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Autore: Stella Dark Star    24/04/2017    1 recensioni
Per Andrea Pazzi e Lucrezia Tornabuoni è amore a prima vista quando s’incontrano nella basilica di San Lorenzo durante il funerale di Giovanni de’ Medici. Il problema è che entrambi sono sposati e per di più le loro famiglie sono nemiche naturali. Ma questo non basterà a fermarli. Tra menzogne e segreti, l’esilio a Venezia cui lei prenderà parte e il ritorno in città della moglie e i figli di lui, sia Andrea che Lucrezia lotteranno con tutte le loro forze per cercare di tenere vivo il sentimento che li lega. Una lotta che riguarderà anche gli Albizzi, in particolar modo Ormanno il quale farà di tutto per dividerli a causa di una profonda gelosia, fino a quando un certo apprendista non entrerà nella sua vita e gli farà capire cos’è il vero amore.
Consiglio dell'autrice: leggete anche "Delfina de' Pazzi - La neve nel cuore", un'intensa e tormentata storia d'amore tra la mia Delfina e Rinaldo degli Albizzi.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Triangolo
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Capitolo undici
Quale forza
 
Poteva ancora rivivere quel momento nella sua mente, quello in cui la verità era stata svelata. Lo sguardo scrupoloso del medico che l’aveva visitata, l’imbarazzo provato nel sentire le sue mani addosso e vedere che, accanto al letto, Piero e Contessina stavano guardando tutto. Non appena il medico si era risollevato, lei aveva preso immediato possesso del lenzuolo per proteggere la propria dignità. Uno sguardo professionale, un tono di voce fermo nel rivolgersi a Piero: “Congratulazioni, Messere. Avrete presto un erede.”
Nel vedere l’espressione del marito, quei suoi occhi spalancati come quelli di un bambino, aveva temuto. Sì, temuto che nella sua testa da banchiere, figlio e nipote di banchieri, i conti non tornassero. Poi invece l’aveva guardata e in un attimo il suo sorriso si era acceso, quegli occhi si erano riempiti di lacrime. Le si era quasi gettato addosso: “Lucrezia! Sono così felice!”
Il cuore le era balzato nel petto, era salva. Dapprima esitante, la sua mano poi si era sollevata per accarezzare la chioma folta e indomabile del marito. E finalmente aveva buttato fuori la tensione che aveva trattenuto nei polmoni. Sarebbe andato tutto bene, se solo un paio di ore più tardi, dopo essere uscito per annunciare il lieto evento al padre e allo zio, Piero non fosse rincasato di corsa gridando alla peste.
Ripensando a quell’ultima parola, Lucrezia ebbe un brivido nonostante il calore estivo. Si premette contro la bocca un lembo del velo, gettando un’occhiata furtiva alla strada. Molti cittadini stavano lasciando la città, nobili e potenti nelle loro carrozze e i poveri popolani a piedi e tenendo sulle spalle pesanti fagotti. Nell’aria si sentiva già l’odore di morte e l’eco del pianto di donne che avevano già perso figli e mariti. E la pestilenza era solo all’inizio.
Giunse presto a destinazione, alla Basilica di San Lorenzo. Doveva fare presto. Non appena entrò nel luogo sacro si guardò attorno, nessuna presenza, niente occhi indiscreti, così puntò la navata in penombra. Il suo passo si affrettò nel vedere la sagoma in fondo, le mani giunte dietro la schiena. Non appena lui si voltò, probabilmente sentendo il rumore dei passi, e la vide, Lucrezia lo chiamò con voce sospirata: “Andrea!”
Lui aprì le braccia e l’accolse calorosamente, la strinse a sé, le baciò i capelli come una reliquia sacra, mentre lei aveva affondato il viso sulla sua spalla e con una mano gli premeva amorevolmente la nuca. Incapace di aspettare oltre, Andrea la scostò leggermente, guardò i suoi occhi grandi e pieni di lacrime e finalmente la baciò. Un bacio forte e intenso al quale lei rispose con trasporto. Quando le labbra si separarono, entrambi dovettero riprendere fiato e la cosa li fece ridere. Ma le risate si spensero quasi subito.
“State bene. Grazio a Dio state bene.” Disse lui, accarezzandole una guancia col dorso della mano.
Lucrezia sorrise e si sporse per stampargli un bacio a fior di labbra. Ma ecco che il suo sguardo si velò di tristezza: “Ho poco tempo. Stiamo per lasciare la città.”
Andrea sospirò contrariato: “Non posso credere che tutto stia accadendo così in fretta. Ho atteso giorni pregando che guariste per potervi rivedere. E adesso…” Mosse la mano nell’aria come ad indicare qualcosa senza forma: “La peste.”
Lei fece un cenno col capo: “Lo so. Tutto sembra volerci tenere separati.”
Si guardarono alcuni istanti senza parlare più, solo i loro sguardi persi l’uno dell’altro, fino a quando non fu Andrea a rompere il silenzio: “Questo è…” Con la mano andò a sfiorare il prezioso velo che lei indossava.
“Sì. Volevo che me lo vedeste indossare almeno una volta prima di partire.”
Ora che lo vedeva personalmente, era ancora più soddisfatto del gusto di Guendalina. Le avrebbe dato una ricompensa una volta tornato a palazzo. La sua attenzione ai ricami di bellezza esemplare che adornavano il velo, venne distolta quando Lucrezia riprese la parola: “Sono qui anche per un altro motivo. Non posso lasciarvi senza avervelo detto.”
Andrea notò una luce particolare nei suoi occhi, sentì un leggero fremito nel suo corpo che ancora teneva avvolto in un abbraccio.
Lucrezia si sciolse dalle sue braccia e gli prese una mano che poi andò ad imprimersi sul ventre. Ad un’occhiata interrogativa di lui, sorrise e trovò il coraggio di dire: “Aspetto vostro figlio.”
Andrea si ritrovò immobile e senza respirare, la sorpresa lo aveva lasciato di sasso. Decisamente stava accadendo tutto troppo in fretta! L’aveva posseduta solo quella volta, l’aveva vista e le aveva parlato solo in poche occasioni e ora…
“Vi prego, dite qualche cosa!” Lo spronò lei, divertita ma anche in pena.
Non sapeva cosa dire. Si sentiva così fiero di se stesso per aver procreato, si sentiva potente per aver impiantato il suo seme all’interno della famiglia del nemico, si sentiva…felice di aver creato una vita con la donna che gli aveva rubato il cuore.
“Mia diletta…” Riuscì a dire solamente, prima di baciarla ancora una volta. Quindi la guardò dritta negli occhi: “Qualcuno ha sospetti?”
Lei scosse il capo: “No. A parte me, nessuno potrebbe dire con precisione quando è stato concepito. Non avete nulla da temere. E nemmeno io.”
Andrea stava per aggiungere qualcosa, invece poi lasciò stare e abbracciò Lucrezia, aveva bisogno di stringerla e sentirla sua.
“Una ragione in più per partire e mettervi in salvo.” Disse ragionevolmente, anche se il pensiero di lasciare lei e suo figlio nelle mani di quella famiglia maledetta gli dava il voltastomaco.
Lucrezia lo strinse a sua volta, voleva assorbire il suo calore, imprimere nella mente l’odore della sua pelle e farne tesoro fino a quando non si sarebbero rivisti. Fu a malincuore che dovette dire: “Devo andare. Ho chiesto di poter venire qui a dire una preghiera prima della partenza. Non voglio rischiare che Piero venga a cercarmi.”
Andrea ebbe l’impulso di stringerla più forte, quasi sperando che il moccioso arrivasse e li vedesse, e avere così un motivo per infilzarlo col proprio pugnale e prendersi Lucrezia una volta per tutte.  E invece si obbligò a comportarsi da uomo maturo e paziente. Forse col tempo, chissà…
La sciolse dall’abbraccio: “Andate, dunque. Prendetevi cura di voi e di nostro figlio.” Quelle ultime parole parvero vibrare nell’aria, infrangere il silenzio della Basilica. Era tutto vero. Quel figlio apparteneva a loro.
Lucrezia non riuscì a dire nulla, un nodo alla gola glielo impedì. Abbozzò un sorriso e fece un cenno col capo, quindi sollevò una mano e gli accarezzò il viso, soffermandosi sulle sue labbra affinché lui potesse baciargliela. Desiderando restare con lui, ma pensando prima di tutto alla sicurezza del bambino che portava in grembo, si voltò e uscì dalla Basilica senza guardarsi indietro.
*
Era inspiegabilmente furioso. Tutto ciò che voleva era poter stare accanto a Lucrezia, soprattutto ora che sapeva che lei portava suo figlio in grembo, e invece a causa dell’epidemia di peste era costretto a separarsi da lei e accettare di non rivederla per quelle che era certo sarebbero state settimane. E quel che era peggio, non aveva modo di comunicare con lei, perché una lettera l’avrebbe messa solo in pericolo. Strinse i pugni con forza, sentì il sangue salirli alla testa con furore. Al diavolo tutto! Tanto valeva che lasciasse anche lui quella maledetta città e che vi facesse ritorno a cessato allarme.
Era così concentrato e amareggiato che andò a scontrarsi dritto contro una figura.
Una mano possente lo afferrò ad una spalla: “Non ho tempo per uno scontro corpo a corpo, ora!”
Sentendo la voce che ben conosceva e la nota scherzosa, Andrea sollevò lo sguardo e incontrò il viso di Rinaldo, vide l’amico sollevare un sopracciglio e aggiungere: “E nemmeno voi. La Signoria si riunisce, lo sapete.”
Andrea si liberò dal suo tocco con uno scatto aggressivo: “Non ci penso nemmeno.”
Rinaldo e il figlio, con cui si stava recando a Palazzo della Signoria, si scambiarono un’occhiata interrogativa.
“Che significa, Pazzi?” Ora il tono di Rinaldo era serio.
“Che non resterò in questa dannata città un minuto di più. Me ne vado.” Scandì Andrea, per poi voltargli le spalle.
Ormanno fece due rapidi passi e lo fermò trattenendolo per un braccio: “Non potete farlo! Abbiamo bisogno di voi. I Medici stanno lasciando la città, è un ottimo momento per screditarli.”
Non avrebbe dovuto dirlo. Il solo sentire quel nome fece scattare la collera di Andrea che si ritrovò a gridare: “Lo so che stanno lasciando la città.” Rimase senza fiato di fronte al viso turbato di Ormanno.
“State davvero passando il limite, Pazzi.” Disse Rinaldo, avvicinandosi a lui a sua volta, ma senza più tentare il contatto fisico. Gli lanciò un’occhiata estremamente severa: “Avevate promesso. Ma sembra che le vostre faccende personali stiano offuscando il vostro giudizio.”
Andrea sostenne il suo sguardo, ma nel rispondere fece vibrare forte il sarcasmo: “Non mi risulta che voi siate da meno, mio caro Rinaldo.”
Rinaldo dovette incassare il colpo, in ogni caso, prima che potesse pensare ad una risposta adeguata, Pazzi terminò il discorso: “Sono certo che voi e Ormanno saprete farvi valere anche senza di me.” Quindi fece un cenno del capo ad Ormanno per indurlo a lasciargli il braccio e finalmente poté riprendere il cammino verso il proprio palazzo.
Già ferito nell’orgoglio a causa di Cosimo che aveva trovato il modo di porre fine alla guerra, sminuendo così il suo potere e la sua forza sul campo di battaglia, Rinaldo ora non poteva tollerare di essere sfidato apertamente anche da quello che era suo amico e alleato. Si spremette le meningi per trovare qualcosa di pungente da dire prima che Pazzi svoltasse l’angolo. E purtroppo lo trovò.
“Porgete i miei saluti a vostra moglie.”
La frase ebbe effetto, infatti Andrea si fermò e si voltò per fulminarlo con lo sguardo.
“Immagino stiate andando da lei. Dopotutto, anche in mancanza della vostra sgualdrina avrete comunque chi vi scalderà il letto.” Sulle labbra un sorriso diabolico.
Andrea odiava sentir nominare sua moglie e Rinaldo lo sapeva.
“Oh, ma certo! La piccola Medici non sa che siete sposato. Non glielo avete ancora detto, vero?” Lo derise Rinaldo, scuotendo il capo: “Come nemmeno dei vostri figli, immagino. Pazzi, Pazzi… Siete un imbroglione! Sarebbe davvero spiacevole se lei venisse a conoscenza del vostro piccolo segreto e decidesse di troncare la vostra relazione.”
Ora dunque si passava alle minacce! Ma Andrea non gli diede la soddisfazione. Indignato, sputò a terra e gli voltò le spalle.
  
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