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Autore: Rorschach D Wolfwood    24/04/2017    3 recensioni
La città dei sogni di qualunque animale, la bellezza, la maschera dietro la quale si cela la verità: un letamaio che non aveva conosciuto nè pietà nè bontà.
Ispirato dal fumetto Blacksad, la storia di una giovane volpe solitaria dal carattere chiuso e senza alcuna speranza in un futuro migliore, un incontro inaspettato, uno spiraglio di luce in una spirale di eventi oscuri.
Genere: Dark, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Judy Hopps, Nick Wilde
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Furry
Capitoli:
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10- Fiumi di paura che rimandano ad un passato lontano (parte 2)
 
 
Distretto di polizia di Zootropolis
 
Non c'era bisogno di sottolineare quanto fosse affollato l'ingresso: giorno dopo giorno, per tutto il giorno, il frenetico rumore di zampe e zoccoli che calpestavano il pavimento lastricato di mattonelle bianche riempiva l'intera volta sopra le loro teste. Un via vai incessante, senza un attimo di pausa, nemmeno sotto Natale; tra agenti impegnati a scortare in cella qualche teppista o criminale dalla dubbia importanza, agenti in divisa pronti a partire per pattugliare i settori assegnati, per non parlare di coloro che uscivano per i fatti propri. Insomma la porta d'ingresso si apriva e chiudeva senza sosta, con un via vai così repentino che sarebbe difficile stabilire il numero esatto dei presenti in quella centrale. 
Ma in fondo, a noi interessa uno solo di questi agenti, giusto?
Tra la marea infinita di divise in movimento, Judy Hopps spiccava sempre su tutti. Dal suo primo giorno alla centrale, non un solo ritardo, non una sola riunione mancata, non una singola macchia sul suo curriculum. Era senza dubbio uno egli elementi più validi in quel pandemonio, assieme a Bogo, capitano del distretto, il suo partner e qualche altra bestia che non nutriva particolare simpatia verso di lei. A molti ancora non sembrava normale un coniglio poliziotto. Ma Judy se ne infischiava; a lei interessava svolgere il proprio lavoro al meglio delle sue forze. E magari, potendo, passare il tempo libero con una certa volpe.
 
 
La porta dell'ufficio si chiuse con un sospiro di sollievo, e Judy si adagiò per qualche secondo contro la porta, sospirando profondamente. Erano passati mesi dal suo arrivo, eppure vi erano giorni durante i quali sentiva di non essersi ancora abituata alla frenetica e, a volte troppo, movimentata vita della poliziotta. Si sedette alla propria scrivania ed esaminò con una rapida occhiata la pila di scartoffie e moduli da riempire. 
Quella soleggiata mattina di dicembre dovette passarla da sola, con la sola compagnia di una penna stretta nella zampa destra e un susseguirsi di fogli riempiti con nero inchiostro, poichè era il giorno libero del suo partner, Benjamin Clawhauser, un leopardo corpulento, non grasso, come lui stesso sottolineava, ma comunque robusto e dal muso permeato dalla classica aria da bonaccione. L'unica altra compagnia di Judy al momento, oltre alla pila di fogli, era un alberello di Natale che Clawhauser aveva posato sulla sua scrivania qualche giorno prima, un simpatico modo per augurarle buone feste.
Quando sentiva l'opprimente peso delle responsabilità che il lavoro comportava, Judy pensava sempre alla tipica risposta di Clawhauser: egli apriva un cassetto della scrivania, tirava fuori una fiaschetta di bourbon e, tra un sorso e l'altro, esclamava sempre Ho trovato la risposta allo stress parecchio tempo fa, Hopps!
Nonostante tutto, Benjamin era uno dei migliori agenti del distretto, con più anni di esperienza, ovviamente, ma come Judy anche lui era riuscito a dimostrare il proprio valore non molto tempo dopo il suo arrivo al distretto. Si poteva dire che avesse un solo difetto: simpatizzare per il cibo e, a volte esagerando, per gli alcolici. 
Pensare a quelle parole la faceva sorridere, perchè dopotutto quel leopardo sulla strada dei cinquant'anni aveva una spontaneità naturale che lo rendeva simpatico e gradito a tutti. 
Solo quando ebbe finalmente finito (le ci volle un po') potè rilassarsi e soddisfare la sete che la attagliava con un caffè preso dalla macchinetta nel corridoio, per poi consegnare il lavoro finito, sottolineando quanto si ritenesse fiera di sè stessa, scherzosamente, ma neanche tanto in realtà. In fondo, un po' di modestia è concessa a tutti, no?
Tornata in ufficio, guardò i cassetti della scrivania: erano tre, tutti pieni di fascicoli, documenti e robe varie, ma uno di essi, da qualche giorno, era speciale per quella coniglietta; aprì il primo cassetto e prese un pacchetto avvolto da una carta gialla a strisce rosse, legato con un fiocchetto.
Era il regalo che Nick le aveva messo furtivamente in tasca la sera del loro primo appuntamento.
Alzò lo sguardo verso il soffitto e tornò con la mente a quella serata, che per lei aveva significato moltissimo, ma ancora non riusciva a capire con quale incredibile velocità o abilità ci fosse riuscito, o come lei stessa non fosse riuscita ad accorgersene. Poi si ricordò di quei due smeraldi che avevano incrociato il suo sguardo - almeno, per lei erano due smeraldi, Nick li avrebbe definiti due comuni occhi che, dello smeraldo, avevano solo il colore- 
Il ricordo di un momento che sembrò interminabile portò un delizioso sorriso sul suo musetto, il nasino le tremò e allo stesso tempo sentì le proprie guance avvampare, la spina dorsale percorsa da mille brividi provocati dalle gentili carezze di Nick e il cuore tuonò sempre più forte, tutto esattamente come nel momento in cui le loro labbra si erano quasi toccate - se non fosse stato per quei dannati vicini! pensò - 
Dovette però riprendersi; sgranò gli occhi e scosse la testa, si portò una zampina su una guancia e capì che quel calore non accennava a diminuire: era tremendamente arrossita!
Se qualcuno fosse entrato in ufficio d'improvviso, Judy avrebbe prontamente afferrato le orecchie e le avrebbe usate per coprirsi dall'imbarazzo. E lo fece lo stesso! Nonostante l'ufficio deserto!
Uno spiraglio tra le orecchie e l'occhio cadde nuovamente sul pacchetto, poi sull'alberello di Natale; in quel momento, ma forse ci aveva pensato molto tempo prima, un pensiero attraversò la mente della coniglietta, si insidiò nel suo cervello e non se ne andò più: e se... Se gli proponessi di passare Natale insieme? pensò.
Inutile dire quanto il solo pensiero non aiutò il suo muso a riacquistare il classico colorito grigio e bianco..
Però... pensò Io lo voglio davvero...
Ogni pensiero o fantasia si ruppe bruscamente come un vetro colpito da un sasso; la porta dell'ufficio si aprì e sull'uscio si fece largo, per quanto poteva, la figura imponente di un bufalo dallo sguardo austero, le sopracciglia perennemente calate sugli occhi, come se qualcuno le avesse scolpite così di proposito, il che gli conferiva un'aria da "meglio non farmi incazzare" (sorpassando, ovviamente, sulla possenza fisica che racchiudeva una furia pronta a scatenarsi in qualsiasi momento).
Insomma, una vera e propria bomba su due zampe dotata di un paio di corna.
"Agente Hopps" tuonò tanto da far balzare Judy dalla sedia e scattare con la rapidità di un ghepardo.
"Eccomi, Capitano Bogo!"
"Il vicesindaco Bellweather è qui, vorrebbe parlarti urgentemente"
Judy fece un cenno con la testa, e il capitano si dileguò lasciando il posto ad una pecorella grassoccia, a voi giudicare se fosse per la lana o per altro, con un vestito a fiori probabilmente uscito fuori dagli anni '50 con sopra un'anonima giacchetta blu, e sul muso due vistosi occhiali rossi. Dovettero mantenere le formalità in presenza di Bogo, era tremendamente fissato con certe cose, ma una volta chiusa la porta, l'una corse verso l'altra per abbracciarla. Si conoscevano da parecchio tempo, dopotutto, ed essendo entrambe non- predatori e Judy il primo agente coniglio della storia della città, non ci volle molto perchè nascesse un forte sostegno tra le due.
Ma abbracci e baci durarono poco: Judy capì subito che Bellweather non era venuta per una visita di cortesia. La fece accomodare e si fece spiegare il motivo della visita.
"Oh Judy" esordì la pecorella con il giornale stretto nello zoccolo "H-hai letto dell'aggressione?"
Il giornale riportava in prima pagina la notizia di un'aggressione avvenuta la sera precedente: all'uscita della metropolitana, più precisamente vicino il Moon Theatre, non molto lontano dal parco principale della città, la testimonianza affermava di aver visto un trio di giovani ippopotami intento a picchiare una coppia di anziani lupi (la fotografia sul giornale mostrava i due corpi a terra, in una pozza di sangue). La femmina non era sopravvissuta, il maschio era stato portato d'urgenza in ospedale, ma del trio non si erano trovate tracce. Il testimone dichiarò che i tre si erano dileguati non appena l'ebbero notato. 
Judy lesse la notizia con sgomento e terrore. Niente di tutto ciò le sembrava vero, non poteva credere che fosse accaduto sul serio. Non le ci volle molto per capire che quell'atto era collegato all'operato del Cacciapredatori. 
Che fossero suoi complici? E se no, per quale motivo avrebbero compiuto una simile atrocità? Mille domande le attraversarono la mente, tanto che per un attimo sembrò dimenticarsi che con lei c'era Bellweather.
"Io.. Non so cosa dire" balbettò la coniglietta sconvolta.
"I-il giornale non la riporta" continuò Bellweather "Ma non è stata l'unica aggressione della scorsa notte..."
Un freddo improvviso circondò il petto di Judy: un freddo oscuro ed opprimente chiamato paura.
"Sono stata i-informata dal giornalista in persona, è un mio co-conoscente" sussurrò Bellweather avvicinandosi alla coniglietta come se temesse che qualcuno, magari fuori dall'ufficio, potesse sentirle. 
"A-a quanto pare un'ora dopo quell'aggressione è stato trovato qua-qualcun altro con una so-sorte simile"
Il tono della pecorella, già ansiosa di suo, turbò ulteriormente Judy, specialmente quando seppe che le vittime della seconda aggressione erano una giovane volpe argentata e uno sciacallo, entrambi reduci da una serata in discoteca. 
Il cuore di Judy smise improvvisamente di battere: erano tutti canidi, e uno di loro per di più una volpe! 
- E se il prossimo... Fosse Nick?-
"J-Judy? Judy?"
"Co-cosa?" Judy si ridestò come da un sonno profondo, ma quel pensiero non l'aveva ancora abbandonata. Tentò comunque di riprendere l'autocontrollo che l'aveva sempre contraddistinta. 
"E il sindaco cosa intende fare?" chiese nervosamente Judy.
"Beh, il sindaco Lionheart è nell'ufficio di Bogo, in questo mo-momento" proseguì Bellweather "Stando a quanto ho sentito vorrebbe m-mettere degli agenti di pattuglia notturna nei punti più frequentati della città" 
"Spera così di evitare altre aggressioni?"
"Quantomeno di controllare la situazione" affermò la pecorella con tono non molto convinto, la stessa poca convinzione che si leggeva nel muso di Judy, ma in effetti era la soluzione più opinabile secondo Lionheart (specialmente per evitare di perdere il sostegno dei cittadini, ovvero gli elettori).
 
La chiacchierata con Bellweather lasciò il posto ad un pomeriggio placido e senza particolari risvolti, che per chiunque altro sarebbe risultato narcolettico, ma non per Judy, colpa imputabile al turbamento che aveva posato gli occhi su di lei come un falco che tiene costantemente d'occhio la preda. Ok, forse non era l'esempio migliore.
Continuò a chiedersi se in pieno giorno, magari proprio in quel preciso istante, mentre i dubbi la attanagliavano, in un vicolo poco frequentato della città, non si stesse consumando una nuova aggressione ai danni di qualche predatore. O qualcosa peggiore di un semplice pestaggio. E soprattutto come stesse lui - e se stesse pensando a lei, come lei pensava a lui, e non solo per preoccupazione- 
"Ooh, che diavolo!" era arrossita di nuovo "Non è il momento di pensare a queste cose!" ripetè tra sè e sè prendendosi a schiaffi sulle guance. 
"Ahi!" 
Ci aveva messo troppa forza.
Tra mille domande, dubbi e preoccupazioni, il pomeriggio passò e la giornata di servizio di Judy terminò con l'uscita della coniglietta dalla centrale, non prima di aver ricevuto un avvertimento da parte del capitano riguardante il giorno successivo.
La metro che Judy prendeva per tornare a casa era piena di predatori e prede, seduti gli uni accanto agli altri, o meglio "schiacciati" gli uni accanto agli altri, poichè il mezzo era sempre pieno, durante l'orario serale.
Eppure l'aria era pesante, soffocante, opprimente come l'afa: in un altro momento gli occhi di Judy avrebbero brillato nel vedere come quelle creature riuscissero a stare tutte insieme nello stesso posto, intenti a chiacchierare e ridere tra di loro, ma ora un silenzio tombale li circondava: non c'erano più animali che parlavano animatamente fra loro, ma solo sguardi che evitavano altri sguardi, teste di cuccioli circondate da abbracci di protezione, sussurri e bisbigli che, lo capiva benissimo nonostante il suo udito molto acuto, tutto erano tranne parole gentili o battute scherzose. 
Judy Hopps percepì sempre più che la tempesta si stava avvicinando. 
 
"Sei solo una puttana!" furono le prime parole che Judy udì non appena rimese zampa nel proprio quartiere. 
Drizzò le orecchie, seguì le urla, le parolacce, i deliri senza senso strada dopo strada, vicolo dopo vicolo, trovando infine la bestia che li emanava. Bestia, in realtà un comune fossa. Il fossa, in genere, non è particolarmente pericoloso, ma quel tale stringeva una bottiglia di birra quasi del tutto vuota nella zampa sinistra, mentre la destra era intenta a bloccare la propria, presumibilmente, compagna contro un sudicio muro al fianco di un vecchio cassonetto aperto. Egli non faceva che rimproverarla e coprirla di insulti, con un alito talmente infestato dall'alcool che non solo si infrangeva contro il muso della povera femmina, ma invadette disgustosamente le narici della povera coniglietta. 
Il fossa, che ad occhio e croce era sulla ventina, era palesemente incapace di intendere e di volere, mosso dai peggiori deliri dell'alcool che dominava il suo cervello come una sorta di malefico potere psichico, e iniziò a schiaffeggiare e malmenare la povera compagna.
Ma in quel momento Judy non era in servizio, non indossava alcuna divisa blu, tanto meno la pettorina, o il distintivo con la sigla ZPD che sottolineava la sua autorità di poliziotta. Non aveva nemmeno la pistola! Era in abiti del tutto civili, una semplice camicetta a quadri rosa chiaro e comuni jeans.
Ma bastò questo a fermarla, secondo voi?
La coniglietta si lanciò contro il fossa, lo afferrò per la spalla e con un potente destro in pieno muso lo atterrò. Un destro degno della migliore cadetta dell'accademia, dopotutto Judy si era distinta anche per una notevole abilità nel pugilato, anche se preferiva evitare, laddove possibile.
Il fossa si rialzò a fatica, scombussolato dalla sfortunata combinazione di alcool e dolore provocato dal pugno di Judy, la quale, invece, si schierò davanti alla femmina di fossa a mo di scudo, in posizione di guardia, pronta a colpirlo una seconda volta, ma non sembrava necessario: il fossa si guardava attorno spaesato, come se non capisse chi o cosa lo avesse colpito, sbraitando e sproloquiando, quando i suoi occhi lucidi incrociarono il muso di Judy. 
Egli digrignò goffamente i denti e serrò i pugni.
"Tu di cosa t'impicci, roditore?" urlò con disprezzo, ma Judy non si lasciò intimorire da quegli insulti, tanto che lo colpì una seconda volta, in pieno stomaco. Il fossa crollò in preda ai conati di vomito, riversando tutto sul suolo appiccicoso. 
"T-tu.. P-putt.."
Judy prese la giovane fossa per la zampa e si diressero verso l'uscita del vicolo, ma...
"Torna qui, dannata puttana!"
 
-TORNA QUI, DANNATA PUTTANA!-
 
Judy si fermò improvvisamente, le orecchie lasciate cadere sulle spalle e il nasino tremante.
"Ehi? Perchè ti sei fermata?" le gridò la giovane fossa, ma la coniglietta non accennò a risponderle. Non fu solo il naso a tremarle, ma anche la bocca, impedendole di pronunciare anche la più semplice delle lettere o sillabe. Ci provò, tentò le più svariate smorfie ma sentì solo i propri occhi gonfiarsi di lacrime che sembrava faticare a trattenere. Due occhi, due gioielli brillanti capaci di illuminare la via più tenebrosa nella notte più buia, ora sembravano un fiume pronto a straripare.
A niente valsero le continue grida della giovane fossa, fino al momento in cui Judy si sentì afferrare la caviglia dalla disgustosa zampa del fossa; essa fu stranamente sufficiente a risvegliare Judy dall'improvviso stato catatonico nel quale era caduta. 
 
 
" E' incredibile, Hopps!" esclamò sbalordito l'agente "Persino in abiti civili il lavoro non ti abbandona mai!"
Judy rispose con un leggero risolino per sottolineare quanto la cosa fosse ironicamente vera. 
"Tutto bene, Hopps?" chiese il collega. Aveva notato qualcosa che non andava nello sguardo della coniglietta. Il turbamento che l'aveva assalita prima non l'aveva ancora abbandonata. 
"Come? Ehm si, si sto bene, non preoccuparti" gli rispose la coniglietta con una vena di nervosismo. L'agente fece spallucce e rientrò in auto. Il fossa ubriaco era sdraiato sul sedile posteriore, ammanettato e con un bel bernoccolo in testa, e la compagna era stata riaccompagnata a casa, dopo aver - letteralmente- sommerso di grazie la nostra eroina per il tempestivo aiuto.
Judy salutò entrambi ed imboccò la strada che l'avrebbe portata al suo piccolo appartamento, in un vecchio palazzo dai mattoni rossi con una porta d'ingresso sormontata da un portico, preceduti da qualche scalino.
L'intero palazzo era silenzioso come un cimitero, come d'altronde il quartiere stesso, fatta eccezione per le urla incessanti dei due vicini di Judy: una coppia di gazzelle conviventi incapaci di resistere più di cinque minuti senza litigare. Strano, perchè le coppie omosessuali, da quelle parti, erano famose per andare molto d'accordo.
 
Il caldo getto d'acqua investì il morbido pelo grigio e il bianco del ventre, e con gli occhi chiusi quasi ermeticamente, Judy sentì lo stress e la titubanza scivolare dolcemente via, partendo dalla testa, scendendo lungo il piccolo seno, il ventre e le zampe, fino a scomparire nell'oscurità dello scarico. 
Un solitario e tanto atteso momento di relax che poteva essere eguagliato, o addirittura superato, dal sentire il calore del morbido letto sotto la schiena. Con indosso il pigiama, la coniglietta si girò e rigirò sul materasso, puntando poi lo sguardo verso la finestra.
"Chissà cosa sta facendo?" pensò "Dovrei chiamarlo per chiedergli..." 
- TORNA QUI, DANNATA PUTTANA!- 
Le zampe iniziarono a tremarle, un'inquietante rete di brividi si ramificò lungo la sua schiena come una pianta velenosa cresciutale improvvisamente addosso. 
Di nuovo quelle parole!
Sentiva freddo, un innaturale freddo non dettato dal clima invernale, ma da qualcos'altro. Si strinse più che poteva sotto le coperte, rannicchiata come una cucciola terrorizzata dalla paura dei mostri che, nella fantasia dei cuccioli, popolavano gli armadi e gli angoli più bui delle loro camerette.
Era effettivamente un mostro la causa di tutto ciò, ma un altro tipo di mostro. Un mostro che può popolare qualsiasi realtà, specie la nostra.
 
 
Bunnyborrow, 15 anni prima
 
La pendola battè i dodici rintocchi. Bonnie continuava a fissare l'orologio preoccupata. Il salotto sembrava una grande campana vuota nella quale l'unico suono che si potesse sentire era proprio l'orologio che scandiva l'ora. Il caminetto riempiva la stanza di un dolce tepore che non si poteva trovare fuori, data la neve che copriva l'intero villaggio e le colline circostanti.
Bonnie Hopps continuava a pensare, a porsi mille domande, con una tazza di cioccolata calda in una zampa e una coperta sulle spalle. 
L'intera casa era avvolta da un silenzio così tombale che si poteva udire perfettamente il respiro della piccola Judy, allora di nove anni, rannicchiata teneramente sotto le coperte ma con gli occhietti ancora aperti, e già a quell'età, essi brillavano come diamanti.
Ma in quel delizioso musetto si leggeva la stessa preoccupazione, per non dire paura, di Bonnie: entrambe conoscevano bene il motivo.
Bonnie drizzò immediatamente le orecchie: il rumore delle chiavi che giravano nella serratura risuonò all'unisono con il battito accelerato del cuore di madre e figlia. La porta si spalancò violentemente, e sull'uscio si fece largo la figura di un coniglio sovrappeso con il muso parzialmente coperto dalla visiera di un berretto verde e lo sguardo praticamente perso. 
Chi potrebbe dire che fosse cosciente di trovarsi nella sua stessa casa?
Si diresse barcollando verso il salotto buttando a terra il giubbotto che indossava. Bonnie si alzò tremando.
"Oh, Stu!" esclamò. 
Stu Hopps, marito di Bonnie e padre di Judy Hopps, la fissò respirando pesantemente, come fosse reduce dall'aver trasportato un pesante carico. In realtà, l'unica cosa che si potesse considerare un "carico pesante" era il pancione per cui quel coniglio era famoso nel villaggio.
"Eh, brava! Que- quello è il mio nome!" rispose seccato. Lo sguardo rassegnato di Bonnie non lo abbandonò un istante, nemmeno quando il suo enorme deretano sprofondò sul divano con un pesante sospiro. Stu l'aveva notato, e la cosa lo infastidiva parecchio.
"Che c'è? Che hai da guardare?" non pronunciò nemmeno il nome della moglie. Era palese che non se lo ricordasse.
"N-niente..." sussurrò Bonnie "Mi sono chiesta fino ad ora dove fossi... Ma credo di sapere già la risposta"
Non c'era bisogno di indagare a fondo; gli occhi lucidi, l'aria intontita e l'alito impastato di alcool erano la conferma che lei sperava inutilmente di non avere.
"E allora? Vuoi castigarmi?" tuonò Stu alzandosi minacciosamente dal divano (reggendosi al bracciolo). "Ciò che faccio e bevo sono affari miei, hai capito? Sono io che mi faccio il culo tutti i giorni per badare a te e quell'altra!" continuò con cattiveria tra un singhiozzo e l'altro. Bonnie indietreggiò terrorizzata, pregandolo con gli occhi di calmarsi, cercando di mantenere un tono di voce abbastanza forte da nascondere la paura.
Lo stress, la stanchezza e un profondo complesso di inferiorità avevano pian piano spinto Stu Hopps sulla via dell'alcool; una volta passava le serate in casa, sul divano vicino al camino, osservando la piccola Judy giocare allegramente, ora invece se ne stava nell'unico bar di Bunnyborrow ad affogarsi con varie bevande in compagnia di qualche amico, con il quale si tratteneva fino a mezzanotte, o addirittura oltre. La situazione durava da almeno due anni ormai.
Ma Stu Hopps riusciva anche ad andare oltre.
"Vieni qui" disse alla moglie, vedendola allontanarsi "Vieni qui!" 
Le urla avevano attirato la piccola Judy, che sbirciava la scena di nascosto. Bonnie se n'era accorta, e con la mano le faceva cenno di andarsene, sperando che Stu non se ne accorgesse. 
"M-mamma..."
"Amore, torna in camera tua!" 
Stu si girò e si accorse, purtroppo, della presenza della figlia. "Ah, ho capito, brutta stronza, vuoi allontanare mia figlia da me! Judy, vieni subito qui!"
La coniglietta rimase immobile. Il nasino le tremava, i brividi la assalirono come se in quel momento si trovasse sepolta da metri di neve. Non sapeva chi ascoltare, non sapeva cosa fare. Riuscì solo a rigare le paffute guance con lacrime di paura. 
Stu si infuriò sempre più, continuando a ripeterle "ti ho detto di venire qui!", per poi avanzare minacciosamente verso la piccola, ma Bonnie, prontamente, lo afferrò da dietro per bloccarlo, ma il coniglio, data comunque una mole considerevole, e di conseguenza una buona forza fisica, ci mise poco a liberarsi di lei, prendendola a schiaffi e buttandola a terra. Che fosse per il troppo alcool o per un malato impulso partito dai meandri più oscuri della materia grigia, Stu le si sdraiò addosso e affondò le dita nelle vesti della moglie per strappargliele, sfogando poi su di lei i propri istinti animaleschi più bassi.
Quella notte, per la prima volta in vita sua, Judy Hopps si ritrovò davanti una delle realtà più inquietanti ed oscure di questo mondo. 
 
Nessun tiranno è più beffardo del Destino...
 
 
La scuola di Bunnyborrow era situata poco lontano dal villaggio, su di una collinetta circondata, in primavera, da alti fili d'erba e distese di fiori colorati che, agli occhi di tutti i cuccioli del paese, apparivano come un'unica distesa policromatica che portava con sè il profumo della nuova stagione, un profumo di cui tutti si beavano, visto che inondava l'intero villaggio. 
Ma ora, in inverno, i cuccioli usciti da scuola non facevano altro che tuffarsi nella neve e darsi battaglia con le palle di neve, in un misto di urla e risate che si innalzavano fino al cielo e movimenti così frenetici che sembrava di assistere ad una danza tribale attorno al falò.
Judy, ovviamente, non era da meno. Fosse per lei sarebbe rimasta a giocare tutto il giorno, in compagnia delle sue amiche, senza badare alle infantili prepotenze che, poco lontano da loro, Gideon Grey stava esercitando su qualche sfortunato compagno.
Ma il momento di tornare a casa giunse, puntuale e funesto come il rintocco inquietante di un pendolo che annuncia l'inizio della marcia verso il patibolo. E in effetti, per Judy, tornare a casa quel giorno fu davvero una marcia verso il patibolo...
La scuola non era lontana dal centro abitato, per cui non era necessario che i genitori andassero a prendere i piccoli, alla fine Bunnyborrow non era Zootropolis.
Judy tornò a casa salutando le sue amiche, due pecorelle, ed aprì la porta di casa. 
Una strana ombra sembrò stagliarsi davanti a lei, non appena la piccola mise il primo piede all'interno della casa. Il nasino iniziò a tremarle per l' inquietante silenzio che non lasciava trasparire il più piccolo suono o rumore. Le sembrò di trovarsi in un film horror, in una di quelle case maledette dai cui angoli, da un momento all'altro, sarebbe sbucato fuori un mostro, uno spettro, un'entità malvagia pronta ad aggredirla; avanzò lentamente lungo il corridoio, piano, come se temesse di farsi sentire. Tentò di sussurrare il nome della madre per chiederle dove fosse, ma la voce sembrò non volerle uscire di bocca, il debole respiro le morì quasi subito in gola. 
In un lasso di tempo apparentemente interminabile, la piccola riuscì a raggiungere il salotto. Fece lentamente capolino dallo stipite della porta, e non notò alcuna differenza tra il salotto e il resto della casa. Lo stesso silenzio. Se non fosse stato per Stu Hopps di spalle, seduto davanti al camino, abbandonato su una sedia, con il berretto buttato a terra, accanto ad una bottiglia di scotch, i jeans sbottonati e un respiro tipico di qualcuno che aveva appena messo le proprie energie in qualcosa. E delle macchie bianche sul pavimento.
"La mamma non c'è, Judy" proferì Stu, con un tono solo in apparenza dolce "Ma tranquilla, ci sono io a farti compagnia..." con un' inquietante smorfia sul muso.
Una smorfia che nessun padre normale dovrebbe mai avere nei confronti della figlia, con la puzza di alcool a fargli compagnia...
Stu si alzò lentamente digrignando i denti, come se per lui fosse uno sforzo, con l'intenzione di avvicinarsi alla piccola. I pantaloni e i boxer coprivano a malapena i suoi genitali, fatto che più di tutto spaventò Judy, pur non sapendone il motivo nè il significato. Stu protese una zampa verso di lei e sorrise, sperando stupidamente di trasmettere fiducia alla piccola e sebbene inizialmente Judy avanzò di un paio di passi, fu rapida la sua ritirata. Ogni tentativo del padre fu inutile, finchè, leggendo qualcosa nello sguardo della figlia, ma probabilmente non il terrore che le stava trasmettendo, si infuriò, prese la bottiglia di scotch e la buttò violentemente sul pavimento, spaccandola in mille pezzi.
"Sono tuo padre!" urlò imbestialito "Quando ti dico di fare qualcosa, tu devi farlo, hai capito?!!"  
Judy cadde a terra, scoppiando a piangere, con gli occhi coperti dalle zampette, ogni centimetro del suo piccolo corpo in preda al terrore. Voleva chiamare la madre, voleva urlare aiuto a tutti gli abitanti del villaggio, ma le uniche parole, o per meglio dire, urla, che si udivano erano quelle di Stu.
Stu la raggiunse e si chinò verso di lei, afferrandola per le orecchie con una zampa e per la gola con l'altra, avvicinandola pericolosamente ai propri genitali. Prima che la sua bocca, per non parlare della sua innocenza, fosse sporcata dall'infame libidine del padre, Judy riuscì a mordergli un dito con tutte le sue forze. Per il dolore Stu la lasciò andare, e Judy corse più velocemente che poteva verso la cameretta.
"TORNA QUI, DANNATA PUTTANA!" 
Judy raggiunse la sua cameretta e si chiuse a chiave dentro, nascondendosi poi sotto il letto, e riversando a terra tutte le lacrime che le rimanevano. Il nasino non smetteva di tremarle, e la sua bocca continuò a chiamare inutilmente la madre, invocandone l'aiuto con disperazione, con in sottofondo i violenti colpi del padre contro la porta.
"Chi ti credi di essere, maledetta?" parole orribili che riecheggiavano nella cameretta come se quel coniglio fosse fisicamente lì dentro.
"Credi di essere migliore di me solo perchè vuoi diventare un fottuto sbirro? Tu non sei nessuno, Judy! Sei solo una piccola puttana!!"
 
Nessuno sarebbe in grado di dire quanto tempo passò prima che Judy riuscisse ad aprire gli occhi al suono di una voce familiare. La piccola aveva chiuso gli occhi, continuando a sperare in un aiuto, e piano piano si era addormentata. Solo la dolce voce della madre, in un misto di pianto, preoccupazione e disperazione, che continuava a bussare alla porta chiamandola ininterrottamente permise a Judy di uscire da sotto il letto, con un filo di dubbio, pensando che fosse una sorta di trappola da parte del padre. 
Ma no, il dubbio cedette il posto alla sicurezza. La riconobbe, era proprio la voce della sua mamma. Aprì freneticamente la porta e la prima cosa che si ritrovò davanti fu Bonnie con le braccia spalancate pronte a stringere al proprio petto quella povera cucciola spaventata.
Dietro di loro due poliziotti stavano scortando Stu Hopps fuori di casa, per chiuderlo nella volante e portarlo via. 
Tuttavia, gli occhi di Judy non nascosero una punta di dispiacere, nè qualche lacrima, nel vedere il padre portato via in quel modo. Uno spettacolo al quale nessun piccolo dovrebbe mai assistere nella propria vita...
Un ricordo doloroso che non le permise di addormentarsi. Le bianche zampe strinsero il cuscino, le sue lacrime lo bagnarono e dalla sua bocca un solo nome, il primo che le venne in mente...
"Nick... Dove sei?" sussurrava come se stesse rivivendo una seconda volta quell'esperienza "Ho bisogno di te..." 
Una parte di lei desiderava che in quel momento, sbucando fuori dal nulla, Nick si sdraiasse accanto a lei per abbracciarla, accarezzarla e farla sentire al sicuro tra le proprie braccia.
 
 
 
Distretto di polizia, 24 Dicembre
 
Per la polizia di Zootropolis non esistevano quasi mai le festività. Quei giorni durante i quali solitamente ci si riunisce a tavola con l'intera famiglia, con lo stomaco vuoto e pronto per essere riempito da varie prelibatezze, circondati dal calore e le risate di parenti con cui si hanno poche occasioni di stare insieme. Null'altro aveva importanza in quel momento. 
Un tempo anche Judy conosceva questa sensazione, ma non ebbe più il tempo di pensarci nel momento in cui il Capitano Bogo irruppe improvvisamente nel suo ufficio per chiamarla a raccolta insieme a molti altri agenti che in quel momento non erano di pattuglia.
Nella sala riunioni, senza troppi giri di parole, Bogo informò tutti i presenti che in almeno sette settori della città erano state segnalate delle aggressioni ai danni di alcuni predatori e il passaggio di molte bande era stato denunciato. Bogo divise i presenti in gruppi e li mandò in perlustrazione. 
Judy partì in coppia con Joseph Witboar, un cinghiale, e si diressero verso il settore assegnato. Le strade erano praticamente deserte, nessuna zampa calpestava i marciapiedi, illuminati dalla luce dei solitari lampioni che accompagnavano la volante dalla quale Judy e Witboar scrutavano ogni angolo, ogni via, ogni dettaglio della strada.
Attorno a loro il silenzio più inquietante. Sembrava uno scenario immaginato dallo scrittore di un romanzo gotico. Mancava giusto un banco di nebbia a fare da cornice.
Era impossibile che, con tutte le segnalazioni arrivate, si fosse improvvisamente placato tutto. A meno che qualcuno non avesse avvertito i membri delle bande...
Ci volle un secondo giro del settore prima che una forma di vita apparisse davanti a loro: un giovane coyote, sbucato da una stradina poco distante, corse verso la volante agitando le braccia e chiedendo aiuto a gran voce. I due poliziotti, con le pistole impugnate, ma nella speranza di non doverle usare, scesero dalla macchina e si diressero verso di lui, sperando di riuscire a tranquillizzarlo; non ci volle molto perchè si facessero vivi anche i responsabili della fuga di quel giovane canide, ovvero uno dei famigerati gruppi notturni, ovviamente sempre dei non- predatori. Tutti immancabilmente armati, ma alla vista di un paio di pistole indietreggiarono tutti, tentando palesemente di rientrare nella stradina dalla quale erano sbucati. 
Judy ordinò a tutti di posare le armi e arrendersi, puntandoli con la pistola, ma uno di essi, un cavallo dalla spiccata quanto insopportabile aria sbruffona, palesò il suo non essere spaventato da una, testuali parole, coniglietta sbirro, invitando gli altri ad andarsene. Uno sparo fece calare il silenzio: il cavallo dava le spalle a Judy, e il suo muso non distava molto da un muro di mattoni. Il proiettile si schiantò contro il muro, proprio vicino al muso del cavallo.
Tutti gli altri perfettamente immobili.
"Ve lo chiedo di nuovo, gentilmente : posate a terra le spranghe e non vi muovete!"
Witboar chiamò una pattuglia lì vicino tramite radio perchè li raggiungesse e li aiutasse a portare dentro i delinquenti appena catturati, i quali, nel frattempo, giacevano sol culo sul marciapiede gelato, ammanettati e sotto lo sguardo vigile dell'agente Hopps, che con tutta l'eleganza di cui può disporre una coniglietta di campagna non mancava di stampare l'impronta del proprio piede sul muso del primo che le lanciava un'occhiata per così dire... Indecente. La pattuglia più vicina non tardò ad arrivare.
"Unità 5 rispondete"  esclamò improvvisamente la radio. Witboar rispose prontamente.
"Parla Witboar, che succede?" 
"Ci hanno segnalato un altro gruppo di fanatici a dieci isolati da voi, sembra che stiano inseguendo una volpe! "
- Una volpe!- 
Il quartiere intero sembrò crollare, i lampioni si spensero come candele e tutto attorno a lei fu inghiottito dall'oscurità.
- Una volpe!-
"Ehi, Hopps, dove stai andando?" urlò Witboar, ma inutilmente: Judy era ormai lontana, correva con la stessa velocità di una lepre nella notte, con i lampioni che le illuminavano la via e, in testa, la speranza che quella volpe non fosse quella volpe.
Dieci isolati. Non ce la faceva più. Si poggiò contro la ringhiera di una scalinata per respirare e riprendere quel poco fiato che le restava. Aveva corso con tutte le sue forze ma non aveva ancora trovato niente, niente di niente. Guardò a destra, guardò a sinistra, ma non vedeva altro che un quartiere silenzioso degno di una città fantasma, il cui unico elemento "decorativo" poteva considerarsi una fermata della metro.
"Oddio... E se non lo troverò in tempo? Cosa gli succederà?" cominciò a singhiozzare in preda alla disperazione. 
Quasi come la risposta ad una supplica, una volpe, in lontananza, sbucò dal nulla correndo verso la fermata della metro, per poi essere atterrata e circondata. Judy non ebbe il minimo dubbio.
"Nick!"
Le volanti della polizia, che nel frattempo erano giunte sul posto, individuarono Judy, e lei fece cenno di seguirla. 
Così, mentre gli altri poliziotti si occuparono degli assalitori, Judy si chinò sul corpo della volpe ormai ridotta una maschera di lividi e sangue.
"Nick, ti prego, rispondimi!" 
Nick aprì debolmente un occhio, e nel vedere il musetto che tanto agognava abbozzò un sorriso.
"Non avrei mai voluto... Che tu mi vedessi in questo... Stato...Carotina"
Poi perse conoscenza.
 
 
                                              - - - - - - - - - - - - - - 
 
 
Per anni, innumerevoli volte in innumerevoli film, ho sentito parlare del nero tunnel e di una bianca luce in lontananza. E' come trovarsi in un limbo, un luogo senza forma, senza alberi, senza terra, senza cielo. Solo il buio. E quando vedi quella luce senti qualcosa, una voce familiare che risuona nelle tue orecchie come l'eco di un urlo lanciato contro una montagna. Non sai perchè, ma provi l'impulso di seguire quella voce. Quel tono lo riconosci, e vuoi raggiungerlo. Vuoi vedere chi ti sta chiamando in quel momento, e quando finalmente raggiungi quella luce, essa ti abbaglia...
 
Un abbaglio, ciò che vidi quando il mio occhio, debolmente, si aprì. In un secondo momento realizzai che si trattava della luce di una stanza. Tentai di guardarmi attorno, ma una fitta improvvisa quanto atroce mi partì dal collo e raggiunse il centro del mio cervello facendomi digrignare i denti e a stento trattenere un verso di dolore. 
Respirai, alzai lentamente la zampa sinistra e la posai sul muso: la parte sinistra della mia testa era fasciata, lasciandomi libero solo l'occhio destro. Istintivamente tentai di alzarmi per mettermi seduto, ma proprio come per il collo, una fitta ancor più lancinante, come una lama penetrata nella carne, mi bloccò.
"Non mi muoverei se fossi in te" esclamò una voce roca a me fin troppo conosciuta.
"Dovrei affidarmi alle tue parole per sapere come sono ridotto, Finnick ?" 
"In effetti" proseguì lui "Ci vorrebbe lo scrittore di IT per descriverti. Mi limiterò a dire che le bende migliorano il tuo aspetto. Solo un po', però" 
"Che gentile!" 
Entrambi scoppiammo a ridere.
"Sei stato fortunato, Nick. Ti hanno salvato prima che quella banda di psicopatici completasse il lavoro"
"Spero solo che non fosse tua la bella voce quella che ho sentito. Non vorrei subire un altro shock!"
Finnick mi mandò a quel paese con lo sguardo, per poi affermare che la voce apparteneva "a quello sbirro che ti ha fatto perdere la testa".
- Allora non l'ho sognata... Lei c'era davvero!- 
"E se ti interessa saperlo" continuò sussurrandomi nell'orecchio "Mentre tu eri impegnato a fare il bello addormentato nell'ospedale, la coniglietta ha detto che sarebbe passata a trovarti, nel pomeriggio!"
"Ne-nel pomeriggio?... E-e non ha detto precisamente quando?"
Finnick mi guardò sghignazzando, ma non mi rispose. Anzi, mi prese addirittura in giro avviandosi all'uscita della stanza.
Piccolo bastardo.
E così rimasi da solo, nella mia nuova cameretta dalle pareti asettiche e una sola finestra che si affacciava sui grattacieli di Zootropolis e il caos che ogni giorno la governava. Non valeva la pena tentare di affacciarmi, dall'alto o dal basso lo spettacolo era lo stesso.
Aiutandomi con le braccia tentai di alzarmi per poggiare la schiena contro il cuscino, stanco di stare supino, e tra un dolore e l'altro ci riuscii, ma volli vedere anche com'ero ridotto: la parte inferiore del costato e i fianchi erano fasciati, e nel passarmi nuovamente la zampa sul muso sentii dei gonfiori di cui prima non mi ero accorto. Se mi fosse capitato uno specchio tra le zampe è probabile che si sarebbe rotto. Al solo tatto sentivo di essere inguardabile, un ammasso di lividi che nessuno avrebbe voluto guardare per più di cinque secondi, tanto che sperai che Finnick mi avesse detto una cazzata e che Judy non sarebbe passata a trovarmi, ridotto com'ero. 
La giornata passò lenta e pigra. L'unica cosa degna di nota fu un alberello con lucette lampeggianti che l'infermiera posò sul comodino all'ora di pranzo, tanto per augurarmi "buon Natale", il che mi ricordò con amarezza che non avrei più potuto proporle di passare insieme quel giorno. Tutto per colpa di un branco di fanatici idioti istigati da uno psicopatico.
Iniziai a pensare a quel pazzo, di come il suo caso mi avesse catapultato in una storia della quale avrei preferito essere spettatore, non attore, ma soprattutto di come mi avesse messo di fronte a qualcosa nella quale non avevo mai creduto: nuovi sentimenti che non pensavo di possedere... O forse erano semplicemente sopiti dentro di me, in una gabbia fredda e solitaria chiamata cuore, in attesa di qualcuno ce li aiutasse ad uscire. Quando camminavo per le strade mi sentivo sempre accompagnato da una presenza invisibile, ma fin troppo palese per essere ignorata, una sensazione di freddo che mi circondava e camminava con me passo dopo passo, e non era il freddo invernale, ma qualcosa di peggio. La solitudine. 
Era stata una mia scelta vivere una vita solitaria all'insegna della menzogna, e non me n'ero mai lamentato. Non apertamente. Dentro di me, invece, una vocina tentava di far uscire un urlo disperato, il bisogno di qualcosa. E forse, Judy Hopps, quella piccola carotina dalle guance bianche, il nasino rosa e due occhi che ogni creatura di questo maledetto mondo sognerebbe di possedere o di ammirare senza sosta, limpidi come la più pura acqua di un lago, senza parlare del suo coraggio, la sua determinazione e la voglia di proteggere tutti. Dove si può trovare una così oggigiorno?
Era il pensiero di lei, del suo sorriso, la sua personalità a farmi compagnia quando lei non c'era, e sentivo che il freddo mi stava abbandonando. Talmente perso in questi pensieri da non sentire i piedi di Judy toccare il pavimento della mia camera.
"Ehi, Nick? Nick?"
Mi ripresi come se mi avessero dato uno schiaffo, e con uno scatto che non avrei dovuto compiere mi girai di spalle coprendomi con la coperta (tentando di non far trasparire il dolore). Non volevo che mi vedesse in quello stato.
"Nick? Che succede? Ti stai nascondendo, per caso?" mi chiese con tono divertito.
"Ehm..." imitai un tono da vecchietta "Sono molto malata, Cappuccetto! Non vorrei contagiarti!"
Lei rise.
"Uuh, che orecchie lunghe che hai, nonna!"
"Veramente ne ho uno solo disponibile, al momento" ribattei, ma riuscii a farla ridere di nuovo.
"Perchè ti stai palesemente nascondendo, Nick?" 
"Non mi piace l'idea che tu mi veda ridotto così" sussurrai "Non sono un granchè neanche normalmente, ma così... Ahi!" 
"Ti prenderei a pugni, Nick, se non ci avesse pensato quella fitta a punirti!" 
Non mi girai, ma dal tono intuivo che stava parlando con il suo solito fare provocatorio. 
"Girati, Nick..."
"Vuoi davvero vedermi?"
"Forse non te lo ricordi, ma ho tenuto - e accarezzato- il tuo muso pieno di sangue, in preda alla disperazione..."
Drizzai l'unico orecchio libero "Disperazione?"
"S-si, ecco..." deglutì "Io credevo... Ho visto tutti quegli animali attorno a te, e le spranghe e..." 
Stava trattenendo delle lacrime?
"Avevo paura, Nick..."
Silenziosamente, per quanto potei, mi voltai e mi mostrai per com'ero: una mezza mummia dal pelo rosso. Lei non fece alcuna smorfia, contrariamente alle mie aspettative. Si fece solo scappare un paio di lacrime, per poi asciugarsi le guance e sedersi sul letto. 
"Beh, hai visto che gioiello?" il mio solito sarcasmo.
Ridacchiò, poi mi accarezzò dolcemente le guance scrutandomi come se provasse ad immaginare cosa nascondessero le bende. Il tamburo nel mio cuore iniziò a battere incessantemente: avevo davanti a me i suoi occhi, e la sua bocca pericolosamente non troppo lontana dalla mia. Mi sentivo come il lupo che desiderava divorare la sfortunata dal cappuccetto rosso, anche se la mia fame era di tutt'altro tipo. 
- Dio, quanto desidero quella bocca! - 
"Avevo paura di averti perso, Nick..." sussurrò lei, con le guance bagnate di pianto. Quelle guance chiamavano a gran voce le mie zampe. Non resistetti, le accarezzai e le asciugai, ma le lacrime continuavano a scendere.
Abbozzai un sorriso. "Ti sarebbe dispiaciuto? Se mi avessero..."
"Non farmi domande sciocche, Nick!" si strinse al mio petto "Non avrei saputo cosa fare se fosse successo!"
"Avresti perso solo una comune volpe ladra" dissi baciandole e accarezzandole delicatamente la testa, finchè lei non sollevò lo sguardo per incrociare il mio.
"No... Avrei perso qualcosa di più importante..."
Non esitai più. Un attimo di silenzio precedette l'unione tra le nostre labbra da me tanto agognata. Temevo che si sarebbe sottratta, ma invece avvolse le zampe attorno al mio collo e ricambiò con la mia stessa foga e lo stesso desiderio. Un fremito mi attraversò la spina dorsale facendomi drizzare ogni singolo pelo della schiena, mentre lei mi tenne prigioniero del suo caldo abbraccio. Ma a conti fatti, ero già suo prigioniero da molto tempo...
Quell'abbraccio, quella stretta che impediva al mio collo di ribellarsi non poteva essere uno sbaglio, un semplice lasciarsi prendere dal momento, così come la foga con la quale le sue labbra non si staccavano da me, tra un bacio e un lieve morso. 
Se le mie zampe non fossero state occupate ad avvolgere la sua vita per avvicinarla a me il più possibile, avrei stretto la coperta con tutte le mie forze, fino a squarciarla, per cercare di frenare l'indescrivibile vortice di sensazioni che colpirono il mio intero corpo in quell'istante. Sentii improvvisamente le sue zampe scendere lungo il mio torso fino ai fianchi, le nostre labbra si separarono e lo stesso collo, che fino a poco fa era stretto in quella dolce morsa, fu bersagliato da miriadi di baci. Ero sul punto di fare la stessa cosa a lei, quando l'ennesima - bastardissima- fitta al fianco, provocata dalla stretta di Judy, ci costrinse ad interrompere tutto.
"Ahi!! Porc..." trattenni a stento un mucchio di parolacce e imprecazioni. 
"Oddio, scusami, Nick!" esclamò lei "Io-io non volevo... E' successo tutto così in fretta e..."
Se avessi potuto guardarmi in faccia, all'udire quelle parole, avrei visto un cupo muso dallo sguardo colmo di preoccupazione. Che se ne fosse pentita?
"Spero..." deglutii e distolsi lo sguardo come un cucciolo con la paura di ricevere un rimprovero, o nel mio caso la più grossa delusione della mia vita.
"Spero tu non te ne stia pentendo, Carotina..."
La sua morbida zampa si posò sul mio mento e riportò il mio sguardo sul suo musetto.
"Non dire assurdità, volpe ottusa" 
Tra il suo sorriso e la lucentezza dei suoi occhi, fui solo capace di rispondere sorridendo, ma sentivo che quel sorriso, per la prima volta in vita mia, aveva qualcosa di diverso: era un sorriso sincero.
 
"Mi spiace ma l'orario di visite è terminato" ci interruppe una voce graffiante e fastidiosa quanto un artiglio che raschia un vetro. Queste infermiere!
"Temo di dover andare, Nick" il rammarico nella sua voce.
"Ligia al dovere persino in ospedale. Sei incredibile, Carotina"
Lei ridacchiò "Perchè, vorresti dirmi che tu non hai mai rispettato neanche le regole dell'ospedale?"
"Mh, un paio di volte si!"
L'infermiera, una femmina di armadillo zitella e, ad occhio e croce sulla cinquantina, battè la zampa sul pavimento per ricordare a tutti e due che era giunto il momento di salutarci. Judy non potè fare altrimenti.
"Un'ultima cosa, Carotina!"
"Si, Nick?" 
"Sai per caso quando potrò lasciare quest'accogliente prigione?"
"Le ferite non sono troppo gravi, ti abbiamo salvato appena in tempo, Nick" - TU mi hai salvato appena in tempo-  "Un paio di giorni e potrai tornare a camminare per strada senza sentirti una mummia"
"Cos'era, sarcasmo?" 
"Non credo sia la prima volta che ti prendo sarcasticamente in giro" alludeva certamente al nostro primo incontro. 
"Beh" conclusi io "Non mi resta che contare i minuti che mi separano dalla libertà, allora!"
"Non vedo l'ora, Nick!" 
Poi se ne andò.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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