Caspita.
E’ passato davvero tanto
tempo dalla mia ultima comparsa in questa sezione, e sono un po’
commossa. Non so se qualcuno si ricordi di me, ma tempo fa bazzicavo da queste
parti con una certa costanza. Non so come né perché, mi è
venuta fuori questa shottina revival, in memoria dei tempi andati. Mi scuso,
perché so di essere arruginita e non avere più la stessa
facilità nel maneggiare questi personaggi che ho trascurato troppo a
lungo.
Spero, comunque, di strapparvi
un sorriso.
suni
Bacon & eggs
“...Quindi, nonostante
la significazione non corrispondente al reale, la morfologia esatta del
termine, stando alla derivazione latina suddetta, è esattamente quella. Basiliscus, piccolo serpente.
Domande?”
Lo spegnersi della voce seria
e grave di Remus al termine della sua - secondo lui – rapida, chiara e
schematica spiegazione coincise con un silenzio che si prolungò per
qualche secondo di troppo, portando il giovane mago ad aggrottare lievemente la
fronte. La sua impressione si confermò al perdurare di quella quiete
insolita e sospetta, che aveva un che di catatonico.
Remus sollevò con
riluttanza lo sguardo dagli appunti, imbattendosi precisamente nel triste
spettacolo che aveva immaginato: Peter stava giocherellando con
un’orecchia della pergamena e rileggeva le note appena prese, ma dalla confusione
palese nel suo sguardo si deduceva perfettamente che non aveva capito un
emerito cavolo di niente. Alla sua
sinistra, proprio dirimpetto al licantropo, Sirius fissava intensamente il
nulla fuori dalla finestra della sala comune, senza nemmeno mostrare la decenza
di far finta di averlo ascoltato; la sua pergamena era ancora linda, intonsa e
perfettamente immacolata e la sua penna d’oca giaceva inutilizzata accanto
al gomito che il ragazzo aveva puntato sul tavolo, per reggere il peso di
quella sua attraente testa vuota. Alla sinistra di Sirius, James si
mordicchiava un labbro con espressione ispirata mentre faceva scorrere
alacremente la penna sul foglio, terminando con dedizione la sua ultima fatica
artistica: l’ennesimo graffito decorato che, ovviamente, tracciava il
nome Lily Evans. Questa volta James
doveva aver usato un inchiostro magico particolare, perché il contorno
della scritta, oltre ad essere dorato, sbrilluccicava con bagliori accecanti.
Il tutto era semplicemente
scoraggiante.
Oltre che di pessimo gusto,
per quanto concerneva l’inchiostro dorato.
Remus Lupin, per i suoi sedici
anni di età, era un ragazzo molto posato e paziente: sicché
invece di estrarre la bacchetta e freddarli con un bell’Anatema, balzare
sul tavolo con un ululato agghiacciante e sbranarli in un lago di sangue o
sbattere le tre teste una contro l’altra e stare ad ascoltare con
superiorità l’eco del vuoto siderale al loro interno, si
limitò a schiarirsi la voce con compostezza.
“Ho detto,
domande?”
Le iridi bigie di Sirius si
spostarono nella sua direzione con una scintilla di attenzione, ma in quello
sguardo c’era uno sfacciato scherno. Non
sono stato a sentire una tua sola parola, e lo sai, diceva chiaro e tondo
l’alone d’impudente sorriso che adornava le labbra del giovane
Black. Peter gettò un’occhiata d’insieme alla pergamena,
parendo indeciso su quale delle tante perplessità che ancora conservava
in merito alla lezione esternare per prima, ma James, sollevando la testa dal
suo capolavoro con un’espressione di perfetta, candida innocenza, fu
più rapido di lui. Si sistemò gli occhiali sul naso con fare
diligente, schiarì solennemente la voce e si accinse a castigare Remus
per quella – secondo lui – verbosa, confusionaria e noiosissima
spiegazione.
“Sì, io,”
affermò solerte, con fare coscienzioso. “...Cosa vuol dire
morfologia?”
Remus non fece in tempo
nemmeno a spalancare la bocca allibito che la risata latrante e fragorosa di
Sirius si levò limpida nella sala comune, attirandogli le occhiate
esasperate di qualche altro studente Gryffindor che, come loro, approfittava
degli ultimi momenti prima di cena per ultimare i compiti.
Remus espirò
rumorosamente con esasperazione, mentre il bastian contrario del mondo
Pureblood si accasciava sul tavolo sghignazzando di gusto. Quel bel tipo del
suo amico, il gran campione di Quidditch, ridacchiava a sua volta soddisfatto
per quella geniale uscita, sgomitando Peter che, da parte sua, sembrava ridere
perché lo facevano loro due più che per reale divertimento.
D’altra parte, Remus nutriva dubbi sul fatto che lui sapesse veramente
cosa significava la parola “morfologia”.
“Altre domande?” chiese il Prefetto, piatto.
“...P-posso andare in
bagno, prof?” balbettò Sirius con viso congestionato, emergendo
dalla copertura delle braccia contro cui s’era gettato ridendo. La testa
e le spalle di James scattarono indietro, tanto che per poco il ragazzo non
precipitò a terra con tutta la sedia mentre si sbellicava rumorosamente,
mani sulla pancia. Anche Peter, a quella replica più triviale, esplose
nel suo riso acuto.
“Shh,”
mormorò qualcuno dall’altro lato della sala. A Sirius bastò
aggrottare la fronte e voltare da quella parte un’occhiata cupa per far
tacere ogni protesta: di litigare con un piantagrane del genere, vista la
facile infiammabilità, non ne aveva davvero voglia nessuno.
“Vi sentite
intelligenti?” intervenne Remus calmo, cercando saggiamente di
controllare la crescente irritazione e il senso di rabbia che gli stavano
gonfiando nello stomaco. Era abituato ai suoi amici e non avrebbe nemmeno
dovuto farci caso, ma ora mancavano due settimane agli esami di fine anno e lui
aveva appena sprecato un’ora e mezza parlando da solo come un demente.
“Eddai, Lupin!”
ridacchiò James, ilare. “E’ ora di cena, non abbiamo
abbastanza lipidi nel cervello!”
“E tu sei più
palloso di Rüf,” aggiunse Sirius, schietto e sornione.
Dondolò sulle gambe posteriori della sedia, mentre Remus aggrottava la
fronte con molto fastidio. “Stavo meditando di gettarmi dalla torre se
non avessi smesso entro due minuti.”
Fece giusto in tempo a finire
di parlare che la mano di Remus si schiantò sorda sul tavolo mentre il
Prefetto si rizzava in piedi di scatto. Serrò strettamente le labbra per
trattenere un insulto colorito ed inspirò profondamente.
“Sto per sorprenderti,
Black,” annunciò pacato, senza celare del tutto una vibrazione di
sdegno. “Stare qui a ripetere lezioni che non ho nessun bisogno di
ripassare a tre ritardati non è la mia massima aspirazione nella vita.
Quindi, non credo sia necessario proseguire.”
Afferrò libro e appunti
e, senza badare alle rumorose proteste del malefico terzetto o ai loro
bercianti tentativi di rabbonirlo, li piantò lì e prese la via
della biblioteca, tentando di far calare la collera per ritrovare la
concentrazione.
Aveva ancora almeno quindici
minuti buoni da sfruttare prima di dover scendere in Sala Grande. C’era
giusto la formula di quell’antidoto che voleva riguardare...
“Godric, che
piaga!”
Sirius si gettò di
slancio nel suo baldacchino, rimbalzando, e sbuffò annoiato.
Scacciò via i capelli dal viso con un gesto meno naturale del dovuto e
mise su un broncio da manuale.
“Abbiamo dimenticato di
calcolare il fattore quindici giorni,” osservò James fatalista,
sedendosi in fondo ai piedi dell’amico. Scrutò senza troppo
interesse un buco nel calzino esattamente in cima al proprio alluce,
tamburellandolo poi sulla gamba di Sirius.
Da che mondo era mondo, ovvero
dal loro primo anno, l’ultimo periodo scolastico prima delle vacanze
coincideva con un attimo molto particolare nel ritmo di vita del loro Prefetto
preferito: Sirius aveva sinteticamente riassunto il fatto sentenziando che
Remus aveva le mestruazioni una volta l’anno, duravano due settimane e
terminavano esattamente in contemporanea all’ultimo esame. Durante, Remus
non faceva che studiare, lamentarsi di quanto poco studiassero loro e cercare
di convincere tutta la scuola a studiare di più, come lui. Sembrava un
invasato.
Dunque il fattore quindici
giorni altro non era che la messa in pratica di qualle nozione: nelle ultime
settimane di scuola era bene non tenere atteggiamenti eccessivamente
provocatori o indisponenti con Remus, se non si voleva rischiare che oltre che
licantropo diventasse anche idrofobo e cominciasse a mordere.
“Pensate che dovremmo
scusarci?” ipotizzò cautamente Peter, posando i libri.
“Ma non diciamo
stronzate. Ti rendi conto che si è messo a citare un brano intero in
latino, quel folle? Mica dico una formula, frasi intere!” protestò
vivamente Sirius, rotolando su un fianco. “Io capisco l’ansia da
prestazione, ma c’è un limite a tutto,” continuò a
borbottare, scandalizzato.
“Ah, sì, credo di
averlo sentito per qualche istante mentre disegnavo la E,”
commentò James soave. “Ehi, guarda, è venuto bene,
no?” proseguì enfatico, chinandosi per recuperare il foglio
abbandonato a terra con le sue cose.
Nel vedere il suo disegno,
persino Peter non poté evitare una smorfia disgustata. Sirius storse il
naso e voltò la testa mimando un conato di vomito.
“Prongs, quella cosa è raccapricciante!”
protestò, contorcendosi. “Che orrore, non ricordo niente di
peggiore dai tempi delle mutande di Regulus sporche di sgommata!”
“Ma che schifo,
Pad,” commentò l’altro asciutto, smettendo per un attimo
l’espressione sognante. Poi scosse la testa con noncuranza e voltò
indietro il foglio per riesaminarlo, critico. Sbatté gli occhi con
vacuità, perché quando c’era di mezzo Lily perdeva ogni
facoltà razionale e qualunque capacità di ragionamento obiettivo.
“Che ha che non va la mia scritta? È troppo...?”
“Dorata?”
azzardò Peter incassando la testa nelle spalle.
“Sobria?” aggiunse Sirius, caustico.
James arricciò le
labbra mestamente, sbuffando.
“Dite che non le
piacerà?” chiese inquieto.
“Dico che se ti pesta di
nuovo stavolta l’aiuto,” replicò Sirius, con un’ultima
smorfia disgustata. “Jamie, non puoi regalarle disegnini, anche se ci
metti su pregevoli effetti d’alta
magia,” borbottò ironico,
girandosi supino.
“Perché
no?”
“Perche non hai quattro
anni,” chiarì Sirius, sbuffando contro il cuscino. “...Latino,
capisci? Quel ragazzo parla correntemente latino. È da ricov...”
continuò a pontificare per conto suo.
“Se le rivolgo
normalmente la parola o ci provo come la gente comune, lei mi
schiaffeggia!” protestò James stizzito, sventolando la sua opera
d’arte in malo modo. Sirius sospirò di noia, ben deciso a non
lasciarsi trascinare in un interminabile monologo sull’argomento Evans.
“E che parli pure aramaico, finché ci fa i compiti,”
asserì James, cogliendo l’antifona.
“Aramaico?”
intervenne Peter, incredulo. Evidentemente gli era sfuggita l’ironia,
perché gettò al letto vuoto di Remus un’occhiata colma di
deferenza.
“Era solo un esempio
random, Wormtail,” sbuffò Sirius noncurante. “Andiamo a
mangiare?” aggiunse, tirandosi a sedere.
“Certo, Moony ci
raggiungerà lì,” concordò James, alzandosi.
“Voglio dire, non può essere arrabbiato sul serio.”
Remus non scese a cena. Non
tanto perché il suo rifiuto di vedere i compagni fosse tale da spingerlo
al digiuno ma perché, come accadeva puntualmente ogni volta che apriva
il libro di Pozioni, dopo aver riletto le prime due righe rammentò
quanto vaste e incolmabili fossero le sue infinite lacune in quella materia,
sprofondò nella paranoia più sfrenata e prese a rileggere
febbrilmente formule su formule ripetendole a mezza voce col fervore di un
monaco in preghiera. Quando si rese conto dell’ora e della fame era ormai
troppo tardi per presentarsi a tavola, quandi già che c’era
ripassò un altro po’. Finì per restare lì
finché la Pince, che lo trattava sempre con un occhio di riguardo
lasciandolo ogni volta uscire per ultimo, lo mise alla porta senza troppi
complimenti.
A quel punto, lo stomaco di
Remus ringhiava almeno quanto la sua controparte lupesca. Ne concluse che
dopotutto la strada per arrivare in cucina la conosceva, sistemò la
spilla de Prefetto in bella mostra e marciò verso i piani bassi con aria
estremamante seria e indaffarata. S’infilò nelle cucine di
Hogwarts e lasciò che gli Elfi Domestici lo rimpinzassero per una buona
mezz’ora. Quindi, satollo, stabilì che fosse ora di dormire.
Ovviamente, non aveva fatto nemmeno un passo oltre
“Io non ci posso
credere. Tu preferisci il tuo latinorum a noi!”
Remus levò gli occhi al
cielo e scrollò la testa con un sospiro, prima di sbuffare in direzione
delle scale.
“Slughorn ti ha messo
qualcosa nel succo a tavola, Pad?” rispose asciutto.
“Hai boicottato la
cena!” proseguì l’altro, melodrammatico. “Tralasciando
il fatto che sei già rachitico e che la tua mamma non sarebbe affatto felice, pensa al nostro benessere
psicofisico! ...Mio e di tutti i Gryffindor tranne James, intendo. Ci hai
lasciati lì rappresentati dalla Evans. La Evans, capisci?” blaterò mentre balzellava giù
dai gradini, fermandosi sul terzultimo, e sgranò enfatico gli occhi
grigi. “Seriamente, cos’hai al posto del cuore, una palla di
pelo?”
Remus tentò di sbuffare
severamente, annoiato, ma il suono che emise somigliava molto più a un
ridere soffocato. Scosse la testa con indifferenza, facendo spallucce.
“Peggio la Evans della
noia di tollerare il mio latinorum? Mi spiazzi, Sirius,” rispose pacato,
facendo per incamminarsi su per le scale.
“No, quello è
imbattibile,” brontolò l’animagus roteando gli occhi.
“Ma tu non puoi esserti offeso per così poco!”
protestò stizzito.
“Io non sono offeso.
È soltanto che certe volte... Non so. Ogni tanto mi chiedo perché
mai siamo amici, io e voi,” affermò sinceramente, fermandosi sul
primo gradino con una scrollata di spalle. “Io non c’entro niente
con te e James,” concluse, senza riuscire ad evitare che le sue labbra si
piegassero verso il basso.
Sirius spalancò la
bocca come un baule per la sorpresa, storse il naso, levò una mano in
aria con fare castigatore, piegò la testa di lato, aggrottò la
fronte e richiuse le labbra nell’arco di un paio di secondi, prendendo a
riflettere intensamente. Remus ridacchiò, divertito
dall’inaspettata serietà con cui sembrava aver accolto la domanda.
Infine Sirius levò il
mento con fierezza ad annuì compreso.
“Evidentemente non
c’è la più vaga ragione sensata che spieghi la nostra
amicizia. È completamente campata per aria e non ha alcuna base
logica,” affermò sicuro, incrociando le braccia al petto.
“Trascurando il fatto che il piccolo problema peloso fa figo,
certo,” aggiunse con leggerezza.
Remus aggrottò
leggermente la fronte, pericolosamente maldisposto da quelle parole. Sirius non
gli badò nemmeno.
“Ciononostante,
Moony,” proseguì, col fare maestoso del Marauder sempre sveglio in
lui, “sono certo al mille percento che io e Jamie ci divertiremmo cento
volte di meno, senza di te. È come...” E s’interruppe,
muovendo vago la mano con fare concentrato.
“Come?” lo
incalzò Remus, piacevolmente sorpreso da quella rara manifestazione
d’affetto da parte del suo presuntuoso e spacconissimo amico.
Sirius scrollò le
spalle, scornato.
“Fammi pensare a un
esempio. Dammi cinque minuti. Dieci.”
“Prendi il tuo tempo,
Pad. Non sei molto affascinante quando ti esce il fumo dalle orecchie,”
lo schernì Remus con fare comprensivo.
L’animagus
uggiolò una risatina, spintonandolo verso la cima delle scale. In
quella, la testa di James spuntò dalla soglia del loro dormitorio,
adorna d’una smorfia cospiratoria sfociante nel ghigno malefico.
“Venite, bimbi, che lo
zio Jamie ha burrobirre per voi,” annunciò soddisfatto.
Remus scosse la testa
rassegnato, mentre la mano di Sirius lo catapultava nella stanza. Peter e James
erano già in pigiama e sgranocchiavano cioccorane e Tuttigusti con
entusiasmo. Lui si sedette sul letto, si guardò intorno e decise che
le ore da lui consacrate allo studio quel giorno gli permettevano di
distendersi una decina di minuti. Diventarono venti, e poi quaranta, prima che
tutti e quattro crollassero a letto come sassi.
Remus addentò una fetta
di pane di gusto, quindi portò la tazza alle labbra e poi
sussultò, rischiando di rovesciarsi il tè addosso, per la scossa
provocata da Sirius che si accasciava sulla sedia e abbandonava il busto verso
il tavolo della colazione, ancora sbadigliando. James, immediatamente dopo, si
accomodò con la medesima grazia.
“Alla sera leoni e al
mattino...” osservò placidamente Remus, con noncuranza.
“Volgari
illazioni.”
“Diffamazioni
indegne.”
“Rem, mi passi il
burro?”
Quell’ultimo era Peter,
altrettanto intorpidito ma più affamato degli altri due.
“Tieni,” rispose
Remus disponibile, mentre Sirius sbuffava rumorosamente accanto al suo
orecchio, afferrando la tazza come un calderone da dieci litri.
“Oggi penso farò
almeno due sieste a lezione,” annunciò James, filosofico.
“Lily apprezzerà
particolarmente,” commentò Remus annuendo distrattamente. Sirius
ridacchiò nella tazza, prima di piantare la forchetta nel piatto
stracolmo. Fece per portarla alle labbra e poi si bloccò, folgorato. La
avvicinò agli occhi osservandola attentamente.
“Pancetta e
uova...”
“Merlino, questo
è quel che chiamo essere un fine osservatore,” esclamò
James, ammirato. Peter soffocò una risata gorgogliante nel suo tè
con latte e Remus ridacchiò apertamente.
“No, voglio dire,”
continuò Sirius gesticolando animato, senza far caso a loro. Nello
sventolare la forchetta una strisciolina di pancetta prese il volo e si
depositò nella sua bevanda, ma il ragazzo non vi badò. “Chi
è quel pazzo a cui è venuto in mente di mettere insieme uova e
pancetta? Cioè, noi sappiamo
che è una cosa buonissima, ma ti metteresti mai a mescolarli
così, a caso e senza precedenti? Non c’entrano niente. È
un’idea ridicola.”
Parlava con foga, voltando di
tanto in tanto sul Prefetto uno sguardo vagamente fanatico. James scuoteva la
testa sogghignando, come se vedere il proprio migliore amico delirare fosse
stato il più spassoso degli spettacoli – cosa effettivamente vera
– mentre Peter portava lentamente i bocconi alle labbra e Remus osservava
l’amico con lontana perplessità, chiedendosi se le persone normali
facessero discorsi del genere la mattina appena sveglie e se un giorno avrebbe
mai potuto abituarsi a farne a meno, una volta finiti i MAGO.
“E...quindi?”
chiese infine ironico, quando Sirius si fu interrotto.
“Quindi,”
scandì lui maestoso, prendendo un’altra grossa forchettata e
sollevandola per esibire il reperto a tutti e tre, “noi Messeri siamo
come uova e pancetta, Remus. L’accostamento sembra senza senso, ma
nessuno metterebbe in dubbio quanto risulti perfetto.”
James portò la mano al
cuore e accennò un applauso, asciugando invisibili lacrime di commozione a lato degli occhiali
nel momento in cui Remus, sollevando un sopracciglio, riprendeva a sorseggiare il
tè con uno sbuffo sarcastico.
“Certo che sei proprio
un oratore nato, Pad, che incredibile e raffinata abilità retorica,”
osservò il licantropo con scherno, ma sorrideva incontrollatamente. Sirius
gettò indietro la testa corvina e portò la forchetta alle labbra,
mentre la sua inconfondibile risata abbaiante risuonava squillante,
diffondendosi dalla sommità del tavolo di Gryffindor.