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Autore: Emmastory    23/04/2017    1 recensioni
Dieci anni. Questo l'esatto lasso di tempo trascorso dall'ultima battaglia contro i famigerati Ladri, esseri ignobili che paiono aver preso di mira la bella e umile Aveiron, città ormai divenuta l'ombra di sè stessa poichè messa in ginocchio da fame, miseria, dolore e distruzione. Per pura fortuna, Rain e il suo gruppo hanno trovato rifugio nella vicina Ascantha, riuscendo a riprendere a vivere una vita nuova e regolare, anche se, secondo alcune indecisioni del suo intero gruppo, tutto ciò non durerà per sempre. Come tutti ben sanno, la guerra continua, e ora non ci sono che vittime e complici. (Seguito di: "Le cronache di Aveiron: La guerra continua)
Genere: Avventura, Azione, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Le cronache di Aveiron'
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Le-cronache-di-Aveiron-VI-mod
 
 
Capitolo VIII

Il ritorno delle ombre

La tenue luce dell’argentea luna mi aveva fatto compagnia per tutta la notte, ma nonostante questo, ne avevo trascorso una molto agitata. Stefan aveva fatto del suo meglio per aiutarmi, e pur apprezzandolo, non ero riuscita a dormire. Continuavo ad avere incubi ricorrenti, in cui non vedevo altro che i volti incappucciati di quegli schifosi Ladri. Inaspettatamente, fra questi ne spiccava uno. Maddox. Per opera di un fato benevolo, non lo vedevo da anni, ma nonostante questo, lo ricordavo perfettamente il dolore che mi aveva costretta a subire. Avevo conosciuto Stefan da poco, ed ero stata accolta per la prima volta nella dimora di Lady Fatima. Incredibilmente, mi aveva scoperta, e quasi forzata a donarmi a lui. Grazie al tempestivo intervento di Stefan e del dottor Patrick, ero riuscita a salvarmi e trovare l’amore in lui, ma a dispetto dello scorrere del tempo, mi capitava ancora di sentire il suo fiato sul mio collo e di vedere il gelido azzurro dei suoi occhi incatenato all’ambra dei miei. Ogni volta che accadeva, mi svegliavo sudata e in preda al terrore, con il cuore letteralmente a mille. Erano incubi frutto della mia povera mente, ed era vero, ma nonostante questo, il ricordo di ognuno di essi era così vivo e nitido nella mia mente da risultare quasi reale. Voleva avermi, ma non gliel’avevo permesso. L’avevo perso poi di vista solo per poco tempo, e durante un viaggio di fortuna, Stefan ed io eravamo arrivati in quello che lui definiva il suo covo. Ferita, spaventata e incatenata. Completamente incapace di muovermi, e costretta a subire il suo volere. Da lui non ricevetti che un bacio, uno schifoso bacio scaturito dai sentimenti che diceva di provare per me. Sentimenti che non approvavo, ma che stando alla mia parte più razionale, nascevano da una sua stessa incomprensione interiore. Grazie alla dialettica, lo avevo convinto a ragionare e lasciarci andare, e una volta a casa, avevo finalmente potuto riabbracciare la mia piccola. Ricordi che albergheranno per sempre nella mia mente non scomparendo mai, e che anche adesso minano la mia stabilità emotiva, minacciando di far scoppiare la bolla di calma in cui viviamo. Allora Terra non era che una bambina, ma dopo essere svenuta, mi ero svegliata in mano sua. Per quanto ne sapevo, Ascantha era conosciuta dai viandanti stanchi e bisognosi di un pasto caldo come un vero e proprio paradiso, ma nonostante tale e rassicurante consapevolezza, ormai non riuscivo più a stare tranquilla. Stefan e i componenti del mio intero gruppo lo sapevano forse anche meglio di me, e insieme, riuscivamo tutti a percepire la presenza di quegli sporchi individui, nascosti in qualche sconosciuto luogo freddo e oscuro quanto le loro anime. Avevamo tutti paura, ma sentivamo di dover essere forti. Al nostro arrivo ad Ascantha, Stefan ed io eravamo felicissimi, ma dati tutti questi segni, così inequivocabili e per certi versi indelebili dalle nostre povere e travagliate menti, non c’era per noi modo di essere sicuri di nulla, eccezione fatta per una sola cosa. Grazie ai consigli e alla vecchia lettera di Lady Bianca, avevamo imparato a restare uniti in ogni circostanza, e sedare ogni conflitto prima che accendesse i nostri animi come una scintilla capace di dar vita ad un devastante incendio. In fin dei conti, avevamo l’inalienabile e sacrosanto diritto alla felicità e alla sicurezza, anche se insieme a questo, avevamo un dovere. Un dovere di grande se non vitale importanza, ovvero quello di imparare a difenderci. Questa la sola ragione per cui stavamo insegnando ai ragazzi a maneggiare armi di diverso calibro. Stavano imparando, e in qualità di loro genitori ne eravamo felici, ma ad essere sinceri, nulla oltre a questa così assurda guerra aveva mai avuto il potere di renderci rispettivamente così pronti e così spaventati, così forti e così deboli, e infine, così sicuri e così tremendamente insicuri. Opposti che si scontravano gli uni con gli altri, facendo vacillare ogni nostra certezza. Come tutti sapevamo, avremmo dovuto prepararci e affrontare la nuda e cruda realtà, tenendo alta la guarda in attesa di quello che ormai identificavamo come ritorno delle ombre.
   
 
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