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Autore: _Leef    23/04/2017    4 recensioni
Dean Winchester, diciassette anni, è un liceale popolare e ribelle che vive nella piccola Lawrence assieme alla madre e al fratellino Sam.
Castiel Novak, diciassette anni, è un ragazzo semplice, figlio del reverendo e di grande fede, che nel tempo libero fa volontariato ed è appassionato di astronomia.
Pur essendo così diversi, tra i due nascerà qualcosa quasi per caso, ma niente andrà come previsto.
[ Ispirata al romanzo "A walk to remember" :) ]
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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A Walk To Remember



Parte IX

 

Quando mio padre se n'è andato di casa, lasciandomi a ricordarlo soltanto l'Impala, ho guidato.

Ho guidato per tutta la notte, infischiandomene completamente dei limiti di velocità, sono uscito dal Kansas e ho girato per le campagne e per qualsiasi paesino che incrociassi lungo la strada. Perché guidare mi aiuta a scaricare la rabbia.

E anche questa volta, dopo che Cas è fuggito via come fumo, mi infilo in macchina e guido. Inizialmente non so bene dove sto andando, mentre il mio cellulare continua a vibrare come impazzito nella tasca della giacca: non guardo nemmeno chi sia, forse mia madre, forse Cas, forse Benny. Non mi importa e non mi importa nemmeno quando, ancora guidando, afferro il cellulare e lo schianto contro il finestrino del passeggero.

L'aggeggio ricade con un triste suono metallico sul sedile, poi rimbalza e sbatte contro il portaoggetti per poi sparire nel buio dell'abitacolo.

La vista mi si appanna e sono costretto a passarmi bruscamente una mano sugli occhi: non mi sono accorto di essere sul punto di piangere, nella testa in questo momento ho una tale confusione che quasi mi fa male. E' il caos più completo.

Dopo un tempo che mi sembra infinito, freno bruscamente: scendo dalla macchina senza nemmeno spegnere il motore o chiudere la portiera.

Osservo la villetta di mattoni di fronte a me e sento una rabbia cieca intrecciarsi a quella che già provo, ma mi costringo a digrignare i denti per non mettermi ad urlare nel bel mezzo della notte.

Sono di fronte alla nuova casa di mio padre: non so perché sia qui, non so che cosa sto sperando, non so che cosa il mio inconscio mi stia facendo fare, ma se c'è una cosa che so per certo è che non sto agendo razionalmente.

Tiro su con il naso e mi mordo le labbra mentre salgo velocemente gli scalini della veranda. Busso con insistenza, suono il campanello più di una volta, tiro un calcio alla porta.

Sono completamente fuori di me. Non so che ore siano, ma è tardi, le flebili luci dei lampioni sulla strada sfarfallano e sono piccoli spiragli di chiarezza nel buio inoltrato della notte.

Sto per voltarmi e andarmene, quando qualcuno finalmente mi apre. Mio padre, appena mi vede, perde subito l'espressione infuriata per assumerne una sconcertata.

-Dean?- chiede stupito, quasi boccheggiando. Non lo vedo da un sacco di tempo, mi sono sempre rifiutato di farlo e quasi stento a riconoscerlo: tra i suoi capelli neri c'è una traccia di bianco adesso, i suoi occhi sono gonfi e sono apparse delle borse che prima non c'erano. E' stanco, si vede, ma non solo fisicamente. -Che ci fai qui a quest'ora?-

Ignoro il principio di speranza che percepisco nella sua voce. -Si tratta del mio ragazzo.-

Lui mi fissa stranito, non faccio nemmeno fatica ad immaginare per quale ragione mi stia fissando con quello sguardo confuso e smarrito, ma lo ignoro.

-Lui..- la voce mi trema e ancora una volta sono costretto a passarmi un braccio sugli occhi. Non voglio che le lacrime scivolino, non voglio piangere perché renderebbe questa fottuta situazione più reale. -Lui ha il cancro, papà.-

Poche volte ho visto John Winchester colto di sorpresa e questa rientra in una di quelle rarissime occasioni. -Oh Dio.-

Deglutisco e faccio un passo indietro, afferrandogli il braccio e trascinandolo verso l'Impala. -Devi venire a visitarlo, lo devi controllare subito.-

Nemmeno mi accorgo che ho iniziato a respirare affannosamente e che la mia voce si è chiaramente spezzata.

-Dean.- Mio padre mi afferra per le braccia e mi riscuote quasi violentemente, costringendomi a guardarlo. La presa che ha su di me, forte e sicura, è forse l'unica cosa che mi tiene ancora insieme, che tiene i miei pezzi incollati impedendomi di sfaldarmi completamente. -Dean, ti devi calmare adesso. Respira.-

La rabbia torna ad accecarmi e senza nemmeno pensarci mi strattono dalla sua presa. -Cazzo, ma non capisci!? Devi.. Devi venire da lui, adesso! Vuoi aiutarmi o no?-

John sospira e si passa una mano sugli occhi. -Figliolo, non posso, sono un medico di base, dovrei parlare con il suo oncologo, non.. non...-

-Ovviamente.- Trattengo a stento un sorrisetto divertito, perché non potevo aspettarmi molto da lui. Stringo istintivamente i pugni e volto la testa di scatto, sforzandomi di ingoiare il groppo che mi si è formato in gola, inutilmente. -Lascia stare. Lo sapevo.-

-Dean, aspetta!-

Faccio per voltarmi e tornare all'Impala, ma mio padre mi afferra per un polso e mi costringe a voltarmi verso di lui. I suoi occhi scuri bruciano di preoccupazione, ma sono troppo arrabbiato per valutare razionalmente la situazione. -Dean, fermati, non puoi guidare in queste condizioni.-

-NON OSARE TOCCARMI!.-

Non so nemmeno con quale forza riesco ad urlare una frase del genere, facendo un paio di passi indietro per allontanarmi da lui il più possibile: qualche luce nelle ville vicine si accende, qualcuno si sporge a vedere cosa sta succedendo e io inizio a respirare sempre più affannosamente. La vista mi si appanna completamente e a questo punto le lacrime iniziano a scendere. E pungono, graffiano come artigli e fanno un male fottuto.

Senza nemmeno accorgermene mi ritrovo inginocchiato per terra, a piangere come un bambino. Tiro un pugno sull'asfalto, probabilmente mi ferisco perché sento la sensazione umidiccia del sangue sulle nocche, ma non mi importa più di tanto, perché non sento altro dolore se non quello al centro del petto che scava, scava, sempre più a fondo.

Sento la voce di mio padre che mi chiama, ma questa volta non prova nemmeno a sfiorarmi: e di questo gli sono grato, perché probabilmente gli avrei soltanto rifilato un pugno in piena faccia. Sfrego la manica della giacca sugli occhi e mi passo una mano sulla bocca, alzandomi in piedi subito dopo: non so con quale forza riesco a ritornare alla macchina che è rimasta accesa per tutto il tempo e a sgommare via, tra le imprecazioni del vicinato.

Non so esattamente come riesco a tornare a casa tutto intero, senza fare un incidente o senza sbagliare strada. So solo che parcheggio l'Impala in malo modo nel vialetto e che apro la porta di casa con le spalle curve, come se stessi portando tutto il peso del mondo.

La luce accanto al divano si accende e trovo mia madre seduta sulla poltrona, avvolta in una vestaglia turchese, gli occhi ancora gonfi di lacrime. -Dean, dov'eri finito? E' tutta la notte che ti chiamo, non sai quanto ero preoccupata!-

La sua voce mi arriva dritta alle orecchie e un po' ha il potere di farmi sentire in colpa: forse le chiamate erano le sue e sì, avrei dovuto avvisarla, ma ero troppo provato per pensare razionalmente.

Faccio un passo avanti tenendo la testa bassa e mi sfilo la giacca, appoggiandola stancamente sulla poltrona. Mia madre mi si avvicina e la vedo chiaramente mentre sgrana gli occhi nel vedermi. Devo avere un aspetto di merda.

-Dean, tesoro, che è successo?- mormora poggiandosi le mani davanti al viso prima di avvicinarsi e a me e prendermi le guance tra le mani. Sono un po' fredde, ma il suo tocco ha il potere di farmi rasserenare almeno un po'. -Sei sconvolto. Hai litigato con Castiel?-

Rimango immobile per un attimo, poi mi abbandono alle sue carezze, sentendo gli occhi farsi di nuovo umidi. -Cas sta male, mamma. Ha la... la...-

Deglutisco perché quella parola proprio non riesco a dirla. E' più forte di me, come se la mia mente avesse creato uno schermo protettivo che mi tiene lontano da quella malattia che mi fa tanto paura.

Mia madre fa scorrere il pollice sulla mia guancia per asciugarmi una lacrima -non mi sono nemmeno accorto di essermi messo a piangere, di nuovo- e mi guarda con una dolcezza di cui solo una madre sarebbe capace. -Amore, che cosa vuoi dire?-

-Ha il cancro- sussurro con un filo di voce, talmente bassa che non sembra nemmeno la mia, faccio davvero fatica a riconoscerla.

-Oh mio Dio.- Mia madre ha una faccia sconvolta e in un attimo anche i suoi occhi si riempiono di lacrime. -Tesoro mio, vieni qui.-

Mi abbraccia e io non posso fare altro che stringerla il più forte possibile, cercando conforto e calore, affondando la testa contro la sua spalla e piangendo sempre di più, fino a sentire gli occhi bruciare e gonfiarsi per il troppo sale.

In questo istante in cui il tempo mi sembra essersi fermato in un orribile momento, tra le braccia di mia madre, riesco davvero a comprendere tutto quello che è accaduto tra me e Castiel.

Ora so perché il reverendo sembrava sempre così stanco e perché non era contento che andassi a casa loro, perché Cas aveva voluto che quel Natale all'orfanotrofio fosse speciale, perché mi aveva dato la sua Bibbia. Tutto si fa improvvisamente chiarissimo ma allo stesso tempo sembra anche completamente assurdo.

Castiel Novak ha la leucemia.

Castiel, il ragazzo dolcissimo e sorridente, sta morendo.

Il mio Cas...

Se è possibile, piango più forte.

 

Il giorno dopo, Castiel non viene a scuola.

Non posso evitare di essere preoccupato per lui, così come non posso evitare la morsa d'ansia che mi chiude lo stomaco, ma da un lato sono anche sollevato che non ci sia. Non voglio che mi veda nelle condizioni pietose in cui mi sono ridotto: ho delle occhiaie che arrivano fino alle ginocchia, visto che non sono riuscito a dormire nemmeno un'ora scarsa, e gli occhi sono talmente gonfi da poter essere tranquillamente scambiati per un paio di palloni da calcio.

Ficco i libri nel mio armadietto e lo chiudo con un gesto secco e quasi meccanico, sistemandomi subito dopo lo zaino sulle spalle. Per un attimo mi ritrovo a chiudere gli occhi, desiderando che tutto scompaia oppure di risvegliarmi da questo brutto incubo.

Ma quando li riapro vedo ancora il mio riflesso sbiadito nel metallo dell'armadietto. Nel profondo, so che questa sensazione di dolore non mi lascerà mai.

-Dean, stai bene?-

Sobbalzo quando la voce di Benny mi arriva dritta alle orecchie, facendomi prendere uno spavento. Deglutisco e mi passo una mano sulla faccia, stringendomi subito dopo nelle spalle. -Tutto okay, amico, non ho dormito bene stanotte.-

Lui mi lancia un'occhiata stranita, tipica di chi non crede ad una parola di quello che hai appena detto, ma deve aver capito l'antifona perché non chiede più niente, si limita solamente a guardarmi ogni tanto con fare preoccupato per tutto il giorno.

Mi guardavano tutti così quando mio padre se n'è andato e ricordo benissimo di averli odiati tutti, uno per uno, con tutto me stesso. Detesto questo sguardo, come se avessi costantemente bisogno del babysitter, come se fossi io quello ad aver bisogno di aiuto. La verità è che non me ne faccio niente della pietà degli altri.

E quindi posso capire perché Castiel abbia deciso di non dire niente a nessuno.

Stringo istintivamente i pugni e mi sforzo di resistere fino a fine giornata. Durante la lezione di matematica, nascosto dietro al mio libro, fisso il cellulare con insistenza. Una parte di me spera che si illumini da un momento all'altro, ma un'altra parte di me sa benissimo che non succederà mai.

Vorrei parlare con Cas, dirgli che va tutto bene -anche se non è così-, che tra noi non cambierà assolutamente nulla, che lo amo e che voglio essergli accanto anche in questo.

Non saprei nemmeno da dove cominciare, queste sono cose serie a cui un adolescente non dovrebbe nemmeno dover pensare e io sono un disastro a parlare di sentimenti.

Ma poi penso che per Cas ne valga la pena, come sempre: prendo un grosso respiro e sblocco il cellulare, aprendo subito l'applicazione dei messaggi e trovando la conversazione di Cas.

 

To: Cas

11,10 a.m.

 

Io non ti lascerò.

 

Dopo la scuola, mi rifugio nel garage.

Mia madre e Sammy hanno cercato di convincermi a mangiare qualcosa, ma ho lo stomaco completamente chiuso e comunque non ho voglia di sedermi a tavola con loro per beccarmi le loro occhiate impietosite. Magari non lo fanno nemmeno volontariamente, ma è qualcosa che mi fa venire il nervoso e voglio evitare scenate.

Lancio una chiave inglese nella cassetta degli attrezzi e poi guardo il cellulare: Cas non ha risposto al messaggio e spero sinceramente che voglia semplicemente rimanere solo per un po', perché egoisticamente parlando voglio passare tutto il tempo possibile con lui. Sospiro, quasi disperato, e sto chiudendo il cofano dell'Impala per andare a farmi una doccia quando sento qualcuno bussare alla serranda del garage.

-Benny, non è il momento- mi lamento con lo stesso tono che avrebbe un cane bastonato.

-Dean, sono io.-

E a questo punto mi volto di scatto, riconoscendo subito quella voce, nonostante sia flebile come un soffio di vento: Cas è di fronte a me, gli occhi un po' gonfi, la felpa blu che gli ho regalato, i capelli spettinatissimi e le mani in tasca. Nel rivederlo sento il cuore prendere a battere più veloce, e pian piano la gola mi si ostruisce talmente tanto che non riesco a dire nemmeno una parola, così mi limito a fissarlo con gli occhi sgranati e la bocca leggermente schiusa.

-Mi dispiace, Dean- sussurra lui all'improvviso, facendo un passo verso di me e guardandomi con quei suoi occhi blu che non brillano più. -Avrei dovuto dirtelo prima.-

-No- dichiaro subito, scuotendo la testa mentre mi avvicino di più a lui e prendendogli delicatamente una mano, lasciando scorrere il pollice sulla sua pelle. -Scusami tu, ti ho fatto stancare, ti ho fatto..-

-Dean- mi interrompe lui come sempre, con gli occhi chiusi, e anche in questa situazione così drammatica riesco a sentire i brividi che il mio nome pronunciato da lui riesce a provocarmi. -Stare con te mi ha tenuto in salute più a lungo, davvero.-

Non ci credo molto, se devo essere sincero, ma forse per adesso è meglio lasciare da parte il mio istinto di martire e concentrarmi su di lui. Deglutisco e abbasso lo sguardo sulle nostre mani intrecciate, prendendo un grosso respiro. -Hai paura?-

Cas rimane un attimo in silenzio: guarda fuori dal garage, chiude di nuovo gli occhi quando un soffio di vento ci colpisce, poi respira profondamente prima di voltarsi ancora a guardarmi. E sorride, superando qualsiasi mia aspettativa.

-No- dice risoluto e sicuro, bello da togliere il fiato, avvicinandosi impercettibilmente a me. Appoggia la fronte contro la mia e respirare di nuovo il suo profumo, così dolce, che sa di casa, è un po' come tornare a respirare davvero. Sollevo una mano e la appoggio contro il suo fianco, chiudendo per un attimo gli occhi.

-Ho solo paura di perdere te- aggiunge con voce spezzata dopo qualche istante di silenzio e quando torno a guardarlo noto che sta piangendo. Il sorriso è completamente sparito dalle sue labbra, che sono rigorosamente piegate all'ingiù in un'espressione disperata.

A quella visione il cuore mi si contrae in una morsa dolorosa. Gli afferro le guance un po' sporche di barba e le asciugo, scorrendo i pollici sulla sua pelle, per poi premere un bacio contro la sua fronte. -Questo non succederà mai, mai.-

Lui singhiozza e si stringe contro di me, di conseguenza lo avvolgo in un abbraccio rassicurante, cullandolo lentamente. -Cas, non ti lascerò. Io ci sarò sempre. Finché mi vorrai.- Lo sussurro contro il suo orecchio, prima di lasciargli un altro bacio, questa volta sul naso e solo in quel momento lui sembra finalmente rilassarsi.

-Te lo prometto- sospiro contro il suo orecchio, stringendolo sempre più forte. Sento le sue dita aggrapparsi alla mia maglietta sulla schiena e in questo momento non mi importa più di niente, tutto il mio mondo è diventato il ragazzo che stringo tra le braccia.

 

La domenica, il reverendo Novak dà l'annuncio alla comunità: il suo volto è una maschera di dolore e di terrore mentre parla della malattia del suo unico figlio e viene aiutato a scendere dal pulpito prima ancora di aver terminato il sermone. Tutti rimangono a guardarsi attoniti dopo il suo discorso, come se si aspettino che qualcuno sciolga la tensione dicendo che si è trattato solamente di un brutto scherzo.

Ma nessuno lo fa, e subito scoppia il pianto generale.

Dopo la messa, mi offro di accompagnare Cas e il reverendo a casa. Mia madre mi dà un bacio sulla fronte e mi tranquillizza, ripetendomi che poteva tornare a casa a piedi assieme a Sammy. Spettino con un sorriso i capelli del mio fratellino, poi mi infilo in macchina.

-Quanto tempo ti resta?- chiedo, forse un po' troppo duramente, circa venti minuti dopo, steso sul letto di Cas con lui appoggiato addosso.

-Non lo sappiamo con certezza- dice con un tono tranquillo, come se stesse discutendo del meteo per il giorno dopo. Per me è ancora molto doloroso affrontare certi argomenti, ma Cas si è offerto di rispondere pazientemente a tutte le mie domande e da come ne parla si capisce che ormai lo ha accettato da tempo. La situazione deve essere davvero disperata se il reverendo mi ha concesso di entrare in camera del figlio e di stare sdraiato sul letto assieme a lui. -Prendiamo tutto quello che il Signore ci dà.-

E sentire dire questa cosa mi riempie di rabbia, perché se davvero ci fosse un Signore, non farebbe morire un angelo come Castiel, una persona così buona, così devota. Talmente bella che forse questo fantomatico Dio è invidioso di noi uomini e vuole averlo tutto per sé.

Che razza di egoista.

-I medici non possono fare niente?- La mia domanda suona quasi come un lamento, mentre sistemo la coperta sulle spalle di Cas e affondo il naso tra i suoi capelli per respirare il suo profumo.

-Non si riesce a trovare nessun donatore compatibile- spiega lui, e questa volta riesco a percepire la tristezza nella sua voce. -Da nessuna parte. Sono in lista da molto tempo.-

Sospiro e chiudo gli occhi per un attimo, cercando la sua mano: Cas forse capisce il bisogno che ho di sentirlo vicino in questo momento, perché intreccia le nostre dita insieme e prende ad accarezzarmi il dorso della mano con il pollice. -Sono qui- dice solo in un sussurro sottile, contro il mio orecchio, facendomi quasi piangere dalla disperazione. Sono passato dallo shock, al rifiuto, alla tristezza, alla rabbia e poi tutto da capo, in questi ultimi giorni, continuando a sperare e a pregare che si trattasse solo di un incubo.

Deglutisco e cerco di riprendermi. -Ma stavi bene fino a qualche mese fa.-

Alza gli occhi su di me e solleva la mano libera per accarezzarmi i capelli, come se fossi io quello ad aver bisogno di conforto. -E' così che si manifesta. Ti senti bene e poi, quando il tuo corpo non ce la fa più a combattere, inizi a stare male.-

Trattengo a stento un gemito di dolore. -Come mai hai aspettato tanto a dirlo?-

Cas non sembra depresso come ci si aspetta da una persona malata. Dopotutto, convive con questa sua condizione già da due anni, ha avuto un sacco di tempo per metabolizzarlo: ma per tutto questo tempo, Michael e lui erano stati gli unici a saperlo, non si erano fidati di nessuno, neppure di me. La cosa mi addolora e mi spaventa allo stesso tempo.

-Te l'ho detto, volevo vivere una vita normale- ripete con un sospiro, stringendosi nelle spalle. -Hai visto come ha reagito la gente oggi? Mi guardavano come se fossi già morto. Se ti restasse poco da vivere, vorresti essere guardato come un cadavere che cammina per tutto il tempo?-

Rabbrividisco visibilmente perché parlare di certe cose mi mette ancora a disagio, ma mi sembra di cogliere una piccolissima traccia di divertimento, nella sua voce, ma forse mi sto sbagliando. Sarebbe molto macabro.

Ancora una volta, il solito groppo in gola mi impedisce di formulare una risposta sensata.

-Ti devo delle scuse, Dean- sussurra Castiel dopo qualche minuto, puntandosi su un gomito per guardarmi dritto negli occhi.

Aggrotto la fronte, confuso. -Per cosa?-

-Innamorarmi di te è stata una cosa egoista- pigola subito dopo con aria colpevole, fissandomi solo per qualche secondo per poi abbassare gli occhi e guardarsi le dita che stanno nervosamente giocherellando con la mia camicia. -Ma non ho potuto fare altrimenti, nonostante avessi cercato di proteggerti, io...-

-Ehi, Cas, guardami- lo interrompo, sporgendo una mano per accarezzargli il mento e sollevarlo verso di me con tutta la delicatezza di cui sono capace. -Non mi pento assolutamente di niente, né tanto meno di noi. Anche sapendo della tua condizione, tornerei indietro e rifarei tutto da capo. Non chiedermi scusa, non hai nessuna colpa.-

Non so nemmeno dove trovo la forza e il coraggio di dire una cosa del genere, ma Cas sorride lentamente, sporgendosi un po' verso di me per premere le nostre fronti l'una contro l'altra e allora capisco che ne è valsa la pena.

-Ti amo, Dean Winchester- sussurra continuando a sorridere contro la mia bocca, mentre una sua mano scivola ancora ad accarezzarmi i capelli corti sulla nuca.

E nonostante il momento di merda, nonostante io stia soffrendo come un cane, questo suo ti amo mi tira un po' su di morale ed è in grado di riaccendere qualcosa dentro di me, qualcosa che mi riscalda profondamente e scioglie parzialmente il gelo che sento. -Ti amo anche io, Cas.-

Premo le labbra sulle sue e per qualche minuto il resto del mondo può andare a farsi fottere.

 

A scuola parlano tutti di Cas come se fosse già morto, visto che lui preferisce rimanere a casa la mattina con suo padre e passare più tempo possibile anche con lui.

Raccontano storie su Castiel, ricordano tutte le buone azioni che ha fatto come se lo conoscessero benissimo, come se fino a qualche giorno prima non gli avessero riso alle spalle. Tutti ti amano, quando stai per morire, e tutta questa falsità mi fa salire una rabbia allucinante. Vengo assalito da un'ondata di nausea.

-Non so cosa fare- sbotto arrabbiato, ma soprattutto affranto, sbattendo letteralmente la fronte contro il tavolo della mensa. Ormai è quasi la fine di gennaio e mi chiedo come un mese possa diventare il più bello ma anche il più orribile di tutta una vita.

-So che fa schifo, ma non puoi fare niente- ribatte Benny, stringendosi nelle spalle e mangiando tranquillamente i suoi spaghetti. Almeno lui sembra aver capito che non ho bisogno di essere compatito da nessuno.

-Non parlo della malattia- sussurro alzando la testa, poggiando il mento contro il tavolo per riuscire a guardare il mio amico negli occhi. -Intendevo per noi, per Cas e per me.-

So che sembra strano, ma adesso sto cercando di comportarmi come se niente fosse: ignorare qualcosa di così brutto, qualcosa che ti segna così profondamente, è pressoché impossibile ma questa parola non esiste nel vocabolario dei Winchester.

Benny mi guarda comprensivo: è decisamente in ansia per me, lo posso leggere nei suoi occhi, e mi costringo ad ignorare la mia irritazione per questo sguardo da mamma chioccia.

-Non riesco a parlargli liberamente e se lo guardo penso solo a quando non potrò più farlo- piagnucolo, appoggiando la testa su una mano e giocherellando sul cibo avanzato nel mio piatto, visto che ormai ho anche perso l'appetito. -E quando vado a casa sua non so mai cosa dirgli, anche se ci ho pensato tutto il giorno.-

-Non so se c'è qualcosa che potresti fare o dire per farlo sentire meglio, Dean- mi spiega Benny, sporgendosi un po' verso di me e oddio per un attimo ho l'assurda sensazione che mi voglia prendere la mano. -Castiel ti ama, e a lui basta stare con te.-

-Cazzate- borbotto, voltando un po' la testa di lato per evitare di fargli vedere quanto io in realtà sia arrossito. -Vorrei solamente farlo felice.-

Benny ridacchia e inarca un sopracciglio con fare malizioso. -Sei proprio cotto, eh?-

-Fottiti.-

 

Quella sera stessa, quando busso a casa dei Novak, è il reverendo ad aprirmi: da quando Cas mi ha detto la verità, Michael mi guarda in maniera diversa, quasi stupita, come se si aspettasse anche lui che io mollassi Castiel per via della sua malattia. La bassa opinione che hanno avuto di me dovrebbe offendermi, ma in verità io posso anche sforzarmi di capirli.

Comunque, mi fa entrare con un rapido cenno della testa come saluto, e trovo Cas appallotolato sul divano, avvolto in una spessa coperta di pile e gli occhi decisamente stanchi ed arrossati. Tra le mani sta reggendo un libro, ma non riesco a vederne il titolo.

-Ehi, Cas- lo saluto, avvicinandomi a lui e piegandomi per dargli un bacio. Non posso evitare di notare il grosso sorriso che fa non appena mi vede, ed è qualcosa che come sempre ha la capacità di farmi stare meglio.

Mi siedo accanto a lui, che subito si sistema al mio fianco, appoggiando la testa contro la mia spalla e una mano sul mio addome, come se avesse bisogno della mia presenza o di un qualsiasi contatto con me per stare bene. -Ciao, Dean.-

-Ti ho portato un po' di hamburger di Ellen, e delle patatine- gli sussurro contro l'orecchio, appoggiando la busta sul tavolino da caffè di fronte al divano. -Ti saluta anche lei.-

Voglio comportarmi come se niente fosse, anche se è difficile: non voglio dire niente che possa deprimerlo o intristirlo, voglio essere naturale, come facevo prima.

-Grazie, che pensiero gentile- sussurra lui, dopo avermi dato l'ennesimo bacio sulle labbra. Vorrei non dover tenere il conto, ma internamente è quello che sto facendo.

-Come ti senti?- mi lascio sfuggire, perché sono un dannato coglione e ovviamente il mio lato apprensivo mi spinge sempre ad agire in maniera impulsiva. E comunque, Castiel è dimagrito ancora, nel nostro abbraccio posso quasi sentire le ossa delle spalle e poi le sue guance non sono più rosa come un tempo, ma più pallide. Nonostante tutto, è ancora bellissimo, e i suoi occhi sono stranamente luminosi.

-Me la cavo- mi risponde infatti, con un grosso sorriso coraggioso. -I medici mi hanno dato delle pastiglie per i dolori e sembra che funzionino.-

Il sollievo mi colpisce come una brezza fresca. -Hai bisogno di qualcosa?-

Cas mi guarda con un sopracciglio inarcato e chissà come trova la forza di ridacchiare. -Solo di abbuffarmi di hamburger, grazie.-

Mio malgrado, mi ritrovo a ridere; mi sporgo per prendere la busta e gliela sistemo sulle gambe, concedendomi di dargli un bacio sulla fronte. Lui scarta un panino e mangia con gusto, leccandosi le labbra e le dita e io mi sento subito meglio nel vederlo così tranquillo. Dovrei smetterla di essere così ansioso, nemmeno fossi una specie di mamma incinta munita anche di sindrome premestruale.

Lo guardo mangiare per un po', accarezzandogli i capelli. -Ho letto la Bibbia- dico, infine.

-Davvero?- Il suo viso si illumina talmente tanto da sembrare tipo quello di un angelo e per un attimo mi ricorda il Cas dei nostri primi momenti insieme. Non riesco ancora a credere che sia passato così poco tempo.

-Davvero, anche se non sono molto ferrato- ammetto, stringendomi nelle spalle. Sapevo che sarebbe stata una cosa che l'avrebbe reso felice e per me è stato un po' come entrare nel suo mondo.

-Mi fa piacere che tu me l'abbia detto- dichiara lui con un sorrisetto soddisfatto che non posso fare a meno di ricambiare.

-Cas, quando mi hai chiesto di non innamorarmi di te...- inizio, in maniera cauta, passandomi la mano libera dietro alla nuca, lasciando scivolare le dita tra i capelli corti. -Sapevi che sarebbe successo lo stesso, vero?-

I suoi occhi blu adesso stanno brillando di una piccola scintilla maliziosa. -Sì.-

-Come facevi a saperlo?-

Cas rimane in silenzio per un po', mentre ogni tanto mangiucchia un po' di patatine. Poi alza lo sguardo su di me e mi fissa in maniera talmente intensa che per un attimo mi manca il respiro. Le sue labbra si schiudono in un sorriso dolce e immediatamente mi torna una voglia tremenda di baciarlo. -Quando ti ho detto che avrei pregato per te, a cosa pensavi che mi riferissi? Almeno in questo, Dio mi ha ascoltato.-


Salve a tutte e rieccoci qui!
Arrivo da una giornataccia -ho preso un cucciolo e starci dietro mi rende esausta-, quindi chiedo scusa se queste note di fine capitolo faranno un po' schifo.
Allora, parto con il dire che scrivere questo capitolo è stato molto doloroso. Perché veder soffrire Dean, descrivere il suo dolore... è stata davvero dura, soprattutto perché posso capire come si sente. Io lo trovo dolce anche mentre soffre, è talmente disperato da chiedere aiuto al padre che odia.. Ho cercato anche di rendere un po' IC la cosa, dopotutto Dean spesso quando vuole sbollire la rabbia guida -se si escludono le volte in cui distrugge tutto ciò che ha intorno xD-
Beh però i piccioncini rimangono tali in salute ed in malattia, non riescono mai a staccarsi gli occhi di dosso: io li trovo dolcissimi. Cas sta male ma ancora non è così grave, la malattina non è in stadio avanzato.... SO, è giunto il momento di fare un annuncio.
Adesso non ricordo bene tra quanti capitoli esattamente, uno o due circa, ma la storia prenderà una piega diversa da quella di Sparks: ASPETTATE, non fraintendete, non significa necessariamente che ci sarà un lieto fine (eheheh). In effetti sì, l'ho detto solo perché sono crudele.
Comunque, AVVISINO: i prossimi aggiornamenti potrebbero non essere puntualissimi perché sono in periodo esami ma cercherò di fare uno sforzo :)

Un grazie enorme a voi tutti che leggete, un abbraccio a chi recensisce!
Alla prossima! :*

   
 
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