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Autore: ranyare    23/04/2017    2 recensioni
Quando Garon ha orchestrato l'incidente di Cheve, non ha pianificato soltanto il brutale assassinio del Re di Hoshido, ma anche di appropriarsi di una specifica bambina dal sangue di drago. Ma come poteva essere certo che la bambina che ha strappato dal corpo ancora caldo del Re sia davvero quella giusta?
Le bugie crollano quando Ileana, cresciuta come una principessa nohriana, viene catturata da una pattuglia hoshijin presso l'Abisso Infinito, e portata al cospetto della regina Mikoto e di una ragazza della sua età, Zoe; ma il prezzo da pagare per la verità si rivelerà, però, troppo alto per entrambe.
Mentre le ombre della guerra si stagliano sul continente di Euanthe, Ileana e Zoe dovranno prendersi per mano per proteggere i propri cari dal pericolo imminente.
Dalla storia:
Ma, se gliel’avesse detto, il Principe Ereditario non sarebbe partito con un’armata, preferendo invece una delegazione diplomatica. E Re Garon non avrebbe avuto la guerra che voleva così tanto – la guerra che lui, il suo fedele e capace Iago, aveva passato tutto quel tempo a preparare. Quindi, ovviamente, non aveva detto nemmeno una parola sulla pergamena, già sparita in uno sbuffo di fiamme guizzanti.
Genere: Guerra, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Avatar/Kamui (F), Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Golden Bridges'
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Aranyhíd

Iktsuarpok
(Inuit)
Un senso di ansiosa anticipazione, che spinge a continuare ad attendere alla finestra il ritorno di qualcuno.

Il sole, luminoso e a tratti crudele, si rifletteva sulle candide penne delle ali del suo pegaso, ma Hinoka aveva imparato tanti anni prima a non curarsene: aveva addestrato i suoi occhi a non lasciarsi accecare da quel riverbero durante la lotta. L’aria fredda della Luna Cacciatrice le bruciava i polmoni che reclamavano riposo, ma Hinoka era troppo concentrata sulla sua avversaria per rendersene conto.

Prese un respiro profondo, rinsaldò la stretta della sua mano destra sulla fredda impugnatura di legno della sua nageyari e poi tirò indietro il braccio, calcolando con un solo sguardo l’arco che la lancia avrebbe dovuto compiere nel suo letale tragitto ma costringendosi ad attendere che si aprisse un varco nella solida difesa della sua nemica.

La guerriera, appiedata, stava ansimando, probabilmente esausta quanto lei: nessuna delle due era ancora riuscita a prevalere sull’altra, fino a quel momento, nonostante entrambe avessero chiaramente dato il massimo delle proprie capacità già dall’inizio del duello. La samurai si scostò i corti, arruffati capelli biondi dalla fronte madida di sudore, abbassando lo sguardo soltanto per un brevissimo istante – la chance che Hinoka stava aspettando.

La nageyari fendette l’aria con la brutalità di un fulmine, sussurrando al vento il suo canto di morte. La samurai piroettò su se stessa, evitando la sottile lancia per un soffio – e poi, sorprendendo la cavallerizza, afferrò il dardo che quasi l’aveva trafitta e, sfruttando la velocità della sua mezza piroetta, la strappò dal terreno e la lanciò contro l’avversaria, mancando di pochi pollici l’ala destra del cavallo alato prim’ancora che Hinoka potesse anche soltanto sfiorare la propria naginata.

-HA! Ce l’ho fatta!- esultò, saltellando sul posto, ed Hinoka scorse un lampo di trionfo in quelle luminose iridi scarlatte che, nel Sole invernale, risplendevano come rubini.

Sorrise, avvertendo l’orgoglio fiorirle nel petto nel vedere la giovane samurai festeggiare il proprio risultato: avevano cominciato a lavorare su quella particolare tattica di contrattacco sin dall’alba di quel mattino, dimentiche del pranzo e degli obblighi di entrambe, troppo concentrate per rendersi conto del piccolo pubblico che si era radunato intorno al campo di addestramento della Capitale per osservarle.

-Credo che per oggi sia abbastanza, Zoe.- annunciò, dirigendo il suo fedele pegaso a terra e smontando di sella, sorridendo in risposta all’entusiasmo della sua giovane pupilla.

-Perché?- replicò Zoe, divertita, allungando le mani verso le punte dei piedi per stirare i muscoli della schiena. -Non sono nemmeno stanca! Potrei andare avanti per o__ouch.- gemette, quando un udibilissimo schiocco della sua spina dorsale sembrò caldamente suggerirle che non sarebbe proprio stato il caso di continuare quell’addestramento estenuante.

-Come volevasi dimostrare, basta così.- ridacchiò, Hinoka, avvicinandosi per arruffarle la sua già abbastanza disordinata zazzera bionda. -Hai già fatto dei passi da gigante, non c’è bisogno di esagerare.-

Zoe sbuffò, scrollando la testa e abbassando le lunghe orecchie a punta, mortificata.

-Esagerare? Ti sei mai addestrata con Saizo? Quella non è una parola che lui conosce, fidati.- borbottò, distogliendo lo sguardo dall’espressione divertita della rossa e trascinandosi stancamente verso il più vicino angolino all’ombra, lasciandosi poi cadere malamente sul folto prato verdeggiante che circondava il campo di allenamento.

Chiuse gli occhi, ed Hinoka rimase a guardarla per qualche istante, scorgendo i suoi arti rilassarsi uno dopo l’altro, uno ad ogni respiro: quel metodo di defaticamento veniva insegnato a tutte le reclute perché, con la pratica, permetteva di raggiungere un controllo quasi completo di ogni muscolo del proprio corpo.

Zoe però era ancora ben lontana da quel traguardo, osservò, cercando di sopprimere la risata che la testardaggine dell’amica riusciva sempre a suscitarle: era troppo giovane ed impaziente per riuscire a mantenere quel pacifico stato molto a lungo… a volte le ricordava Ryoma, rifletté, perché anche il suo perfetto fratello maggiore, in gioventù, aveva spesso peccato di esuberanza.

-Beh, io non sono Saizo, e secondo me per oggi va bene così.- sospirò, sapendo però di parlare con un muro decisamente sordo; Zoe, infatti, sbuffò di nuovo, chiaramente in disaccordo con l’opinione del Falcone, ma la sua protesta fu sedata sul nascere da un’improvvisa, mordace affermazione.

-Lady Hinoka ha ragione, Zoe. Dovresti preoccuparti più del tuo pessimo carattere che della tua forma.-

Le labbra di Zoe si piegarono all’istante in un sogghigno tutto denti, quando il suo udito riconobbe la voce di Subaki, guardia reale della sorella più piccola di Hinoka, Sakura.

-Qualcuno deve pur dare un po’ di allegria a questo posto. Pensa se fossero tutti come te.- replicò, schiudendo un occhio soltanto per scoccare al Falcone un’occhiata di scherno che, tuttavia, non minò affatto l’espressione perennemente serena di Subaki.

-Di sicuro saremmo tutti molto più disciplinati.- ribatté, infatti, intrecciando le mani dietro la schiena dopo aver rivolto un rispettoso inchino in direzione della principessa; l’espressione maliziosa di Zoe, però, non fece che accentuarsi, ed Hinoka poté quasi immaginare in anticipo la risposta tagliente che, prevedibile, fendette l’aria in direzione del ragazzo dai capelli rossi un istante più tardi.

-Ti annoieresti, circondato da gente come te.- commentò, aprendo anche l’altro occhio e rivolgendogli una smorfia che grondava sarcasmo. -Fidati, io mi annoio un sacco.- aggiunse, ma Subaki assottigliò lo sguardo e sorrise a sua volta, una punta di malizia nello sguardo.

Hinoka non aveva mai capito perché quei due passassero il tempo a bisticciare, ma non era certa di volerlo sapere – non era certa che la risposta a quella domanda le sarebbe piaciuta.

-Permettimi di dissentire.- commentò lui, strappando un versaccio a Zoe che, da divertita, parve immediatamente tendersi come la corda di un arco.

-Dì la verità, ci tieni a prenderle di nuovo.- sibilò, ma Subaki le rivolse il più smagliante dei sorrisi, conscio di aver segnato un punto in quella partita a cui tutta la guarnigione di guardie reali e soldati assegnata a Shirasagi aveva, ormai, fatto l’abitudine.

-Sono passati anni, Zoe.- sospirò, alzando elegantemente gli occhi al cielo, inchinandosi nuovamente ad Hinoka prima di superarla per avvicinarsi alla ragazza. -Adesso perderesti.- replicò, fermandosi a poche iarde dall’altra guardia, scuotendo elegantemente la testa per far sì che i suoi lunghi capelli rossi risplendessero di mille riflessi scarlatti sotto i freddi raggi del Sole.

Hinoka sospirò, esasperata.

Ricordava molto bene lo scontro a cui Zoe si era riferita: era successo qualche anno prima, una sessione di addestramento delle guardie reali aveva visto il solitamente impeccabile Subaki, lo stesso Subaki che non era mai stato in grado di sopportare una sconfitta, travolto da una Zoe che sembrava aver deciso di dargli una lezione che l’intero castello aveva fatto fatica a dimenticare.

Hinoka represse un sorriso, rammentando l’espressione soddisfatta di Zoe e quella sconvolta di Subaki: sapeva quanto entrambi potessero diventare competitivi e una parte di lei avrebbe davvero voluto che si calmassero, ma non aveva potuto fare a meno di provare un profondo orgoglio per l’abilità che Zoe aveva dimostrato – in quell’occasione come in tutte le altre, del resto: Zoe aveva sacrificato tutto per diventare una dei guerrieri migliori di Shirasagi, rendendo fieri di lei i suoi insegnanti, i suoi tutori e anche lei, che l’aveva sostenuta anche quando in diversi si erano opposti alla sua decisione di diventare un soldato.

D’altronde, lei poteva capirla meglio di chiunque altro.

-Io non ho fatto che migliorare, ultimamente. Sicuro di volermi sfidare?- replicò Zoe, strappando Hinoka ai suoi pensieri, balzando in piedi e cominciando a raccogliere le diverse armi da allenamento con cui si erano addestrate.

-Zoe.- la redarguì la principessa, cercando di reprimere la risata che già le gorgogliava in gola: Zoe era sveglia ed aveva una lingua svelta e tagliente, sicuramente ereditata dalla sua madre adottiva, l’Onmyoji Orochi. Zoe si morse la lingua, sopprimendo a sua volta un sorriso e chinando la testa in segno di pentimento.

-Scusa, Hinoka.- mormorò, in un convincente tono contrito, ma Hinoka sapeva benissimo che non era minimamente dispiaciuta: quelle buffe orecchie a punta, che rendevano Zoe una bizzarra creatura che da piccola era spesso stata vittima di scherzi e prese in giro, erano un ottimo indicatore dell’umore della loro proprietaria e, in quel momento, erano ben dritte e attente – chiaro segno di quanto poco fosse rammaricata di aver dato una rispostaccia antipatica a Subaki.

Sì, assomigliava ad Orochi ogni giorno di più.

-Per te è lady Hinoka, Zoe.- s’intromise, a quel punto, Subaki, scoccando alla ragazza uno sguardo esasperato. Hinoka scosse la testa, minimizzando il tutto con un gesto gentile della mano e, contemporaneamente, facendo segno a Zoe di non reagire alla provocazione.

-No, non ce n’è bisogno, davvero.- sorrise, Hinoka, sperando che Subaki lasciasse cadere la questione mentre Zoe, con le labbra strette che trattenevano chissà quali imprecazioni, si allontanava per riporre le armi nella griglia a cui erano destinate.

Subaki, tuttavia, non sembrava aver intenzione di lasciar correre quello che, ai suoi occhi di giovane nobile di una delle casate più antiche e prestigiose dell’intera nazione di Hoshido, doveva sicuramente sembrare un affronto imperdonabile.

-Milady, se posso permettermi di parlare liberamente…- domandò, infatti, inchinandosi quando la principessa lo invitò a proseguire. -Zoe è un ottimo guerriero, ma non credo che abbia bisogno di altri addestramenti.- si spiegò, scoccando un’altra occhiata pensierosa in direzione della Samurai. -Quello di cui ha bisogno è un signore da servire, o la sua… esuberanza non farà che peggiorare. Non è mai stata molto disciplinata.- continuò, ed Hinoka si morse la lingua, limitandosi ad annuire.

Non aveva nemmeno tutti i torti, fu costretta ad ammettere con se stessa.

A Zoe, che la regina di Hoshido aveva raccolto per strada e portato con sé quando era giunta nel regno, tanti anni prima, era sempre stato permesso ciò che ad altre guardie reali sarebbe stato impensabile concedere.

Era stata posta sotto la tutela delle guardie personali della regina sin dalla più tenera età, ed era cresciuta considerando i reali stessi una sorta di famiglia – soprattutto i due fratelli minori di Hinoka, Takumi e Sakura, accanto a cui era stata sin da piccolissima.

Nessuno, in realtà, aveva mai ritenuto quel comportamento particolarmente problematico o irrispettoso… soprattutto da quando Zoe era stata testimone del brutale assassinio del re, tanti anni prima, e del rapimento della legittima figlia della regina Mikoto.

O, almeno, questo era ciò di cui Zoe era convinta da oramai quattordici anni.

Però comprendeva le parole di Subaki e, in parte, condivideva i suoi timori: Zoe era cresciuta convinta di essere un’orfana e, nel corso degli anni, aveva sviluppato un’inquietudine che il suo maestro, Saizo, faticava sempre di più a tenere a freno… ciò che Subaki non sapeva – che non poteva nemmeno lontanamente immaginare – era ciò che il futuro serbava per quella ragazza che aveva tanto lottato per guadagnarsi un posto che, a sua insaputa, le apparteneva già di diritto.

-Oh, ma poi te le vai anche a cercare, stupido pavone… aspetta che ti trovi da solo e tutte le botte che ti ho dato quella volta ti sembreranno carezze al confronto…- mugugnò la voce di Zoe alle spalle di Hinoka, sorprendendola: non l’aveva sentita riavvicinarsi, ma non era una novità – Zoe era stata cresciuta dai ninja, e nei suoi piedi era intriso un passo felpato che apparteneva soltanto a chi era abituato a muoversi nelle ombre.

-Zoe, non borbottare, è maleducato.- la rimbeccò il rosso, allungando rapidamente una mano per tirarle un orecchio e ritirandola prima che gli venisse probabilmente staccata a morsi.

Ormai incapace di trattenere più a lungo le risate, Hinoka prese un respiro profondo, rassettando la gonna della divisa da Falcone che indossava per costringersi a non guardare l’espressione profondamente oltraggiata della Samurai.

-Credo che vi lascerò discutere da soli, ora.- annunciò, interrompendoli giusto per i pochi attimi che ad entrambi servirono per inchinarsi in un rispettoso gesto di saluto a cui lei rispose con un sorriso e un cenno della testa. -Subaki, Zoe.-

-Hinoka.- la salutò Zoe, agitando allegramente una mano fino a che non ritenne che Hinoka si fosse allontanata abbastanza; poi, repentinamente, si scagliò sull’altra guardia reale, tirandogli un calcio che Subaki schivò per un pelo. -Per gli dei, Subaki, giuro che un giorno di questi ti darò tanti di quei calci nel__-

-Linguaggio!- rise lui, schivando un tentativo di pugno e parandone un secondo, stringendo nel palmo della mano quella di lei e strattonandola appena per avvicinarla a sé, ridacchiando quando Zoe avvampò e si divincolò per balzare immediatamente indietro.

-A me vieni a dire di moderare il linguaggio!?- ringhiò, scoccandogli un’occhiataccia e raddrizzando le orecchie, rosse d’imbarazzo e di frustrazione. -Dei, io non so nemmeno perché ti sopporto!- sbottò, prima di dargli bruscamente le spalle e dirigersi a passo marziale verso i quartieri delle guardie di sesso femminile, dove quell’idiota non avrebbe potuto continuare a darle fastidio.

.

Hinoka, nascosta dietro una delle tante statue che ornavano il percorso acciottolato che dal campo di addestramento portava al bellissimo giardino del castello di Shirasagi, si permise finalmente quella risata che aveva trattenuto fino a quel momento. Si appoggiò con la schiena al marmo freddo e candido da cui era emersa, decine d’anni prima, la figura possente di un ormai dimenticato guerriero armato di katana, cercando di soffocare il suono del suo riso premendosi entrambe le mani sulla bocca.

Zoe era sempre stata una forza della natura.

Prese fiato, sfregandosi gli occhi inumiditi dall’ilarità, senza tuttavia riuscire a cancellare il sorriso che le increspava le labbra sottili.

Zoe era giunta a Shirasagi molti anni prima, quando Hinoka era ancora poco più di un’infante, assieme a quella che sarebbe poi diventata la seconda moglie del re di Marmo e la regina reggente di Hoshido.

Sumeragi, che Hinoka ricordava soltanto come un uomo dalla risata ruggente e dai capelli che assomigliavano alla criniera di un leone, aveva accolto Mikoto e le due neonate che portava con sé, offrendo rifugio e conforto a quella donna che sembrava essere apparsa dal nulla. Lady Ikona, la madre naturale di Hinoka e dei suoi fratelli e, a quel tempo, regina, aveva offerto a Mikoto un lavoro come dama di compagnia, permettendole così di mantenere in modo onorevole le due infanti che aveva presentato come sue figlie.

La regina e la nuova arrivata avevano stretto amicizia in fretta, accomunate da una natura profondamente altruista e affettuosa: a quei tempi Ikona, di cui Hinoka purtroppo non serbava altro ricordo se non l’impronta di una dolce carezza fra gli scompigliati capelli rossi che da lei aveva ereditato, era in attesa del quarto figlio – quella che sarebbe poi diventata la piccola Sakura –, ma la sua salute cagionevole aveva decretato una condanna a morte da cui nessuno, a Shirasagi, si era ripreso facilmente.

Hinoka non rammentava chiaramente il dolore e il senso di vuoto che avevano accompagnato la morte di sua madre; tutto ciò che sapeva le era stato raccontato, ma poteva perfettamente immaginarsi, bambina, davanti ai fiori candidi cosparsi sul corpo senza vita di Ikona, con la mano stretta in quella del suo fratellino e una Mikoto in lacrime che teneva un braccio attorno alle spalle di Ryoma e l’altro attorno al corpicino esile di una Sakura appena nata.

Era sicura di ricordare che anche il cielo, quel giorno, aveva pianto la perdita del sorriso del re.

Mikoto, che nel corso del tempo era diventata un’amica fidata di Ikona e dei suoi figli, aveva trascorso i molti mesi del lutto reale con loro, gli orfani della regina: si era occupata delle necessità di Sakura, aveva spiegato a Takumi, con tutta la dolcezza di cui era capace, il motivo per cui la mamma se n’era andata, aveva accolto nel proprio letto una Hinoka scossa dagli incubi e aveva fatto sì che Ryoma non avesse il tempo di pensare alla perdita della madre, occupato dall’esuberanza di Zoe e di Ileana, l’altra bambina di Mikoto.

Il re, grato a Mikoto per la gentilezza e l’affetto di cui aveva riempito le vite dei suoi figli in un momento tanto difficile, si era lentamente avvicinato a quella donna gentile, trovando anch’egli conforto nella dolcezza che aveva già conquistato i suoi bambini: il lutto per la perdita di Ikona li aveva uniti e, alla fine, l’amicizia si era trasformata in affetto e in amore, incoronando Mikoto nuova regina di Hoshido.

In molti avevano osteggiato quella donna di umili origini che aveva, ai loro occhi, insidiato dapprima la regina e poi il re, ma presto si erano dovuti ricredere: lady Mikoto aveva conquistato il cuore degli hoshijin, restituito il sorriso a Sumeragi e dato una madre a quei bambini che amava come suoi e da cui era pienamente ricambiata.

Il sole era tornato a splendere su Hoshido, grazie a Mikoto, e le strade si erano presto nuovamente riempite di fiori, musica e risate.

Sumeragi aveva accolto nella famiglia reale anche le bambine di Mikoto, sebbene soltanto una fosse stata effettivamente adottata dal re, in quanto l’unica ad avere effettivi legami di sangue con la nuova regina – Mikoto aveva raccontato a lei e a Ryoma di aver avuto una figlia dal suo primo marito, anch’egli defunto, e di aver trovato l’altra neonata fra le macerie di un regno ormai perduto.

E poi il re di Marmo era caduto, ed un eterno crepuscolo era calato sul regno.

Ryoma era stato riportato a palazzo da Saizo IV e dai suoi figli, i gemelli Saizo V e Kaze; con lui, però, era tornata soltanto una delle bambine che Sumeragi aveva portato con sé a Cheve assieme al primogenito: Zoe.

L’espressione vuota e scioccata di Zoe era ancora chiaramente impressa nei ricordi di Hinoka.

Era stata riportata a Shirasagi senza la sua inseparabile sorellina, che le era stata sottratta dalle braccia e che, presumibilmente, era stata rapita o uccisa dal re di Nohr, Garon… la perdita di Ileana, in quella buia notte di Cheve, aveva portato via anche l’infanzia e l’innocenza di quella bambina troppo piccola per ricordare la verità.

Era stata quella perdita, quella colpa di cui Zoe si era caricata nonostante nessuno avesse mai nemmeno pensato di accusarla di qualcosa di tanto orribile, a forgiare la donna forte e determinata che aveva preso in mano una spada di legno da bambina e aveva affermato di voler diventare un guerriero per andare a riprendersi Ileana.

La principessa perduta era stata per molto tempo l’unico motivo a guidarla, l’ossessione che l’aveva spinta a sopportare senza fiatare gli addestramenti brutali di Saizo, la rabbia che aveva infuso nelle mani che si erano fatte sempre più callose e abituate alla forma delle armi: negli anni, però, quella furia malata si era acquietata, e di recente Zoe aveva cominciato ad esprimere il desiderio di scalare i ranghi dell’esercito per diventare daimyo, un generale.

Certo, lei non poteva sapere quanto il suo futuro fosse stato già scritto molti anni prima, ma Hinoka comprendeva il suo bisogno di un ruolo, di un destino, di una strada da percorrere – la capiva, capiva perché Zoe volesse combattere, ottenere un ruolo abbastanza importante da darle la possibilità di impedire che altre bambine venissero rapite e altri padri strappati alle loro famiglie.

Era diventata un guerriero per gli stessi motivi, dopotutto.

-Hinoka, mia cara.-

Una voce tenue e delicata sottrasse improvvisamente Hinoka dai pensieri che avevano adombrato il suo viso; la principessa alzò lo sguardo, tentando di reprimere la tristezza che le aveva colmato l’animo, sforzandosi di sorridere quando si ritrovò dinanzi il volto di sua madre, la regina Mikoto.

-Madre.- la salutò, allungando le braccia per accogliere fra le proprie le mani tese di Mikoto, stringendole con tutta la tenerezza di cui era capace e sentendo il peso che le gravava sul petto alleviarsi in risposta alla vicinanza della madre – aveva sempre avuto quella capacità, quella donna che era fiera e felice di considerare la sua mamma, di trasmetterle calma e serenità anche nei momenti più bui.

Il frastuono proveniente dal campo di addestramento le distrasse, e Mikoto si sporse in tempo per riuscire a vedere Zoe dirigersi a passo di marcia verso i bagni delle donne, chiaramente furibonda; Hinoka ridacchiò e la regina sorrise, divertita.

-Ah, vedo che alcune cose non cambiano mai.- commentò, notando probabilmente anche Subaki, di sicuro rimasto al campo per allenarsi a sua volta.

-Affatto. Quei due proprio non si sopportano.- annuì Hinoka, aspettando che Zoe sparisse dalla vista di entrambe per poi prendere sottobraccio la madre e lasciarsi condurre verso il castello.

-Non sono due caratteri facili, questo è certo.- concordò la regina, ben conscia della rivalità che divampava da anni fra quei due: sebbene si fosse distanziata progressivamente da Zoe, dopo la morte di Sumeragi, Mikoto non aveva mai smesso di interessarsi dei progressi e della vita della turbolenta samurai dalle orecchie a punta, e tanto Hinoka quanto Ryoma avevano sempre cercato di riempire la malinconia della madre con i racconti di tutto ciò che era capitato a loro, ai loro fratelli e a Zoe durante il giorno.

Prevedibilmente, come succedeva sempre quando l’argomento fra loro era Zoe, Hinoka vide il volto della regina adombrarsi.

-È diventata una splendida, giovane donna…- sussurrò, lasciando che quella triste constatazione si perdesse fra i sospiri del vento, ed Hinoka avvertì le sue dita esili stringersi sul suo avambraccio.

Sì, Zoe era cresciuta, maturando in una guerriera e in una persona di cui qualunque genitore sarebbe potuto essere fiero: ma non Mikoto, non quella madre che aveva dovuto celare alla propria figlia la sua identità, il suo retaggio e la sua famiglia.

-Madre…-

La voce della principessa si spezzò, mescolandosi al lutto celato nel gemito silenzioso della regina di Hoshido, in quei tristi occhi bruni che scrutavano l’orizzonte come se quel Sole splendente potesse restituirle le figlie che aveva perduto in quella terribile notte di Cheve.

-Le dirai mai la verità?-

Mikoto abbassò lo sguardo, e la maggiore delle sue figlie poté scorgere la sofferenza ed il rimorso dipingersi sul suo volto di porcellana.

La verità.

La verità poteva essere tanto meravigliosa quanto terribile, tanto un fardello quanto una liberazione: Hinoka aveva atteso per anni, impaziente, che giungesse il momento di rivelare a Zoe ciò che era stato fatto per proteggerla… ma non era sua, quella decisione, e perciò si era costretta ad aspettare pazientemente che arrivasse il giorno in cui Mikoto avrebbe finalmente scelto di liberare coloro che sapevano dal silenzio che li aveva tormentati così a lungo.

-Sì.- promise la regina al vento, affidando a quei refoli gelidi la sua speranza, quella di Hinoka e quella di tutti coloro che erano impazienti di accogliere la legittima principessa nella famiglia reale.

L’ombra di un kinshi passò sopra di loro, riempiendo il cielo per un istante: le due donne alzarono lo sguardo, distinguendo un familiare scorcio di lunghi capelli blu e le candide vesti del Cavaliere Kinshi incaricata ormai da anni della protezione della regina.

E allora Mikoto sorrise, rasserenandosi all’improvviso, seguendo l’aggraziata planata della fedele Reina con una nuova luce nello sguardo.

-Prima di quanto io stessa pensassi.-

.

Zoe drizzò le orecchie, illuminandosi in volto quando un suono familiare la distrasse dal pensiero di quell’odioso di Subaki.

-Reina!- esclamò, lanciando da parte i sandali che avrebbe dovuto indossare e correndo fuori dai bagni appena in tempo per scorgere la sagoma di un kinshi che lei ben conosceva stagliarsi sul cielo limpido a poco più di qualche manciata di piedi dal suolo.

Senza darsi nemmeno il tempo di scorgerne il cavaliere, sicura del proprio udito e del proprio intuito, diede le spalle all’enorme pennuto e scattò in direzione della statua più vicina, aggrappandosi al braccio di marmo per riuscire inerpicarsi lungo la struttura. Aveva sempre amato scalare, sin da bambina, e non c’era statua a Shirasagi che lei non avesse usato almeno una volta per guardare il mondo stendersi all’infinito davanti al suo sguardo.

Raggiunse la testa, salendovi in piedi e rimanendo in equilibrio senza troppi problemi, aggrappandosi alle scanalature dei capelli scolpiti con le dita dei piedi – Subaki sicuramente sarebbe inorridito, nel vederla così inselvatichita… quindi doveva assolutamente fare in modo che la vedesse, si annotò mentalmente, divertita, accovacciandosi quando il kinshi passò a poco più di una iarda dalla sua testa; e poi saltò, mettendo nelle gambe tutta la forza che aveva ed allungandosi per aggrapparsi alle zampe del volatile.

Il kinshi, tutt’altro che allarmato, sollevò gli artigli per avvicinarla al proprio corpo, permettendole così di inerpicarsi sotto una delle sue grandi ali candide per essere, poi, afferrata per la collottola da una forte, familiare mano di donna: rise, Zoe, lasciandosi tirar su senza protestare, aggrappandosi con gioia alle spalle del Cavaliere quando quella la tirò in grembo e la avvolse in un abbraccio così stretto da mozzarle il fiato.

-Sei tornata!- cinguettò, felice, affondando il viso nei capelli blu del Cavaliere che, assieme a Orochi e a Kagero, l’aveva cresciuta.

Reina, la più anziana delle guardie reali assegnate alla regina Mikoto, le accarezzò i capelli, appoggiando la guancia alla fronte della ragazza.

-Mia dolce, cara bambina, sono così felice di vederti.- le mormorò affettuosamente all’orecchio, cullandola in quell’abbraccio a cui Zoe, nonostante ormai fosse una donna fatta e finita, non riusciva a rinunciare: Reina e, in seguito, Orochi e Kagero, erano state nominate sue tutrici molti anni prima, appena dopo Cheve, e Zoe non riusciva nemmeno a ricordare come fosse stata la sua vita prima di loro… erano la sua famiglia, i suoi porti sicuri in quel mondo in cui non aveva ancora trovato un suo posto, e lei le amava con ogni fibra del suo essere.

-Ti aspettavo fra giorni!- trillò, sollevando la testa per ricambiare il sorriso della guerriera. Reina le accarezzò una guancia e Zoe, felice, piegò la testa per seguire il tocco calloso e ruvido dei polpastrelli da arciere della donna, assetata del contatto fisico che, nel regno di Hoshido, era da sempre riservato soltanto all’intimità celata al di là di sottili pareti di carta di riso.

-Com’è stata la tua giornata?- le domandò il Cavaliere, aiutandola a voltarsi per sistemarsi in sella davanti a sé. Zoe si accomodò meglio, lanciando una gamba dall’altro lato del dorso del pennuto e afferrando le redini, stringendo le ginocchia per dirigere il kinshi verso le stalle; Katsu, che Zoe aveva raccolto da implume pulcino ferito e cresciuto fino a diventare la maestosa cavalcatura di Reina, obbedì docilmente alla sua guida esperta, planando con grazia verso il terreno.

-Hinoka mi ha aiutata ad imparare un contrattacco con la nageyari, non vedo l’ora di mostrartelo. Oh, e ho discusso con Subaki, come sempre.- raccontò, senza distrarsi, focalizzando la propria attenzione sull’ambiente che le circondava e sulle manovre che doveva far compiere al kinshi.

La stretta delle mani di Reina sulle sue spalle si strinse e, nella sua voce, Zoe colse una traccia d’acciaio.

-Desideri che me ne occupi io?-

.

-‘Eina!-

Reina spalanca le braccia appena in tempo per accogliere il corpicino paffuto e singhiozzante di una bambina dalle lunghe orecchie a punta, scoperte da due trecce arruffate in cui Orochi cerca, giornalmente, di imbrigliare la sua indomabile chioma biondo cenere.

La piccola si stringe forte a lei, soffocando il pianto nella spalla della donna e serrando fra le morbide dita la stoffa della sua veste, nel tentativo coraggioso di celare il proprio pianto.

-Subaki e Hinata mi tirano le orecchie.- mugugna, e Reina, in effetti, scorge un rossore anomalo sulla pelle pallida che emerge dalla sua testolina.

-Oh, piccolo tesoro, non piangere.- la culla, prendendole il viso fra le mani e cancellando, coi pollici, quelle lacrime testarde che Zoe cerca sempre di nascondere. Nel suo kimono candido sembra una bambola più che un essere umano, ma Reina sa bene che, in quel giovane spirito libero, si cela un animo coraggioso. -Sai cosa facciamo, ora? Andiamo a tirar loro le orecchie a nostra volta, fino a che non gliele strapperemo dalla testa. Ti piace l’idea?- le propone e, quasi immediatamente, vede gli occhi scarlatti della piccola illuminarsi.

-Sì!-

..

Zoe ridacchiò, udendo risuonare fra i ricordi le strilla di dolore di quei due odiosi ragazzini che, tuttavia, le erano più cari di quanto dimostrasse – no, forse stava esagerando: Hinata le era molto caro, ma avrebbe felicemente fatto a meno dell’esistenza di Subaki.

Stupido pavone egocentrico e narcisista. Avrebbe dovuto dargli un’altra lezione, presto o tardi.

-Oh, no, ormai so gestirlo senza problemi. È solo fastidioso.- rassicurò la sua tutrice, facendo atterrare agilmente Katsu e balzando subito a terra, impaziente, tirandolo per convincerlo ad entrare nel suo box. -Il tuo viaggio com’è stato? Sarai stanca, vuoi che ti prepari un bagno caldo? Takumi e Kaze stanno bene?- le domandò, ricordando improvvisamente che Reina era stata assegnata alla protezione del giovane principe per un viaggio di ricognizione presso i confini del regno.

-Sei sempre così entusiasta, piccola mia. La tua voglia di vivere mi mantiene giovane.- sorrise, Reina, porgendo alla ragazza le sue armi d’ordinanza perché le riponesse. -Takumi e Kaze stanno bene, e mi farebbe molto piacere se tu preparassi un bagno caldo per me. Vai nelle mie stanze, ti raggiungerò là dopo aver conferito con lady Mikoto.- la istruì, e Zoe annuì immediatamente.

-Sissignora!-

Rise, Reina, dandole un’ultima pacca affettuosa sulla testa prima di voltarsi, pronta a dirigersi nelle stanze della regina.

-Brava piccola.- la lodò ma, prima che potesse lasciare Zoe ai suoi compiti, la graziosa figura della regina di Hoshido si stagliò sulla soglia delle stalle.

-Lady Mikoto!- esclamò Zoe alle sue spalle, sorpresa, drizzando immediatamente la schiena ed inchinandosi. -Buon pomeriggio, milady.- salutò, appiattendo le orecchie sulla testa in segno di rispetto.

Erano passati così tanti anni da quando lei ed Ileana erano state trattate allo stesso modo da lady Mikoto… forse, allora, a Zoe era stato permesso di comportarsi molto più liberamente con la regina, ma quei tempi erano così lontani da essere soltanto un’ombra nella sua memoria.

Ileana.

Aveva sentito parlare così tanto della principessa perduta, della figlia di lady Mikoto che re Garon aveva sottratto dalle mani ancora calde del caduto re Sumeragi… sebbene sapesse di aver trascorso i primi anni della propria vita sempre assieme alla principessa, Zoe non riusciva a ricordare altro che una bimba minuta con i capelli biondi come i suoi che adorava mangiare biscotti e giocare a nascondino con lei, Hinata e Takumi.

Ma era per lei che Zoe era diventata ciò che era: per Ileana, per la tristezza negli occhi di lady Mikoto, per la ferita inferta alla nazione che amava e che considerava la sua casa.

Non ricordava quasi niente della notte di Cheve, se non la stretta delle braccia di Kaze e le lacrime che aveva versato: quella che fino ad allora aveva considerato la sua adorata sorellina le era stata strappata via, il re era stato ucciso dal malvagio Garon e l’unica madre che aveva conosciuto fino a quel momento, lady Mikoto, l’aveva bruscamente allontanata da sé.

Da piccola, Zoe aveva spesso pensato che la regina si fosse arrabbiata con lei per non aver preso il posto della figlia, per non avergliela riportata a casa: aveva sempre visto così tanta tristezza, negli occhi gentili di lady Mikoto, ogni volta che i loro sguardi si erano incrociati… il senso di colpa l’aveva tormentata a lungo, strappandola dal sonno tanto spesso da costringere Orochi a darle delle pozioni per dormire, fino a che, a sei anni d’età e con una determinazione che anche un guerriero adulto avrebbe invidiato, aveva cominciato a tormentare Saizo, la guardia personale di Ryoma, fino a che lo scontroso Maestro Ninja non aveva stancamente accettato di addestrarla.

Saizo era stato soltanto il primo degli insegnanti che aveva costretto per esasperazione a seguirla: a lui erano seguite Reina ed Orochi, che l’avevano addestrata nell’arte della naginata, dello yumi e della magia – anche se Zoe, per natura troppo turbolenta, non aveva mai messo insieme nemmeno un incantesimo fatto e finito e aveva presto lasciato perdere –, mentre Saizo e Kagero si erano impegnati per renderla abile almeno quanto loro nell’utilizzo di shuriken e katane.

Ryoma ed Hinoka si erano spesso opposti a quell’addestramento intensivo e troppo duro per una bambina, affezionati com’erano alla ragazzina che era cresciuta con i loro fratellini e che tante volte aveva coinvolto anche loro nelle marachelle sue e di Takumi, ma Zoe era andata avanti, ossessionata dal senso di colpa che tanto a lungo l’aveva tormentata.

Aveva fatto così tanta fatica ad accettare che non avrebbe potuto fare nulla, che a nemmeno cinque anni non sarebbe mai stata capace di far niente se non lasciarsi uccidere… certo, aveva pensato molte volte che tutto sarebbe andato bene se Garon avesse preso lei al posto della principessa – una parte di lei non avrebbe mai smesso di pensarlo – ma aveva capito che continuare a struggersi, a punirsi e a tormentarsi per qualcosa che non poteva cambiare non le avrebbe portato niente di buono.

Eppure… eppure ancora non riusciva a sostenere lo sguardo della regina, perché la tristezza in quegli occhi era qualcosa che non avrebbe mai smesso di perseguitarla.

-Buon pomeriggio anche a te, Zoe cara.- la salutò la regina, gentilmente, dandole così il permesso di alzare lo sguardo: lady Mikoto era elegante e serena come sempre e, come sempre, nei suoi occhi marroni Zoe scorse l’onnipresente velo di rammarico che la perseguitava fin da bambina.

Per fortuna, la regina spostò quasi subito l’attenzione sulla propria guardia.

-Reina, sono lieta di ritrovarti in salute. Mio figlio sta bene?- domandò, e Zoe poté distendere lievemente le spalle: non riusciva proprio ad evitare di sentirsi sotto pressione in presenza di lady Mikoto, sebbene la donna non avesse fatto altro che ricoprirla di dolcezza da che aveva memoria.

Reina annuì.

-Sì, milady, il principe Takumi era in splendida forma quando ci siamo separati. Mi ha chiesto di recapitarvi un messaggio urgente e di natura privata.- riportò, voltandosi verso Zoe ed inclinando la testa verso le porte della stalla. La ragazza annuì, inchinandosi alla sua tutrice e alla regina prima di superarle entrambe.

-Vogliate scusarmi, lady Mikoto.- salutò, prima di sparire nel luminoso pomeriggio di Shirasagi; Reina sorrise, allungando una mano per accarezzare il lungo collo di Katsu.

-È una brava ragazza.- mormorò, e la sua regina si concesse un sospiro.

-Sì. Tu, Orochi e Kagero avete fatto un lavoro splendido, con lei.- rispose, piano, e Reina sapeva che ammettere quella verità costava alla sua amata regina più di quanto chiunque avrebbe mai potuto comprendere.

Lady Mikoto, però, si riscosse quasi subito. -Ma ora dimmi, Reina, qual è il messaggio di Takumi?- domandò, e la sua guardia reale finse di non notare il tono sforzato e fragile della sua signora.

Sospirò, il Cavaliere Kinshi, volgendosi per sostenere l’espressione determinata di Mikoto.

-L’abbiamo trovata, milady.- sussurrò, e persino il suo kinshi sembrò irrigidirsi sotto le sue dita rovinate; la sovrana invece trattenne il respiro, impallidendo visibilmente dinanzi all’espressione terribilmente seria dell’altra.

-Abbiamo trovato Ileana.-

.

.

.

Canticchiando fra sé e sé, Zoe ripose i bagagli di Reina, che aveva svuotato, al loro posto: era abituata ad occuparsi di quel tipo di compiti da sempre, perché facevano parte dell’insieme di conoscenze ed informazioni che una guardia reale doveva conoscere per essere efficiente al servizio di un reale.

Ora avrebbe dovuto solamente preparare un bagno caldo e aspettare che Reina rientrasse: allora, finalmente, avrebbe potuto spietatamente tartassarla per farsi rivelare il contenuto della misteriosa comunicazione di Takumi.

Non era preoccupata: Takumi era un guerriero straordinariamente abile, letale con il suo fedele Fujin Yumi in mano e terribile con una katana, ed era in compagnia delle sue guardie personali e di Kaze, uno dei ninja più abili e rinomati dell’intera Hoshido.

No, lei voleva sapere come mai Reina era stata rimandata indietro prima del resto delle truppe del principe, e il motivo di tutta quella segretezza: in un modo o nell’altro, decise fra sé, avrebbe scoperto che cosa stava sobbollendo in pentola.

Un suono di passi, leggeri e familiari, la distrasse dai suoi pensieri; si voltò, sorridendo, fiondandosi verso la porta scorrevole nel momento stesso in cui quella si aprì.

-Mamma!- strillò, affondando il viso nel petto morbido della donna che era appena apparsa sulla soglia.

-Oof!- sbuffò quella, aggrappandosi a lei per non perdere l’equilibrio. -Non sei più così piccola da poter fare questi salti sulle esili spalle della povera Orochi, micia!- squittì, ma rise quando Zoe si limitò a stringerla ancor più saldamente.

Orochi aveva ragione: era diventata più alta di sua madre già prima di compiere sedici anni e, al contrario dell’Onmyoji dai capelli indaco, il suo fisico era molto più massiccio, sebbene non fosse mai stata in grado di nascondere sotto i muscoli la forma fin troppo rotonda dei suoi fianchi e del seno.

-Perdonami.- mugugnò, sollevando lo sguardo soltanto quando decise di averla strapazzata a sufficienza: Orochi ammiccò, scostando i ciuffi ribelli dalla fronte della ragazza e raccogliendoglieli dietro un orecchio.

Zoe, insospettita dall’insolito silenzio della madre, aggrottò le sopracciglia. -Va tutto bene? Sembri tesa.- indagò, inclinando la testa e le orecchie di lato per scrutare quei familiari occhi violetti. Orochi, divertita dall’estrema espressività di quel paio di orecchie, allungò una mano per accarezzarle, sapendo quanto fossero sensibili e delicate.

-Mi conosci bene.- la lodò, alzandosi in punta di piedi per baciarla sulla guancia; la ragazza socchiuse le palpebre, soddisfatta, e la maga ridacchiò pensando che non si sarebbe nemmeno sorpresa più di tanto se l’avesse sentita fare le fusa. Poi però sospirò, posando le mani sulle sue spalle.

-Lady Mikoto ha convocato tutti i suoi figli e le guardie reali… compresa tu.- le spiegò, e Zoe comprese chiaramente che, fosse stato per sua madre, lei sarebbe stata tenuta assolutamente alla larga di quello che si stava rivelando essere un vespaio più grosso di quanto avesse immaginato.

-Io?- domandò, sorpresa: non era ancora stata ufficialmente nominata una guardia reale – la cerimonia era stata rimandata a dopo il ritorno di Takumi, ma nessuno le aveva nemmeno detto a chi sarebbe stata assegnata o, persino, se le avrebbero permesso di affrontare le prove necessarie per cominciare a scalare i gradi dell’esercito… com’era possibile che la regina volesse proprio lei?

-Sì. Ti spiegherà tutto la regina.- le rispose, laconica come Zoe non l’aveva mai sentita, prendendola per mano e tirandosela dietro lungo i corridoi bagnati dal Sole pomeridiano.

-Non puoi dirmi proprio niente niente? Nemmeno un indizio piccino piccino?- tentò di irretirla, ma Orochi scosse la testa e Zoe sbuffò, indispettita. -Mamma, sei davvero antipatica, certe volte.- mugugnò, incrociando le braccia sul petto quando Orochi la lasciò andare.

-Su, porta pazienza per qualche minuto.- fu il rimprovero bonario della madre, che le pizzicò una guancia prima di superarla per infilarsi nella sala del trono. -Lady Mikoto, eccoci.- annunciò, inchinandosi alla sovrana e ai principi che le erano assembrati attorno prima di spostarsi accanto a Kagero, diligentemente in piedi accanto al collega Saizo e a Reina, alle spalle di Ryoma.

Zoe la seguì e, all’improvviso, tutti gli sguardi furono su di lei.

Rabbrividì, a disagio, chinando la testa in segno di rispetto per qualche attimo prima di volgere un sorriso incerto in direzione delle principesse: Hinoka ricambiò il gesto mentre Sakura, seguita da Subaki e dalla fedele Hana, si avvicinò a lei per prenderla sottobraccio e condurla al cospetto di Mikoto e di Ryoma, che alzò una mano per rivolgerle un rapido saluto amichevole.

Quel gesto, e la stretta familiare delle manine soffici di Sakura sull’avambraccio, la rincuorarono: conosceva tutti i presenti da anni ma non era abituata ad essere guardata da così tante persone contemporaneamente, e la cosa la metteva più a disagio di quanto potesse mostrare – aveva trascorso talmente tanto tempo fra le ombre, ormai, che ritrovarsi in mezzo a quella che ai suoi occhi schivi sembrava proprio una folla le dava quasi un senso di nausea.

Si costrinse a non lasciar vagare lo sguardo, nonostante provasse l’irresistibile desiderio di cercare sicurezza nei volti amici di Hana e di Hinoka, ma si aggrappò con più forza a Sakura: la giovanissima principessa, nonostante la timidezza che in molti scambiavano per vigliaccheria, aveva una stretta forte e sicura, e Zoe si permise di lasciare che le sue piccole mani la rassicurassero.

Dopotutto, quelle erano le stesse mani che l’avevano rattoppata un numero indefinito di volte dopo gli allenamenti, e che l’avevano sempre consolata con una carezza ogni volta che un insulto particolarmente cattivo le era stato indirizzato.

Rabbrividì, incrociando per un istante fugace lo sguardo del suo maestro: se Saizo fosse venuto a conoscenza di tutto ciò che gli aveva nascosto, negli anni, l’avrebbe come minimo rimproverata per un paio d’anni consecutivi per aver mentito e punita in tutti i modi che potevano venirgli in mente… prima di andare a riscuotere, da coloro che l’avevano umiliata per tutta la vita, un prezzo davvero troppo alto per vendicare una nessuno.

Che poi, cosa ci sarebbe stato da vendicare? Gli insulti, i tormenti, la sensazione di essere feccia contro cui Zoe ancora lottava quando gli sguardi pieni d’alterigia dell’aristocrazia hoshijin? A parte qualche episodio che non amava rammentare – uno dei tanti motivi per cui non sopportava Subaki, che sapeva fin troppo – ciò che aveva passato e di cui non aveva mai parlato con nessuno, tranne che con Sakura, non era stato nulla di particolarmente drammatico.

Bastò un sospiro, tuttavia, e Lady Mikoto attirò immediatamente tutta la sua attenzione: era bellissima e lontana come sempre, nel suo abito candido e dorato e con la corona stellata che contrastava con i suoi capelli neri, e Zoe dovette combattere con la propria insicurezza per sostenere il suo sguardo.

-Milady…?- domandò, debolmente, confusa dall’attenzione di cui era diventata oggetto e che non le piaceva neanche un po’.

La sovrana, più tesa di quanto fosse stata soltanto poco prima nelle stalle, la invitò con un ampio gesto del braccio ad avvicinarsi.

-Vieni, Zoe.- la chiamò, e lei dovette a malincuore abbandonare il fianco di Sakura per salire quei pochi gradini che la separavano da lady Mikoto e da Ryoma. Il Maestro di Spada e Alto Principe di Hoshido si spostò alle sue spalle, facendole spazio accanto alla regina: mentalmente, Zoe si ritrovò a ringraziarlo, perché la sua vicinanza aveva sempre avuto un meraviglioso effetto rassicurante – e Hotoke soltanto sapeva quanto ne avrebbe avuto bisogno di lì a poco.

Mikoto scambiò con Ryoma un solo, fugace sguardo prima di riportare la propria attenzione su Zoe. -Reina mi ha portato una notizia che riguarda anche te, cara.- le spiegò, incrociando le mani sul ventre. -Durante la ricognizione sul confine dell’Abisso Infinito, Takumi si è scontrato con una pattuglia nohriana.- continuò e Zoe, stavolta, non poté evitare di impallidire, lanciando un’occhiata terrorizzata a Ryoma mentre i suoi pensieri si arrestavano bruscamente all’idea che Takumi, il suo adorato Takumi che la faceva sempre arrabbiare, fosse rimasto in qualche modo ferito durante quello scontro.

-Non preoccuparti, stanno tutti bene.- la rassicurò, permettendole così di prendere fiato. Ryoma sapeva quanto Zoe fosse legata tanto a Takumi quanto a Kaze ed Hinata, il Maestro d’Armi che serviva Takumi assieme alla Maestra di LanciaOboro, e lei sillabò un rapido “grazie” prima di ritornare a prestare attenzione a lady Mikoto.

-Takumi ha chiesto di incontrarci a Suzanoh al più presto possibile, perché portano con loro un prigioniero. Sono riusciti a catturare un reale nohriano.-

A quella notizia, questa volta, Zoe non riuscì proprio a stare zitta.

-Cosa? State scherzando!- esclamò, incapace di trattenersi., strappando un sospiro esasperato ad Orochi.

-Deshi!- sibilò Saizo, oltraggiato dalla mancanza di rispetto della sua allieva.

Mikoto agitò una mano in direzione della Onmyoji, soprassedendo così alla mancanza di rispetto della sua protetta. -Non preoccuparti, Saizo, è una reazione comprensibile. Questo la riguarda in prima persona.- affermò, prima di continuare. -Zoe, il reale che hanno catturato non sembra assomigliare a nessun altro che abbiamo mai affrontato prima.-

-Com’è possibile?- domandò la ragazza, sempre più perplessa, mentre quel desiderio impossibile che aveva sussurrato ogni notte, per anni, al cielo stellato parve infiammarle nuovamente il petto dopo tanti anni di quieta sopravvivenza.

Che gli dei avessero ascoltato le sue preghiere?

Lady Mikoto parve leggere, nel suo sguardo sconvolto, la folle speranza che aveva guidato la giovane samurai per la maggior parte della sua vita; annuì, le labbra illividite dalla tensione, tentando inutilmente di allontanare la sensazione che il destino fosse infine giunto per riscuotere il prezzo dell’affronto subito tanti anni prima. -Per questo motivo ho richiesto la tua presenza, e sarei felice se accompagnassi me e Ryoma a Suzanoh.- continuò, sforzandosi di mantenersi pacata e serena davanti ai suoi figli. -È opinione di Kaze che si tratti di Ileana.-

..

..

Doveva calmarsi.

Zoe chiuse gli occhi, resistendo alla tentazione di infilarsi le mani nei capelli e strapparseli tutti in una volta.

Doveva rimanere fredda e concentrata.

Strinse i denti, sentendo i canini appuntiti pungerle le labbra, cercando di escludere ogni suono dalla sua mente – invano: anche il cinguettio degli uccellini, lo stridio lontano di un kinshi, parevano martellarle le tempie e serrare quella morsa che l’aveva intrappolata nel momento stesso in cui lady Mikoto aveva pronunciato il nome della principessa perduta.

Gettò la propria sacca da viaggio sul futon, lasciandosi pesantemente cadere in ginocchio sul morbido materasso e permettendo ad un solo, angosciato gemito di sfuggirle.

Doveva ritrovare la propria calma, ed imbrigliare i pensieri che le vorticavano furiosamente in testa: non poteva distrarsi, adesso, nonostante la tensione le avesse annodato lo stomaco ed irrigidito ogni singolo muscolo del corpo così tanto da farle male.

Ileana.

La principessa perduta era stata uno dei motivi principali per cui aveva votato la sua intera vita a diventare una guerriera talmente capace da potersi infilare a Nohr e scoprire che fine avesse fatto la figlia della regina: Ileana era diventata un obiettivo, un simbolo che rintuzzava la sua determinazione quando lei vacillava, una speranza in cui, tuttavia, si era ridotta a credere soltanto per abitudine.

Se Ileana non fosse mai stata rapita, Zoe sarebbe dovuta diventare la sua guardia personale: quello le era sempre stato raccontato e quello, da bambina e da ragazzina, l’aveva sempre riempita di vergogna e di rimorso, perché non era stata in grado di prendersi cura di lei nel momento in cui Ileana avrebbe avuto bisogno del suo aiuto.

Saizo aveva avuto serie difficoltà nel farle capire quanto una bambina di cinque anni non avrebbe potuto fare nulla contro il Re d’Ossidiana, ma Zoe aveva cullato quel senso di colpa così a lungo, dentro di sé, che soltanto negli ultimi anni le parole incessanti del suo maestro avevano cominciato a far breccia in quella cappa di rimorso in cui si era ostinatamente avvolta per tanto tempo.

Non sapeva che cosa avrebbe dovuto fare, come si sarebbe dovuta comportare con lei: e se essere stata cresciuta da re Garon l’avesse irrimediabilmente corrotta in una persona malvagia? Cosa sarebbe successo se Ileana – sempre che si trattasse di lei e non di un’impostora – si fosse rivelata un mostro proprio come il re d’Ossidiana?

Era diventata una guerriera, una Samurai, perché nient’altro avrebbe potuto darle una parvenza di obiettivo, a Shirasagi. Aveva preso in mano una spada a sei anni perché diventare più forte era stata l’unica via d’uscita da una situazione a cui la bambina timida e fragile che era stata non sarebbe stata capace di sopravvivere… ed invece la sua testardaggine l’aveva resa abile, capace di difendersi e di difendere il suo prossimo, ed il codice dei samurai era diventato lo scudo dietro cui proteggeva quella sua parte più fragile che non era mai stata in grado nemmeno di sopportare uno stupido insulto.

Il pensiero di poter diventare, un giorno, una guerriera in grado di affrontare l’esercito di Re Garon – un obiettivo ambizioso e forse irrealizzabile, ne era perfettamente conscia – l’aveva tenuta in piedi, l’aveva spinta ad impegnarsi e a sopportare ognuna delle terribili sessioni di addestramento del suo maestro, a stringere i denti quando aveva cominciato a perdere il conto delle vesciche sulle mani e le ferite sul suo corpo.

Il pensiero di Ileana era lentamente scivolato in fondo alla sua mente, un’onnipresente, silenzioso memoriale di quanto male fosse stato in grado di fare il Re di Nohr alla famiglia reale che lei era onorata di servire, alla regina il cui sguardo tormentato la inseguiva ogni volta che i suoi occhi bruni la sfioravano, a lei – non avrebbe mai dimenticato le urla che aveva fatto, il dolore che aveva provato, quando Ileana le era stata strappata dalle braccia… ed era per lei, per la Regina, per tutte le famiglie che quella guerra inespressa aveva già rovinato, che Zoe aveva continuato a perseguire il suo obiettivo, incurante dello scherno dei nobili e della frustrazione che provava quando pensava a quanto, a quasi vent’anni, ancora non le fosse stato permesso di avanzare su quella strada che nessuno era stato in grado di impedirle di scegliere.

Però… non poteva impedirsi di provare quell’angoscia, di sentire l’eccitazione e la paura scorrerle nelle vene: dopo tanti anni, per la prima volta, avevano qualcosa, una prova che Ileana fosse ancora viva, che potesse esistere una remota possibilità di riportarla a casa, e i pensieri e le emozioni a cui Zoe si era ormai abituata erano riemersi tutti insieme, travolgendola.

Non era mai stata brava a gestire le emozioni, ma sapeva di doversi calmare – se non lo avesse fatto, lo sapeva, sarebbe stato qualcun altro a__

-Zoe.-

Sobbalzò, Zoe, strappata violentemente al turbinio di congetture e pensieri che minacciavano di sopraffarla: si era talmente estraniata da non accorgersi che Saizo, con l’innaturale capacità propria dei ninja, era apparso proprio accanto a lei.

-Saizo!- esalò, balzando in piedi per inchinarsi allo spaventoso Maestro Ninja privo di un occhio.

-Dov’è finito il rispetto per i tuoi superiori, deshi?- grugnì lui, irritato, e Zoe chinò la testa: sapeva di aver mancato di rispetto tanto alla regina quanto alle sue tutrici, intervenendo come aveva fatto, e aveva immaginato che il suo insegnante più severo si sarebbe presentato per rimproverarla.

-Lo so, mi dispiace. Avrei dovuto mantenere più controllo.- mormorò, pentita, voltandosi per non dover sopportare il peso di quell’unico, terribile occhio. -Ti serve qualcosa? Sono un po’ impegnata, al momento.- domandò, cercando di concentrarsi nuovamente sul bagaglio che doveva preparare: aveva indossato la sua tenuta da viaggio da Samurai, unahakama argentata e un kimono corto che le aveva donato Orochi e che le lasciava scoperto il ventre muscoloso; avrebbe portato con sé anche un haori, decise, perché sapeva che Suzanoh si trovava in una zona molto più fredda di Shirasagi e lei odiava, odiava il freddo.

-Lo noto. E sono qui per questo.-

Sorpresa, Zoe si voltò: non era da Saizo essere così percettivo nei confronti delle emozioni altrui.

Il ninja sospirò, passandosi una mano fra gli spinosi capelli rossi.

-Vorrei consigliarti di mantenere la calma.- continuò, chiaramente a disagio – Zoe poté distinguere un rossore sospetto fare capolino da sotto la maschera che copriva almeno metà del volto del maestro, ma si trattenne dal sorriderne: Saizo era incapace di gestire le proprie emozioni ancor più di lei, ma lei aveva imparato da molto tempo a cogliere la preoccupazione che il suo maestro provava anche dietro i suoi modi bruschi.

-Mi è un po’ difficile.- ammise, ripiegando l’haori e riponendolo sul fondo della sacca.

-Non è una motivazione valida.- replicò Saizo, aspro, mentre lei impacchettava qualche razione di emergenza. -Non sappiamo se la ragazza sia davvero Ileana, né che cosa le sia stato insegnato in questi anni. Non possiamo fidarci di lei, nemmeno se si trattasse davvero di__-

-Lo so!- sbottò, infine, la samurai, voltandosi per fronteggiare quell’uomo che, nonostante il suo aspetto, non la spaventava. -Non sono una stupida, d’accordo?- ringhiò, serrando i pugni sulla stoffa ampia dell’hakama. -So come comportarmi, davvero. È solo che…-

Solo che… era così difficile rimanere concentrata.

Sospirò, la rabbia che veniva meno: sapeva che Saizo voleva soltanto il suo bene, e che non permettesse al senso di colpa di tornare ad oscurare il suo giudizio, l’equilibrio piuttosto fragile che era riuscita a trovare – Saizo si era sempre preoccupato per lei, a modo suo: Zoe sapeva che le voleva bene, che voleva soltanto il meglio per lei…

Era quanto di più simile ad un padre che avesse mai avuto.

-Insomma… non è facile.- mormorò, chinandosi su un cassetto già aperto e spalancando uno sportello nascosto sul fondo: là, esposta con un’accuratezza che nessuno avrebbe mai sospettato, in Zoe, vi era una katana dalla lama dentata, minacciosa, la cui tsuka di legno e metallo era avvolta da un intricato tsukaito di seta scarlatta.

Saizo sapeva che Zoe adorava quell’arma, un dono per il suo diciottesimo compleanno ricevuto dalla regina Mikoto in persona, ed era anche perfettamente conscio di quanto potesse essere letale fra le sue mani: era stato Ryoma in persona ad addestrarla, quando le era stato assegnato il ruolo da Samurai, ed erano ben pochi quelli in grado di rivaleggiare con lei, a Shirasagi.

-Lo so.- annuì, approvando silenziosamente la sua scelta: doveva essere pronta a tutto e quell’arma le trasmetteva sicurezza… quella sicurezza che sembrava mancarle in quel momento. -Ma dovrai comunque usare prudenza.- aggiunse ma, quando Zoe si voltò per ribattere, era già scomparso.

La giovane sbuffò, scuotendo la testa e sfregandosi stancamente gli occhi.

-Se non ci fossi abituata lo troverei snervante.- mugugnò, allacciandosi l’obi ai fianchi e rinfoderandovi la katana con un gesto rapido e sicuro – aveva impiegato così tanto tempo ad imparare a farlo senza ridurre a brandelli i propri abiti…

La voce efficiente di Reina le giunse dall’altra stanza, distraendola dalle sue elucubrazioni: -Sei pronta?-

-Sì.- affermò, caricandosi in spalla la propria sacca e passandosi le mani fra i capelli, tirandoli indietro. -Andiamo.-

.

§

.

Le grandi mura di Suzanoh, costruite da un lontanissimo avo della famiglia reale, erano una struttura che Zoe aveva sempre trovato opprimente. Certo, erano una delle migliori difese che potessero esistere e gli abitanti di Shirasagi vi avevano trovato protezione nei tempi più bui, ma non riusciva ad ignorare quanto quell’ombra minacciosa pesasse su di lei, adombrando i tratti spigolosi del suo volto e disegnando pericoli inesistenti dietro ogni foglia.

Serrò la mano destra sull’elsa della katana, cercando conforto nella stoffa ruvida che sfregava sui suoi palmi, costringendosi a recuperare la concentrazione e studiando con un rapido sguardo ciò che la circondava – non che ci fosse poi molto da analizzare, in effetti: si trovava più avanti, sul percorso, rispetto al piccolo drappello che accompagnava la regina, ed intorno a lei vedeva solamente gli stessi alberi che avevano accompagnato quel paio di giorni che erano serviti per raggiungere l’avamposto indicato da Takumi.

-Deshi.-

Questa volta, per fortuna, l’aspra voce di Saizo non la colse di sorpresa. Lanciò un’occhiataccia al ninja, appollaiato come un lugubre uccellaccio del malaugurio su un ramo a poche iarde da quello su cui si era inerpicata lei.

-Sai, io avrei anche un nome, così, giusto per ricordartelo…- mugugnò, ma Saizo alzò una mano per interromperla.

-Silenzio.- le intimò e Zoe, malgrado l’irritazione, tacque. -Avverti qualcosa di strano?- le domandò, poi, una volta ottenuta la sua totale attenzione; lei scosse la testa, inarcando un sopracciglio – ma l’aveva presa per una recluta inesperta, forse?

-A parte Kaze?- sbottò, indicando con un brusco cenno della testa un punto apparentemente vuoto.

Puf.

Con uno sbuffo che mosse appena le foglie intorno alla sua figura snella un ninja apparve là dove, fino a poco prima, erano state visibili solamente le protuberanze di una corteccia; e, finalmente, Zoe si concesse il primo sorriso sincero da due giorni a questa parte.

-Fratello. Zoe.-

Al contrario di Saizo, che indossava il proprio aspetto spaventoso ed inquietante con orgoglio, Kaze era sempre stato il ritratto della dolcezza: forse erano i capelli, di un bel verde pallido, oppure il sorriso tenue e un po’ triste con cui il ninja affrontava ogni attimo della sua vita, ma Zoe aveva sempre provato una profonda tenerezza e un sincero affetto per Kaze che, negli anni, le era sempre stato accanto e l’aveva sostenuta anche quando lei stessa aveva pensato di non poter sopravvivere all’addestramento di Saizo.

-Bene, deshi.- fu il rapido e quasi impercettibile complimento che si perse nell’aria fredda di quella foresta, ma lei colse comunque la soddisfazione nella sua voce e si congratulò con se stessa: non era facile soddisfare i rigorosi canoni di Saizo, e lei serbava nell’animo l’orgoglio provato ad ognuna delle rare lodi ricevute da lui nel corso degli anni. -Da quanto tempo ti eri accorta di lui?- le domandò mentre Kaze, silenzioso come un’ombra, lo raggiungeva.

-Un quarto d’ora, circa.- rispose tranquillamente, sapendo bene di poter fare affidamento sui propri sensi e sul suo istinto: sarebbe stata davvero un’onta imperdonabile se non si fosse accorta della presenza di una persona che conosceva da tutta la vita. -Ci hai intercettati al bivio e seguiti per un po’, vero?- domandò, rivolgendosi a quello che, comunque, riteneva il suo preferito fra i due gemelli, e Kaze le sorrise.

-Brava.- si congratulò, prima di indicarle il percorso che aveva appena fatto con un rapido cenno della testa. -Ora torna indietro e dai il segnale a Kagero, la strada è sicura.- la istruì, con una gentilezza negli ordini che nulla aveva a che spartire con l’asprezza del fratello, ma richiamandola indietro appena prima che la samurai sparisse nel fitto fogliame. -E, Zoe?-

Zoe esitò, cogliendo un lieve turbamento in quella voce tanto familiare: Kaze non era un uomo che lasciava facilmente trapelare le proprie emozioni… anche lui era teso per tutta quella situazione, rifletté: come lei, anche il ninja dai capelli verdi aveva fatto propria la colpa del ratto di Ileana, e quel rimorso aveva modellato entrambi nelle persone che erano diventate.

-Sì?- domandò, senza voltarsi.

-Fai attenzione.-

Ridacchiò, balzando dal proprio ramo ad un altro con la scioltezza di un felino.

-Io faccio sempre attenzione.- sussurrò, consapevole che il suo commento un po’ arrogante sarebbe stato udito da entrambi i ninja e avrebbe strappato una smorfia a Saizo e un sospiro divertito a Kaze.

Bugiarda, mormorò una vocina nella sua testa, così simile a quella di Takumi da costringerla a soffocare una risata vera e propria: il suo fratellino antipatico le era mancato, in quelle settimane trascorse da quando era partito, e non aspettava altro che poterlo rivedere.

Takumi aveva all’incirca la sua stessa età – e quei pochi mesi che li distanziavano erano sempre stati motivi di battibecco – ed era cresciuto con lei: la piccola banda di scalmanati che avevano riunito attorno a loro era ancora un incubo ricorrente di Yukimura, ne era certa.

Crescendo, entrambi avevano intrapreso la strada del guerriero assieme ai loro compagni di giochi che, dopo anni di addestramento, erano tutti diventati guardie reali: Subaki e Hana erano entrati al servizio di Sakura, Hinata a quello di Takumi stesso, mentre Zoe non era ancora stata assegnata a nessuno – aveva sperato, anni prima, di poter diventare proprio la sua, di guardia reale, assieme ad Hinata, ma Saizo gliel’aveva impedito e quello era uno smacco che ancora, a volte, faticava a digerire.

Erano sempre stati molto uniti, lei e Takumi: erano due muli testardi che non potevano fare a meno di scontrarsi, li definiva spesso Hinoka, ma non era mai successo che uno dei due non spalleggiasse o provasse a coprire l’altro dopo l’ennesima marachella.

Sì, le era davvero mancato, ma poteva tenere a bada l’impazienza ancora per un po’: dopotutto, se Kaze era nei paraggi significava che il loro viaggio, ormai, era giunto al termine.

Ripeté a ritroso la strada percorsa assieme a Saizo, fino a che i suoi occhi allenati non colsero lo sventolio di un lembo di stoffa al di là di un tronco particolarmente imponente.

-Ma?- chiamò, portando prudentemente la mano destra alla spada per estrarne giusto qualche pollice, pronta per essere estratta dalla mano opposta: era quasi certa di aver riconosciuto Kagero, in quel baluginio, ma essere guardinga e sempre pronta al peggio era stata la prima lezione che Saizo le aveva inculcato in testa.

Il suo odore la raggiunse prim’ancora che Kagero si palesasse, con il tipico sbuffo dei ninja, al suo fianco: la sua seconda mamma era sempre stata preceduta da quell’essenza lieve, flebile, che a Zoe ricordava la stoffa morbida delle sue copertine di bambina e tutte le volte che Kagero le aveva permesso di nascondersi fra i suoi lunghi capelli neri per farla giocare a nascondino con Orochi.

Sorrise, socchiudendo gli occhi quando una carezza lieve le scostò la frangia.

-La strada è libera.- annunciò, voltandosi appena in tempo per scorgere il fiocco bianco che raccoglieva i capelli di sua madre svanire nel fogliame.

Kagero riapparve qualche albero più in là, splendida e a suo agio come un predatore nel suo habitat naturale; Zoe aveva sempre pensato che, nonostante Saizo fosse considerato dai più il più abile dei Maestri Ninja al servizio della famiglia reale, Kagero fosse proprio nata per essere un ninja: era splendida, letale e celava in un corpo che molte donne avrebbero ucciso per avere una forza pari a quella di diversi uomini messi insieme.

Le sue mamme erano davvero una più bella dell’altra: Zoe era fiera di loro, le adorava e ogni dettaglio che la accomunasse a loro la rendeva un po’ meno severa nel giudizio che aveva di se stessa… dopotutto, aveva imparato ad accettare il proprio corpo soltanto grazie al fatto che tanto Kagero quanto Orochi fossero fatte alla stessa maniera.

-Perfetto.- Kagero annuì, e Zoe rinfoderò rapidamente la spada – saltellare fra i rami con una spada mezza estratta era un buon modo per farsi del male, lo aveva imparato a proprie spese. -Reina ci segue dall’alto, tu scendi a sud di cinquanta iarde e prosegui parallelamente a me. Incontrerai lord Ryoma sul tuo percorso.-

Ignorando il lieve senso di contentezza che la pervase al pensiero di raggiungere Ryoma, Zoe assentì.

-Signorsì.- rispose, obbediente, lasciandosi Kagero alle spalle e proseguendo nella direzione indicatale finché non distinse un familiare riverbero scarlatto: Ryoma indossava la sua solita, spaventosa armatura rossa – che comunque, come diceva sua madre, lo faceva assomigliare più ad un’aragosta che ad un temibile drago –, e procedeva nel sottobosco con molta meno eleganza rispetto ai tre ninja.

Attenta a non farsi sentire, Zoe gli girò intorno fino a che non si trovò alle sue spalle, scegliendo un ramo particolarmente robusto su cui fermarsi, agganciarvi le ginocchia e lasciarsi cadere per dondolare a testa in giù a poca distanza dall’impressionante criniera bruna che erano i capelli di Ryoma.

-Puf.- esclamò, non riuscendo a trattenere una risata quando lui sobbalzò e si voltò di scatto, la mano già stretta sull’elsa della divina Raijinto; come aveva previsto, però, la riconobbe immediatamente, e le sue spalle si rilassarono.

-Non dovresti segnalare la tua posizione in questo modo.- la rimbrottò, sospirando, ma Zoe scosse la testa e allungò una mano per aggrapparsi al ramo, sganciando le gambe e dondolandosi un paio di volte prima di balzare agilmente a terra.

Si comportava sempre da idiota quando lui era nei paraggi.

-Questa zona è sicura.- replicò, sistemandosi l’hakama tutto in disordine, ben attenta a non scambiare nemmeno per sbaglio uno sguardo con il principe. -Saizo è con Kaze, e Kagero mi ha mandata a coprire questa zona.- riferì, affiancandoglisi senza nemmeno preoccuparsi di rivolgergli un inchino di cortesia: Saizo l’avrebbe sicuramente rimproverata, per quella mancanza, ma Ryoma le aveva sempre chiesto di comportarsi con lui come si comportava con i suoi tre fratelli.

La maggior parte delle persone considerava Ryoma un uomo distante, controllato o persino spaventoso: era facile lasciarsi intimorire dal suo aspetto imponente e dal suo sguardo severo… ma Zoe lo conosceva da tutta la vita, e sapeva quale persona altruista, buona e affettuosa si celasse sotto la sua onnipresente espressione serafica.

Ne era così conscia da essersi addirittura invaghita di lui.

Scosse la testa, tentando di scacciare quel pensiero prima che prendesse piede e la distraesse.

Idiota! Sei accanto ad un principe, in questo momento, il tuo dovere è proteggerlo quindi piantala di comportarti da ragazzina svenevole!

Prese un lungo respiro, usando violenza sulla sua mente per costringersi a rinchiudere voce, batticuori e stupidaggini del genere in un angolino impolverato in fondo al suo animo. Non aveva tempo per dar seguito ad una stupida cotta adolescenziale che ogni tanto le dava ancora qualche gomitata, né tantomeno il desiderio di torturare se stessa ricominciando a rimuginare su qualcosa di così sciocco.

Si incamminarono fianco a fianco, lasciando che un quieto silenzio calasse su di loro. Non si trattava di un silenzio pesante o imbarazzante, ma di una pace serena e confortevole di due persone che si rispettavano e si fidavano completamente l’una dell’altra.

Ryoma era l’unica persona con cui Zoe fosse mai riuscita a trovarsi completamente a proprio agio, senza sentire il bisogno di riempire il vuoto di parole: la sua presenza, la sua stessa esistenza, rappresentava un’ancora solida ed inamovibile che lei aveva sempre trovato rassicurante.

.

Non ha mai pensato a quanto possa essere appiccicoso il sangue.

Le incolla le dita dei piedi nudi, rende l’elsa della katana scivolosa e viscida, la fa quasi scivolare quando tenta nuovamente un affondo e lo porta a termine con un arco disordinato che le strappa un ringhio frustrato.

Non dovrebbe essere lì. Le sue mamme saranno sicuramente preoccupate, è già il tramonto e sarebbe dovuta essere a casa già da un’ora, ma a Zoe non importa: alza di nuovo la katana, ignorando le braccia che bruciano di dolore e le mani martoriate dal legaccio dell’elsa, e aggredisce con tutta la sua furia il manichino da addestramento.

Dovresti imparare a ricamare, Zoe.”

Ruggisce, quella tredicenne in fiore che odia con ogni battito del cuore un po’ di più il suo corpo che cambia, assordata dalla voce cantilenante e odiosa di Subaki che continua a ripetersi incessantemente nella sua testa.

Non sarai mai un guerriero con quel fisico. Faresti meglio a trovare un uomo che voglia sposare una stramba come te e metterti a fare figli.”

Mischiate al sangue che gocciola dalle sue mani ci sono lunghi capelli che, una volta, erano stati di un biondo sporco, spento e detestabile: qualche filo chiaro si è impigliato nella lama smussata con cui li ha tagliati, ed il loro baluginio non fa che fomentare la sua rabbia.

Si sforza di immaginare la faccia di Subaki su quella senza volto del manichino e, con un urlo disarticolato, gli si butta addosso, colpendolo disordinatamente con la katana da allenamento.

Per fortuna Saizo non è lì: se la vedesse comportarsi in quel modo sarebbe sicuramente disgustato… ma no, per fortuna è da sola, tutti sono già tornati a casa dopo una giornata intensa di esercizi e addestramento.

-Zoe.-

Oppure no.

Si morde le labbra, ignorando la voce che ha chiamato il suo nome: sa chi è, sa a chi appartiene, ma la sua attenzione è tutta sulla forza che le sue braccia non hanno e che cerca di costringere ad uscire fuori tramite tutto quel che possiede: la testardaggine.

-Zoe, posso sapere che cosa stai facendo?-

Nonostante abbia le orecchie appiattite sulla testa sente comunque i passi che si avvicinano, ma Ryoma è davvero l’ultima persona che abbia voglia di incontrare.

Il principe è a dir poco perfetto, più di quanto Subaki potrà mai sperare di diventare e, secondo Zoe, più di chiunque altro al mondo: è già uno spadaccino temibile, un guerriero abilissimo e una figura di riferimento per un numero sempre crescente di persone.

-Mi alleno.- risponde, a denti stretti, senza nemmeno voltarsi a guardarlo. Con la coda dell’occhio, però, lo scorge sbuffare.

-A me sembra che tu stia soltanto cercando di farti del male.-

Forse. Forse è quel che si merita. Forse è quello che avrebbe dovuto subire tanto tempo prima.

-Non servirà a molto allenarsi se poi non sarai in grado di stare in piedi.-

Nella sua mente offuscata dalla rabbia e dalla vergogna quelle parole fanno breccia, perché non c’è davvero altro che le importi se non essere un buon guerriero – ma non è abbastanza, Saizo le dice sempre che l’addestramento non è mai abbastanza, e lei prova una fede cieca nelle parole del suo maestro.

-Ci riuscirò comunque.-

Continuerà ad allenarsi ignorando la stanchezza, le ginocchia che tremano, le mani insanguinate.

-Così vedranno.-

Costringerà Subaki a rimangiarsi ogni parola, ogni insulto, ogni insinuazione.

-Così vedranno tutti.-

Saizo sarà fiero di lei e le permetterà finalmente di prendere il titolo di Samurai, un onore che le è ancora precluso perché non è abbastanza brava, abbastanza agile, abbastanza forte.

Si permette di prendere fiato, di abbassare la spada per qualche attimo, di lanciare un occhiata al ragazzo – no, Ryoma ormai è un uomo, al contrario di lei che è soltanto una ragazzina inutile.

-Per favore, vai via. Voglio rimanere sola.- gli chiede, odiando la supplica che non riesce proprio a trattenere. Distoglie lo sguardo, vergognandosi dello stato in cui deve essere, pregando fra sé che lui le dia retta e se ne vada.

-Preferirei rimanere qui, se non è un problema.-

No, non sembra volersene andare.

Zoe lo maledice mentalmente e per un attimo odia anche lui, che è così bravo in tutto quello che fa, che ha una famiglia che lei non ha, che ha uno scopo nella vita e un futuro certo dinanzi a sé.

-Rimarrò in silenzio, non ti infastidirò.-

Uno sbuffo e una scrollata di spalle sono le uniche risposte che riceve.

Ryoma annuisce e si allontana un poco per sedersi a terra, incrociando le gambe e le braccia e rimanendo perfettamente immobile mentre lei sfoga tutta la sua frustrazione sul povero manichino, ignorando la pozza disordinata che si allarga ai suoi piedi come l’oscurità che sta prendendo possesso del cielo.

Ben presto, Zoe perde la cognizione del tempo: ci sono soltanto le manovre e le posizioni che Saizo le ha insegnato, che ha provato mille volte assieme ad Hana e ad Hinata, e la furia che le annebbia lo sguardo ad ogni colpo un po’ di più.

Diventerà brava.

Troverà anche lei la sua strada, un motivo di orgoglio, qualcosa che possa spegnere l’odio profondo che prova per se stessa… oppure no, perché in fondo lei non merita altro che questo.

È detestabile.

È un’orfana senza futuro che ha fallito nel solo compito che avrebbe dovuto adempiere.

Subaki ha ragione, dovrebbe lasciar perdere, perché non sarà mai abbastanza… non lo è fin da quando la principessa Ileana è stata rapita e lei ha fallito nel suo compito. Non lo è mai stata da bambina, quando intorno a lei si era chiuso un cerchio di ragazzi più grandi che l’avevano spinta nel fango, al suo posto.

Dopotutto… il fallimento è l’unica cosa in cui riesce.

Le lacrime le offuscano la vista e la katana, all’improvviso, diventa davvero troppo pesante: le sfugge, cadendo a terra con un clangore assordante, e anche Zoe crolla con lei, schiacciata dalle colpe che sembrano toglierle persino la forza di respirare.

In ginocchio, tremante, alza lo sguardo e quel dannato manichino sembra farsi beffe di lei, del sangue che le macchia i vestiti, dei suoi capelli tagliati in preda alla rabbia che si arricciano intorno alle sue orecchie.

Vorrebbe urlare, vorrebbe gridare al vento tutta la sua frustrazione, ma la sua voce è bloccata in gola e tutto quello che le esce è un gemito di dolore.

Si prende la testa fra le mani perché sente che sta per scoppiare, e cerca rifugio accartocciandosi su se stessa in mezzo al suo stesso sangue, la terra sabbiosa che le si infila nel naso quando cerca furiosamente di prendere fiato.

-È colpa mia… è tutta colpa mia…-

Non importa quello che farà in futuro, non importa quanto si addestrerà, quanto sangue verserà: lei rimarrà sempre quella che doveva essere presa al posto della principessa, una nessuno che meritava soltanto di essere trattata come una paria, e nessuno potrà mai cancellare quella terribile verità.

Non si accorge della mano che le stringe una spalla fino a che non ode la voce calma di Ryoma ad un soffio dalle sue orecchie.

-Ehi.-

Si stringe su se stessa, sentendosi sballottata da quelle sensazioni velenose che la stanno lentamente uccidendo, giorno dopo giorno, anno dopo anno.

-Dovevo essere io… doveva prendere me…-

Se solo fosse morta, non avrebbe mai dovuto sopportare niente di tutto questo: non avrebbe mai dovuto affrontare gli insulti, le cattiverie, non sarebbe mai stata costretta a difendersi a spada tratta per rimanere sana di mente, non avrebbe mai dovuto sopportare la colpa che la dilania ogni volta che uno di quei signorotti da due soldi la chiama feccia.

Perché lei lo è, feccia.

-Zoe__-

Alza di scatto la testa, odiando quel nome e la gentilezza con cui lui lo pronuncia, stringendo i denti così tanto da sentirli stridere.

Ryoma non sa niente di tutto ciò che ha passato, nessuno sa cosa ha passato, nemmeno le sue madri o Saizo o Kaze: è stata brava, è riuscita a nascondere persino ai ninja quei pochi episodi che tuttavia l’hanno indelebilmente marchiata, ha sempre evitato di ripetere ognuna delle parole derisorie che le sono state rivolte – Subaki è il più innocuo di tutti loro, non è mai stato davvero cattivo con lei, ma quel giorno è stata la fantomatica ultima goccia che ha fatto traboccare il vaso.

-Perché non ha preso me? Perché Garon non ha risparmiato il re e Ileana prendendo me? Qualcuno poteva fargli credere che fossi la principessa e se mi avesse uccisa sarebbe andato tutto bene, e__-

-Ora basta.-

Le sue urla isteriche sono bruscamente interrotte da quelle parole forti, dure, che riescono a farsi largo nel panico che l’ha travolta e che minaccia di inghiottirla viva.

Ryoma la prende per le spalle, costringendola a sciogliersi da quella posizione che l’ha convulsamente chiusa in se stessa, forzandola a guardarlo in faccia quando torna a parlarle.

-Zoe, promettimi che non penserai più niente del genere.-

-Ma__-

-No, niente “ma”.-

Non ha mai notato prima che gli occhi verdi di Ryoma siano pieni di pagliuzze argentate.

Quel dettaglio insignificante sembra assumere un’importanza fondamentale, adesso, che la costringe a prestare attenzione alle sue parole, alla forza nella sua voce, al calore delle mani che le stringono le spalle.

-Tu sei parte della mia famiglia e non potrei mai pensare ad un mondo in cui tu non ci sei, e so che tutti quelli che ti vogliono bene pensano la stessa cosa. Quindi ti prego, non pensare mai più che qualcuno avrebbe preferito che tu morissi. Ti prego, fallo per me.-

Sono quelle le parole che la spezzano.

Non riesce a non credergli, non riesce a ignorarlo e continuare testardamente a macerarsi nell’autocommiserazione: in un lampo di terribile consapevolezza pensa a Sakura, ad Hinata, a Takumi e alle sue madri, a Reina e ad Hinoka, e sente che il suo cuore potrebbe davvero spaccarsi quando capisce quanto soffrirebbero nel vederla così.

Non vuole che nessuno di loro soffra. Non vuole che Ryoma soffra.

Eppure, allo stesso tempo, vorrebbe poter fare qualcosa, tornare indietro nel tempo e sistemare le cose, restituire il sorriso alla regina e una principessa, una sorella, a quei fratelli che lei non avrebbe mai avuto ma che avrebbe disperatamente voluto chiamare famiglia.

Ma non lo sono. Lei li ama come se lo fossero e sa che anche loro le vogliono bene, ma quella non è la sua famiglia: lei è una figlia di nessuno e si sente un mostro nel desiderare qualcosa che avrebbe dovuto essere di un’altra, di una bambina innocente strappata ai suoi cari in tenera età, che secondo la maggior parte dei nobili sta tuttora tentando di irretire per trarre da quel favore che i reali le dimostrano un qualche assurdo profitto.

È troppo. È davvero troppo per le sue spalle ancora così esili.

E scoppia a piangere, finalmente, come la bambina che ancora è: seppellisce il viso fra le mani e trema, stravolta dai singhiozzi e da tormenti troppo grandi per i suoi anni, e vorrebbe davvero che Ryoma se ne andasse perché non riesce a sopportare l’idea che qualcuno la veda in quello stato così miserabile – non riesce a non credergli, ma allora significa che vederla così deve farlo soffrire e per gli dei, è l’ultima cosa che vuole.

Ma Ryoma non se ne va.

Le passa un braccio intorno alle spalle e la avvicina a sé, stringendola forte quando Zoe gli si butta addosso e si aggrappa disperatamente al suo yukata, rifugiandosi nel suo abbraccio come se fosse l’unico posto sicuro al mondo.

Le accarezza i capelli, la tiene vicina a sé, e Zoe si sente un po’ meno disgustosa se c’è lui: Ryoma è la persona più buona che lei conosca, e se lui riesce a volerle bene allora, forse, anche lei potrebbe provare a odiarsi un po’ meno…

Affoga i singhiozzi sul suo petto, e una parte di lei registra il sangue – il suo – che ha macchiato la stoffa candida dello yukata di Ryoma ma che lui pare ignorare: la tiene stretta finché il pianto non cessa e una profonda spossatezza prende il suo posto.

È allora che la prende delicatamente in braccio, lasciando che lei si stringa forte al suo petto quando si alza e s’incammina verso gli alloggi di Orochi, mormorandole qualcosa di incomprensibile che, tuttavia, pian piano la culla in un dormiveglia beatamente vuoto.

-Oh, per gli dei, Zoe!-

Nemmeno la voce intrisa di terrore di sua madre riesce a scuoterla. Sta così bene, lì, ad ascoltare il suono profondo e regolare del cuore di Ryoma che batte, a riempirsi i polmoni del suo odore di pelle pulita e abbronzata…

-Sta bene. Ha soltanto bisogno di riposo.-

Smette di ascoltare sua madre: domani, probabilmente, Orochi la sgriderà per essersi ridotta in quello stato, ma per ora non vuole pensarci, vuole soltanto addormentarsi cullata dalla tenerezza rassicurante che prova fra le braccia di Ryoma.

Il principe cammina ancora un po’ e poi Zoe riconosce l’odore della propria stanza, si sente depositare delicatamente sul suo futon, avverte le coperte in cui viene avvolta. Non reagisce né si muove fino a che non avverte lo sgradevole vuoto che le fa capire che Ryoma se ne sta andando.

-Ryoma…- lo chiama, assonnata, allungando debolmente un braccio per tentare di trattenerlo lì.

Lui si avvicina di nuovo, inginocchiandosi accanto al suo letto, posando una mano sulla sua testa.

-Cerca di riposare.- le consiglia, piano, con una voce così gentile che Zoe non riesce proprio a dirgli di no.

-Ci proverò…- pigola, piano, sforzandosi di aprire gli occhi gonfi di pianto.

E Ryoma sorride, Zoe lo sa, riesce a immaginarlo anche se non distingue bene il suo volto. Le lascia un’ultima carezza su quel disastro che ha per capelli, rimboccandole le coperte prima di spegnere con un soffio la lanterna che illumina la stanza di lei.

-Grazie.-

.

Era cominciata allora, probabilmente.

Da quella notte lontana, che Zoe ricordava ancora con un misto di vergogna e affetto, si era ritrovata sempre più spesso a fantasticare sull’Alto Principe di Hoshido, ad arrossire quando i loro sguardi si incrociavano, a prestare attenzione a quel che Ryoma faceva o diceva e a tanti piccoli dettagli di lui che glielo avevano reso ancora più caro… era stato un commento di quel guastafeste di Subaki a farle capire che, probabilmente, quell’ammirazione era in realtà il sintomo più evidente di un invaghimento.

Quella volta, tuttavia, la sua invadenza era stata d’aiuto: dopo averlo compreso, infatti, Zoe si era impegnata affinché quella cotta infantile facesse il suo corso, ed era abbastanza fiera del risultato che aveva ottenuto.

Eppure, nonostante fossero passati tanti anni e i suoi sentimenti acerbi si fossero raffreddati da tanto tempo, non era mai riuscita a trovare qualcuno che le desse tanta serenità come lui faceva semplicemente esistendo: Ryoma era una delle poche persone che le avevano dato un motivo valido per affrontare i suoi problemi, ed il suo affetto era stato uno dei motivi principali che l’avevano spinta a cercare di migliorarsi ogni giorno di più.

Camminarono ancora per un po’, procedendo nella direzione indicata da Kagero nell’ombra minacciosa delle mura di Suzanoh sempre più vicine. Zoe poteva quasi avvertire la confusione di Ryoma, che aveva scorto lanciarle diverse occhiate perplesse: non era proprio da lei rimanere zitta così a lungo.

-Il tuo nervosismo è quasi palpabile, Zoe.-

Ed eccole, infatti, quelle poche parole che bastarono per riportarla coi piedi per terra e costringerla ad affrontare le paure che aveva cercato di soffocare pensando a tutt’altro sin da quando erano partiti.

-Non posso evitarlo.- sospirò, tormentando nervosamente i lacci della katana.

Erano mille i pensieri che si accavallavano nella sua mente, rincorrendosi come cani che si mordevano incessantemente la coda l’un l’altro, ma li tenne per sé: esternare i propri dubbi e le proprie paure non era mai stato il suo forte, e quell’unica volta che l’aveva vista aprirsi con Ryoma la riempiva ancora di imbarazzo. -Avevo quasi perso le speranze.- si limitò quindi a mormorare, alzando lo sguardo per cercare un albero adatto ad una rapida scalata; ne scelse uno particolarmente nodoso e si avvicinò, pronta a saltare, ma una mano calda si posò sulla sua spalla e la fermò.

Si volse, e ancora una volta riuscì a scorgere i dettagli grigi negli occhi altrimenti verdi di lui. Gli invidiava un sacco quel colore: non le piacevano affatto le sue iridi rosse, le davano la terribile sensazione che un demone stesse aspettando soltanto un suo momento di debolezza per prendere possesso di lei.

-Ed invece la tua perseveranza, alla fine, ti ha premiata.- Ryoma accennò un sorriso e lei si sentì quasi in dovere di ricambiare – dopotutto, Ryoma era sempre così serio, ed un suo sorriso era più raro della poca, rada neve che cadeva ogni tanto su Shirasagi. -Andrà tutto bene, vedrai.- la rassicurò, lasciandola andare e passandosi le dita fra i folti, lunghi capelli castani.

Zoe si strinse nelle spalle, tutt’altro che convinta, prima di balzare verso l’alto e sparire nel fitto fogliame.

Ryoma, guardandola sparire, sospirò, scuotendo la testa.

Era preoccupato per lei.

Sapeva quanto Zoe non avesse mai davvero smesso di sperare nel ritorno di Ileana e, soprattutto, quanto il suo rapimento avesse gravato sulla sua vita – forse lo sapeva anche più di Zoe stessa, perché al contrario di lei ricordava perfettamente l’incidente di Cheve e le terribili decisioni a cui, da ragazzino, non aveva potuto opporsi e che avevano cambiato per sempre la vita di Zoe.

Lui, e con lui anche la regina sua madre, aveva paventato quel momento per quattordici anni: spesso si era chiesto se non sarebbe stato più facile dire a Zoe tutta la verità già dall’inizio, ma Mikoto aveva sempre preferito aspettare, nella speranza che Ileana, un giorno, potesse tornare a casa. Dapprima Ryoma non aveva capito e, spesso, avevano discusso, perché Ryoma avrebbe disperatamente voluto tenersi il più vicino possibile quella bambina che gli era stata vicina sin da quella notte di Cheve, a cui lui si era affezionato più di quanto aveva potuto prevedere; eppure, alla fine, aveva compreso il dolore di Mikoto, il lutto che l’aveva distrutta quando aveva perso in una sola notte una delle sue figlie e il marito a cui era profondamente devota.

Eppure, lui era ancora convinto che sarebbe stato molto più saggio rinunciare a tutte quelle bugie molti anni prima.

Zoe gli assomigliava: era sempre stata testarda, e aveva sfruttato quel suo difetto per impuntarsi a portare a termine ogni nobile causa che le capitasse in mente: aveva la tendenza a farsi carico delle colpe degli altri e a non darsi pace fino a che non fosse stata sicura che tutti i suoi cari stessero bene e fossero al sicuro, spesso e volentieri a discapito della propria salute.

Sì, avevano sbagliato, avrebbero dovuto dirle la verità sin dall’inizio, ma non sarebbe cambiato nulla: il bisogno di prendersi cura degli altri era qualcosa che faceva parte di lei, che la caratterizzava e che Zoe non sembrava proprio intenzionata a cambiare.

Non sarebbe stato facile.

Mentre avanzava, conscio della presenza vigile e attenta della Samurai sopra di lui, si ritrovò costretto ad affrontare quel pensiero angoscioso: sua madre aveva atteso tanti anni il ritorno di Ileana, per rivelare alle due ragazze ciò che era accaduto in quella lontana, terribile notte di Cheve, ma Ryoma aveva la chiara sensazione che Zoe non avrebbe reagito affatto bene – anzi: probabilmente, una volta venuta a sapere la verità, li avrebbe odiati tutti… oppure non avrebbe detto niente, tacendo la sua sofferenza perché le era stato insegnato che la sua gentilezza era da considerare una debolezza, punendo coloro di cui si era fidata e che le avevano mentito con la peggiore delle torture: il silenzio.

Sì, Zoe gli assomigliava: era guidata dallo stesso turbamento, era incline agli scoppi di rabbia e, spesso, si lasciava trascinare dalle emozioni senza ragionare. Lui aveva imparato a gestire il proprio brutto carattere, soprattutto grazie agli insegnamenti di Kagero, ma quelle stesse lezioni non sembravano aver sortito lo stesso effetto sulla sua giovane amica.

Sospirò di nuovo, provando un immediato sollievo quando, in due sbuffi identici, Saizo e Kaze comparvero sul sentiero che improvvisamente spaccava a metà la foresta davanti a lui.

Ci siamo.

-Zoe.- la chiamò, e lei apparve immediatamente al suo fianco con quasi la stessa abilità dei due Maestri Ninja.

Nello stesso momento, scorse tre persone che, dalla soglia dell’avamposto che occhieggiava oltre le chiome lussureggianti, cominciarono a muoversi verso di loro: impiegò pochi attimi a riconoscere Takumi nella figura centrale, accompagnato dalle guardie Hinata ed Oboro e cupo in volto come l’aveva scorto ben poche volte.

Si rivolse a Zoe, che non si era mossa nemmeno per rivolgere un cenno di saluto ai suoi amici: aveva i pugni stretti e la mascella contratta, le palpebre socchiuse sugli occhi rossi e le orecchie tanto tese da risultare quasi comiche.

-Te la senti?- le domandò, piano.

Rigidamente, con un nodo in gola tale da impedirle di parlare, Zoe annuì.

Attesero in un silenzio assoluto che Takumi li raggiungesse; Kaze si era spostato al suo fianco, probabilmente per confortarla con la propria presenza, mentre Saizo aveva preso il suo consueto posto alle spalle di Ryoma.

Le sembrò un’eternità, quell’attesa, ma probabilmente durò soltanto un paio di minuti. Quando, finalmente, Takumi li raggiunse, Ryoma gli si avvicinò e si chinò per sussurrargli qualcosa all’orecchio, strappando un versaccio al fratello minore come risposta.

E poi Takumi guardò lei, e nel suo volto arrabbiato Zoe fu in grado di scorgere una punta d’apprensione.

-Vieni.- la chiamò, con un tono inaspettatamente gentile che stridette col brusco gesto della mano con cui la invitò a raggiungerlo. -Ti porto dalla feccia.-

.

.

.

.

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Buonasera a tutti!
Sono all'incirca in orario con l'aggiornamento (all'incirca), e sono molto felice di presentarvi la nostra Avatar, Zoe! E sì, a parte le orecchie a punta, gli occhi rossi e qualche piccolo (piiiiccolo) problemino con una chiara sindrome dell'eroe e un'enorme cotta per Ryoma, direi che non abbia molto in comune con l'Avatar che tutti conosciamo.
Speriamo entrambe che il capitolo vi sia piaciuto e che vogliate lasciarci un segno del vostro passaggio, siamo davvero entusiaste all'idea di sapere che cosa ne pensate!
Il solito piccolo prontuario delle traduzioni fai-da-te del capitolo:
Falcone = Falcon Knight
Cavaliere Kinshi = Kinshi Knight
Maestro di Spada = Swordmaster
Alto Principe = High Prince
Tsuka = è l'impugnatura di una katana, solitamente in legno o in metallo
Tsukaito = è l'intreccio della stoffa che avvolge la tsuka
Tsukamaki = il modo in cui lo tsukaito è avvolto intorno alla tsuka
Deshi = allievo (di un maestro samurai o di un maestro ninja, solitamente)
Un abbraccio,
Clarisse&B

PS del 09/09/2017: abbiamo corretto e ripostato il capitolo!
   
 
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