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Autore: Claire_Rose    23/04/2017    0 recensioni
Il passato, il presente ed il futuro. Un' intreccio di anime e culture diverse. L'amore tormentato di due giovani in un mondo pieno di pregiudizi e al tempo stesso di pericoli reali. La passione di un ballo e la voglia di amarsi incondizionatamente. Javier e Clara saranno messi a dura prova proprio dal loro sangue e da ciò che credevano indissolubile.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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Mio padre indossò la divisa, preparò il borsone con l’aiuto di mia madre e il tutto si svolse in un clima triste e teso. Nessuno disse una parola. Mia madre continuava ad asciugarsi le lcrime che scendevano sul suo viso stanco. Io mi sentivo impotente, inerme, quasi inutile. La vita ci mette davanti a tanti ostacoli e tante scelte, sta a noi saper gestire tutto ciò e saper onorare i valori che ognuno di noi a acquisito nel corso del tempo. Mio padre era un uomo d’onore, ha sempre mantenuto salda e integra la sua moralità e il suo senso del dovere. Mi è sempre piaciuto questo aspetto di lui, mi rendeva orgogliosa sapere che lui combatteva per il bene del nostro paese e per salvare altri paesi in difficoltà. Qualche anno fa gli proposero di ricoprire un ruolo più amministrativo, che comprendeva la firma di scartoffie e fare presenza fissa agli eventi importanti, tipo quelli ministeriali. Lui rifiutò categorico, voleva essere un supporto per i suoi militari, voleva operare sul terreno in conflitto e voleva svolgere il ruolo per cui sarebbe stato utile davvero. Lui è il mio eroe, la mia forza ed il mio profondo orgoglio. 
Arrivò il momento di salutarci, una macchina nera lo stava aspettando sotto casa.
“Puoi sempre ripensarci..” mia madre lo implorò piangendo.
“Tesoro lo sai che non posso” mio padre era triste, ma cercava di mantenere saldo il suo aspetto di uomo duro e irremovibile.
“Ci hai promesso che tornerai, ricordalo” lo abbracciai forte, come se fosse l’ultima volta. Ma non lo sarebbe stata. Io lo sapevo.
“Tornerò e vi prometto che non ripartirò mai più” 
Ci abbracciamo un ultima volta, tutti e tre, e uscì dalla porta di casa. Lo seguii fino alla macchina, ancora in paigiama ma non mi importava.
Salì e abbassò il finestrino.
“È una promessa” disse uscendo il braccio fuori dal finestrino e incrociando le dita, come segno di promessa. E io risposi con lo stesso segno.
La macchina partì, non smisi di guardarla finchè in fondo alla strada, girò ad un incorcio e sparì.
Rientrai in casa con fatica. Era così vuota senza di lui. Era l’anima della casa. Ormai si erano fatte le 3.30 p.m e nè io nè mia madre avevamo fame. Lei si chiuse in camera sua ed io la lasciai sola. Era sempre così quando mio padre partiva, rimaneva in coma una settimana e poi piano piano si riprendeva. La vita di mia madre era fatta di attese, lunghe attese che sembravano non dovessero finire mai.
Presi in mano il mio cellulare, c’erano due messaggi, uno di Carlotta e uno di Javier. Decisi di aprire prima quellp di Javier.
“Hey mi muñeca, è stata la serata più bella da quando sono arrivato in Italia. Gracias mi luz”
Sorrisi da sola come una scema. Le mie gote presero fuoco e insieme a loro tutto il mio viso. 
Non sapevo come rispondere, avrei voluto dirgli così tante cose che racchiusi tutto in un semplice
“Sono io che ringrazio te, per essere ciò sei”
Sentivo dentro di me una moltitudine di sensazioni. Ero triste per mio padre, ma felice perché avevo incontrato javier ed arrabbiata con i miei amici per come si erano comportati. A proposito, il messaggio di Carlotta, non sembrava un messaggio carino. Iniziai a leggere.
“Io non so cosa ti sia saltato in mente ieri sera. Chi cazzo è quello? Non è nemmeno italiano. Lo sai cosa penso ‘mogli e buoi dei paesi tuoi’. Ci hai lasciato per uno sconosciuto che per giunta voleva menare Nicolas. Io ti voglio bene, lo sai. Ti appoggio per qualsiasi cosa. Quando ti sei lasciata con Leo io c’ero e ti sono stata vicino. Sono stata la prima a dirti rifatti una vita, ma con un italiano che abbia almeno una cultura in comune con te. Io ti do i consigli e ti sto vicino, ma alla fine ognuno do noi è artefice del proprio destino. Stai attenta”
Qual’era il problema, la nazionalità? Lei ha sempre avuto scatti di razzismo per chiunque avesse colori, culture e usanze diverse dalle sue. Era un suo limite ed io l’ho sempre rispettato, nonostante non condividessi minimamente, ma più di farglielo notare non potevo fare altro. È solo che lei deve capire che la vita è mia e nemmeno lo conosce Javier e perciò i discorsi stanno a zero. Non le risposi, non meritava considerazione quel messaggio. Avrei affrontato il discorso faccia a faccia.
Mi vestii in frettq, presi la borsa e le chiavi del motorino. Scesi le scale di corsa e mi recai al motorino, lo accesi e diedi gas. Io e Carlotta non abitavamo molto lontano, ci misi quindici minuti per arrivare alla sua villa in collina. Suonai al citofono fuori dal cancello e mi rispose una voce femminile.
“Chi è?”
“Sono Clara, un amica di Carlotta”
Si aprì il cancello ed io entrai con il motorino in un piazzale sterrato. Parcheggiai poco distante dall’ingrassp della villa. Suonai nuovamente il campanello del portone. Si aprì ed accogliermi c’era la domestica Joselyn. Era una dolce donnina minuta di nazionalità fillippina, con lunghi capelli neri raccolti in uno chignon e grandi occhi scuri molto espressivi. Sorrideva sempre ed era un piacere vederla, ti metteva allegria. 
“La signorina l’aspetta in camera sua”
“Grazie Joselyn”
Senza nemmeno togliermi il giacchetto di pelle, salii velocemente le lunghe scale per portavano al piano superiore, dove c’erano circa 5 camere e due bagni. Sì, era una famiglia molto benestante. 
Bussai alla porta di camera sua.
“Avanti” entrai e lei era seduta a cambe incorociate sul letto. Non si mosse e mi fece cenno di chiudere la porta e sedermi accanto a lei.
“Ciao Totta”
“Ciao Clà”
“Ho letto il messaggio..”
“Mi sono ricordata stanotte chi è quel ragazzo. È quello con cui hai ballato alla sera al locale latino”
“Esatto”
“Clà voglio essere sincera con te. Sai che non ti ho mai detto bugie”
La guardai incuriosita. Cosa mi voleva dire?
“Quel ragazzo non ha una bella fama” sospirò e continuò il suo discorso. “Fa parte di una banda di Latinos, che vanno a ammazzare la gente in metropolitana e a rubare nei negozi”
Il mio cuore iniziò a battere forte. Non uscivano parole dalla mia bocca, ero atterrita, sconvolta e incredula. Javier, il ragazzo a cui mi ero aperta a cui avevo lasciato un pezzo di cuore. Un ragazzo di cui mi ero fidata, si era dimenticato di dirmi chi era veramente. 
“Ne sei sicura? Se questa è una bugia..”
“Non lo è” il suo tono era deciso e i suoi eocchi erano sinceri, a tratti preoccupati. “Ti ricordi del ragazzo con cui ho ballato io quella sera? Dopo ci siamo messi a parlare e mi ha raccontato che lui faceva parte della banda e che poi se n’è andato perché voleva una vita diversa e adesso studia medicina. Mi ha raccontato che sono una banda di sanguinari violenti che non risparmiano nessuno”
“Ne sei sicura?” Riuscii a malapena a trattenere le lacrime. Sentivo un peso nel petto. I suoi occhi non mi erano sembrati di un sanguinario violento; erano puri, sinceri, privi di cattiveria. Non potevo essermi sbagliata. Dovevo capire, avevo bisogno di sapere la verità. Mi alzai di scatto. 
“Sai dove vivono?”
“Clà, cosa vuoi fare?”
“Dimmelo” Lei sapeva. Non mi avrebbe fermata. Odiavo essere presa in giro, lui mi doveva delle spiegazioni.
“Ti prego..” Mi afferò per un braccio ed io lo scostai con violenza.
“Sto aspettando” mi conoscev, lo sapeva che prima o poi avrebbe dovuto parlare, senza tante storie.
“Nel Quartiere Catena, c’è un bar che si chiama ‘Lolitas’..” Non la feci finire ed uscii dalla porta a passo svelto. Lei mi seguì. 
“Non ci vai da sola in quel posto” mi urlò a squarciagola.
“Invece si. Ti chiamo dopo”
Mi strattonò all’indietro e quasi caddì. 
“Che cazzo fai?” ero furiosa come poche volte lo ero stata.
“Non fare l’eroina che non sei, questo non è un gioco. Quelli ti ammazzano”
“Smettila di giudicare chiunque, di fare la saputella e lasciami stare” Uscii e sbattei la porta così forte che rimbobò in tutto il giardino.
Montai in sella al mio motorino e mi avviai verso il quartiere più pericoloso della città. Parcheggiai il motorino nel parcheggio della stazione. A passo spedito arrivai davanti al bar ‘Lolitas’. Tirai un sospiro ed entrai. Il bar era quasi deserto, c’erano solo il barista ed un uomo probabilmente ubriaco, che dormiva su un tavolo. Mi avvicinai al bancone e mi rivolsi al barista.
“Mi scusi per caso conosce Javier Ramirez?” il tipo stava concentrando tutte le sue attenzioni nel pulire un bicchiere. Distratto dalla mia domanda, alzò gli occhi e mi guardò accigliato o forse quella era la sua espressione di sempre. 
“Ines, esta chica està buscando Javier” (Ines, questa ragazza sta cercando javier)
Da una porta spuntò la ragazza che mi aveva guasi dato della zoccola al parco. Mi guardo incredula
“Che ci fai quì?”
“Mi pare sia un posto pubblico questo, o sbaglio?” la ragazza alzò su un sopracciglio e squotè la testa in segno di disapprovazione.
“È un posto per noi latini, gli italiani non sono ben accetti tesoro. E comunque Javier non c’è”
“Bene lo aspetterò quì” 
“Oggi ha da fare”
“Non importa”
“Senti carina, non sei la benvenuta quì”
“Senti carina, già l’altra volta non ti ho detto niente, dopo che hai insinuato che io fossi un puttana. Perciò vai a fare il tuo lavoro e lasciami in pace”
Stava per rispondermi, ma il suo viso divenne pallido, nonostante avesse una carnagione scura. Abbasso gli occhi ed entrò dalla porta da cui era uscita. Mi girai e vidi entrare tre uomini, ben piazzati con tatuaggi ovunque, anche in faccia. Uno di loro aveva una cicatrice sul volto ed un dente d’oro. Mi spostai per farli passare e mi sedetti ad un tavolino in disparte. I tre ordinarono delle birre e si misero a confabulare tra di loro nei tavolini fuori al bar.
La ragazza uscì di nuovo dalla porta e si rivolse a me.
“Senti questo non è un posto sicuro sarebbe meglio tu andassi” stavolta il suo tono era più calmo, quasi implorante.
“Capisco ma io devo parlare con Javier, almeno dimmi dove lo posso trovare. Non posso mandargli un messaggio perché non ho soldi nel telefono, sennò lo avrei già fatto”
“Non posso dirti dov’è..” si fermò a pensare. “ok lo chiamo io”. Si allontanò da me e rientrò nella porta di prima. Ne uscì dopo pochi minuti.
“Sta arrivando. Ci causerai dei problemi, io lo so” se ne andò borbottando tra sé e sè.



   
 
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