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Autore: suni    08/06/2009    13 recensioni
“No, voglio dire,” continuò Sirius gesticolando animato, senza far caso a loro. Nello sventolare la forchetta una strisciolina di pancetta prese il volo e si depositò nella sua bevanda, ma il ragazzo non vi badò. “Chi è quel pazzo a cui è venuto in mente di mettere insieme uova e pancetta? Cioè, noi sappiamo che è una cosa buonissima, ma ti metteresti mai a mescolarli così, a caso e senza precedenti? Non c’entrano niente. È un’idea ridicola.”
Parlava con foga, voltando di tanto in tanto sul Prefetto uno sguardo vagamente fanatico. James scuoteva la testa sogghignando, come se vedere il proprio migliore amico delirare fosse stato il più spassoso degli spettacoli – cosa effettivamente vera – mentre Peter portava lentamente i bocconi alle labbra e Remus osservava l’amico con lontana perplessità, chiedendosi se le persone normali facessero discorsi del genere la mattina appena sveglie e se un giorno avrebbe mai potuto abituarsi a farne a meno, una volta finiti i MAGO.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: I Malandrini
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Bacon&eggs

Caspita.

E’ passato davvero tanto tempo dalla mia ultima comparsa in questa sezione, e sono un po’ commossa. Non so se qualcuno si ricordi di me, ma tempo fa bazzicavo da queste parti con una certa costanza. Non so come né perché, mi è venuta fuori questa shottina revival, in memoria dei tempi andati. Mi scuso, perché so di essere arruginita e non avere più la stessa facilità nel maneggiare questi personaggi che ho trascurato troppo a lungo.

Spero, comunque, di strapparvi un sorriso.

suni

 

 

Bacon & eggs

 

 

 

 

“...Quindi, nonostante la significazione non corrispondente al reale, la morfologia esatta del termine, stando alla derivazione latina suddetta, è esattamente quella. Basiliscus, piccolo serpente. Domande?”

Lo spegnersi della voce seria e grave di Remus al termine della sua - secondo lui – rapida, chiara e schematica spiegazione coincise con un silenzio che si prolungò per qualche secondo di troppo, portando il giovane mago ad aggrottare lievemente la fronte. La sua impressione si confermò al perdurare di quella quiete insolita e sospetta, che aveva un che di catatonico.

Remus sollevò con riluttanza lo sguardo dagli appunti, imbattendosi precisamente nel triste spettacolo che aveva immaginato: Peter stava giocherellando con un’orecchia della pergamena e rileggeva le note appena prese, ma dalla confusione palese nel suo sguardo si deduceva perfettamente che non aveva capito un emerito cavolo di niente.  Alla sua sinistra, proprio dirimpetto al licantropo, Sirius fissava intensamente il nulla fuori dalla finestra della sala comune, senza nemmeno mostrare la decenza di far finta di averlo ascoltato; la sua pergamena era ancora linda, intonsa e perfettamente immacolata e la sua penna d’oca giaceva inutilizzata accanto al gomito che il ragazzo aveva puntato sul tavolo, per reggere il peso di quella sua attraente testa vuota. Alla sinistra di Sirius, James si mordicchiava un labbro con espressione ispirata mentre faceva scorrere alacremente la penna sul foglio, terminando con dedizione la sua ultima fatica artistica: l’ennesimo graffito decorato che, ovviamente, tracciava il nome Lily Evans. Questa volta James doveva aver usato un inchiostro magico particolare, perché il contorno della scritta, oltre ad essere dorato, sbrilluccicava con bagliori accecanti.

Il tutto era semplicemente scoraggiante.

Oltre che di pessimo gusto, per quanto concerneva l’inchiostro dorato.

Remus Lupin, per i suoi sedici anni di età, era un ragazzo molto posato e paziente: sicché invece di estrarre la bacchetta e freddarli con un bell’Anatema, balzare sul tavolo con un ululato agghiacciante e sbranarli in un lago di sangue o sbattere le tre teste una contro l’altra e stare ad ascoltare con superiorità l’eco del vuoto siderale al loro interno, si limitò a schiarirsi la voce con compostezza.

“Ho detto, domande?”

Le iridi bigie di Sirius si spostarono nella sua direzione con una scintilla di attenzione, ma in quello sguardo c’era uno sfacciato scherno. Non sono stato a sentire una tua sola parola, e lo sai, diceva chiaro e tondo l’alone d’impudente sorriso che adornava le labbra del giovane Black. Peter gettò un’occhiata d’insieme alla pergamena, parendo indeciso su quale delle tante perplessità che ancora conservava in merito alla lezione esternare per prima, ma James, sollevando la testa dal suo capolavoro con un’espressione di perfetta, candida innocenza, fu più rapido di lui. Si sistemò gli occhiali sul naso con fare diligente, schiarì solennemente la voce e si accinse a castigare Remus per quella – secondo lui – verbosa, confusionaria e noiosissima spiegazione.

“Sì, io,” affermò solerte, con fare coscienzioso. “...Cosa vuol dire morfologia?”

Remus non fece in tempo nemmeno a spalancare la bocca allibito che la risata latrante e fragorosa di Sirius si levò limpida nella sala comune, attirandogli le occhiate esasperate di qualche altro studente Gryffindor che, come loro, approfittava degli ultimi momenti prima di cena per ultimare i compiti.

Remus espirò rumorosamente con esasperazione, mentre il bastian contrario del mondo Pureblood si accasciava sul tavolo sghignazzando di gusto. Quel bel tipo del suo amico, il gran campione di Quidditch, ridacchiava a sua volta soddisfatto per quella geniale uscita, sgomitando Peter che, da parte sua, sembrava ridere perché lo facevano loro due più che per reale divertimento. D’altra parte, Remus nutriva dubbi sul fatto che lui sapesse veramente cosa significava la parola “morfologia”.

Altre domande?” chiese il Prefetto, piatto.

“...P-posso andare in bagno, prof?” balbettò Sirius con viso congestionato, emergendo dalla copertura delle braccia contro cui s’era gettato ridendo. La testa e le spalle di James scattarono indietro, tanto che per poco il ragazzo non precipitò a terra con tutta la sedia mentre si sbellicava rumorosamente, mani sulla pancia. Anche Peter, a quella replica più triviale, esplose nel suo riso acuto.

“Shh,” mormorò qualcuno dall’altro lato della sala. A Sirius bastò aggrottare la fronte e voltare da quella parte un’occhiata cupa per far tacere ogni protesta: di litigare con un piantagrane del genere, vista la facile infiammabilità, non ne aveva davvero voglia nessuno.

“Vi sentite intelligenti?” intervenne Remus calmo, cercando saggiamente di controllare la crescente irritazione e il senso di rabbia che gli stavano gonfiando nello stomaco. Era abituato ai suoi amici e non avrebbe nemmeno dovuto farci caso, ma ora mancavano due settimane agli esami di fine anno e lui aveva appena sprecato un’ora e mezza parlando da solo come un demente.

“Eddai, Lupin!” ridacchiò James, ilare. “E’ ora di cena, non abbiamo abbastanza lipidi nel cervello!”

“E tu sei più palloso di Rüf,” aggiunse Sirius, schietto e sornione. Dondolò sulle gambe posteriori della sedia, mentre Remus aggrottava la fronte con molto fastidio. “Stavo meditando di gettarmi dalla torre se non avessi smesso entro due minuti.”

Fece giusto in tempo a finire di parlare che la mano di Remus si schiantò sorda sul tavolo mentre il Prefetto si rizzava in piedi di scatto. Serrò strettamente le labbra per trattenere un insulto colorito ed inspirò profondamente.

“Sto per sorprenderti, Black,” annunciò pacato, senza celare del tutto una vibrazione di sdegno. “Stare qui a ripetere lezioni che non ho nessun bisogno di ripassare a tre ritardati non è la mia massima aspirazione nella vita. Quindi, non credo sia necessario proseguire.”

Afferrò libro e appunti e, senza badare alle rumorose proteste del malefico terzetto o ai loro bercianti tentativi di rabbonirlo, li piantò lì e prese la via della biblioteca, tentando di far calare la collera per ritrovare la concentrazione.

Aveva ancora almeno quindici minuti buoni da sfruttare prima di dover scendere in Sala Grande. C’era giusto la formula di quell’antidoto che voleva riguardare...

 

 

“Godric, che piaga!”

Sirius si gettò di slancio nel suo baldacchino, rimbalzando, e sbuffò annoiato. Scacciò via i capelli dal viso con un gesto meno naturale del dovuto e mise su un broncio da manuale.

“Abbiamo dimenticato di calcolare il fattore quindici giorni,” osservò James fatalista, sedendosi in fondo ai piedi dell’amico. Scrutò senza troppo interesse un buco nel calzino esattamente in cima al proprio alluce, tamburellandolo poi sulla gamba di Sirius.

Da che mondo era mondo, ovvero dal loro primo anno, l’ultimo periodo scolastico prima delle vacanze coincideva con un attimo molto particolare nel ritmo di vita del loro Prefetto preferito: Sirius aveva sinteticamente riassunto il fatto sentenziando che Remus aveva le mestruazioni una volta l’anno, duravano due settimane e terminavano esattamente in contemporanea all’ultimo esame. Durante, Remus non faceva che studiare, lamentarsi di quanto poco studiassero loro e cercare di convincere tutta la scuola a studiare di più, come lui. Sembrava un invasato.

Dunque il fattore quindici giorni altro non era che la messa in pratica di qualle nozione: nelle ultime settimane di scuola era bene non tenere atteggiamenti eccessivamente provocatori o indisponenti con Remus, se non si voleva rischiare che oltre che licantropo diventasse anche idrofobo e cominciasse a mordere.

“Pensate che dovremmo scusarci?” ipotizzò cautamente Peter, posando i libri.

“Ma non diciamo stronzate. Ti rendi conto che si è messo a citare un brano intero in latino, quel folle? Mica dico una formula, frasi intere!” protestò vivamente Sirius, rotolando su un fianco. “Io capisco l’ansia da prestazione, ma c’è un limite a tutto,” continuò a borbottare, scandalizzato.

“Ah, sì, credo di averlo sentito per qualche istante mentre disegnavo la E,” commentò James soave. “Ehi, guarda, è venuto bene, no?” proseguì enfatico, chinandosi per recuperare il foglio abbandonato a terra con le sue cose.

Nel vedere il suo disegno, persino Peter non poté evitare una smorfia disgustata. Sirius storse il naso e voltò la testa mimando un conato di vomito.

“Prongs, quella cosa è raccapricciante!” protestò, contorcendosi. “Che orrore, non ricordo niente di peggiore dai tempi delle mutande di Regulus sporche di sgommata!”

“Ma che schifo, Pad,” commentò l’altro asciutto, smettendo per un attimo l’espressione sognante. Poi scosse la testa con noncuranza e voltò indietro il foglio per riesaminarlo, critico. Sbatté gli occhi con vacuità, perché quando c’era di mezzo Lily perdeva ogni facoltà razionale e qualunque capacità di ragionamento obiettivo. “Che ha che non va la mia scritta? È troppo...?”

“Dorata?” azzardò Peter incassando la testa nelle spalle.

Sobria?” aggiunse Sirius, caustico.

James arricciò le labbra mestamente, sbuffando.

“Dite che non le piacerà?” chiese inquieto.

“Dico che se ti pesta di nuovo stavolta l’aiuto,” replicò Sirius, con un’ultima smorfia disgustata. “Jamie, non puoi regalarle disegnini, anche se ci metti su pregevoli effetti d’alta magia,”  borbottò ironico, girandosi supino.

“Perché no?”

“Perche non hai quattro anni,” chiarì Sirius, sbuffando contro il cuscino. “...Latino, capisci? Quel ragazzo parla correntemente latino. È da ricov...” continuò a pontificare per conto suo.

“Se le rivolgo normalmente la parola o ci provo come la gente comune, lei mi schiaffeggia!” protestò James stizzito, sventolando la sua opera d’arte in malo modo. Sirius sospirò di noia, ben deciso a non lasciarsi trascinare in un interminabile monologo sull’argomento Evans. “E che parli pure aramaico, finché ci fa i compiti,” asserì James, cogliendo l’antifona.

“Aramaico?” intervenne Peter, incredulo. Evidentemente gli era sfuggita l’ironia, perché gettò al letto vuoto di Remus un’occhiata colma di deferenza.

“Era solo un esempio random, Wormtail,” sbuffò Sirius noncurante. “Andiamo a mangiare?” aggiunse, tirandosi a sedere.

“Certo, Moony ci raggiungerà lì,” concordò James, alzandosi. “Voglio dire, non può essere arrabbiato sul serio.”

 

 

Remus non scese a cena. Non tanto perché il suo rifiuto di vedere i compagni fosse tale da spingerlo al digiuno ma perché, come accadeva puntualmente ogni volta che apriva il libro di Pozioni, dopo aver riletto le prime due righe rammentò quanto vaste e incolmabili fossero le sue infinite lacune in quella materia, sprofondò nella paranoia più sfrenata e prese a rileggere febbrilmente formule su formule ripetendole a mezza voce col fervore di un monaco in preghiera. Quando si rese conto dell’ora e della fame era ormai troppo tardi per presentarsi a tavola, quandi già che c’era ripassò un altro po’. Finì per restare lì finché la Pince, che lo trattava sempre con un occhio di riguardo lasciandolo ogni volta uscire per ultimo, lo mise alla porta senza troppi complimenti.

A quel punto, lo stomaco di Remus ringhiava almeno quanto la sua controparte lupesca. Ne concluse che dopotutto la strada per arrivare in cucina la conosceva, sistemò la spilla de Prefetto in bella mostra e marciò verso i piani bassi con aria estremamante seria e indaffarata. S’infilò nelle cucine di Hogwarts e lasciò che gli Elfi Domestici lo rimpinzassero per una buona mezz’ora. Quindi, satollo, stabilì che fosse ora di dormire. Ovviamente, non aveva fatto nemmeno un passo oltre la Signora Grassa che una voce a lui ben nota lo bloccò sdegnosa.

“Io non ci posso credere. Tu preferisci il tuo latinorum a noi!”

Remus levò gli occhi al cielo e scrollò la testa con un sospiro, prima di sbuffare in direzione delle scale.

“Slughorn ti ha messo qualcosa nel succo a tavola, Pad?” rispose asciutto.

“Hai boicottato la cena!” proseguì l’altro, melodrammatico. “Tralasciando il fatto che sei già rachitico e che la tua mamma non sarebbe affatto felice, pensa al nostro benessere psicofisico! ...Mio e di tutti i Gryffindor tranne James, intendo. Ci hai lasciati lì rappresentati dalla Evans. La Evans, capisci?” blaterò mentre balzellava giù dai gradini, fermandosi sul terzultimo, e sgranò enfatico gli occhi grigi. “Seriamente, cos’hai al posto del cuore, una palla di pelo?”

Remus tentò di sbuffare severamente, annoiato, ma il suono che emise somigliava molto più a un ridere soffocato. Scosse la testa con indifferenza, facendo spallucce.

“Peggio la Evans della noia di tollerare il mio latinorum? Mi spiazzi, Sirius,” rispose pacato, facendo per incamminarsi su per le scale.

“No, quello è imbattibile,” brontolò l’animagus roteando gli occhi. “Ma tu non puoi esserti offeso per così poco!” protestò stizzito.

“Io non sono offeso. È soltanto che certe volte... Non so. Ogni tanto mi chiedo perché mai siamo amici, io e voi,” affermò sinceramente, fermandosi sul primo gradino con una scrollata di spalle. “Io non c’entro niente con te e James,” concluse, senza riuscire ad evitare che le sue labbra si piegassero verso il basso.

Sirius spalancò la bocca come un baule per la sorpresa, storse il naso, levò una mano in aria con fare castigatore, piegò la testa di lato, aggrottò la fronte e richiuse le labbra nell’arco di un paio di secondi, prendendo a riflettere intensamente. Remus ridacchiò, divertito dall’inaspettata serietà con cui sembrava aver accolto la domanda.

Infine Sirius levò il mento con fierezza ad annuì compreso.

“Evidentemente non c’è la più vaga ragione sensata che spieghi la nostra amicizia. È completamente campata per aria e non ha alcuna base logica,” affermò sicuro, incrociando le braccia al petto. “Trascurando il fatto che il piccolo problema peloso fa figo, certo,” aggiunse con leggerezza.

Remus aggrottò leggermente la fronte, pericolosamente maldisposto da quelle parole. Sirius non gli badò nemmeno.

“Ciononostante, Moony,” proseguì, col fare maestoso del Marauder sempre sveglio in lui, “sono certo al mille percento che io e Jamie ci divertiremmo cento volte di meno, senza di te. È come...” E s’interruppe, muovendo vago la mano con fare concentrato.

“Come?” lo incalzò Remus, piacevolmente sorpreso da quella rara manifestazione d’affetto da parte del suo presuntuoso e spacconissimo amico.

Sirius scrollò le spalle, scornato.

“Fammi pensare a un esempio. Dammi cinque minuti. Dieci.”

“Prendi il tuo tempo, Pad. Non sei molto affascinante quando ti esce il fumo dalle orecchie,” lo schernì Remus con fare comprensivo.

L’animagus uggiolò una risatina, spintonandolo verso la cima delle scale. In quella, la testa di James spuntò dalla soglia del loro dormitorio, adorna d’una smorfia cospiratoria sfociante nel ghigno malefico.

“Venite, bimbi, che lo zio Jamie ha burrobirre per voi,” annunciò soddisfatto.

Remus scosse la testa rassegnato, mentre la mano di Sirius lo catapultava nella stanza. Peter e James erano già in pigiama e sgranocchiavano cioccorane e Tuttigusti con entusiasmo. Lui si sedette sul letto, si guardò intorno e decise che le ore da lui consacrate allo studio quel giorno gli permettevano di distendersi una decina di minuti. Diventarono venti, e poi quaranta, prima che tutti e quattro crollassero a letto come sassi.

 

 

Remus addentò una fetta di pane di gusto, quindi portò la tazza alle labbra e poi sussultò, rischiando di rovesciarsi il tè addosso, per la scossa provocata da Sirius che si accasciava sulla sedia e abbandonava il busto verso il tavolo della colazione, ancora sbadigliando. James, immediatamente dopo, si accomodò con la medesima grazia.

“Alla sera leoni e al mattino...” osservò placidamente Remus, con noncuranza.

“Volgari illazioni.”

“Diffamazioni indegne.”

“Rem, mi passi il burro?”

Quell’ultimo era Peter, altrettanto intorpidito ma più affamato degli altri due.

“Tieni,” rispose Remus disponibile, mentre Sirius sbuffava rumorosamente accanto al suo orecchio, afferrando la tazza come un calderone da dieci litri.

“Oggi penso farò almeno due sieste a lezione,” annunciò James, filosofico.

“Lily apprezzerà particolarmente,” commentò Remus annuendo distrattamente. Sirius ridacchiò nella tazza, prima di piantare la forchetta nel piatto stracolmo. Fece per portarla alle labbra e poi si bloccò, folgorato. La avvicinò agli occhi osservandola attentamente.

“Pancetta e uova...”

“Merlino, questo è quel che chiamo essere un fine osservatore,” esclamò James, ammirato. Peter soffocò una risata gorgogliante nel suo tè con latte e Remus ridacchiò apertamente.

“No, voglio dire,” continuò Sirius gesticolando animato, senza far caso a loro. Nello sventolare la forchetta una strisciolina di pancetta prese il volo e si depositò nella sua bevanda, ma il ragazzo non vi badò. “Chi è quel pazzo a cui è venuto in mente di mettere insieme uova e pancetta? Cioè, noi sappiamo che è una cosa buonissima, ma ti metteresti mai a mescolarli così, a caso e senza precedenti? Non c’entrano niente. È un’idea ridicola.”

Parlava con foga, voltando di tanto in tanto sul Prefetto uno sguardo vagamente fanatico. James scuoteva la testa sogghignando, come se vedere il proprio migliore amico delirare fosse stato il più spassoso degli spettacoli – cosa effettivamente vera – mentre Peter portava lentamente i bocconi alle labbra e Remus osservava l’amico con lontana perplessità, chiedendosi se le persone normali facessero discorsi del genere la mattina appena sveglie e se un giorno avrebbe mai potuto abituarsi a farne a meno, una volta finiti i MAGO.

“E...quindi?” chiese infine ironico, quando Sirius si fu interrotto.

“Quindi,” scandì lui maestoso, prendendo un’altra grossa forchettata e sollevandola per esibire il reperto a tutti e tre, “noi Messeri siamo come uova e pancetta, Remus. L’accostamento sembra senza senso, ma nessuno metterebbe in dubbio quanto risulti perfetto.”

James portò la mano al cuore e accennò un applauso, asciugando invisibili lacrime di commozione a lato degli occhiali nel momento in cui Remus, sollevando un sopracciglio, riprendeva a sorseggiare il tè con uno sbuffo sarcastico.

“Certo che sei proprio un oratore nato, Pad, che incredibile e raffinata abilità retorica,” osservò il licantropo con scherno, ma sorrideva incontrollatamente. Sirius gettò indietro la testa corvina e portò la forchetta alle labbra, mentre la sua inconfondibile risata abbaiante risuonava squillante, diffondendosi dalla sommità del tavolo di Gryffindor.

 

 

 

   
 
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