Aranyhíd
Iktsuarpok
(Inuit)
Un
senso di ansiosa anticipazione, che
spinge a continuare ad attendere alla finestra il ritorno di qualcuno.
Il
sole, luminoso e a tratti crudele, si rifletteva
sulle candide penne delle ali del suo pegaso, ma Hinoka aveva imparato
tanti
anni prima a non curarsene: aveva addestrato i suoi occhi a non
lasciarsi
accecare da quel riverbero durante la lotta. L’aria fredda della Luna
Cacciatrice le bruciava i polmoni che reclamavano riposo, ma Hinoka era
troppo
concentrata sulla sua avversaria per rendersene conto.
Prese
un respiro profondo, rinsaldò la stretta della
sua mano destra sulla fredda impugnatura di legno della sua nageyari e
poi tirò
indietro il braccio, calcolando con un solo sguardo l’arco che la
lancia avrebbe
dovuto compiere nel suo letale tragitto ma costringendosi ad attendere
che si
aprisse un varco nella solida difesa della sua nemica.
La
guerriera, appiedata, stava ansimando,
probabilmente esausta quanto lei: nessuna delle due era ancora riuscita
a prevalere
sull’altra, fino a quel momento, nonostante entrambe avessero
chiaramente dato
il massimo delle proprie capacità già dall’inizio del duello. La
samurai si
scostò i corti, arruffati capelli biondi dalla fronte madida di sudore,
abbassando lo sguardo soltanto per un brevissimo istante – la
chance
che Hinoka stava aspettando.
La
nageyari fendette l’aria con la brutalità di un
fulmine, sussurrando al vento il suo canto di morte. La samurai
piroettò su se
stessa, evitando la sottile lancia per un soffio – e poi, sorprendendo
la
cavallerizza, afferrò il dardo che quasi l’aveva trafitta e, sfruttando
la
velocità della sua mezza piroetta, la strappò dal terreno e la lanciò
contro
l’avversaria, mancando di pochi pollici l’ala destra del cavallo alato
prim’ancora che Hinoka potesse anche soltanto sfiorare la propria
naginata.
-HA!
Ce l’ho fatta!- esultò, saltellando sul posto, ed
Hinoka scorse un lampo di trionfo in quelle luminose iridi scarlatte
che, nel
Sole invernale, risplendevano come rubini.
Sorrise,
avvertendo l’orgoglio fiorirle nel petto nel
vedere la giovane samurai festeggiare il proprio risultato: avevano
cominciato
a lavorare su quella particolare tattica di contrattacco sin dall’alba
di quel
mattino, dimentiche del pranzo e degli obblighi di entrambe, troppo
concentrate
per rendersi conto del piccolo pubblico che si era radunato intorno al
campo di
addestramento della Capitale per osservarle.
-Credo
che per oggi sia abbastanza, Zoe.- annunciò,
dirigendo il suo fedele pegaso a terra e smontando di sella, sorridendo
in
risposta all’entusiasmo della sua giovane pupilla.
-Perché?-
replicò Zoe, divertita, allungando le mani
verso le punte dei piedi per stirare i muscoli della schiena. -Non sono
nemmeno
stanca! Potrei andare avanti per o__ouch.- gemette,
quando un
udibilissimo schiocco della sua spina dorsale sembrò caldamente
suggerirle che
non sarebbe proprio stato il caso di continuare quell’addestramento
estenuante.
-Come
volevasi dimostrare, basta così.- ridacchiò,
Hinoka, avvicinandosi per arruffarle la sua già abbastanza disordinata
zazzera
bionda. -Hai già fatto dei passi da gigante, non c’è bisogno di
esagerare.-
Zoe
sbuffò, scrollando la testa e abbassando le lunghe
orecchie a punta, mortificata.
-Esagerare?
Ti sei mai addestrata con Saizo? Quella
non è una parola che lui conosce, fidati.- borbottò, distogliendo lo
sguardo
dall’espressione divertita della rossa e trascinandosi stancamente
verso il più
vicino angolino all’ombra, lasciandosi poi cadere malamente sul folto
prato
verdeggiante che circondava il campo di allenamento.
Chiuse
gli occhi, ed Hinoka rimase a guardarla per
qualche istante, scorgendo i suoi arti rilassarsi uno dopo l’altro, uno
ad ogni
respiro: quel metodo di defaticamento veniva insegnato a tutte le
reclute
perché, con la pratica, permetteva di raggiungere un controllo quasi
completo
di ogni muscolo del proprio corpo.
Zoe
però era ancora ben lontana da quel traguardo,
osservò, cercando di sopprimere la risata che la testardaggine
dell’amica
riusciva sempre a suscitarle: era troppo giovane ed impaziente per
riuscire a
mantenere quel pacifico stato molto a lungo… a volte le ricordava
Ryoma,
rifletté, perché anche il suo perfetto fratello maggiore, in gioventù,
aveva
spesso peccato di esuberanza.
-Beh,
io non sono Saizo, e secondo me per oggi va bene
così.- sospirò, sapendo però di parlare con un muro decisamente sordo;
Zoe,
infatti, sbuffò di nuovo, chiaramente in disaccordo con l’opinione del
Falcone,
ma la sua protesta fu sedata sul nascere da un’improvvisa, mordace
affermazione.
-Lady
Hinoka ha ragione, Zoe. Dovresti
preoccuparti più del tuo pessimo carattere che della tua forma.-
Le
labbra di Zoe si piegarono all’istante in un
sogghigno tutto denti, quando il suo udito riconobbe la voce di Subaki,
guardia
reale della sorella più piccola di Hinoka, Sakura.
-Qualcuno
deve pur dare un po’ di allegria a questo
posto. Pensa se fossero tutti come te.- replicò, schiudendo un occhio
soltanto
per scoccare al Falcone un’occhiata di scherno che, tuttavia, non minò
affatto
l’espressione perennemente serena di Subaki.
-Di
sicuro saremmo tutti molto più disciplinati.-
ribatté, infatti, intrecciando le mani dietro la schiena dopo aver
rivolto un
rispettoso inchino in direzione della principessa; l’espressione
maliziosa di
Zoe, però, non fece che accentuarsi, ed Hinoka poté quasi immaginare in
anticipo la risposta tagliente che, prevedibile, fendette l’aria in
direzione
del ragazzo dai capelli rossi un istante più tardi.
-Ti
annoieresti, circondato da gente come te.-
commentò, aprendo anche l’altro occhio e rivolgendogli una smorfia che
grondava
sarcasmo. -Fidati, io mi annoio un sacco.- aggiunse, ma Subaki
assottigliò lo
sguardo e sorrise a sua volta, una punta di malizia nello sguardo.
Hinoka
non aveva mai capito perché quei
due passassero il tempo a bisticciare, ma non era certa
di volerlo sapere – non era certa che la risposta a quella domanda le
sarebbe
piaciuta.
-Permettimi
di dissentire.- commentò lui, strappando
un versaccio a Zoe che, da divertita, parve immediatamente tendersi
come la
corda di un arco.
-Dì
la verità, ci tieni a prenderle di nuovo.- sibilò,
ma Subaki le rivolse il più smagliante dei sorrisi, conscio di aver
segnato un
punto in quella partita a cui tutta la guarnigione di guardie reali e
soldati
assegnata a Shirasagi aveva, ormai, fatto l’abitudine.
-Sono
passati anni,
Zoe.- sospirò, alzando elegantemente gli occhi al cielo, inchinandosi
nuovamente ad Hinoka prima di superarla per avvicinarsi alla ragazza.
-Adesso
perderesti.- replicò,
fermandosi a poche iarde dall’altra guardia, scuotendo
elegantemente la testa per far sì che i suoi lunghi capelli rossi
risplendessero di mille riflessi scarlatti sotto i freddi raggi del
Sole.
Hinoka
sospirò, esasperata.
Ricordava
molto bene lo scontro a cui Zoe si era riferita:
era successo qualche anno prima, una sessione di addestramento delle
guardie
reali aveva visto il solitamente impeccabile Subaki, lo stesso Subaki
che non
era mai stato in grado di sopportare una sconfitta, travolto da una Zoe
che
sembrava aver deciso di dargli una lezione che l’intero castello aveva
fatto
fatica a dimenticare.
Hinoka
represse un sorriso, rammentando l’espressione
soddisfatta di Zoe e quella sconvolta di Subaki: sapeva quanto entrambi
potessero diventare competitivi e una parte di lei avrebbe davvero
voluto che
si calmassero, ma non aveva potuto fare a meno di provare un profondo
orgoglio
per l’abilità che Zoe aveva dimostrato – in quell’occasione come in
tutte le
altre, del resto: Zoe aveva sacrificato tutto per diventare una dei
guerrieri
migliori di Shirasagi, rendendo fieri di lei i suoi insegnanti, i suoi
tutori e
anche lei, che l’aveva sostenuta anche quando in diversi si erano
opposti alla
sua decisione di diventare un soldato.
D’altronde,
lei poteva capirla meglio di chiunque altro.
-Io
non ho fatto che migliorare, ultimamente. Sicuro
di volermi sfidare?- replicò Zoe, strappando Hinoka ai suoi pensieri,
balzando
in piedi e cominciando a raccogliere le diverse armi da allenamento con
cui si
erano addestrate.
-Zoe.-
la redarguì la principessa, cercando di
reprimere la risata che già le gorgogliava in gola: Zoe era sveglia ed
aveva
una lingua svelta e tagliente, sicuramente ereditata dalla sua madre
adottiva,
l’Onmyoji Orochi. Zoe si morse la lingua, sopprimendo a sua volta un
sorriso e
chinando la testa in segno di pentimento.
-Scusa,
Hinoka.- mormorò, in un convincente tono
contrito, ma Hinoka sapeva benissimo che non era minimamente
dispiaciuta:
quelle buffe orecchie a punta, che rendevano Zoe una bizzarra creatura
che da
piccola era spesso stata vittima di scherzi e prese in giro, erano un
ottimo
indicatore dell’umore della loro proprietaria e, in quel momento, erano
ben
dritte e attente – chiaro segno di quanto poco fosse rammaricata di
aver dato
una rispostaccia antipatica a Subaki.
Sì,
assomigliava ad Orochi ogni giorno di più.
-Per
te è lady Hinoka, Zoe.-
s’intromise, a quel punto, Subaki, scoccando alla ragazza uno sguardo
esasperato.
Hinoka scosse la testa, minimizzando il tutto con un gesto gentile
della mano
e, contemporaneamente, facendo segno a Zoe di non reagire alla
provocazione.
-No,
non ce n’è bisogno, davvero.- sorrise, Hinoka,
sperando che Subaki lasciasse cadere la questione mentre Zoe, con le
labbra
strette che trattenevano chissà quali imprecazioni, si allontanava per
riporre
le armi nella griglia a cui erano destinate.
Subaki,
tuttavia, non sembrava aver intenzione di
lasciar correre quello che, ai suoi occhi di giovane nobile di una
delle casate
più antiche e prestigiose dell’intera nazione di Hoshido, doveva
sicuramente
sembrare un affronto imperdonabile.
-Milady,
se posso permettermi di parlare liberamente…-
domandò, infatti, inchinandosi quando la principessa lo invitò a
proseguire. -Zoe
è un ottimo guerriero, ma non credo che abbia bisogno di altri
addestramenti.-
si spiegò, scoccando un’altra occhiata pensierosa in direzione della
Samurai.
-Quello di cui ha bisogno è un signore da servire, o la sua… esuberanza non farà che peggiorare. Non
è mai stata molto disciplinata.- continuò, ed Hinoka si morse la
lingua,
limitandosi ad annuire.
Non
aveva nemmeno tutti i torti,
fu
costretta ad ammettere con se stessa.
A
Zoe, che la regina di Hoshido aveva raccolto per
strada e portato con sé quando era giunta nel regno, tanti anni prima,
era
sempre stato permesso ciò che ad altre guardie reali sarebbe stato
impensabile
concedere.
Era
stata posta sotto la tutela delle guardie
personali della regina sin dalla più tenera età, ed era cresciuta
considerando
i reali stessi una sorta di famiglia – soprattutto i due fratelli
minori di
Hinoka, Takumi e Sakura, accanto a cui era stata sin da piccolissima.
Nessuno,
in realtà, aveva mai ritenuto quel
comportamento particolarmente problematico o irrispettoso… soprattutto
da
quando Zoe era stata testimone del brutale assassinio del re, tanti
anni prima,
e del rapimento della legittima figlia della regina Mikoto.
O,
almeno, questo era ciò di cui Zoe era convinta da
oramai quattordici anni.
Però
comprendeva le parole
di Subaki e, in parte, condivideva i suoi timori: Zoe era cresciuta
convinta di
essere un’orfana e, nel corso degli anni, aveva sviluppato
un’inquietudine che
il suo maestro, Saizo, faticava sempre di più a tenere a freno… ciò che
Subaki
non sapeva – che non poteva nemmeno lontanamente immaginare – era ciò
che il
futuro serbava per quella ragazza che aveva tanto lottato per
guadagnarsi un
posto che, a sua insaputa, le apparteneva già di diritto.
-Oh,
ma poi te le vai anche a cercare, stupido pavone…
aspetta che ti trovi da solo e tutte le botte che ti ho dato quella
volta ti
sembreranno carezze al confronto…- mugugnò la voce di Zoe alle spalle
di
Hinoka, sorprendendola: non l’aveva sentita riavvicinarsi, ma non era
una
novità – Zoe era stata cresciuta dai ninja, e nei suoi piedi era
intriso un
passo felpato che apparteneva soltanto a chi era abituato a muoversi
nelle
ombre.
-Zoe,
non borbottare, è maleducato.- la rimbeccò il
rosso, allungando rapidamente una mano per tirarle un orecchio e
ritirandola
prima che gli venisse probabilmente staccata a morsi.
Ormai
incapace di trattenere più a lungo le risate,
Hinoka prese un respiro profondo, rassettando la gonna della divisa da
Falcone che
indossava per costringersi a non guardare l’espressione profondamente
oltraggiata della Samurai.
-Credo
che vi lascerò discutere da soli, ora.-
annunciò, interrompendoli giusto per i pochi attimi che ad entrambi
servirono
per inchinarsi in un rispettoso gesto di saluto a cui lei rispose con
un
sorriso e un cenno della testa. -Subaki, Zoe.-
-Hinoka.-
la salutò Zoe, agitando allegramente una
mano fino a che non ritenne che Hinoka si fosse allontanata abbastanza;
poi,
repentinamente, si scagliò sull’altra guardia reale, tirandogli un
calcio che
Subaki schivò per un pelo. -Per gli dei, Subaki, giuro che un giorno di
questi
ti darò tanti di quei calci nel__-
-Linguaggio!-
rise lui, schivando un tentativo di
pugno e parandone un secondo, stringendo nel palmo della mano quella di
lei e strattonandola
appena per avvicinarla a sé, ridacchiando quando Zoe avvampò e si
divincolò per
balzare immediatamente indietro.
-A
me vieni
a dire di moderare il linguaggio!?- ringhiò, scoccandogli
un’occhiataccia e
raddrizzando le orecchie, rosse d’imbarazzo e di frustrazione. -Dei, io
non so
nemmeno perché ti sopporto!- sbottò, prima di dargli bruscamente le
spalle e
dirigersi a passo marziale verso i quartieri delle guardie di sesso
femminile,
dove quell’idiota non avrebbe potuto
continuare a darle fastidio.
Hinoka,
nascosta dietro una delle tante statue che
ornavano il percorso acciottolato che dal campo di addestramento
portava al
bellissimo giardino del castello di Shirasagi, si permise finalmente
quella
risata che aveva trattenuto fino a quel momento. Si appoggiò con la
schiena al
marmo freddo e candido da cui era emersa, decine d’anni prima, la
figura
possente di un ormai dimenticato guerriero armato di katana, cercando
di
soffocare il suono del suo riso premendosi entrambe le mani sulla bocca.
Zoe
era sempre stata una forza della natura.
Prese
fiato, sfregandosi gli occhi inumiditi
dall’ilarità, senza tuttavia riuscire a cancellare il sorriso che le
increspava
le labbra sottili.
Zoe
era giunta a Shirasagi molti anni prima, quando
Hinoka era ancora poco più di un’infante, assieme a quella che sarebbe
poi
diventata la seconda moglie del re di Marmo e la regina reggente di
Hoshido.
Sumeragi,
che Hinoka ricordava soltanto come un uomo
dalla risata ruggente e dai capelli che assomigliavano alla criniera di
un
leone, aveva accolto Mikoto e le due neonate che portava con sé,
offrendo
rifugio e conforto a quella donna che sembrava essere apparsa dal
nulla. Lady
Ikona, la madre naturale di Hinoka e dei suoi fratelli e, a quel tempo,
regina,
aveva offerto a Mikoto un lavoro come dama di compagnia, permettendole
così di
mantenere in modo onorevole le due infanti che aveva presentato come
sue
figlie.
La
regina e la nuova arrivata avevano stretto amicizia
in fretta, accomunate da una natura profondamente altruista e
affettuosa: a
quei tempi Ikona, di cui Hinoka purtroppo non serbava altro ricordo se
non
l’impronta di una dolce carezza fra gli scompigliati capelli rossi che
da lei
aveva ereditato, era in attesa del quarto figlio – quella che sarebbe
poi
diventata la piccola Sakura –, ma la sua salute cagionevole aveva
decretato una
condanna a morte da cui nessuno, a Shirasagi, si era ripreso facilmente.
Hinoka
non rammentava chiaramente il dolore e il senso
di vuoto che avevano accompagnato la morte di sua madre; tutto ciò che
sapeva
le era stato raccontato, ma poteva perfettamente immaginarsi, bambina,
davanti
ai fiori candidi cosparsi sul corpo senza vita di Ikona, con la mano
stretta in
quella del suo fratellino e una Mikoto in lacrime che teneva un braccio
attorno
alle spalle di Ryoma e l’altro attorno al corpicino esile di una Sakura
appena
nata.
Era
sicura di ricordare che anche il cielo, quel
giorno, aveva pianto la perdita del sorriso del re.
Mikoto,
che nel corso del tempo era diventata un’amica
fidata di Ikona e dei suoi figli, aveva trascorso i molti mesi del
lutto reale
con loro, gli orfani della regina: si era occupata delle necessità di
Sakura,
aveva spiegato a Takumi, con tutta la dolcezza di cui era capace, il
motivo per
cui la mamma se n’era andata, aveva accolto nel proprio letto una
Hinoka scossa
dagli incubi e aveva fatto sì che Ryoma non avesse il tempo di pensare
alla
perdita della madre, occupato dall’esuberanza di Zoe e di Ileana,
l’altra
bambina di Mikoto.
Il
re, grato a Mikoto per la gentilezza e l’affetto di
cui aveva riempito le vite dei suoi figli in un momento tanto
difficile, si era
lentamente avvicinato a quella donna gentile, trovando anch’egli
conforto nella
dolcezza che aveva già conquistato i suoi bambini: il lutto per la
perdita di
Ikona li aveva uniti e, alla fine, l’amicizia si era trasformata in
affetto e in
amore, incoronando Mikoto nuova regina di Hoshido.
In
molti avevano osteggiato quella donna di umili
origini che aveva, ai loro occhi, insidiato dapprima la regina e poi il
re, ma
presto si erano dovuti ricredere: lady Mikoto aveva conquistato il
cuore degli
hoshijin, restituito il sorriso a Sumeragi e dato una madre a quei
bambini che
amava come suoi e da cui era pienamente ricambiata.
Il
sole era tornato a splendere su Hoshido, grazie a
Mikoto, e le strade si erano presto nuovamente riempite di fiori,
musica e
risate.
Sumeragi
aveva accolto nella famiglia reale anche le
bambine di Mikoto, sebbene soltanto una fosse stata effettivamente
adottata dal
re, in quanto l’unica ad avere effettivi legami di sangue con la nuova
regina –
Mikoto aveva raccontato a lei e a Ryoma di aver avuto una figlia dal
suo primo
marito, anch’egli defunto, e di aver trovato l’altra neonata fra le
macerie di
un regno ormai perduto.
E
poi il re di Marmo era caduto, ed un eterno
crepuscolo era calato sul regno.
Ryoma
era stato riportato a palazzo da Saizo IV e dai
suoi figli, i gemelli Saizo V e Kaze; con lui, però, era tornata
soltanto una
delle bambine che Sumeragi aveva portato con sé a Cheve assieme al
primogenito:
Zoe.
L’espressione
vuota e scioccata di Zoe era ancora
chiaramente impressa nei ricordi di Hinoka.
Era
stata riportata a Shirasagi senza la sua
inseparabile sorellina, che le era stata sottratta dalle braccia e che,
presumibilmente, era stata rapita o uccisa dal re di Nohr, Garon… la
perdita di
Ileana, in quella buia notte di Cheve, aveva portato via anche
l’infanzia e
l’innocenza di quella bambina troppo piccola per ricordare la verità.
Era
stata quella perdita, quella colpa di cui Zoe si
era caricata nonostante nessuno avesse mai nemmeno pensato di accusarla
di
qualcosa di tanto orribile, a forgiare la donna forte e determinata che
aveva
preso in mano una spada di legno da bambina e aveva affermato di voler
diventare un guerriero per andare a riprendersi Ileana.
La
principessa perduta era stata per molto tempo
l’unico motivo a guidarla, l’ossessione che l’aveva spinta a sopportare
senza
fiatare gli addestramenti brutali di Saizo, la rabbia che aveva infuso
nelle
mani che si erano fatte sempre più callose e abituate alla forma delle
armi:
negli anni, però, quella furia malata si era acquietata, e di recente
Zoe aveva
cominciato ad esprimere il desiderio di scalare i ranghi dell’esercito
per
diventare daimyo, un generale.
Certo,
lei non poteva sapere quanto il suo futuro
fosse stato già scritto molti anni prima, ma Hinoka comprendeva il suo
bisogno
di un ruolo, di un destino, di una strada da percorrere – la capiva,
capiva
perché Zoe volesse combattere, ottenere un ruolo abbastanza importante
da darle
la possibilità di impedire che altre bambine venissero rapite e altri
padri
strappati alle loro famiglie.
Era
diventata un guerriero per gli stessi motivi, dopotutto.
-Hinoka,
mia cara.-
Una
voce tenue e delicata sottrasse improvvisamente
Hinoka dai pensieri che avevano adombrato il suo viso; la principessa
alzò lo
sguardo, tentando di reprimere la tristezza che le aveva colmato
l’animo,
sforzandosi di sorridere quando si ritrovò dinanzi il volto di sua
madre, la
regina Mikoto.
-Madre.-
la salutò, allungando le braccia per
accogliere fra le proprie le mani tese di Mikoto, stringendole con
tutta la
tenerezza di cui era capace e sentendo il peso che le gravava sul petto
alleviarsi in risposta alla vicinanza della madre – aveva sempre avuto
quella capacità,
quella donna che era fiera e felice di considerare la sua mamma, di
trasmetterle calma e serenità anche nei momenti più bui.
Il
frastuono proveniente dal campo di addestramento le
distrasse, e Mikoto si sporse in tempo per riuscire a vedere Zoe
dirigersi a
passo di marcia verso i bagni delle donne, chiaramente furibonda;
Hinoka
ridacchiò e la regina sorrise, divertita.
-Ah,
vedo che alcune cose non cambiano mai.- commentò,
notando probabilmente anche Subaki, di sicuro rimasto al campo per
allenarsi a
sua volta.
-Affatto.
Quei due proprio non si sopportano.- annuì
Hinoka, aspettando che Zoe sparisse dalla vista di entrambe per poi
prendere
sottobraccio la madre e lasciarsi condurre verso il castello.
-Non
sono due caratteri facili, questo è certo.-
concordò la regina, ben conscia della rivalità che divampava da anni
fra quei
due: sebbene si fosse distanziata progressivamente da Zoe, dopo la
morte di
Sumeragi, Mikoto non aveva mai smesso di interessarsi dei progressi e
della
vita della turbolenta samurai dalle orecchie a punta, e tanto Hinoka
quanto
Ryoma avevano sempre cercato di riempire la malinconia della madre con
i
racconti di tutto ciò che era capitato a loro, ai loro fratelli e a Zoe
durante
il giorno.
Prevedibilmente,
come succedeva sempre quando
l’argomento fra loro era Zoe, Hinoka vide il volto della regina
adombrarsi.
-È
diventata una splendida, giovane donna…- sussurrò,
lasciando che quella triste constatazione si perdesse fra i sospiri del
vento,
ed Hinoka avvertì le sue dita esili stringersi sul suo avambraccio.
Sì,
Zoe era cresciuta, maturando in una guerriera e in
una persona di cui qualunque genitore sarebbe potuto essere fiero: ma
non
Mikoto, non quella madre che aveva dovuto celare alla propria figlia la
sua
identità, il suo retaggio e la sua famiglia.
-Madre…-
La
voce della principessa si spezzò, mescolandosi al
lutto celato nel gemito silenzioso della regina di Hoshido, in quei
tristi
occhi bruni che scrutavano l’orizzonte come se quel Sole splendente
potesse
restituirle le figlie che aveva perduto in quella terribile notte di
Cheve.
-Le
dirai mai la verità?-
Mikoto
abbassò lo sguardo, e la maggiore delle sue
figlie poté scorgere la sofferenza ed il rimorso dipingersi sul suo
volto di porcellana.
La
verità.
La
verità poteva essere tanto meravigliosa quanto
terribile, tanto un fardello quanto una liberazione: Hinoka aveva
atteso per
anni, impaziente, che giungesse il momento di rivelare a Zoe ciò che
era stato
fatto per proteggerla… ma non era sua, quella decisione, e perciò si
era
costretta ad aspettare pazientemente che arrivasse il giorno in cui
Mikoto
avrebbe finalmente scelto di liberare coloro che sapevano dal silenzio
che li
aveva tormentati così a lungo.
-Sì.-
promise la regina al vento, affidando a quei
refoli gelidi la sua speranza, quella di Hinoka e quella di tutti
coloro che
erano impazienti di accogliere la legittima principessa nella famiglia
reale.
L’ombra
di un kinshi passò sopra di loro, riempiendo
il cielo per un istante: le due donne alzarono lo sguardo, distinguendo
un
familiare scorcio di lunghi capelli blu e le candide vesti del
Cavaliere Kinshi
incaricata ormai da anni della protezione della regina.
E
allora Mikoto sorrise, rasserenandosi
all’improvviso, seguendo l’aggraziata planata della fedele Reina con
una nuova
luce nello sguardo.
-Prima
di quanto io stessa pensassi.-
Zoe
drizzò le orecchie, illuminandosi in volto quando
un suono familiare la distrasse dal pensiero di quell’odioso di Subaki.
-Reina!-
esclamò, lanciando da parte i sandali che
avrebbe dovuto indossare e correndo fuori dai bagni appena in tempo per
scorgere la sagoma di un kinshi che lei ben conosceva stagliarsi sul
cielo
limpido a poco più di qualche manciata di piedi dal suolo.
Senza
darsi nemmeno il tempo di scorgerne il
cavaliere, sicura del proprio udito e del proprio intuito, diede le
spalle
all’enorme pennuto e scattò in direzione della statua più vicina,
aggrappandosi
al braccio di marmo per riuscire inerpicarsi lungo la struttura. Aveva
sempre
amato scalare, sin da bambina, e non c’era statua a Shirasagi che lei
non
avesse usato almeno una volta per guardare il mondo stendersi
all’infinito
davanti al suo sguardo.
Raggiunse
la testa, salendovi in piedi e rimanendo in
equilibrio senza troppi problemi, aggrappandosi alle scanalature dei
capelli
scolpiti con le dita dei piedi – Subaki sicuramente sarebbe inorridito,
nel
vederla così inselvatichita… quindi doveva
assolutamente fare in modo
che la vedesse, si annotò mentalmente, divertita,
accovacciandosi quando il
kinshi passò a poco più di una iarda dalla sua testa; e poi saltò,
mettendo
nelle gambe tutta la forza che aveva ed allungandosi per aggrapparsi
alle zampe
del volatile.
Il
kinshi, tutt’altro che allarmato, sollevò gli
artigli per avvicinarla al proprio corpo, permettendole così di
inerpicarsi
sotto una delle sue grandi ali candide per essere, poi, afferrata per
la
collottola da una forte, familiare mano di donna: rise, Zoe,
lasciandosi tirar
su senza protestare, aggrappandosi con gioia alle spalle del Cavaliere
quando
quella la tirò in grembo e la avvolse in un abbraccio così stretto da
mozzarle
il fiato.
-Sei
tornata!- cinguettò, felice, affondando il viso
nei capelli blu del Cavaliere che, assieme a Orochi e a Kagero, l’aveva
cresciuta.
Reina,
la più anziana delle guardie reali assegnate
alla regina Mikoto, le accarezzò i capelli, appoggiando la guancia alla
fronte
della ragazza.
-Mia
dolce, cara bambina, sono così felice di
vederti.- le mormorò affettuosamente all’orecchio, cullandola in
quell’abbraccio a cui Zoe, nonostante ormai fosse una donna fatta e
finita, non
riusciva a rinunciare: Reina e, in seguito, Orochi e Kagero, erano
state
nominate sue tutrici molti anni prima, appena dopo Cheve, e Zoe non
riusciva
nemmeno a ricordare come fosse stata la sua vita prima di loro… erano
la sua
famiglia, i suoi porti sicuri in quel mondo in cui non aveva ancora
trovato un
suo posto, e lei le amava con ogni fibra del suo essere.
-Ti
aspettavo fra giorni!- trillò, sollevando la testa
per ricambiare il sorriso della guerriera. Reina le accarezzò una
guancia e
Zoe, felice, piegò la testa per seguire il tocco calloso e ruvido dei
polpastrelli da arciere della donna, assetata del contatto fisico che,
nel regno
di Hoshido, era da sempre riservato soltanto all’intimità celata al di
là di
sottili pareti di carta di riso.
-Com’è
stata la tua giornata?- le domandò il
Cavaliere, aiutandola a voltarsi per sistemarsi in sella davanti a sé.
Zoe si
accomodò meglio, lanciando una gamba dall’altro lato del dorso del
pennuto e
afferrando le redini, stringendo le ginocchia per dirigere il kinshi
verso le
stalle; Katsu, che Zoe aveva raccolto da implume pulcino ferito e
cresciuto
fino a diventare la maestosa cavalcatura di Reina, obbedì docilmente
alla sua
guida esperta, planando con grazia verso il terreno.
-Hinoka
mi ha aiutata ad imparare un contrattacco con
la nageyari, non vedo l’ora di mostrartelo. Oh, e ho discusso con
Subaki, come
sempre.- raccontò, senza distrarsi, focalizzando la propria attenzione
sull’ambiente che le circondava e sulle manovre che doveva far compiere
al
kinshi.
La
stretta delle mani di Reina sulle sue spalle si
strinse e, nella sua voce, Zoe colse una traccia d’acciaio.
-Desideri
che me ne occupi io?-
-‘Eina!-
Reina
spalanca le braccia appena in tempo per
accogliere il corpicino paffuto e singhiozzante di una bambina dalle
lunghe
orecchie a punta, scoperte da due trecce arruffate in cui Orochi cerca,
giornalmente, di imbrigliare la sua indomabile chioma biondo cenere.
La
piccola si stringe forte a lei, soffocando il
pianto nella spalla della donna e serrando fra le morbide dita la
stoffa della
sua veste, nel tentativo coraggioso di celare il proprio pianto.
-Subaki
e Hinata mi tirano le orecchie.- mugugna, e
Reina, in effetti, scorge un rossore anomalo sulla pelle pallida che
emerge
dalla sua testolina.
-Oh,
piccolo tesoro, non piangere.- la culla,
prendendole il viso fra le mani e cancellando, coi pollici, quelle
lacrime
testarde che Zoe cerca sempre di nascondere. Nel suo kimono candido
sembra una
bambola più che un essere umano, ma Reina sa bene che, in quel giovane
spirito
libero, si cela un animo coraggioso. -Sai cosa facciamo, ora? Andiamo a
tirar
loro le orecchie a nostra volta, fino a che non gliele strapperemo
dalla testa.
Ti piace l’idea?- le propone e, quasi immediatamente, vede gli occhi
scarlatti
della piccola illuminarsi.
-Sì!-
Zoe
ridacchiò, udendo risuonare fra i ricordi le
strilla di dolore di quei due odiosi ragazzini che, tuttavia, le erano
più cari
di quanto dimostrasse – no, forse stava esagerando: Hinata
le
era molto caro, ma avrebbe felicemente fatto a meno dell’esistenza di
Subaki.
Stupido
pavone egocentrico e narcisista. Avrebbe dovuto dargli un’altra
lezione, presto
o tardi.
-Oh,
no, ormai so gestirlo senza problemi. È solo
fastidioso.- rassicurò la sua tutrice, facendo atterrare agilmente
Katsu e
balzando subito a terra, impaziente, tirandolo per convincerlo ad
entrare nel
suo box. -Il tuo viaggio com’è stato? Sarai stanca, vuoi che ti prepari
un
bagno caldo? Takumi e Kaze stanno bene?- le domandò, ricordando
improvvisamente
che Reina era stata assegnata alla protezione del giovane principe per
un
viaggio di ricognizione presso i confini del regno.
-Sei
sempre così entusiasta, piccola mia. La tua
voglia di vivere mi mantiene giovane.- sorrise, Reina, porgendo alla
ragazza le
sue armi d’ordinanza perché le riponesse. -Takumi e Kaze stanno bene, e
mi
farebbe molto piacere se tu preparassi un bagno caldo per me. Vai nelle
mie stanze,
ti raggiungerò là dopo aver conferito con lady Mikoto.- la istruì, e
Zoe annuì
immediatamente.
-Sissignora!-
Rise,
Reina, dandole un’ultima pacca affettuosa sulla
testa prima di voltarsi, pronta a dirigersi nelle stanze della regina.
-Brava
piccola.- la lodò ma, prima che potesse
lasciare Zoe ai suoi compiti, la graziosa figura della regina di
Hoshido si
stagliò sulla soglia delle stalle.
-Lady
Mikoto!- esclamò Zoe alle sue spalle, sorpresa,
drizzando immediatamente la schiena ed inchinandosi. -Buon pomeriggio,
milady.-
salutò, appiattendo le orecchie sulla testa in segno di rispetto.
Erano
passati così tanti anni da quando lei ed Ileana
erano state trattate allo stesso modo da lady Mikoto… forse, allora, a
Zoe era
stato permesso di comportarsi molto più liberamente con la regina, ma
quei
tempi erano così lontani da essere soltanto un’ombra nella sua memoria.
Ileana.
Aveva
sentito parlare così tanto della principessa
perduta, della figlia di lady Mikoto che re Garon aveva sottratto dalle
mani
ancora calde del caduto re Sumeragi… sebbene sapesse di aver trascorso
i primi
anni della propria vita sempre assieme alla principessa, Zoe non
riusciva a
ricordare altro che una bimba minuta con i capelli biondi come i suoi
che
adorava mangiare biscotti e giocare a nascondino con lei, Hinata e
Takumi.
Ma
era per lei che Zoe era diventata ciò che era: per
Ileana, per la tristezza negli occhi di lady Mikoto, per la ferita
inferta alla
nazione che amava e che considerava la sua casa.
Non
ricordava quasi niente della notte di Cheve, se
non la stretta delle braccia di Kaze e le lacrime che aveva versato:
quella che
fino ad allora aveva considerato la sua adorata sorellina le era stata
strappata via, il re era stato ucciso dal malvagio Garon e l’unica
madre che
aveva conosciuto fino a quel momento, lady Mikoto, l’aveva bruscamente
allontanata da sé.
Da
piccola, Zoe aveva spesso pensato che la regina si
fosse arrabbiata con lei per non aver preso il posto della figlia, per
non
avergliela riportata a casa: aveva sempre visto così tanta tristezza,
negli
occhi gentili di lady Mikoto, ogni volta che i loro sguardi si erano
incrociati… il senso di colpa l’aveva tormentata a lungo, strappandola
dal
sonno tanto spesso da costringere Orochi a darle delle pozioni per
dormire,
fino a che, a sei anni d’età e con una determinazione che anche un
guerriero
adulto avrebbe invidiato, aveva cominciato a tormentare Saizo, la
guardia
personale di Ryoma, fino a che lo scontroso Maestro Ninja non aveva
stancamente
accettato di addestrarla.
Saizo
era stato soltanto il primo degli insegnanti che
aveva costretto per esasperazione a seguirla: a lui erano seguite Reina
ed
Orochi, che l’avevano addestrata nell’arte della naginata, dello yumi e
della
magia – anche se Zoe, per natura troppo turbolenta, non aveva mai messo
insieme
nemmeno un incantesimo fatto e finito e aveva presto lasciato perdere
–, mentre
Saizo e Kagero si erano impegnati per renderla abile almeno quanto loro
nell’utilizzo di shuriken e katane.
Ryoma
ed Hinoka si erano spesso opposti a
quell’addestramento intensivo e troppo duro per una bambina,
affezionati
com’erano alla ragazzina che era cresciuta con i loro fratellini e che
tante
volte aveva coinvolto anche loro nelle marachelle sue e di Takumi, ma
Zoe era
andata avanti, ossessionata dal senso di colpa che tanto a lungo
l’aveva
tormentata.
Aveva
fatto così tanta fatica ad accettare che non
avrebbe potuto fare nulla, che a nemmeno cinque anni non sarebbe mai
stata
capace di far niente se non lasciarsi uccidere… certo, aveva pensato
molte
volte che tutto sarebbe andato bene se Garon avesse preso lei al posto
della
principessa – una parte di lei non
avrebbe mai smesso di pensarlo – ma aveva capito che
continuare a
struggersi, a punirsi e a tormentarsi per qualcosa che non poteva
cambiare non
le avrebbe portato niente di buono.
Eppure…
eppure ancora non riusciva a sostenere lo
sguardo della regina, perché la tristezza in quegli occhi era qualcosa
che non
avrebbe mai smesso di perseguitarla.
-Buon
pomeriggio anche a te, Zoe cara.- la salutò la
regina, gentilmente, dandole così il permesso di alzare lo sguardo:
lady Mikoto
era elegante e serena come sempre e, come sempre, nei suoi occhi
marroni Zoe
scorse l’onnipresente velo di rammarico che la perseguitava fin da
bambina.
Per
fortuna, la regina spostò quasi subito
l’attenzione sulla propria guardia.
-Reina,
sono lieta di ritrovarti in salute. Mio figlio
sta bene?- domandò, e Zoe poté distendere lievemente le spalle: non
riusciva
proprio ad evitare di sentirsi sotto pressione in presenza di lady
Mikoto,
sebbene la donna non avesse fatto altro che ricoprirla di dolcezza da
che aveva
memoria.
Reina
annuì.
-Sì,
milady, il principe Takumi era in splendida forma
quando ci siamo separati. Mi ha chiesto di recapitarvi un messaggio
urgente e
di natura privata.- riportò, voltandosi verso Zoe ed inclinando la
testa verso
le porte della stalla. La ragazza annuì, inchinandosi alla sua tutrice
e alla
regina prima di superarle entrambe.
-Vogliate
scusarmi, lady Mikoto.- salutò, prima di
sparire nel luminoso pomeriggio di Shirasagi; Reina sorrise, allungando
una
mano per accarezzare il lungo collo di Katsu.
-È
una brava ragazza.- mormorò, e la sua regina si
concesse un sospiro.
-Sì.
Tu, Orochi e Kagero avete fatto un lavoro
splendido, con lei.- rispose, piano, e Reina sapeva che ammettere
quella verità
costava alla sua amata regina più di quanto chiunque avrebbe mai potuto
comprendere.
Lady
Mikoto, però, si riscosse quasi subito. -Ma ora
dimmi, Reina, qual è il messaggio di Takumi?- domandò, e la sua guardia
reale
finse di non notare il tono sforzato e fragile della sua signora.
Sospirò,
il Cavaliere Kinshi, volgendosi per sostenere
l’espressione determinata di Mikoto.
-L’abbiamo
trovata, milady.- sussurrò, e persino il
suo kinshi sembrò irrigidirsi sotto le sue dita rovinate; la sovrana
invece
trattenne il respiro, impallidendo visibilmente dinanzi all’espressione
terribilmente
seria dell’altra.
-Abbiamo
trovato Ileana.-
Canticchiando
fra sé e sé, Zoe ripose i bagagli di
Reina, che aveva svuotato, al loro posto: era abituata ad occuparsi di
quel
tipo di compiti da sempre, perché facevano parte dell’insieme di
conoscenze ed
informazioni che una guardia reale doveva conoscere per essere
efficiente al
servizio di un reale.
Ora
avrebbe dovuto solamente preparare un bagno caldo
e aspettare che Reina rientrasse: allora, finalmente, avrebbe potuto
spietatamente tartassarla per farsi rivelare il contenuto della
misteriosa
comunicazione di Takumi.
Non
era preoccupata: Takumi era un guerriero
straordinariamente abile, letale con il suo fedele Fujin Yumi in mano e
terribile con una katana, ed era in compagnia delle sue guardie
personali e di
Kaze, uno dei ninja più abili e rinomati dell’intera Hoshido.
No,
lei voleva sapere come mai Reina era stata
rimandata indietro prima del resto delle truppe del principe, e il
motivo di
tutta quella segretezza: in un modo o nell’altro, decise fra sé,
avrebbe
scoperto che cosa stava sobbollendo in pentola.
Un
suono di passi, leggeri e familiari, la distrasse
dai suoi pensieri; si voltò, sorridendo, fiondandosi verso la porta
scorrevole
nel momento stesso in cui quella si aprì.
-Mamma!-
strillò, affondando il viso nel petto morbido
della donna che era appena apparsa sulla soglia.
-Oof!-
sbuffò quella, aggrappandosi a lei per
non perdere l’equilibrio. -Non sei più così piccola da poter fare
questi salti
sulle esili spalle della povera Orochi, micia!- squittì, ma rise quando
Zoe si
limitò a stringerla ancor più saldamente.
Orochi
aveva ragione: era diventata più alta di sua
madre già prima di compiere sedici anni e, al contrario dell’Onmyoji
dai
capelli indaco, il suo fisico era molto più massiccio, sebbene non
fosse mai
stata in grado di nascondere sotto i muscoli la forma fin troppo
rotonda dei
suoi fianchi e del seno.
-Perdonami.-
mugugnò, sollevando lo sguardo soltanto
quando decise di averla strapazzata a sufficienza: Orochi ammiccò,
scostando i
ciuffi ribelli dalla fronte della ragazza e raccogliendoglieli dietro
un
orecchio.
Zoe,
insospettita dall’insolito silenzio della madre,
aggrottò le sopracciglia. -Va tutto bene? Sembri tesa.- indagò,
inclinando la
testa e le orecchie di lato per scrutare quei familiari occhi violetti.
Orochi,
divertita dall’estrema espressività di quel paio di orecchie, allungò
una mano
per accarezzarle, sapendo quanto fossero sensibili e delicate.
-Mi
conosci bene.- la lodò, alzandosi in punta di
piedi per baciarla sulla guancia; la ragazza socchiuse le palpebre,
soddisfatta, e la maga ridacchiò pensando che non si sarebbe nemmeno
sorpresa
più di tanto se l’avesse sentita fare le fusa. Poi però sospirò,
posando le
mani sulle sue spalle.
-Lady
Mikoto ha convocato tutti i suoi figli e le
guardie reali… compresa tu.- le spiegò, e Zoe comprese chiaramente che,
fosse
stato per sua madre, lei sarebbe stata tenuta assolutamente alla larga
di
quello che si stava rivelando essere un vespaio più grosso di quanto
avesse
immaginato.
-Io?-
domandò, sorpresa: non era ancora stata
ufficialmente nominata una guardia reale – la cerimonia era stata
rimandata a
dopo il ritorno di Takumi, ma nessuno le aveva nemmeno detto a chi
sarebbe
stata assegnata o, persino, se le avrebbero permesso di affrontare le
prove
necessarie per cominciare a scalare i gradi dell’esercito… com’era
possibile
che la regina volesse proprio lei?
-Sì.
Ti spiegherà tutto la regina.- le rispose,
laconica come Zoe non l’aveva mai sentita, prendendola per mano e
tirandosela
dietro lungo i corridoi bagnati dal Sole pomeridiano.
-Non
puoi dirmi proprio niente niente? Nemmeno un
indizio piccino piccino?- tentò di irretirla, ma Orochi scosse la testa
e Zoe
sbuffò, indispettita. -Mamma, sei davvero antipatica, certe volte.-
mugugnò,
incrociando le braccia sul petto quando Orochi la lasciò andare.
-Su,
porta pazienza per qualche minuto.- fu il
rimprovero bonario della madre, che le pizzicò una guancia prima di
superarla
per infilarsi nella sala del trono. -Lady Mikoto, eccoci.- annunciò,
inchinandosi alla sovrana e ai principi che le erano assembrati attorno
prima
di spostarsi accanto a Kagero, diligentemente in piedi accanto al
collega Saizo
e a Reina, alle spalle di Ryoma.
Zoe
la seguì e, all’improvviso, tutti gli sguardi
furono su di lei.
Rabbrividì,
a disagio, chinando la testa in segno di
rispetto per qualche attimo prima di volgere un sorriso incerto in
direzione
delle principesse: Hinoka ricambiò il gesto mentre Sakura, seguita da
Subaki e
dalla fedele Hana, si avvicinò a lei per prenderla sottobraccio e
condurla al
cospetto di Mikoto e di Ryoma, che alzò una mano per rivolgerle un
rapido
saluto amichevole.
Quel
gesto, e la stretta familiare delle manine
soffici di Sakura sull’avambraccio, la rincuorarono: conosceva tutti i
presenti
da anni ma non era abituata ad essere guardata da così tante persone
contemporaneamente, e la cosa la metteva più a disagio di quanto
potesse
mostrare – aveva trascorso talmente tanto tempo fra le ombre,
ormai, che
ritrovarsi in mezzo a quella che ai suoi occhi schivi sembrava proprio
una
folla le dava quasi un senso di nausea.
Si
costrinse a non lasciar vagare lo sguardo,
nonostante provasse l’irresistibile desiderio di cercare sicurezza nei
volti
amici di Hana e di Hinoka, ma si aggrappò con più forza a Sakura: la
giovanissima principessa, nonostante la timidezza che in molti
scambiavano per
vigliaccheria, aveva una stretta forte e sicura, e Zoe si permise di
lasciare
che le sue piccole mani la rassicurassero.
Dopotutto,
quelle erano le stesse mani che l’avevano
rattoppata un numero indefinito di volte dopo gli allenamenti, e che
l’avevano
sempre consolata con una carezza ogni volta che un insulto
particolarmente
cattivo le era stato indirizzato.
Rabbrividì,
incrociando per un istante fugace lo
sguardo del suo maestro: se Saizo fosse venuto a conoscenza di tutto
ciò che
gli aveva nascosto, negli anni, l’avrebbe come minimo rimproverata per
un paio
d’anni consecutivi per aver mentito e punita in tutti i modi che
potevano
venirgli in mente… prima di andare a riscuotere, da coloro che
l’avevano
umiliata per tutta la vita, un prezzo davvero troppo alto per vendicare
una
nessuno.
Che
poi, cosa ci sarebbe stato da vendicare? Gli
insulti, i tormenti, la sensazione di essere feccia
contro
cui
Zoe ancora lottava quando gli sguardi pieni d’alterigia
dell’aristocrazia
hoshijin? A parte qualche episodio che non amava rammentare – uno dei
tanti
motivi per cui non sopportava Subaki, che sapeva fin troppo – ciò che
aveva
passato e di cui non aveva mai parlato con nessuno, tranne che con
Sakura, non
era stato nulla di particolarmente drammatico.
Bastò
un sospiro, tuttavia, e Lady Mikoto attirò
immediatamente tutta la sua attenzione: era bellissima e lontana come
sempre,
nel suo abito candido e dorato e con la corona stellata che contrastava
con i
suoi capelli neri, e Zoe dovette combattere con la propria insicurezza
per
sostenere il suo sguardo.
-Milady…?-
domandò, debolmente, confusa
dall’attenzione di cui era diventata oggetto e che non le
piaceva neanche
un po’.
La
sovrana, più tesa di quanto fosse stata soltanto
poco prima nelle stalle, la invitò con un ampio gesto del
braccio ad
avvicinarsi.
-Vieni,
Zoe.- la chiamò, e lei dovette a malincuore
abbandonare il fianco di Sakura per salire quei pochi gradini che la
separavano
da lady Mikoto e da Ryoma. Il Maestro di Spada e Alto Principe di
Hoshido si
spostò alle sue spalle, facendole spazio accanto alla regina:
mentalmente, Zoe
si ritrovò a ringraziarlo, perché la sua vicinanza aveva sempre avuto
un
meraviglioso effetto rassicurante – e Hotoke soltanto
sapeva quanto ne
avrebbe avuto bisogno di lì a poco.
Mikoto
scambiò con Ryoma un solo, fugace sguardo prima
di riportare la propria attenzione su Zoe. -Reina mi ha portato una
notizia che
riguarda anche te, cara.- le spiegò, incrociando le mani sul ventre.
-Durante
la ricognizione sul confine dell’Abisso Infinito, Takumi si è scontrato
con una
pattuglia nohriana.- continuò e Zoe, stavolta, non poté evitare di
impallidire,
lanciando un’occhiata terrorizzata a Ryoma mentre i suoi
pensieri si
arrestavano bruscamente all’idea che Takumi, il suo adorato Takumi che
la
faceva sempre arrabbiare, fosse rimasto in qualche modo ferito durante
quello
scontro.
-Non
preoccuparti, stanno tutti bene.- la rassicurò,
permettendole così di prendere fiato. Ryoma sapeva quanto Zoe fosse
legata
tanto a Takumi quanto a Kaze ed Hinata, il Maestro
d’Armi che serviva
Takumi assieme alla Maestra di LanciaOboro, e lei sillabò un
rapido “grazie”
prima di ritornare a prestare attenzione a lady Mikoto.
-Takumi
ha chiesto di incontrarci a Suzanoh al più
presto possibile, perché portano con loro un prigioniero. Sono riusciti
a
catturare un reale nohriano.-
A
quella notizia, questa volta, Zoe non riuscì proprio
a stare zitta.
-Cosa?
State scherzando!- esclamò, incapace di
trattenersi., strappando un sospiro esasperato ad Orochi.
-Deshi!-
sibilò Saizo, oltraggiato dalla mancanza di
rispetto della sua allieva.
Mikoto
agitò una mano in direzione della Onmyoji,
soprassedendo così alla mancanza di rispetto della sua protetta. -Non
preoccuparti, Saizo, è una reazione comprensibile. Questo la riguarda
in prima
persona.- affermò, prima di continuare. -Zoe, il reale che hanno
catturato non
sembra assomigliare a nessun altro che abbiamo mai affrontato prima.-
-Com’è
possibile?- domandò la ragazza, sempre più
perplessa, mentre quel desiderio impossibile che aveva sussurrato ogni
notte,
per anni, al cielo stellato parve infiammarle nuovamente il petto dopo
tanti
anni di quieta sopravvivenza.
Che
gli dei avessero ascoltato le sue preghiere?
Lady
Mikoto parve leggere, nel suo sguardo sconvolto,
la folle speranza che aveva guidato la giovane samurai per la maggior
parte
della sua vita; annuì, le labbra illividite dalla tensione, tentando
inutilmente di allontanare la sensazione che il destino fosse infine
giunto per
riscuotere il prezzo dell’affronto subito tanti anni prima. -Per questo
motivo
ho richiesto la tua presenza, e sarei felice se accompagnassi me e
Ryoma a
Suzanoh.- continuò, sforzandosi di mantenersi pacata e serena davanti
ai suoi
figli. -È opinione di Kaze che si tratti di Ileana.-
Doveva
calmarsi.
Zoe
chiuse gli occhi, resistendo alla tentazione di
infilarsi le mani nei capelli e strapparseli tutti in una volta.
Doveva
rimanere fredda e concentrata.
Strinse
i denti, sentendo i canini appuntiti pungerle
le labbra, cercando di escludere ogni suono dalla sua mente – invano:
anche il
cinguettio degli uccellini, lo stridio lontano di un kinshi, parevano
martellarle
le tempie e serrare quella morsa che l’aveva intrappolata nel momento
stesso in
cui lady Mikoto aveva pronunciato il nome della principessa perduta.
Gettò
la propria sacca da viaggio sul futon,
lasciandosi pesantemente cadere in ginocchio sul morbido materasso e
permettendo ad un solo, angosciato gemito di sfuggirle.
Doveva
ritrovare la propria calma, ed imbrigliare i
pensieri che le vorticavano furiosamente in testa: non poteva
distrarsi,
adesso, nonostante la tensione le avesse annodato lo stomaco ed
irrigidito ogni
singolo muscolo del corpo così tanto da farle male.
Ileana.
La
principessa perduta era stata uno dei motivi
principali per cui aveva votato la sua intera vita a diventare
una
guerriera talmente capace da potersi infilare a Nohr e scoprire che
fine avesse
fatto la figlia della regina: Ileana era diventata un
obiettivo, un
simbolo che rintuzzava la sua determinazione quando lei vacillava, una
speranza
in cui, tuttavia, si era ridotta a credere soltanto per abitudine.
Se
Ileana non fosse mai stata rapita, Zoe sarebbe
dovuta diventare la sua guardia personale: quello le era sempre stato
raccontato e quello, da bambina e da ragazzina, l’aveva sempre riempita
di
vergogna e di rimorso, perché non era stata in grado di prendersi cura
di lei
nel momento in cui Ileana avrebbe avuto bisogno del suo aiuto.
Saizo
aveva avuto serie difficoltà nel farle capire
quanto una bambina di cinque anni non avrebbe potuto fare nulla contro
il Re
d’Ossidiana, ma Zoe aveva cullato quel senso di colpa così a lungo,
dentro di
sé, che soltanto negli ultimi anni le parole incessanti del suo maestro
avevano
cominciato a far breccia in quella cappa di rimorso in cui si era
ostinatamente
avvolta per tanto tempo.
Non
sapeva che cosa avrebbe dovuto fare, come si
sarebbe dovuta comportare con lei: e se essere stata cresciuta da re
Garon
l’avesse irrimediabilmente corrotta in una persona malvagia? Cosa
sarebbe
successo se Ileana – sempre che si trattasse di lei e non di
un’impostora – si
fosse rivelata un mostro proprio come il re d’Ossidiana?
Era
diventata una guerriera, una Samurai, perché
nient’altro avrebbe potuto darle una parvenza di obiettivo, a
Shirasagi. Aveva
preso in mano una spada a sei anni perché diventare più forte
era
stata l’unica via d’uscita da una situazione a cui la bambina timida e
fragile
che era stata non sarebbe stata capace di sopravvivere… ed invece la
sua testardaggine
l’aveva resa abile, capace di difendersi e di difendere il suo
prossimo, ed il
codice dei samurai era diventato lo scudo dietro cui proteggeva quella
sua
parte più fragile che non era mai stata in grado nemmeno di sopportare
uno
stupido insulto.
Il
pensiero di poter diventare, un giorno, una
guerriera in grado di affrontare l’esercito di Re Garon – un obiettivo
ambizioso e forse irrealizzabile, ne era perfettamente conscia –
l’aveva tenuta
in piedi, l’aveva spinta ad impegnarsi e a sopportare ognuna delle
terribili
sessioni di addestramento del suo maestro, a stringere i denti quando
aveva
cominciato a perdere il conto delle vesciche sulle mani e le ferite sul
suo
corpo.
Il
pensiero di Ileana era lentamente scivolato in
fondo alla sua mente, un’onnipresente, silenzioso memoriale di quanto
male
fosse stato in grado di fare il Re di Nohr alla famiglia reale che lei
era
onorata di servire, alla regina il cui sguardo tormentato la inseguiva
ogni
volta che i suoi occhi bruni la sfioravano, a lei – non avrebbe mai
dimenticato
le urla che aveva fatto, il dolore che aveva provato, quando Ileana le
era
stata strappata dalle braccia… ed era per lei, per la Regina, per tutte
le
famiglie che quella guerra inespressa aveva già rovinato, che Zoe aveva
continuato a perseguire il suo obiettivo, incurante dello scherno dei
nobili e
della frustrazione che provava quando pensava a quanto, a quasi
vent’anni,
ancora non le fosse stato permesso di avanzare su quella strada che
nessuno era
stato in grado di impedirle di scegliere.
Però…
non poteva impedirsi di provare quell’angoscia,
di sentire l’eccitazione e la paura scorrerle nelle vene: dopo tanti
anni, per
la prima volta, avevano qualcosa,
una
prova che Ileana fosse ancora viva, che potesse esistere una remota
possibilità
di riportarla a casa, e i pensieri e le emozioni a cui Zoe si era ormai
abituata erano riemersi tutti insieme, travolgendola.
Non
era mai stata brava a gestire le emozioni, ma
sapeva di doversi calmare – se non lo avesse fatto, lo sapeva, sarebbe
stato
qualcun altro a__
-Zoe.-
Sobbalzò,
Zoe, strappata violentemente al turbinio di
congetture e pensieri che minacciavano di sopraffarla: si era talmente
estraniata da non accorgersi che Saizo, con l’innaturale capacità
propria dei
ninja, era apparso proprio accanto a lei.
-Saizo!-
esalò, balzando in piedi per inchinarsi allo
spaventoso Maestro Ninja privo di un occhio.
-Dov’è
finito il rispetto per i tuoi superiori, deshi?-
grugnì lui, irritato, e Zoe chinò la testa: sapeva di aver mancato di
rispetto
tanto alla regina quanto alle sue tutrici, intervenendo come aveva
fatto, e
aveva immaginato che il suo insegnante più severo si sarebbe presentato
per
rimproverarla.
-Lo
so, mi dispiace. Avrei dovuto mantenere più
controllo.- mormorò, pentita, voltandosi per non dover sopportare il
peso di
quell’unico, terribile occhio. -Ti serve qualcosa? Sono un po’
impegnata, al
momento.- domandò, cercando di concentrarsi nuovamente sul bagaglio che
doveva
preparare: aveva indossato la sua tenuta da viaggio da Samurai, unahakama
argentata
e un kimono corto che le aveva
donato Orochi e che le lasciava
scoperto il ventre muscoloso; avrebbe portato con sé anche un haori,
decise, perché sapeva che Suzanoh si trovava in una zona molto più
fredda di
Shirasagi e lei odiava, odiava il
freddo.
-Lo
noto. E sono qui per questo.-
Sorpresa,
Zoe si voltò: non era da Saizo essere così
percettivo nei confronti delle emozioni altrui.
Il
ninja sospirò, passandosi una mano fra gli spinosi
capelli rossi.
-Vorrei
consigliarti di mantenere la calma.- continuò,
chiaramente a disagio – Zoe poté distinguere un rossore sospetto fare
capolino
da sotto la maschera che copriva almeno metà del volto del maestro, ma
si
trattenne dal sorriderne: Saizo era incapace di gestire le proprie
emozioni
ancor più di lei, ma lei aveva imparato da molto tempo a cogliere la
preoccupazione che il suo maestro provava anche dietro i suoi modi
bruschi.
-Mi
è un po’ difficile.- ammise, ripiegando l’haori e
riponendolo sul fondo della sacca.
-Non
è una motivazione valida.- replicò Saizo, aspro,
mentre lei impacchettava qualche razione di emergenza. -Non sappiamo se
la
ragazza sia davvero Ileana, né che cosa le sia stato insegnato in
questi anni.
Non possiamo fidarci di lei, nemmeno se si trattasse davvero di__-
-Lo
so!- sbottò, infine, la samurai, voltandosi per
fronteggiare quell’uomo che, nonostante il suo aspetto, non la
spaventava. -Non
sono una stupida, d’accordo?- ringhiò, serrando i pugni sulla stoffa
ampia
dell’hakama. -So come comportarmi, davvero. È solo
che…-
Solo
che… era così difficile rimanere concentrata.
Sospirò,
la rabbia che veniva meno: sapeva che Saizo
voleva soltanto il suo bene, e che non permettesse al senso di colpa di
tornare
ad oscurare il suo giudizio, l’equilibrio piuttosto fragile che era
riuscita a
trovare – Saizo si era sempre preoccupato per lei, a modo suo: Zoe
sapeva che
le voleva bene, che voleva soltanto il meglio per lei…
Era
quanto di più simile ad un padre che avesse mai
avuto.
-Insomma…
non è facile.- mormorò, chinandosi su un
cassetto già aperto e spalancando uno sportello nascosto sul fondo: là,
esposta
con un’accuratezza che nessuno avrebbe mai sospettato, in Zoe, vi era
una
katana dalla lama dentata, minacciosa, la cui tsuka
di
legno e metallo era avvolta da un intricato tsukaito di
seta scarlatta.
Saizo
sapeva che Zoe adorava quell’arma, un dono per
il suo diciottesimo compleanno ricevuto dalla regina
Mikoto in
persona, ed era anche perfettamente conscio di quanto potesse essere
letale fra
le sue mani: era stato Ryoma in persona ad addestrarla, quando le era
stato
assegnato il ruolo da Samurai, ed erano ben pochi quelli in grado di
rivaleggiare con lei, a Shirasagi.
-Lo
so.- annuì, approvando silenziosamente la sua
scelta: doveva essere pronta a tutto e quell’arma le trasmetteva
sicurezza…
quella sicurezza che sembrava mancarle in quel momento. -Ma dovrai
comunque
usare prudenza.- aggiunse ma, quando Zoe si voltò per ribattere, era
già
scomparso.
La
giovane sbuffò, scuotendo la testa e sfregandosi
stancamente gli occhi.
-Se
non ci fossi abituata lo troverei snervante.-
mugugnò, allacciandosi l’obi ai fianchi e
rinfoderandovi la katana
con un gesto rapido e sicuro – aveva impiegato così tanto tempo ad
imparare a
farlo senza ridurre a brandelli i propri abiti…
La
voce efficiente di Reina le giunse dall’altra
stanza, distraendola dalle sue elucubrazioni: -Sei pronta?-
-Sì.-
affermò, caricandosi in spalla la propria sacca
e passandosi le mani fra i capelli, tirandoli indietro. -Andiamo.-
§
Le
grandi mura di Suzanoh, costruite da un
lontanissimo avo della famiglia reale, erano una struttura che Zoe
aveva sempre
trovato opprimente. Certo, erano una delle migliori difese che
potessero
esistere e gli abitanti di Shirasagi vi avevano trovato protezione nei
tempi
più bui, ma non riusciva ad ignorare quanto quell’ombra minacciosa
pesasse su
di lei, adombrando i tratti spigolosi del suo volto e disegnando
pericoli
inesistenti dietro ogni foglia.
Serrò
la mano destra sull’elsa della katana, cercando
conforto nella stoffa ruvida che sfregava sui suoi palmi,
costringendosi a
recuperare la concentrazione e studiando con un rapido sguardo ciò che
la
circondava – non che ci fosse poi molto da analizzare, in effetti: si
trovava
più avanti, sul percorso, rispetto al piccolo drappello che
accompagnava la
regina, ed intorno a lei vedeva solamente gli stessi alberi che avevano
accompagnato quel paio di giorni che erano serviti per raggiungere
l’avamposto
indicato da Takumi.
-Deshi.-
Questa
volta, per fortuna, l’aspra voce di Saizo non
la colse di sorpresa. Lanciò un’occhiataccia al ninja, appollaiato come
un
lugubre uccellaccio del malaugurio su un ramo a poche iarde da quello
su cui si
era inerpicata lei.
-Sai,
io avrei anche un nome, così, giusto per
ricordartelo…- mugugnò, ma Saizo alzò una mano per interromperla.
-Silenzio.-
le intimò e Zoe, malgrado l’irritazione,
tacque. -Avverti qualcosa di strano?- le domandò, poi, una volta
ottenuta la
sua totale attenzione; lei scosse la testa, inarcando un sopracciglio
– ma
l’aveva presa per una recluta inesperta, forse?
-A
parte Kaze?- sbottò, indicando con un brusco cenno
della testa un punto apparentemente vuoto.
Puf.
Con
uno sbuffo che mosse appena le foglie intorno alla
sua figura snella un ninja apparve là dove, fino a poco prima, erano
state
visibili solamente le protuberanze di una corteccia; e, finalmente, Zoe
si
concesse il primo sorriso sincero da due giorni a questa parte.
-Fratello.
Zoe.-
Al
contrario di Saizo, che indossava il proprio
aspetto spaventoso ed inquietante con orgoglio, Kaze era sempre stato
il
ritratto della dolcezza: forse erano i capelli, di un bel verde
pallido, oppure
il sorriso tenue e un po’ triste con cui il ninja affrontava ogni
attimo della
sua vita, ma Zoe aveva sempre provato una profonda tenerezza e un
sincero
affetto per Kaze che, negli anni, le era sempre stato accanto e l’aveva
sostenuta anche quando lei stessa aveva pensato di non poter
sopravvivere
all’addestramento di Saizo.
-Bene, deshi.-
fu il rapido e quasi
impercettibile complimento che si perse nell’aria fredda di quella
foresta, ma
lei colse comunque la soddisfazione nella sua voce e si congratulò con
se
stessa: non era facile soddisfare i rigorosi canoni di Saizo, e lei
serbava
nell’animo l’orgoglio provato ad ognuna delle rare lodi ricevute da lui
nel
corso degli anni. -Da quanto tempo ti eri accorta di lui?- le domandò
mentre
Kaze, silenzioso come un’ombra, lo raggiungeva.
-Un
quarto d’ora, circa.- rispose tranquillamente, sapendo
bene di poter fare affidamento sui propri sensi e sul suo istinto:
sarebbe
stata davvero un’onta imperdonabile se non si fosse accorta della
presenza di
una persona che conosceva da tutta la vita. -Ci hai intercettati al
bivio e
seguiti per un po’, vero?- domandò, rivolgendosi a quello che,
comunque,
riteneva il suo preferito fra i due gemelli, e Kaze le sorrise.
-Brava.-
si congratulò, prima di indicarle il percorso
che aveva appena fatto con un rapido cenno della testa. -Ora torna
indietro e
dai il segnale a Kagero, la strada è sicura.- la istruì, con una
gentilezza
negli ordini che nulla aveva a che spartire con l’asprezza del
fratello, ma
richiamandola indietro appena prima che la samurai sparisse nel fitto
fogliame.
-E, Zoe?-
Zoe
esitò, cogliendo un lieve turbamento in quella
voce tanto familiare: Kaze non era un uomo che lasciava facilmente
trapelare le
proprie emozioni… anche lui era teso per tutta quella
situazione,
rifletté: come lei, anche il ninja dai capelli verdi aveva fatto
propria la colpa
del ratto di Ileana, e quel rimorso aveva modellato entrambi nelle
persone che
erano diventate.
-Sì?-
domandò, senza voltarsi.
-Fai
attenzione.-
Ridacchiò,
balzando dal proprio ramo ad un altro con
la scioltezza di un felino.
-Io
faccio sempre attenzione.-
sussurrò, consapevole che il suo commento un po’ arrogante sarebbe
stato udito
da entrambi i ninja e avrebbe strappato una smorfia a Saizo e un
sospiro
divertito a Kaze.
Bugiarda,
mormorò una vocina
nella sua testa, così simile a quella di Takumi da costringerla a
soffocare una
risata vera e propria: il suo fratellino antipatico le era mancato, in
quelle
settimane trascorse da quando era partito, e non aspettava altro che
poterlo
rivedere.
Takumi
aveva all’incirca la sua stessa età – e
quei pochi mesi che li distanziavano erano sempre stati motivi di
battibecco –
ed era cresciuto con lei: la piccola banda di scalmanati che avevano
riunito
attorno a loro era ancora un incubo ricorrente di Yukimura, ne era
certa.
Crescendo,
entrambi avevano intrapreso la strada del
guerriero assieme ai loro compagni di giochi che, dopo anni di
addestramento,
erano tutti diventati guardie reali: Subaki e Hana erano entrati al
servizio di
Sakura, Hinata a quello di Takumi stesso, mentre Zoe non era ancora
stata
assegnata a nessuno – aveva sperato, anni prima, di poter diventare
proprio la
sua, di guardia reale, assieme ad Hinata, ma Saizo gliel’aveva impedito
e
quello era uno smacco che ancora, a volte, faticava a digerire.
Erano
sempre stati molto uniti, lei e Takumi: erano
due muli testardi che non potevano fare a meno di scontrarsi, li
definiva
spesso Hinoka, ma non era mai successo che uno dei due non
spalleggiasse o
provasse a coprire l’altro dopo l’ennesima marachella.
Sì,
le era davvero mancato, ma poteva tenere a bada
l’impazienza ancora per un po’: dopotutto, se Kaze era nei paraggi
significava
che il loro viaggio, ormai, era giunto al termine.
Ripeté
a ritroso la strada percorsa assieme a Saizo,
fino a che i suoi occhi allenati non colsero lo sventolio di un lembo
di stoffa
al di là di un tronco particolarmente imponente.
-Ma?-
chiamò, portando prudentemente la mano destra
alla spada per estrarne giusto qualche pollice, pronta per essere
estratta
dalla mano opposta: era quasi certa di aver riconosciuto Kagero, in
quel
baluginio, ma essere guardinga e sempre pronta al peggio era stata la
prima
lezione che Saizo le aveva inculcato in testa.
Il
suo odore la raggiunse prim’ancora che Kagero si
palesasse, con il tipico sbuffo dei ninja, al suo fianco: la sua
seconda mamma
era sempre stata preceduta da quell’essenza lieve, flebile, che a Zoe
ricordava
la stoffa morbida delle sue copertine di bambina e tutte le volte che
Kagero le
aveva permesso di nascondersi fra i suoi lunghi capelli neri per farla
giocare
a nascondino con Orochi.
Sorrise,
socchiudendo gli occhi quando una carezza
lieve le scostò la frangia.
-La
strada è libera.- annunciò, voltandosi appena in
tempo per scorgere il fiocco bianco che raccoglieva i capelli di sua
madre
svanire nel fogliame.
Kagero
riapparve qualche albero più in là, splendida e
a suo agio come un predatore nel suo habitat naturale; Zoe aveva sempre
pensato
che, nonostante Saizo fosse considerato dai più il più abile dei
Maestri Ninja
al servizio della famiglia reale, Kagero fosse proprio nata per essere
un
ninja: era splendida, letale e celava in un corpo che molte donne
avrebbero
ucciso per avere una forza pari a quella di diversi uomini messi
insieme.
Le
sue mamme erano davvero una più bella dell’altra:
Zoe era fiera di loro, le adorava e ogni dettaglio che la accomunasse a
loro la
rendeva un po’ meno severa nel giudizio che aveva di se stessa…
dopotutto,
aveva imparato ad accettare il proprio corpo soltanto grazie al fatto
che tanto
Kagero quanto Orochi fossero fatte alla stessa maniera.
-Perfetto.-
Kagero annuì, e Zoe rinfoderò rapidamente
la spada – saltellare fra i rami con una spada mezza estratta era un
buon modo
per farsi del male, lo aveva imparato a proprie spese. -Reina ci segue
dall’alto, tu scendi a sud di cinquanta iarde e prosegui parallelamente
a me.
Incontrerai lord Ryoma sul tuo percorso.-
Ignorando
il lieve senso di contentezza che la pervase
al pensiero di raggiungere Ryoma, Zoe assentì.
-Signorsì.-
rispose, obbediente, lasciandosi Kagero
alle spalle e proseguendo nella direzione indicatale finché non
distinse un
familiare riverbero scarlatto: Ryoma indossava la sua solita,
spaventosa
armatura rossa – che comunque, come diceva sua madre, lo faceva
assomigliare
più ad un’aragosta che ad un temibile drago –, e procedeva nel
sottobosco con
molta meno eleganza rispetto ai tre ninja.
Attenta
a non farsi sentire, Zoe gli girò intorno fino
a che non si trovò alle sue spalle, scegliendo un ramo particolarmente
robusto
su cui fermarsi, agganciarvi le ginocchia e lasciarsi cadere per
dondolare a
testa in giù a poca distanza dall’impressionante criniera bruna che
erano i
capelli di Ryoma.
-Puf.-
esclamò, non riuscendo a trattenere una
risata quando lui sobbalzò e si voltò di scatto, la mano già stretta
sull’elsa
della divina Raijinto; come aveva previsto, però, la riconobbe
immediatamente,
e le sue spalle si rilassarono.
-Non
dovresti segnalare la tua posizione in questo
modo.- la rimbrottò, sospirando, ma Zoe scosse la testa e allungò una
mano per
aggrapparsi al ramo, sganciando le gambe e dondolandosi un paio di
volte prima
di balzare agilmente a terra.
Si
comportava sempre da idiota quando lui era nei
paraggi.
-Questa
zona è sicura.- replicò, sistemandosi l’hakama tutto
in disordine, ben attenta a non scambiare nemmeno per sbaglio uno
sguardo con
il principe. -Saizo è con Kaze, e Kagero mi ha mandata a coprire questa
zona.-
riferì, affiancandoglisi senza nemmeno preoccuparsi di rivolgergli un
inchino
di cortesia: Saizo l’avrebbe sicuramente rimproverata, per quella
mancanza, ma
Ryoma le aveva sempre chiesto di comportarsi con lui come si comportava
con i
suoi tre fratelli.
La
maggior parte delle persone considerava Ryoma un
uomo distante, controllato o persino spaventoso: era facile lasciarsi
intimorire dal suo aspetto imponente e dal suo sguardo severo… ma Zoe
lo
conosceva da tutta la vita, e sapeva quale persona altruista, buona e
affettuosa si celasse sotto la sua onnipresente espressione serafica.
Ne
era così conscia da essersi addirittura invaghita
di lui.
Scosse
la testa, tentando di scacciare quel pensiero
prima che prendesse piede e la distraesse.
“Idiota!
Sei accanto ad un principe, in questo momento, il tuo dovere è
proteggerlo
quindi piantala di comportarti da ragazzina svenevole!”
Prese
un lungo respiro, usando violenza sulla sua
mente per costringersi a rinchiudere voce, batticuori e stupidaggini
del genere
in un angolino impolverato in fondo al suo animo. Non aveva tempo
per
dar seguito ad una stupida cotta adolescenziale che ogni tanto le dava
ancora
qualche gomitata, né tantomeno il desiderio di torturare se stessa
ricominciando a rimuginare su qualcosa di così sciocco.
Si
incamminarono fianco a fianco, lasciando che un
quieto silenzio calasse su di loro. Non si trattava di un silenzio
pesante o
imbarazzante, ma di una pace serena e confortevole di due persone che
si
rispettavano e si fidavano completamente l’una dell’altra.
Ryoma
era l’unica persona con cui Zoe fosse mai
riuscita a trovarsi completamente a proprio agio, senza sentire il
bisogno di
riempire il vuoto di parole: la sua presenza, la sua stessa esistenza,
rappresentava un’ancora solida ed inamovibile che lei aveva sempre
trovato
rassicurante.
Non
ha
mai pensato a quanto possa essere appiccicoso il sangue.
Le
incolla le dita dei piedi nudi, rende l’elsa della katana scivolosa e
viscida,
la fa quasi scivolare quando tenta nuovamente un affondo e lo porta a
termine
con un arco disordinato che le strappa un ringhio frustrato.
Non
dovrebbe essere lì. Le sue mamme saranno sicuramente preoccupate, è già
il
tramonto e sarebbe dovuta essere a casa già da un’ora, ma a Zoe non
importa:
alza di nuovo la katana, ignorando le braccia che bruciano di dolore e
le mani
martoriate dal legaccio dell’elsa, e aggredisce con tutta la sua furia
il
manichino da addestramento.
“Dovresti
imparare a
ricamare, Zoe.”
Ruggisce,
quella tredicenne in fiore che odia con ogni battito del cuore un po’
di più il
suo corpo che cambia, assordata dalla voce cantilenante e odiosa di
Subaki che
continua a ripetersi incessantemente nella sua testa.
“Non
sarai mai un
guerriero con quel fisico. Faresti meglio a trovare un uomo che voglia
sposare
una stramba come te e metterti a fare figli.”
Mischiate
al sangue che gocciola dalle sue mani ci sono lunghi capelli che, una
volta,
erano stati di un biondo sporco, spento e detestabile: qualche filo
chiaro si è
impigliato nella lama smussata con cui li ha tagliati, ed il loro
baluginio non
fa che fomentare la sua rabbia.
Si
sforza di immaginare la faccia di Subaki su quella senza volto del
manichino e,
con un urlo disarticolato, gli si butta addosso, colpendolo
disordinatamente
con la katana da allenamento.
Per
fortuna Saizo non è lì: se la vedesse comportarsi in quel modo sarebbe
sicuramente disgustato… ma no, per fortuna è da sola, tutti sono già
tornati a
casa dopo una giornata intensa di esercizi e addestramento.
-Zoe.-
Oppure
no.
Si
morde le labbra, ignorando la voce che ha chiamato il suo nome: sa chi
è, sa a
chi appartiene, ma la sua attenzione è tutta sulla forza che le sue
braccia non
hanno e che cerca di costringere ad uscire fuori tramite tutto quel che
possiede: la testardaggine.
-Zoe,
posso sapere che cosa stai facendo?-
Nonostante
abbia le orecchie appiattite sulla testa sente comunque i passi che si
avvicinano, ma Ryoma è davvero l’ultima persona che abbia voglia di
incontrare.
Il
principe è a dir poco perfetto, più di quanto Subaki potrà mai sperare
di
diventare e, secondo Zoe, più di chiunque altro al mondo: è già uno
spadaccino
temibile, un guerriero abilissimo e una figura di riferimento per un
numero
sempre crescente di persone.
-Mi
alleno.- risponde, a denti stretti, senza nemmeno voltarsi a guardarlo.
Con la
coda dell’occhio, però, lo scorge sbuffare.
-A
me
sembra che tu stia soltanto cercando di farti del male.-
Forse.
Forse è quel che si merita. Forse è quello che avrebbe dovuto subire
tanto
tempo prima.
-Non
servirà a molto allenarsi se poi non sarai in grado di stare in piedi.-
Nella
sua mente offuscata dalla rabbia e dalla vergogna quelle parole fanno
breccia,
perché non c’è davvero altro che le importi se non essere un buon
guerriero –
ma non è abbastanza, Saizo le dice sempre che l’addestramento non è mai
abbastanza, e lei prova una fede cieca nelle parole del suo maestro.
-Ci
riuscirò comunque.-
Continuerà
ad allenarsi ignorando la stanchezza, le ginocchia che tremano, le mani
insanguinate.
-Così
vedranno.-
Costringerà
Subaki a rimangiarsi ogni parola, ogni insulto, ogni insinuazione.
-Così
vedranno tutti.-
Saizo
sarà fiero di lei e le permetterà finalmente di prendere il titolo di
Samurai,
un onore che le è ancora precluso perché non è abbastanza brava,
abbastanza agile,
abbastanza forte.
Si
permette di prendere fiato, di abbassare la spada per qualche attimo,
di
lanciare un occhiata al ragazzo – no, Ryoma ormai è un uomo, al
contrario di
lei che è soltanto una ragazzina inutile.
-Per
favore, vai via. Voglio rimanere sola.- gli chiede, odiando la supplica
che non
riesce proprio a trattenere. Distoglie lo sguardo, vergognandosi dello
stato in
cui deve essere, pregando fra sé che lui le dia retta e se ne vada.
-Preferirei
rimanere qui, se non è un problema.-
No,
non
sembra volersene andare.
Zoe
lo
maledice mentalmente e per un attimo odia anche lui, che è così bravo
in tutto
quello che fa, che ha una famiglia che lei non ha, che ha uno scopo
nella vita
e un futuro certo dinanzi a sé.
-Rimarrò
in silenzio, non ti infastidirò.-
Uno
sbuffo e una scrollata di spalle sono le uniche risposte che riceve.
Ryoma
annuisce e si allontana un poco per sedersi a terra, incrociando le
gambe e le
braccia e rimanendo perfettamente immobile mentre lei sfoga tutta la
sua
frustrazione sul povero manichino, ignorando la pozza disordinata che
si
allarga ai suoi piedi come l’oscurità che sta prendendo possesso del
cielo.
Ben
presto, Zoe perde la cognizione del tempo: ci sono soltanto le manovre
e le
posizioni che Saizo le ha insegnato, che ha provato mille volte assieme
ad Hana
e ad Hinata, e la furia che le annebbia lo sguardo ad ogni colpo un po’
di più.
Diventerà
brava.
Troverà
anche lei la sua strada, un motivo di orgoglio, qualcosa che
possa spegnere l’odio profondo che prova per se stessa… oppure no,
perché in
fondo lei non merita altro che questo.
È
detestabile.
È
un’orfana senza futuro che ha fallito nel solo compito che avrebbe
dovuto
adempiere.
Subaki
ha ragione, dovrebbe lasciar perdere, perché non sarà mai abbastanza…
non lo è
fin da quando la principessa Ileana è stata rapita e lei ha fallito nel
suo
compito. Non lo è mai stata da bambina, quando intorno a lei
si era chiuso
un cerchio di ragazzi più grandi che l’avevano spinta nel
fango, al suo
posto.
Dopotutto…
il fallimento è l’unica cosa in cui riesce.
Le
lacrime le offuscano la vista e la katana, all’improvviso, diventa
davvero
troppo pesante: le sfugge, cadendo a terra con un clangore assordante,
e anche
Zoe crolla con lei, schiacciata dalle colpe che sembrano toglierle
persino la
forza di respirare.
In
ginocchio, tremante, alza lo sguardo e quel dannato manichino sembra
farsi
beffe di lei, del sangue che le macchia i vestiti, dei suoi capelli
tagliati in
preda alla rabbia che si arricciano intorno alle sue orecchie.
Vorrebbe
urlare, vorrebbe gridare al vento tutta la sua frustrazione, ma la sua
voce è
bloccata in gola e tutto quello che le esce è un gemito di dolore.
Si
prende la testa fra le mani perché sente che sta per scoppiare, e cerca
rifugio
accartocciandosi su se stessa in mezzo al suo stesso sangue, la terra
sabbiosa
che le si infila nel naso quando cerca furiosamente di prendere fiato.
-È
colpa mia… è tutta colpa mia…-
Non
importa quello che farà in futuro, non importa quanto si addestrerà,
quanto
sangue verserà: lei rimarrà sempre quella che doveva essere presa al
posto
della principessa, una nessuno che meritava soltanto di essere trattata
come
una paria, e nessuno potrà mai cancellare quella terribile
verità.
Non
si
accorge della mano che le stringe una spalla fino a che non ode la voce
calma
di Ryoma ad un soffio dalle sue orecchie.
-Ehi.-
Si
stringe su se stessa, sentendosi sballottata da quelle sensazioni
velenose che
la stanno lentamente uccidendo, giorno dopo giorno, anno dopo anno.
-Dovevo
essere io… doveva prendere me…-
Se
solo
fosse morta, non avrebbe mai dovuto sopportare niente di tutto questo:
non
avrebbe mai dovuto affrontare gli insulti, le cattiverie, non
sarebbe mai
stata costretta a difendersi a spada tratta per rimanere sana di mente,
non
avrebbe mai dovuto sopportare la colpa che la dilania ogni volta che
uno di
quei signorotti da due soldi la chiama feccia.
Perché
lei lo è, feccia.
-Zoe__-
Alza
di
scatto la testa, odiando quel nome e la gentilezza con cui lui lo
pronuncia,
stringendo i denti così tanto da sentirli stridere.
Ryoma
non sa niente di tutto ciò che ha passato, nessuno sa cosa ha passato,
nemmeno
le sue madri o Saizo o Kaze: è stata brava, è riuscita a nascondere
persino ai
ninja quei pochi episodi che tuttavia l’hanno indelebilmente
marchiata, ha
sempre evitato di ripetere ognuna delle parole derisorie che le sono
state
rivolte – Subaki è il più innocuo di tutti loro, non è mai
stato davvero
cattivo con lei, ma quel giorno è stata la fantomatica ultima goccia
che ha
fatto traboccare il vaso.
-Perché
non ha preso me? Perché Garon non ha risparmiato il re e Ileana
prendendo me?
Qualcuno poteva fargli credere che fossi la principessa e se mi avesse
uccisa
sarebbe andato tutto bene, e__-
-Ora
basta.-
Le
sue
urla isteriche sono bruscamente interrotte da quelle parole forti,
dure, che
riescono a farsi largo nel panico che l’ha travolta e che minaccia di
inghiottirla viva.
Ryoma
la prende per le spalle, costringendola a sciogliersi da quella
posizione che
l’ha convulsamente chiusa in se stessa, forzandola a guardarlo in
faccia quando
torna a parlarle.
-Zoe,
promettimi che non penserai più niente del genere.-
-Ma__-
-No,
niente “ma”.-
Non
ha
mai notato prima che gli occhi verdi di Ryoma siano pieni di pagliuzze
argentate.
Quel
dettaglio insignificante sembra assumere un’importanza fondamentale,
adesso,
che la costringe a prestare attenzione alle sue parole, alla forza
nella sua
voce, al calore delle mani che le stringono le spalle.
-Tu
sei
parte della mia famiglia e non potrei mai pensare ad un mondo in cui tu
non ci
sei, e so che tutti quelli che ti vogliono bene pensano la stessa cosa.
Quindi
ti prego, non pensare mai più che qualcuno avrebbe preferito che tu
morissi. Ti
prego, fallo per me.-
Sono
quelle le parole che la spezzano.
Non
riesce a non credergli, non riesce a ignorarlo e continuare
testardamente a
macerarsi nell’autocommiserazione: in un lampo di terribile
consapevolezza
pensa a Sakura, ad Hinata, a Takumi e alle sue madri, a Reina
e ad Hinoka,
e sente che il suo cuore potrebbe davvero spaccarsi quando capisce
quanto
soffrirebbero nel vederla così.
Non
vuole che nessuno di loro soffra. Non vuole che Ryoma soffra.
Eppure,
allo stesso tempo, vorrebbe poter fare qualcosa, tornare indietro nel
tempo e
sistemare le cose, restituire il sorriso alla regina e una principessa,
una
sorella, a quei fratelli che lei non avrebbe mai avuto ma che avrebbe
disperatamente voluto chiamare famiglia.
Ma
non
lo sono. Lei li ama come se lo fossero e sa che anche loro le vogliono
bene, ma
quella non è la sua famiglia: lei è una figlia di nessuno e si sente un
mostro
nel desiderare qualcosa che avrebbe dovuto essere di un’altra, di una
bambina
innocente strappata ai suoi cari in tenera
età, che secondo la
maggior parte dei nobili sta tuttora tentando di irretire per
trarre da
quel favore che i reali le dimostrano un qualche assurdo profitto.
È
troppo. È davvero troppo per le sue spalle ancora così esili.
E
scoppia a piangere, finalmente, come la bambina che ancora è:
seppellisce il
viso fra le mani e trema, stravolta dai singhiozzi e da tormenti troppo
grandi
per i suoi anni, e vorrebbe davvero che Ryoma se ne andasse perché non
riesce a
sopportare l’idea che qualcuno la veda in quello stato così miserabile
– non
riesce a non credergli, ma allora significa che vederla così deve farlo
soffrire e per gli dei, è l’ultima cosa che vuole.
Ma
Ryoma non se ne va.
Le
passa un braccio intorno alle spalle e la avvicina a sé, stringendola
forte
quando Zoe gli si butta addosso e si aggrappa disperatamente al suo
yukata,
rifugiandosi nel suo abbraccio come se fosse l’unico posto sicuro al
mondo.
Le
accarezza i capelli, la tiene vicina a sé, e Zoe si sente un po’ meno
disgustosa se c’è lui: Ryoma è la persona più buona che lei conosca, e
se lui
riesce a volerle bene allora, forse, anche lei potrebbe provare a
odiarsi un
po’ meno…
Affoga
i singhiozzi sul suo petto, e una parte di lei registra il sangue – il
suo –
che ha macchiato la stoffa candida dello yukata di Ryoma ma che lui
pare
ignorare: la tiene stretta finché il pianto non cessa e una profonda
spossatezza prende il suo posto.
È
allora che la prende delicatamente in braccio, lasciando che lei si
stringa
forte al suo petto quando si alza e s’incammina verso gli alloggi di
Orochi,
mormorandole qualcosa di incomprensibile che, tuttavia, pian piano la
culla in
un dormiveglia beatamente vuoto.
-Oh,
per gli dei, Zoe!-
Nemmeno
la voce intrisa di terrore di sua madre riesce a scuoterla. Sta così
bene, lì,
ad ascoltare il suono profondo e regolare del cuore di Ryoma che batte,
a
riempirsi i polmoni del suo odore di pelle pulita e abbronzata…
-Sta
bene. Ha soltanto bisogno di riposo.-
Smette
di ascoltare sua madre: domani, probabilmente, Orochi la sgriderà per
essersi ridotta
in quello stato, ma per ora non vuole pensarci, vuole soltanto
addormentarsi
cullata dalla tenerezza rassicurante che prova fra le braccia di Ryoma.
Il
principe cammina ancora un po’ e poi Zoe riconosce l’odore della
propria
stanza, si sente depositare delicatamente sul suo futon, avverte le
coperte in
cui viene avvolta. Non reagisce né si muove fino a che non avverte lo
sgradevole vuoto che le fa capire che Ryoma se ne sta andando.
-Ryoma…-
lo chiama, assonnata, allungando debolmente un braccio per tentare di
trattenerlo lì.
Lui
si
avvicina di nuovo, inginocchiandosi accanto al suo letto, posando una
mano
sulla sua testa.
-Cerca
di riposare.- le consiglia, piano, con una voce così gentile che Zoe
non riesce
proprio a dirgli di no.
-Ci
proverò…- pigola, piano, sforzandosi di aprire gli occhi gonfi di
pianto.
E
Ryoma
sorride, Zoe lo sa, riesce a immaginarlo anche se non distingue bene il
suo
volto. Le lascia un’ultima carezza su quel disastro che ha per capelli,
rimboccandole le coperte prima di spegnere con un soffio la lanterna
che
illumina la stanza di lei.
-Grazie.-
Era
cominciata allora, probabilmente.
Da
quella notte lontana, che Zoe ricordava ancora con
un misto di vergogna e affetto, si era ritrovata sempre più spesso a
fantasticare sull’Alto Principe di Hoshido, ad arrossire quando i loro
sguardi
si incrociavano, a prestare attenzione a quel che Ryoma faceva o diceva
e a
tanti piccoli dettagli di lui che glielo avevano reso ancora più caro…
era
stato un commento di quel guastafeste di Subaki a farle capire che,
probabilmente, quell’ammirazione era in realtà il sintomo più evidente
di un
invaghimento.
Quella
volta, tuttavia, la sua invadenza era stata
d’aiuto: dopo averlo compreso, infatti, Zoe si era impegnata affinché
quella
cotta infantile facesse il suo corso, ed era abbastanza fiera del
risultato che
aveva ottenuto.
Eppure,
nonostante fossero passati tanti anni e i suoi
sentimenti acerbi si fossero raffreddati da tanto tempo, non era mai
riuscita a
trovare qualcuno che le desse tanta serenità come lui faceva
semplicemente
esistendo: Ryoma era una delle poche persone che le avevano dato un
motivo
valido per affrontare i suoi problemi, ed il suo affetto era stato uno
dei
motivi principali che l’avevano spinta a cercare di migliorarsi ogni
giorno di
più.
Camminarono
ancora per un po’, procedendo nella
direzione indicata da Kagero nell’ombra minacciosa delle mura di
Suzanoh sempre
più vicine. Zoe poteva quasi avvertire la confusione di Ryoma, che
aveva scorto
lanciarle diverse occhiate perplesse: non era proprio da lei rimanere
zitta
così a lungo.
-Il
tuo nervosismo è quasi palpabile, Zoe.-
Ed
eccole, infatti, quelle poche parole che bastarono
per riportarla coi piedi per terra e costringerla ad affrontare le
paure che
aveva cercato di soffocare pensando a tutt’altro sin da quando erano
partiti.
-Non
posso evitarlo.- sospirò, tormentando
nervosamente i lacci della katana.
Erano
mille i pensieri che si accavallavano nella sua
mente, rincorrendosi come cani che si mordevano incessantemente la coda
l’un
l’altro, ma li tenne per sé: esternare i propri dubbi e le proprie
paure non
era mai stato il suo forte, e quell’unica volta che l’aveva vista
aprirsi con
Ryoma la riempiva ancora di imbarazzo. -Avevo quasi perso le speranze.-
si
limitò quindi a mormorare, alzando lo sguardo per cercare un albero
adatto ad
una rapida scalata; ne scelse uno particolarmente nodoso e si avvicinò,
pronta
a saltare, ma una mano calda si posò sulla sua spalla e la fermò.
Si
volse, e ancora una volta riuscì a scorgere i
dettagli grigi negli occhi altrimenti verdi di lui. Gli invidiava un
sacco quel
colore: non le piacevano affatto le sue iridi rosse, le davano la
terribile
sensazione che un demone stesse aspettando soltanto un suo momento di
debolezza
per prendere possesso di lei.
-Ed
invece la tua perseveranza, alla fine, ti ha
premiata.- Ryoma accennò un sorriso e lei si sentì quasi in dovere di
ricambiare
– dopotutto, Ryoma era sempre così serio, ed un suo sorriso era più
raro della
poca, rada neve che cadeva ogni tanto su Shirasagi. -Andrà tutto bene,
vedrai.-
la rassicurò, lasciandola andare e passandosi le dita fra i folti,
lunghi
capelli castani.
Zoe
si strinse nelle spalle, tutt’altro che convinta,
prima di balzare verso l’alto e sparire nel fitto fogliame.
Ryoma,
guardandola sparire, sospirò, scuotendo la
testa.
Era
preoccupato per lei.
Sapeva
quanto Zoe non avesse mai davvero smesso di
sperare nel ritorno di Ileana e, soprattutto, quanto il suo rapimento
avesse
gravato sulla sua vita – forse lo sapeva anche più di Zoe stessa,
perché al
contrario di lei ricordava perfettamente l’incidente di Cheve e le
terribili
decisioni a cui, da ragazzino, non aveva potuto opporsi e che avevano
cambiato
per sempre la vita di Zoe.
Lui,
e con lui anche la regina sua madre, aveva
paventato quel momento per quattordici anni: spesso si era
chiesto se non
sarebbe stato più facile dire a Zoe tutta la verità già dall’inizio, ma
Mikoto
aveva sempre preferito aspettare, nella speranza che Ileana, un giorno,
potesse
tornare a casa. Dapprima Ryoma non aveva capito e, spesso, avevano
discusso,
perché Ryoma avrebbe disperatamente voluto tenersi il più vicino
possibile
quella bambina che gli era stata vicina sin da quella notte di Cheve, a
cui lui
si era affezionato più di quanto aveva potuto prevedere; eppure, alla
fine,
aveva compreso il dolore di Mikoto, il lutto che l’aveva distrutta
quando aveva
perso in una sola notte una delle sue figlie e il marito a cui era
profondamente devota.
Eppure,
lui era ancora convinto che sarebbe stato
molto più saggio rinunciare a tutte quelle bugie molti anni prima.
Zoe
gli assomigliava: era sempre stata testarda,
e aveva sfruttato quel suo difetto per impuntarsi a portare a termine
ogni
nobile causa che le capitasse in mente: aveva la tendenza a farsi
carico delle
colpe degli altri e a non darsi pace fino a che non fosse stata sicura
che
tutti i suoi cari stessero bene e fossero al sicuro, spesso e
volentieri a discapito
della propria salute.
Sì,
avevano sbagliato, avrebbero dovuto dirle la
verità sin dall’inizio, ma non sarebbe cambiato nulla: il bisogno di
prendersi
cura degli altri era qualcosa che faceva parte di lei, che la
caratterizzava e
che Zoe non sembrava proprio intenzionata a cambiare.
Non
sarebbe stato facile.
Mentre
avanzava, conscio della presenza vigile e
attenta della Samurai sopra di lui, si ritrovò costretto ad affrontare
quel
pensiero angoscioso: sua madre aveva atteso tanti anni il ritorno di
Ileana,
per rivelare alle due ragazze ciò che era accaduto in quella lontana,
terribile
notte di Cheve, ma Ryoma aveva la chiara sensazione che Zoe non avrebbe
reagito
affatto bene – anzi: probabilmente, una volta venuta a sapere la
verità, li
avrebbe odiati tutti… oppure non avrebbe detto niente, tacendo la sua
sofferenza perché le era stato insegnato che la sua gentilezza era da
considerare una debolezza, punendo coloro di cui si era fidata e che le
avevano
mentito con la peggiore delle torture: il silenzio.
Sì,
Zoe gli assomigliava: era guidata dallo stesso
turbamento, era incline agli scoppi di rabbia e, spesso, si lasciava
trascinare
dalle emozioni senza ragionare. Lui aveva imparato a gestire il proprio
brutto
carattere, soprattutto grazie agli insegnamenti di Kagero, ma quelle
stesse
lezioni non sembravano aver sortito lo stesso effetto sulla sua giovane
amica.
Sospirò
di nuovo, provando un immediato sollievo
quando, in due sbuffi identici, Saizo e Kaze comparvero sul sentiero
che
improvvisamente spaccava a metà la foresta davanti a lui.
Ci
siamo.
-Zoe.-
la chiamò, e lei apparve immediatamente al suo
fianco con quasi la stessa abilità dei due Maestri Ninja.
Nello
stesso momento, scorse tre persone che, dalla
soglia dell’avamposto che occhieggiava oltre le chiome lussureggianti,
cominciarono a muoversi verso di loro: impiegò pochi attimi a
riconoscere
Takumi nella figura centrale, accompagnato dalle guardie Hinata ed
Oboro e cupo
in volto come l’aveva scorto ben poche volte.
Si
rivolse a Zoe, che non si era mossa nemmeno per
rivolgere un cenno di saluto ai suoi amici: aveva i pugni stretti e la
mascella
contratta, le palpebre socchiuse sugli occhi rossi e le orecchie tanto
tese da
risultare quasi comiche.
-Te
la senti?- le domandò, piano.
Rigidamente,
con un nodo in gola tale da impedirle di
parlare, Zoe annuì.
Attesero
in un silenzio assoluto che Takumi li
raggiungesse; Kaze si era spostato al suo fianco, probabilmente per
confortarla
con la propria presenza, mentre Saizo aveva preso il suo consueto posto
alle
spalle di Ryoma.
Le
sembrò un’eternità, quell’attesa, ma probabilmente
durò soltanto un paio di minuti. Quando, finalmente, Takumi li
raggiunse, Ryoma
gli si avvicinò e si chinò per sussurrargli qualcosa all’orecchio,
strappando
un versaccio al fratello minore come risposta.
E
poi Takumi guardò lei, e nel suo volto arrabbiato
Zoe fu in grado di scorgere una punta d’apprensione.
-Vieni.-
la chiamò, con un tono inaspettatamente
gentile che stridette col brusco gesto della mano con cui la invitò a
raggiungerlo.
-Ti porto dalla feccia.-
.
.
.
Buonasera a tutti!
Sono all'incirca in orario con l'aggiornamento (all'incirca), e sono molto felice di presentarvi la nostra Avatar, Zoe! E sì, a parte le orecchie a punta, gli occhi rossi e qualche piccolo (piiiiccolo) problemino con una chiara sindrome dell'eroe e un'enorme cotta per Ryoma, direi che non abbia molto in comune con l'Avatar che tutti conosciamo.
Speriamo entrambe che il capitolo vi sia piaciuto e che vogliate lasciarci un segno del vostro passaggio, siamo davvero entusiaste all'idea di sapere che cosa ne pensate!
Il solito piccolo prontuario delle traduzioni fai-da-te del capitolo:
Falcone = Falcon Knight
Cavaliere Kinshi = Kinshi Knight
Maestro di Spada = Swordmaster
Alto Principe = High Prince
Tsuka = è l'impugnatura di una katana, solitamente in legno o in metallo
Tsukaito = è l'intreccio della stoffa che avvolge la tsuka
Tsukamaki = il modo in cui lo tsukaito è avvolto intorno alla tsuka
Deshi = allievo (di un maestro samurai o di un maestro ninja, solitamente)
Un abbraccio,
Clarisse&B
PS del 09/09/2017: abbiamo corretto e ripostato il capitolo!