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Autore: Sydrah    24/04/2017    7 recensioni
24 Novembre 2041, Corea del Sud. L'esplosione della centrale nucleare di Hanul ha fatto sì che il governo prendesse un veloce provvedimento per impedire la diffusione dei gas tossici, e sopra la zona colpita fu posta una cupola. Al suo interno sopravvissero delle persone, gli 'eletti', dotati di abilità speciali, e tra interni ed esterni continuò a crescere un odio reciproco.
Jimin, un esterno e Jungkook, un interno, si incontrarono per caso, e tra morte e misteri la loro relazione crebbe pian piano. Sarebbe riuscita, però, ad andare oltre ai pregiudizi?
Genere: Angst, Science-fiction, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Park Jimin, Un po' tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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A differenza dei precedenti capitoli che sono sempre stati alternati, anche questo capito è dal punto di vista di Jungkook, perché mi sono resa conto che non ho mai effettivamente descritto un loro incontro dai suoi occhi. Fatemi sapere quale punto di vista preferite comunque, e se secondo voi dovrei concentrarmi maggiormente su uno oppure se vi piace che si vedano entrambi c:
 
 
Erano a mala pena le 14.30 quando arrivai al punto d’incontro, e avevo come minimo ancora due ore di tempo prima del suo arrivo.
Due ore per decidere se alzarmi e andarmene, dimenticando completamente l’esistenza di tale ragazzo, oppure di restare, mettendomi indiscutibilmente in grossi guai.
Tirai fuori dalla borsa un panino che mi ero procurato sul luogo di lavoro e gli diedi un morso, masticandolo lentamente, nella speranza di farlo durare più a lungo. Taekwoon riusciva sempre a preparare cibi deliziosi, e, preparati da lui, anche dei semplici panini sembravano dei piatti cucinati da chef stellati.
Guardai nervosamente il foglio che era ancora incollato al vetro della cupola, probabilmente non era stata una scelta sicura lasciarlo lì, ma che altro avrebbe potuto fare? Non cercarci e farsi i cazzi suoi, commentò la parte più acida della mia mente, e probabilmente aveva ragione, che gli fosse saltato in mente non lo riuscivo ancora a capire.
Finito il panino mi sdraiai sull’erba, osservando tra gli spiragli dei rami il cielo, così lontano, così puro. Per perdere un po’ di tempo mi misi ad immaginare che cosa potessero rappresentare le varie nuvole che lo attraversavano come delle barche in un mare color cobalto.
Socchiusi gli occhi, godendomi la tranquillità che mi trasmetteva quel luogo e mi concentrai sul fruscio delle foglie, smosse con premura dal vento emettevano dei bisbigli, come se si stessero  confidando dei segreti, e cullato dalle loro parole incomprensibili mi addormentai.
 
Ce la puoi fare
 
Hm? A fare cosa
 
Ce la puoi fare, Jungkook, ci sono io con te
Tu chi? Cosa posso riuscire a fare? Era la stessa voce, familiare e calda. Una voce delicata, amichevole, rassicurante.
 
Rispondimi. Ma nulla, la voce non diceva più nulla, la stessa atmosfera bianca, luminosa, mi circondava.
 
Ti prego, rispondimi. Come l’ultima volta il bianco si macchiò poco a poco di gocce scure come l’inchoistro, le macchie si ampliavano ovunque, ed il silenzio venne sostituito da un rumore fastidioso, sempre più forte, riempiva ogni mio senso.
Cercai di bloccarlo, ma anche sta volta mi sentivo completamente paralizzato, ospite all’interno di un corpo che non mi apparteneva. Un sapore acido mi riempì la bocca, e volevo disperatamente prendere una boccata d’aria, ma ero di nuovo immerso in dell’acqua gelida. Cercai di dimenarmi, di controllarla, ma non mi rispondeva. Era come se mi stesse schernendo, prendendo in giro i miei futili tentativi.
No, non poteva voltarmi anche lei le spalle, non poteva farlo anche l’unica cosa su cui avevo del potere. La mia gola iniziò a bruciare. Avevo bisogno di aria. Aria.
Mi svegliai di soprassalto, i dintorni mi parvero estranei per i primi secondi, come colori mischiati su una tavolozza, che si fondono insieme talmente tanto da non riuscire poi più a separarli.
Cercai di calmare il mio respiro affannoso, i miei occhi erano spalancati e le mie mani si aggrappavano all’erba, tirandola così forte da rischiare di strapparla, facendo finire piccole tracce di terra sotto le mie corte unghie, spesso masticate a causa del nervosismo.
Il mio primo pensiero fu quello di controllare l’ora, ed inaspettatamente erano già le 16.30. Cercai di ricompormi, passando una mano tra i capelli per aggiustarli e sistemando la maglia stropicciata.
Probabilmente sarebbe arrivato da un momento all’altro, e ora questo incontro mi sembrava molto più ‘vero’, perché diamine, stavo per farlo, stavo per re incontrarmi con lui, alla fine avevo deciso di non scappare.
Mi diedi mentalmente una pacca sulla spalla, congratulandomi per il coraggio, ma non potevo negare i brividi che percorrevano il mio corpo come tante piccole ed impercettibili scosse elettriche.
Decisi che non volevo farmi cogliere impreparato, e pensai che sarebbe stato meglio se fosse arrivato mentre facevo qualcosa, almeno non avrebbe creduto che fossi disperato di vederlo e che ero lì da ore ad aspettarlo (cosa che, per chiarirci, non era assolutamente vera).
Tirai fuori il mio sketchbook ed una matita, che faticai a tenere in mano a causa dei tremolii. Mi rimproverai, cosa cazzo mi stava prendendo? Da quando tremavo a causa di una persona qualsiasi?
Indignato col mio stesso corpo iniziai a sfogliare con  furia le pagine, cercandone una pulita su cui riversare le mie emozioni, sporcando una precedente candida pagina di me: una persona lurida, vile.
Stavo tracciando affannosamente delle righe sulla pagina, cercando di ricreare un piccolo orso quando notai un ombra muoversi. Con timore alzai lo sguardo, per trovare davanti a me la tanto temuta persona che stava adagiando la tracolla per terra, sedendosi dopodiché a gambe incrociate.
Notai che le sue guance erano lievemente arrossate e che, nonostante stesse tenendo la testa rivolta verso il basso, un piccolo ed innocente sorriso stava cercando di farsi largo sul suo volto, il quale stava però venendo trattenuto perché probabilmente temeva la mia reazione riguardo ad esso.
La frangia cadeva delicata sulla sua fronte ed i suoi capelli splendevano sempre di un bel argento freddo, che riusciva però a donargli comunque una dolcezza incredibile.
Presi un bel respiro, potevo farcela.
Decisi comunque che non volevo dargli troppe speranze (perché le speranze distruggono sempre le persone), e quindi non avrei mai fatto io il primo passo di scrivere.
Attesi, giocherellando con la stoffa strappata dei jeans  su una delle mie ginocchia.
Non passò molto tempo prima che lo vidi frugare nella tracolla, da cui tirò fuori fogli ed un pennarello.
 
Ehi, sei venuto
Vi era scritto con caratteri curati ed aggraziati.
Gli risposi con un cenno. ‘Bravo Jungkook, niente speranze. Niente. Speranze.’
 
Volevo scusarmi per la scorsa volta, forse sono stato troppo invasivo
Sollevò con insicurezza il foglio, sguardo mai puntato verso di me, alla ricerca di un appoggio che non avrebbe mai ricevuto.
 
Forse.
Lui parve contemplare la mia risposta, quasi come se anziché una semplice parola avessi scritto una complicatissima formula matematica di cui stava cercando la soluzione.
 
Vuoi ri iniziare daccapo?
Mi limitai ad inclinare la testa, facendogli intendere che non avevo capito cosa intendesse
 
Sono Park Jimin, piacere di conoscerti. Potresti dirmi il tuo nome?
Oh. Portai un dito alla bocca, mordendo un un’unghia ormai già quasi inesistente, contemplando ciò che avrei dovuto fare.
Era solo un nome, cosa sarebbe potuto accadere di male?
Solo un nome…
 
Jeon Jungkook
I suoi occhi si spalancarono quando lessero la mia risposta, colto alla sprovvista dall’averne ricevuta una.
Mi parve di leggere il mio nome sulle sue labbra, come se l’avesse appena ripetuto per gustare le lettere una ad una, ma anziché ritornare serrate, le sue labbra disegnarono un sorriso sul suo volto.
Era caldo, dolce come la cioccolata con panna, se avessi dovuto descriverlo, un po’ di piccante ma appena un tocco, come se ci avessero dato una spolverata di cannella per terminare la presentazione.
Le sue labbra sembravano morbide, illegalmente morbide, e mi venne improvvisamente voglia di morderle per testarne la consistenza, di sfiorarle mentre ripeteva ancora una volta il mio nome, percependo concretamente come si articolavano per pronunciare le lettere.
Avrei voluto poter sentire se la sua voce fosse altrettanto dolce quanto il suo sorriso e se la sua pelle rosa, se le sue guance piene fossero morbide come parevano.
Mi sarebbe piaciuto poter delineare le fattezze del suo viso con i miei polpastrelli, studiando ogni centimetro della sua pelle, disegnandone i contorni, passando un dito sulla sua palpebra, contando le fini ciglia che la adornavano.
Avrei voluto disegnarlo. Disegnarlo fino a saperlo a memoria, come se fosse il mio personaggio preferito di una storia, il protagonista di un’avventura fuori dalle regole.
Deglutii, era sbagliato, troppo sbagliato. Non avrei dovuto avere pensieri del genere, era troppo pericoloso, ero sicuro non avrebbero portato a nulla di bene.
Cercai di ripetermi che andava tutto bene, che non significava nulla la mia improvvisa curiosità, era semplicemente curiosità sì, niente più. Era solo colpa di come guardavo io il mondo, con ‘l’occhio critico di un artista’ provai a dirmi scherzando, recitando le parole che pronunciava sempre Jin per prendermi in giro a causa della mia mania di osservare i minimi dettagli.
(Ma in fondo non potevo che avere paura, ma per il momento decisi di prendere quei sentimenti e spingerli lontani, in fondo alla mia mente ed al mio cuore, dove non avrei potuto vederli).
 
Piacere di conoscerti Jungkook, quanti anni hai?
Era tutto così fottutamente sbagliato, ma ormai la punta della mia matita era già sul foglio, e senza che io lo volessi si muoveva velocemente da sola per rispondere alla domanda
 
19
 
Ah! Sei così giovane…Io ne ho 21. Vai a scuola?
Non sapevo bene fino a dove si sarebbe voluto spingere, cosa voleva sapere di me, cosa avrebbe voluto ottenere dalle mie risposte, ma non potevo fare a meno di provare paura. E se ci avessero scoperti, e se da un momento all’altro fosse spuntato qualcuno che ci avrebbe catturati e poi uccisi come tutti gli altri che avevano sgarrato, oltrepassato i limiti?
Ma accanto alla paura, un altro sentimento stava lottando conquistando sempre più spazio all’interno di me. Euforia, eccitazione, l’adrenalina che si prova quando si trasgrediscono le regole, cuore pulsante e battito frenetico, tutte le azioni che accadono in un rapido succedersi in cui si è appesi ad un sottile filo: un minimo errore e tutto è finito.
Un sentimento quasi malsano, probabilmente simile alle emozioni che provano gli assassini, che architettano al minimo dettagli il loro delitto, sfuggendo dagli occhi del giudizio.
 
No. Tu?
Era la prima domanda che gli ponevo a mia volta, e tutto ci che avrei voluto fare era abbassare il foglio e bruciare la pagina, eliminando ogni traccia.
 
Vado al college, studio giurisprudenza. Ieri ho avuto un esame, e per questo non sono venuto. Dal momento che non vai più a scuola lavori?
Ci impiegò un po’ più tempo a mostrarmi la scritta, ma quando lo fece notai che sul suo viso vi era ormai un permanente sorriso sereno che avrei voluto continuare ad ammirare, ma che gli avrei anche voluto strappare. Non c’era motivo per essere felice, non c’era nullo di bello nel fare ciò che stavamo facendo, ma forse lui non se ne stava rendendo conto. Gli esterni erano sempre ciechi, sempre così spericolati. Non badavano mai , MAI alle conseguenze, facevano tutto quello che gli passava per la mente, solo perché erano liberi o per meglio dire, si credevano liberi.
Però, in realtà erano ancora più soggetti alla schiavitù di quanto non lo fossimo noi, ed i potenti gli avevano creato attorno una prigione immaginaria fatta di controllo, ancora più potente della cupola che ci separava.
 
Si, ho iniziato un paio di giorni fa
 
Wow! Davvero? Cosa fai? Se posso chiedere. Scusa tutte le domande, non voglio farti sentire a disagio…
Ipocrita fare le domande e poi dire di non voler far sentire l’altra persona a disagio, solo un modo per levarsi la colpa di dosso, per fingere educazione. Cercai di mantenere pensieri negativi, non lasciandomi influenzare dal fatto che il ragazzo di fronte a me sembrava essere la persona più gentile che avessi mai incontrato, cercai di non far cadere il mio sguardo su quegli occhi così luminosi e scuri che parevano contenere tutto l’universo.
 
Come mai mi fai tutte queste domande?
Decisi di non rispondergli, rivolgendomi anzi a lui con un’altra domanda.
Lui parve essere colto di sorpresa, la sua bocca formò una ‘o’  mentre le sue mani strinsero con più forza i fogli che stavano tenendo.
 
Scusami…In effetti è strano che uno come me abbia voluto parlarti vero? Io…Vorrei solo conoscerti
Si scompigliò nervosamente i capelli sulla nuca, e anche se non potevo sentirlo ero sicuro che la risata che uscì dalla sua bocca non era naturale, era nervosa e forzata, come se lo avessi incolpato di qualcosa (come probabilmente avevo fatto).
 
Perché vuoi conoscere me?
Spinsi ancora di più la domanda, la mia curiosità mi stava uccidendo. Volevo sapere, dovevo sapere cosa avesse visto in me, quali fossero le sue intenzioni. Non volevo illudermi di qualcosa che poi mi avrebbe ferito, la mia intenzione non era quella di montare ponti e castelli che poi sarebbero crollati, uccisi da una menzogna che mi avrebbe ferito più di quanto avrei mai ammesso.
Era difficile fare costantemente finta di essere forti, mostrare un’apparenza che non rispecchiava più di tanto la realtà. Inoltre, era ancora più brutto rendersi conto di perché si era arrivati a costruirsi un’immagine: per nascondere le terribili imperfezioni e lacune di noi stessi. Miserabili esseri, nullità senza un proprio volto, alla continua ricerca di un appagamento.
Temevo la sua risposta, ma volevo che le cose fossero ben chiare.
 
Non lo so bene, so solo che dalla prima volta che ti ho visto è come se avessi sentito il bisogno di conoscerti. Lo so che sembrerà ipocrita e stupido un discorso simile ma, davvero, voglio solo sapere chi sei senza secondi fini. Voglio poter diventare tuo amico, anche se probabilmente tu non lo vorresti, voglio poterti fare capire che non voglio farti del male, voglio solo…Vorrei solo mostrarti che non siamo tutte cattive persone. Scusami, lo so che probabilmente sto oltrepassando i limiti
Si morse il labbro nervosamente, sguardo di nuovo puntato verso il basso mentre reggeva con mani tremanti il foglio.
Il mio cuore aveva ripreso a battere stranamente forte e nel mio stomaco si formarono dei nodi strani, quasi dolorosi, ma allo stesso tempo caldi. Un calore che si fece largo per tutto il mio corpo, arrampicandosi fino in gola, solleticandomela, fino alle guance, infiammandomele.
Avevo paura, tremendamente. Diciannove anni ed era la prima volta che provavo sentimenti del genere, diciannove anni e mi sentivo come un bambino di cinque, innocente ed ignaro di tutto.
Un bambino a cui viene detto che per cena gli verrà preparato il suo piatto preferito, rendendolo più felice che mai, per poi scoprire che era solo una bugia per farlo stare zitto, per farlo smettere di piangere.
Mi sentivo in pericolo, come se tutti i miei sforzi di essere una persona forte stessero per distruggersi, per questo motivo mi appesi con tutta la mia forza alla parte più stoica di me.
Alla parte più fredda.
Più apatica.
 
Quindi sono solo un oggetto per pulirti la coscienza? Per farti sentire in pace con te stesso, ripulito dallo schifo che avete fatto, dalla merda che siete?
Sapevo che ciò che avevo scritto era crudele (e non vero), e sentii una fitta al cuore per ogni parola che intagliai in quella pagina, ma era l’unico modo per proteggermi. Quelle parole, si…avevano creato in me speranze che non avrei dovuto avere.
Era ingiusto il fatto che avrei voluto dargli ragione, che avrei voluto conoscerlo e capire fino a che punto era la persona che mi ero immaginato fosse, ma che allo stesso tempo non avrei mai potuto. Perché?
Perché lui era lì, ed io…ero qui. Come al solito, come ci ero stato per tutti i 6935 giorni della mia inutile, fottuta vita.
Potevo sentire ancora una volta le lacrime bruciarmi gli occhi, lì lì pronte per scivolare via come l’acqua corrente di un fiume, ma non potevo ammettere le mie emozioni , non volevo, perché faceva dannatamente male.
Ed il dolore fa paura, cavolo se ne fa. Perché il dolore ti segna, ti marchia a vita e ti cambia, ti fa diventare una persona diversa, un’imitazione di  te stesso.
Ma chi volevo prendere in giro? Lo ero già, tanto…
E probabilmente provai più dolore a vedere la tristezza sul suo volto, le sue guance arrossarsi per la vergogna, i suoi occhi spegnersi, venire svuotati da tutte le stelle, galassie e quant’altro, di quando non ne avrei provato se qualcuno mi avesse pugnalato.
 
Scusami…
Era tutto ciò che vi era scritto. Una sola parola, i contorni tremolati. Niente più frasi lunghe, niente più domande e cavolo se speravo che riprendesse quel dannato pennarello, che cercasse di contraddirmi dicendomi che ‘No’, non era vero ciò che avevo insinuato.
Ma nulla.
Ero sempre stato bravo a distruggere tutto, ma non ero mai stato capace di costruire nulla.
Avrei voluto picchiarmi, avrei davvero voluto che qualcuno mi pugnalasse, avrei preferito provare dolore fisico, sarebbe stato mille volte meglio se fossi stato l’unico a soffrire.
Strinsi la matita in mano fino a che le nocche non diventarono bianche per la forza che stavo usando, eppure non riuscivo a scrivere nulla, non sapevo cosa scrivere.
Lo vidi passarsi una manica della felpa sugli occhi, sfregando con forza, per poi afferrare di nuovo il pennarello, con un’insicurezza tale che avrei voluto potergli dire che andava tutto bene, che ero uno stronzo , che aveva tutto il diritto di odiarmi e che ero io ad aver sbagliato, ma non lo avrei mai fatto (Anche se avrei voluto).
 
Io vorrei davvero solo poterti conoscere, ti prego
Un paio di lettere erano leggermente sciolte a causa di una lacrima solitaria che era scappata, ed io mi sentii ancora più una merda perché ero la causa di essa.
Mi sentii sciogliere poco a poco, e nella mia testa era tutto in confusione.
Vi erano pensieri su pensieri, voci che si sovrapponevano a voci, e tutto ciò che avrei voluto era un po’ di silenzio, un po’ di pace.
Perché non potevo dargli la possibilità di dimostrarmi che era una brava persona? Perché dovevo sempre essere così…me stesso?
Presi un bel respiro, cercando di ricompormi. Se pensavo di aver sbagliato fino a quel momento, allora quello che stavo per fare avrebbe completamente stravolto la mia vita.
In meglio, in peggio non lo sapevo ( ma forse semplicemente non mi importava).
 
Cameriere
I suoi occhi sconsolati si incrociarono coi miei, ed io mantenni il contatto, catturato da essi come se fossimo i due poli opposti di due calamite.
Inclinò leggermente la testa, confuso.
 
Il mio lavoro, faccio il cameriere in un bar
Di colpo mi sembrò notte di nuovo, perché i suoi occhi tornarono a riflettere tutto l’universo, ed era meraviglioso come in una stessa persona il giorno e la notte si unissero, perché oltre che a brillare come le stelle in un cielo notturno, brillava anche più del Sole d’estate, ed il suo sorriso sarebbe stato in grado di bruciare tutto il pianeta, e neanche la mia acqua sarebbe riuscita a calmare il divampare delle fiamme.
Era il sorriso più sincero che avessi mai visto su una persona, perché non stava cercando di nascondere la sua malinconia, stava semplicemente sorridendo per la felicità, per il sollievo.
Stava sorridendo realmente, e la mia mano pizzicò dal volerlo rappresentare su mille fogli bianchi, per imprimerlo nella memoria.
Mi ero messo in un guaio bello grosso, perché non si trattava più di sola e semplice speranza.
Ma per ora (ancora per un po’), decisi che non l’avrei ammesso.
 
 
 
Tornai a casa a mala pena un’oretta dopo, era dovuto andarsene ancora una volta a causa di una chiamata.
Lasciò in me una strana sensazione di vuoto, ma per la prima volta nella mia vita mi sentivo anche pieno, pieno di emozioni, così tante che probabilmente sarebbero presto traboccate.
La sensazione di farfalle allo stomaco era ancora presente, ed a cena non riuscii a mangiare.
Quella sera avrei voluto disegnarlo, ma mi trattenni dal farlo, perché sapevo che altrimenti sarebbe tutto diventato più reale.
Troppo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
EEEEEEE, eccoci qui con il nono capitolo. Prima di tutto vorrei ringraziare tutti i lettori che mi hanno incoraggiata e spronata ad andare avanti. Non avete la minima idea di quanto mi avete resa felice, tipo che asdfghjkl posso morire felice e siete tutti troppo gentili con me ;-;
Allora, spero che il capitolo non sia stato troppo incasinato e con riflessioni inutili (filosofia fa male al mio cervello )e spero che non ci siano troppi errori e che abbia almeno pocopocopoco soddisfatto le vostre aspettative.
Il prossimo capitolo forse arriverà con più calma hah….hah…hah… ma per il fatto che ho finito i capitoli preparati ugh. Dunque, spero continuerete ad essere pazienti con me.
Fatemi sapere le vostre osservazioni sul capitolo ^^
Grazie a Mik4n per motivarmi sempre tantissimo e per sopportare le mie patetiche crisi da “scrittrice” fallita.
Grazie a daenarys97, Yokohomi29, Bipolardemon, Sethmentecontorta, Anastasiamilo, Rozalin Kyouko e Andtellmeyouloveme  per aver recensito. Siete davvero delle bellissime, BeLLISSIME persone!
Detto questo, al prossimo capitolo
Sydrah~
  
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