, che piano aveva in mente Sam? Nulla di buono, n'ero certa.
Mamma fece accomodare il signor Edwards in soggiorno. Eravamo tutti seduti sul divano in silenzio e io ero in agitazione. Lanciai un occhiata a Sam che aveva ancora quel sorrisetto stampato in faccia.
"Allora, Richard, cosa ti porta da queste parti?", gli chiese mamma nervosamente.
"Sam", disse semplicemente e tutti ci voltammo ad osservarlo.
"Bene, adesso che ho la vostra attenzione posso dirvi la decisione che ho preso".
"Che decisone?", gli chieserò all'unisono suo padre e mamma. Sembravano sperare in qualcosa dalle loro espressioni, ma in cosa non mi era ben chiaro.
"Ho deciso che non voglio più separarmi da Elle", disse per poi guardarmi come non aveva mai fatto prima.
"Cosa intendi dire?", gli chiese mia madre.
Distolse lo guardo da me per posarlo su di lei e risponderle. "Che si trasferirà da me, se vuoi puoi venire anche tu". Era impazzito o cosa?
"Non se ne parla proprio", esclamò alzandosi dal divano. Sarebbe scoppiata la terza guerra mondiale da un momento all'altro, era solo questione di tempo.
Lui semplicemente si limitò a soghignare. "Papà, tu cosa ne pensi?".
"Ecco...". Tutti lo fissammo in attesa di una sua risposta. "Per me va bene".
"Ne sei certo, Richard?".
"Se è quello che desidera mio figlio, allora per me va bene".
"Ma...".
"Grace, da quando in qua Sam ha mai voluto qualcosa del genere?".
"Mai".
"E poi era quello che volevamo, no? Non possiamo opporci".
"Hai ragione, Richard". Non riuscivo a credere alle mie orecchie, mamma aveva appena acconsentito. 
"Bene, Elle, prepara le tue cose".
"Adesso?".
Mi guardò come se fossi tonta. "Ovvio, adesso".
  
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